1995
Nei cinema di Hong Kong un film intitolato Terremoto nel Bronx inizia ad incassare un mare di soldi. È uno dei massimi successi portati a casa dal protagonista, un mammasantissima del cinema action locale chiamato Jackie Chan, che da tempo sta provando -con scarsi risultati- a mettere un piedino ad Hollywood. Ma con Terremoto nel Bronx cambia tutto: è il film giusto al momento giusto, una performance esaltante e senza fronzoli che fa innamorare il pubblico americano e stende il tappeto rosso per lo sbarco di Jackie Chan in occidente. Hong Kong in questi anni interessa molto agli americani: anni di culto carbonaro si sono trasformati in una mezza mania. A un certo punto inizia a girar voce che il prossimo film di 007 potrebbe essere girato da John Woo, sbarcato in occidente un paio d’anni prima. È un periodo bizzarro per la saga di James Bond, un periodo -relativamente parlando- di crisi: Albert Broccoli sta per andarsene, MGM/United Artists sta passando di mano, ci sono cause tra le due parti e screzi a tutti i livelli produttivi, Timothy Dalton non regge il ritmo dei predecessori. Da sei anni non esce un nuovo Bond-movie: la pausa più lunga nella storia della saga. Nella prima metà degli anni novanta le situazioni legali si appianano, Dalton viene giubilato e si decide di ricominciare da zero. Il nuovo Bond sarà l’irlandese Pierce Brosnan, star di Mai dire sì; la sceneggiatura di Goldeneye viene riscritta. John Woo ha deciso di tirarsi indietro, e per portare a casa il film viene arruolato un regista neozelandese, tale Martin Campbell, che l’anno prima ha messo la firma su Fuga da Absolom. Goldeneye è un successo da ogni punto di vista: uno dei più appassionanti Bond di sempre, settato su un conflitto tra vecchi idealismi e nuove disillusioni che segue la fine della guerra fredda, a cui viene imposta una regia scheletrica ed essenziale che esalta l’assolo di Pierce Brosnan e uno dei migliori cattivi (Sean Bean) della saga.
1998
Il cinema di Hong Kong ha cambiato il volto a Hollywood. John Woo è riuscito a realizzare il suo primo capolavoro americano, Face/Off. I vari Ringo Lam e Tsui Hark sono entrati nell’orbita di Van Damme e ci si aspetta che facciano lo stesso percorso. Nello stesso anno Jackie Chan verrà arruolato nella sua prima produzione statunitense tout court, un film di Brett Ratner intitolato Rush Hour. Porterà sul set la sua idea di cinema: gli stunt coordinati e realizzati personalmente, lo stesso personaggio, eccetera: uno dei più grandi incassi della storia per un film di arti marziali. Tra un anno uscirà Matrix e sancirà lo strapotere estetico di Hong Kong in via definitiva. L’anno precedente Michelle Yeoh è stata una Bond-girl, dentro a Il domani non muore mai, che incassa bene ma a dire il vero è un film un po’ del cazzo (sempre meglio dei due successivi, sia chiaro). Martin Campbell non è confermato alla regia: di lui nel 1998 esce La maschera di Zorro. Un mezzo miracolo: con un cast tristissimo, un plot con più maccosa di un film Troma e una colonna sonora di merda, Campbell consegna un action solidissimo che ancora oggi è una gioia per gli occhi. Non si sa bene cosa faccia Campbell con i film: ha qualcosa a che fare con i reparti tecnici, con un’idea solida e la capacità di usare bene gli attori.
