
MACCOSA
Ho barato.
La consegna diceva “scrivi un pezzo sul tuo King preferito al cinema”. Immagino che l’interpretazione corretta fosse “scrivi un pezzo sul tuo film preferito tra quelli tratti da Stephen King”, ma io, ah ah!, l’ho letto come “scrivi un pezzo sulla trasposizione cinematografica del tuo romanzo di Stephen King preferito” e mi sono così risparmiato di dover scrivere qualcosa su The Mist e di dover spiegare per l’ennesima volta perché è un film perfetto.
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Cose preziose non è un film perfetto, come d’altra parte non lo è il romanzo, il primo scritto da King una volta uscito dal rehab, una sorta di discesa agli inferi collettiva che si potrebbe leggere sia come la controparte adulta di IT sia come una versione più biblica di Twin Peaks. Dove in IT l’infanzia era protagonista, con le sue paure esogene che trasformano un corridoio buio nell’ingresso all’inferno, in Cose preziose le paure sono sostituite da pulsioni endogene (ossessione, paranoia, odio, desiderio di vendetta, disgusto verso il diverso), e anche la loro manifestazione abbandona gli abiti della fantasia per puntare sulla violenza diretta, sugli omicidi e in generale sul farsi male a vicenda su tutti i livelli. E dove in IT la fonte di tutto il male era un’entità aliena e antichissima, in questa sua versione geriatrica è, più modestamente, il diavolo in persona.

Impressioni di Satana.
Ne deriva un’opera nerissima e cinica fino al midollo, politicamente scorretta nel significato più puro del termine, ossessiva e circolare. Meglio: è una spirale, ed è naturale che ripassi più volte per le stesse latitudini, accrescendosi e degenerando sempre più a ogni giro. Molti non l’hanno apprezzato, né allora né oggi, per questo motivo. La mia personale opinione è che sia un magnifico studio d’atmosfera e non riesco a capire questa reticenza a godersi semplicemente un mucchio di pagine scritte magnificamente anche se continuano a raccontare piccole variazioni di sostanzialmente sempre le stesse cose.
È peraltro un giudizio che applicherei, senza cambiarlo di una virgola, anche al film, un gran pezzo di cinema che gode un sacco nell’essere cinema perché il cinema è bello, e che non ha alcuna fretta di arrivare da nessuna parte o di svelare verità sconvolgenti sulla condizione umana. Purtroppo, questo suo approccio da pipa in radica alla narrazione cinematografica viene frequentemente svilito e semplificato oltremodo nel più classico e vuoto dei “è lento/è noioso”. A questa offesa Satana in persona risponde «AH! Che cazzo dite». Sigla!
Togliamoci subito di mezzo un pensiero: no, non è particolarmente fedele al libro nella misura in cui la fedeltà per voi è ripetere pedissequamente l’identica sequenza di eventi descritta da Stephen King. È ovviamente condensato, riduce i centri di interesse a quattro o cinque tenendo il resto di Castle Rock sullo sfondo, elimina completamente la figura di Asso Merrill come spalla del cattivo per lasciare lo scontro in mano a Leland Gaunt e allo sceriffo Pangborn, altre cose. Chiarito questo, ora possiamo parlare del film.
Fraser Heston, figlio dell’ex attivista liberaldemocratico Charlton Heston, è il più classico dei figli di. La sua carriera, comunque piuttosto sparsa, ha ruotato in gran parte intorno a quella del padre (che l’ha fatto esordire al cinema da bambino nei Dieci comandamenti), e Cose preziose è una bizzarra eccezione nella sua altrimenti lineare filmografia – film in TV per farsi le ossa, un paio di film per il cinema, il ritiro dalle scene, il ritorno con un documentario, il genere di carriera che, immagino io ovviamente, è più facile perseguire con successo se sei figlio di uno degli uomini più potenti di Hollywood. Non sto dicendo che sia un raccomandato! Anzi, Cose preziose dimostra che il talento ce l’ha. Solo, così a naso non mi sembra uno che ha voglia di passare la sua vita a girare due film all’anno o rivoluzionare il cinema, ecco.

«No ma prego continua, è interessantissimo».
Ce ne importa poco, comunque. Cose preziose è un progetto che gli è stato offerto in un pacchetto che comprendeva Ed Harris e Max von Sydow, e come fa uno nato e cresciuto in mezzo al cinema a dire di no? Diventa quasi una questione di principio, un motivo valido per accettare prima ancora di conoscere la storia da raccontare, e non voglio dire che questo si rifletta sul prodotto finale, solo che un paio di volte durante la visione il dubbio sorge. La storia è semplicissima, raccontarla è pura esecuzione, e Fraser Heston si diverte un sacco a eseguire, gioca con la fotografia, riempie ogni inquadratura di roba, muove la macchina in ogni modo possibile, e soprattutto cattura i suoi attori da ogni angolo, chiedendo loro di fare tutto, di aprire la valigia dei trucchi e sentirsi liberi di sfogare il talento.
C’è un tizio, Leland Gaunt, che arriva nella sonnolenta cittadina di Castle Rock e apre un negozio, Needful Things. C’è dentro di tutto, e apparentemente la cosa giusta per ciascuno degli abitanti della città; tutto quello che Gaunt chiede in cambio sono quattro soldi e un piccolo favore. Paolo Genovese ci ha appena fatto un film.