2017
Se avete vissuto in diretta la fase in cui il cinema di Hong Kong era in auge ad Hollywood, è probabile che oggi la ricordiate con una punta d’imbarazzo. Lo stesso John Woo, che di questa sottocultura fu la testa di ponte, è riuscito a fare un solo vero “film di John Woo” prima di battere in ritirata, e a tutti gli altri è andata peggio. Le influenze hongkongesi nelle produzioni americane (stile “coreografie di Yuen Wo Ping” o “cameo di Chow Yun-Fat”) si sono risolte quasi solo in film di merda, ivi compreso Matrix (sul quale, complice il grandioso lavoro artistico sui due sequel, oggi si rende necessario stendere un velo pietoso). Un solo uomo-cinema di Hong Kong è sopravvissuto, e anzi ha prosperato, nel sistema statunitense: tale Jackie Chan. Lui è diventato un marchio di fabbrica: ogni film con Jackie Chan diventa necessariamente film di Jackie Chan. La ragione è ovvia: JC ha pensato e realizzato il suo cinema, per decenni, in un contesto nel quale ha dovuto costruirsi un’indipendenza di giudizio e di azione, un flusso cinematografico personale basato su dei principi pedestri ma comunque rigidissimi. Questo ha lati positivi e negativi, ovviamente. Tanto per dire, chiamare Jackie Chan per fare altro che Jackie Chan non sembra avere senso. La sua idea di cinema, la sua fisicità, in un film americano può essere trasportata con qualche vincolo contrattuale tipo “deve essere presente almeno una scena di quattro minuti in cui Chan rompe il culo a 9 avversari”, e magari qualche situazione creativa con gli stunt, ma tutto il resto è più o meno controllato e affidato a dei comprimari che si occupano, perlopiù, di occidentalizzare l’insieme (l’esempio classico è ovviamente la saga di Rush Hour). Questa visione, in ogni caso, ha iniziato da tempo ad andargli stretta: lo stesso Chan ha provato a ripensarsi ed inserirsi nel flusso della cinematografia americana in un modo organico, come ad esempio nel remake di Karate Kid (a prescindere da quel che poteva essere il progetto, lui ci mise il cuore), ma ne è sempre uscito relativamente appannato. Quello che serviva forse era un progetto diverso: un film controllato, di toni più oscuri, con qualche sacrificio personale e un regista che sapesse lavorare con un attore di quel calibro senza farsi mangiare.
Considerata la media degli ex-Bond, Pierce Brosnan se la passa più che discretamente. È un po’ in quella zona di mezzo tra la star col nome grosso sul cartellone e il caratterista di alto bordo; i film in cui recita non sono necessariamente belli o di successo, ma lui in qualche modo la porta sempre a casa. E di tanto in tanto infila cose come The Ghost Writer. La sua longevità come James Bond è di quattro film: uno bello, uno così così, due disastri. Non ha più recitato con Martin Campbell dai tempi di Goldeneye.
Il team Broccoli/Wilson a metà anni duemila ha deciso di buttare tutto nel cestino un’altra volta e ricominciare da capo. Il contratto con Pierce Brosnan, che a un certo si era dichiarato lui stesso dubbioso sul continuare o meno, viene terminato senza troppi casini; il ruolo di James Bond passerà a Daniel Craig, per un film che a un certo punto si rivela essere un adattamento di Casino Royale, il romanzo originale di Fleming. Per la regia il team produttivo Wilson/Broccoli decide di richiamare Martin Campbell, quello di Goldeneye: la prima volta è andata piuttosto bene. A quell’epoca Campbell ha messo la firma su due film non esattamente indimenticabili: il mitico film umanitario di Angelina Jolie e il seguito di Zorro. Ma ha indiscutibilmente tre assi nella manica, che anche sulla carta lo rendono una delle migliori scelte possibili. Per prima cosa è uno straordinario regista di attori, poi è il primo nome che ti viene in mente se vuoi fare uno 007 tenendo al minimo il numero di puttanate hi-tech, e soprattutto ha abbastanza spina dorsale da riuscire a imporre un risultato visivo a prescindere da quanto inquietanti siano le premesse. Quando Casino Royale esce al cinema sono tutti in fregola. Il film rilancia il marchio alla grandissima, impone un nuovo 007 nell’immaginario come non succedeva dai tempi di Roger Moore, e getta tutte le basi che serviranno a Sam Mendes per farsi bello col molto meno riuscito Skyfall. Ma quando Skyfall è al cinema, Campbell ha già realizzato due film: il più recente è Lanterna Verde, un mezzo disastro commerciale che ho rifiutato di vedere per questioni che non ricordo (nella recensione di Nanni c’è scritto che, diciamo così, le colpe sono altrui). Quello prima è Fuori Controllo, che per quanto mi riguarda è nella top ten dei film usciti da quando esistono i Calci.