«Maggiore Briggs, mi dica, chi cazzo è Paolo Genovese?».
E poi c’è Castle Rock con i suoi abitanti pazzi e disfunzionali: la vittima di violenze domestiche che ha ammazzato il marito e da allora viene trattata come una pazza, la redneck che alleva tacchini, il ragazzino un po’ strano (nonché unico della città, apparentemente), il tizio disgustoso e ladro, e naturalmente lo sceriffo, unico faro di sanità mentale nella nebbia di idiozia che sembra abbracciare il nostro idilliaco paesino.

«Ti pesto».
L’intero equilibrio del film si regge sul contrasto tra questi due estremi, il diavolo tentatore che corrompe le – neanche troppo innocenti ma anzi già naturalmente portate alla corruttibilità – anime degli abitanti di Castle Rock e il cavaliere bianco del Bene che arrivando da fuori, dalla Grande Città, porta con sé i veri valori della giustizia e della fratellanza e del rispetto delle regole. È un discorso molto più calcato e faustiano di quello fatto da King nel romanzo, forse anche banalizzato, ma estremamente cinematografico, e un’ottima scusa per Heston per girare un rosario di sequenze da applausi tenute insieme da un collante di autocompiacimento e manierismo che mi rendo conto possa irritare chi preferisce un approccio più secco e deciso al racconto.
Non vuol dire che Cose preziose sia un film lento, qualsiasi cosa significhi, ma è certamente un film ripetitivo e monotono, che continua a ribadire le stesse cose girando ogni volta la manopola del volume fino all’inevitabile esplosione finale – in vista della quale Heston perde in parte il controllo della situazione e si rifugia in una soluzione wearetheworld tanto potente per messa in scena quanto ingenua e insoddisfacente, anche se curiosamente puntuale per contenuti nel 2017, ma questo è un altro discorso ancora. Il mio punto è che certo che Cose preziose può annoiare: è un thriller educatissimo nel quale la tensione è solo locale, confinata a singole sequenze, e che vive e muore della sua atmosfera soffocante e della sua paradossale tendenza a indulgere spesso nella ricerca della bellezza.

«Mmmsssì, OK, ma morti ce ne sono? Sangue?».
È, credo, il vero contrasto vincente che eleva Cose preziose oltre il livello della menata manieristica e nel territorio dell’esperimento perfettamente riuscito. Vuole essere bello mentre racconta cose brutte fatte e pensate da persone brutte, moralmente e persino esteticamente, vuole mostrare con eleganza il lato torbido e lercio della seduzione, e per farlo si affida ai baffi di Max von Sydow che si gode come un matto il ruolo, al grugno di Ed Harris che si mette sulle spalle il film e i suoi compagni di set ogni volta che compare, e pure a tutte le figure che ruotano intorno a loro, dalla coppia di preti di menare composta dal padre di Bobby Briggs e dal padre di Lane Pryce al magnifico “Buster” Keeton di J.T. Walsh che fa una sorta di versione marcia di Rick Moranis fino all’immensa Nettie di Amanda Plummer – non cito a caso gli ultimi due, ai quali è riservata una delle scene migliori del film. HORSEFUCKING!
È difficile investire fino in fondo nelle vicende di un film che si compiace così tanto di esistere, ma Heston si fa perdonare tutto in quelle – poche – sequenze in cui si abbandona con gusto alla violenza. Cose preziose non è neanche per scherzo un horror né è interessato a disgustare o a fare paura, ma quando deve chiudere i conti con i suoi personaggi (nel caso non fosse ancora chiaro, i “favori” di Gaunt servono generalmente a far incazzare la gente e a mettere tutti contro tutti, perché a Satana piace fare casino) non ha problemi a mostrare crani spaccati a colpi di accetta o esplosioni molto grosse. Ci sono in questo film alcune esplosioni molto grosse, che Heston si diverte a girare da tutti gli angoli possibili e a farci vedere e rivedere decine di volte. C’è anche una gag che comprende la merda di tacchino. Sempre un po’ con il mignolo alzato perché lo stile prima di tutto, ma se in un film cercate esplosioni, sangue e merda di tacchino Cose preziose ha anche questo.
Dopodiché: sì, può essere deprimente. Bonnie Bedelia nei panni di Polly, la fidanzata dello sceriffo con un’artrite tremenda alle mani, è un buco nero di depressione quanto lo era nel libro e le scene a lei dedicate si trascinano sempre più di quanto sarebbe civile. In senso più ampio, non c’è redenzione da nessuna parte, solo un perdono collettivo che profuma di autoassoluzione e nessuna profonda rivelazione sull’innata bontà dell’animo umano o una mano tesa verso i mediocri sperando di elevarli. C’è solo uno sguardo cinico e pessimista su un branco di esseri umani che provano a convivere, e un burattinaio stronzo che si diverte a giocare allo schiaffo del soldato con una comunità per poi guardare esplodere tutto. L’ho già detto che ci sono alcune esplosioni molto grosse in questo film? Perché se vi piacciono i bei film in generale, e in particolare quelli con le esplosioni molto grosse, credo che dovreste rivedervi Cose preziose.

«Diamine come si è fatto tardi!». «Eh, tipo».
DVD quote:
«Cinema bello su gente brutta»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
(no, non dovrebbero farne una serie tv)
Il libro è forse il terzo mio preferito di King dopo IT e The Dome.
Ma il film proprio no anche se capisco il discorso su un film più di classe rispetto ad altri.
Il problema quando si traspone un libro in film è che nel libro si legge quello che pensano i personaggi ed è sempre fantastico entrare nella mente dei personaggi, ma nel cinema sarebbe ridicolo ascoltare i pensieri dei protagonisti quindi devi ricorrere a mezzi visivi che ne evidenziano i pensieri e quasi mai c’è un’immedesimazione potente come nella parola scritta.
Il libro l’ho letto neanche un mese fa stimolato proprio da te, Stanlio, che su fb ne hai sempre parlato come del King preferito. Mi è piaciuto anche se dopo aver letto una dozzina di altri libri di King (soprattutto The Dome) è inevitabile provare del…mm… Deja vu retroattivo, diciamo così. Resta comunque una gran bella lettura.
Invece non sapevo proprio che ne avessero fatto un film, pensavo addirittura fosse una delle poche cose di King non trasposte al cinema. Scopro ora che il film esiste e merita anche (una rarità).
Doppio grazie :)
E il miglior adattamento kinghiano al cinema, per il mio modesto giudizio, è Misery.
Per me libro minore, anche se godibilissimo, e film anonimo e innocuo, guardabile ma non molto godibile. La fotografia smorzata e con pochi contrasti tipica di molti film anni 90 mal si adattava a quel tipo di ambientazioni.
Meglio la mini “La tempesta del secolo” (del calcista Baxley), su tematiche affini.
anche solo per capire fino in fondo cosa si intende per “soluzione wearetheworld” vale la pena il recupero?
A mio avviso la trasposizione migliore di King al cinema è Il miglio verde.Bellissimo libro e bellissimo film
Domanda: ma voi lo ritenete ancora leggibile Stephen King? Io ho letto molto di lui in gioventù e ho ripreso IT da poco, ma lo trovo letteralmente illeggibile. Certo è anche vero che ho dovuto farmi una violenza brutale a finire “I Lupi del Calla” e “La Canzone di Susannah” e per questo ce l’ho quasi a morte con lui, ma per me il suo meglio lo offre coi racconti. Il resto è solo minestrone riscaldato.
Tanto per la cronaca, il film di Genovese è la trsposizione al cinema di una piccola serie televisiva chiamata “The booth at the end”, dove i patti offerti dal protagonista hanno poco di diabolico e molto di “formativo”. Io ho visto solo la prima serie e mi sentirei di consigliarla caldamente se non fosse anche la serie meno “calciabile” che abbia mai visto (solo coppie di persone sedute che parlano, sempre nella stessa medesima location). Se Genovese rispetta fino in fondo l’originale stappo la bottiglia buona, ma è lecito avere grossi timori.
Tanto per la cronaca, il film di Genovese e’ la trasposizione al cinema di una piccola serie indipendente canadese chiamata “The booth at the end”, dove i patti offerti dal protagonista hanno poco di diabolico e molto di “formativo”. Io ho visto solo la prima serie e mi sentirei di consigliarlo caldamente se non fosse la serie meno “calciabile” che abbia mai visto (solo persone che parlano, sempre nella stessa medesima location). Se Genovese rispetta fino in fondo l’originale stappo lo champagne, ma e’ lecito avere grossi timori.
E di “The Night Flier” non diciamo niente?
Tratto da un racconto breve è un autentico cult degli anni ’90, con un Miguel Ferrer (Riposi In Pace) superbo
“The Night Flier” è un cult!!! Andrebbe riscoperto
Si tratta del classico film che appena finisci di vederlo ti dici “così non ne fanno più”
Applausi a scena aperta, condivido tutto.
(Senti però no si salt ail LUcca Comics, mo’ mi manca il tuo autografo, come la mettiamo.)
Visto tre o quattro volte da piccolo, ne ho un ricordo bellissimo dovuto a “Cazzo il Diavulo!” e “Cazzo esplosioni!”, quindi nemmeno per sogno lo riprenderò in mano col rischio di rovinarmelo.
Il miglio King al cinema pure per me è Il Miglio Verde, anche se non ha un cazzo di veramente calciabile.
Se però vale anche la miniserie di IT, allora quello.