Certe cose è bene che confluiscano, in qualche modo. C’è un romanzo del 1992 intitolato The Chinaman, scritto da Stephen Leather. L’adattamento viene messo in mano a Jackie Chan, con un budget più che discreto, e la prima scelta come regista sarebbe Nick Cassavetes. Ma a un certo punto viene arruolato Martin Campbell: le ragioni non sono note, ma mi piace pensare che sia perchè The Chinaman ha la stessa identica struttura (e la stessa premessa) di Fuori Controllo. Il protagonista del film è un ristoratore cinese che perde la figlia in un attentato dell’IRA, soffre la lentezza della macchina investigativa e decide di arrivare ai responsabili da solo, ricattando un politico nordirlandese, in una guerriglia psicologica di classe Rambo/Cane di Paglia. Il vero protagonista del film è il politico nordirlandese, ex militante IRA che ora è stretto tra le richieste di aiuto del governo inglese, l’ostruzionismo degli ex commilitoni, un complotto interno alla sua cerchia e il cinese pazzo che gli fa esplodere pezzi di casa a intervalli regolari.
Ho letto la prima parte della recensione di Guerre Stellari che Casanova ha scritto l’altra settimana e ho sentito il mio petto gonfiarsi in segno d’approvazione. È vero che Casa si riferisce a un caso un po’ particolare di film, che in linea di principio è irripetibile dal punto di vista ideologico: Guerre Stellari è sporcato da quarant’anni in cima ad ogni lista di influenze culturali e alla nascita di movimenti religiosi dal basso che hanno dato migliaia di interpretazioni della trilogia originale. Ma per quanto mi riguarda i problemi legati alla verosimiglianza delle trame sono per la maggior parte problemi stupidi. Per quanto mi riguarda, in effetti, quando sento qualcuno dire “questa scena non fila” o “questa sequenza non sta in piedi” o “questa trama è troppo assurda” o “qui il film cade in contraddizione” mi faccio un’idea molto più negativa della persona che del film. Certo: i buchi di trama e alcune assurdità possono essere molto sgradevoli quando un film è già di suo una merda, ma voi preferite un buon film coi buchi o un cattivo film senza buchi? Ecco. Ad esempio, se siete di quelli che pensano “non esistono buoni film con i buchi” vi siete già dati da soli la risposta, e mi spiace dirvi che è sbagliata.
(Ho il vezzo intellettuale di chiamarlo Casa)
(Ho il vezzo intellettuale di chiamarlo petto)
Ecco: se fossi andato a vedere The Foreigner con la ballotta di gente con cui andavo a vedere i film nel ‘95, probabilmente qualcuno di loro avrebbe sollevato l’obiezione morale per cui non si può considerare serio un film che parla di un ristoratore cinese che cerca di sconfiggere l’IRA. È vero che Trappola in alto mare ci ha insegnato a non dare il cuoco per scontato, ma anche se ci spingiamo al di là del soggetto, lo svilupparsi della trama di The Foreigner si basa su tre o quattro postulati che hanno superato il maccosa due ore fa.
Poi però sono stato costretto a separarmi dalla ballotta di allora, e a fare altre scelte di vita, e uno dei risultati di queste scelte è che posso guardare The Foreigner e considerarlo il miglior film che ho visto da un sacco di tempo. In questa rece dovevo cercare di spiegare perché, ma non è facile. Certo, Pierce Brosnan regala (forse) la sua miglior prova di sempre. E Jackie Chan infila il suo primo film occidentale al di fuori della sua comfort zone. E Martin Campbell porta a casa un altro film dei suoi, di quelli in cui godi anche quando non sta succedendo nulla. È fondamentalmente un film di attori, e il lavoro sui comprimari è pauroso: ci sono personaggi con sei battute che ti scavano nell’anima (Dermot Crowley e Orla Brady su tutti). Ma secondo me The Foreigner è così bello per un altro motivo, che credo abbia a che fare con la storia di coloro che l’hanno realizzato e i modi in cui nel corso del tempo si è sviluppata: vent’anni di cinema action che confluiscono in un film di due ore e ne tirano fuori tutto il meglio. Avercene.
DVD-quote:
“Un film di cui avreste letto i quote sul retro del DVD”
Wim Diesel, i400Calci.com
Bentornato al Wim!
Questa recensione non fila, è troppo assurda, cade in contraddizione. Ma forse è quello che voleva!
;-)
bentornato! bel film e bella recensione, tempo fa il canale every frame a painting (sempre sia lodato) aveva fatto un bel video sulla differenza tra l’azione di jackie chan in casa e fuori:
https://www.youtube.com/watch?v=Z1PCtIaM_GQ
Ti voglio bene Wim, ma tu già lo sai.
Bentornato vez.
(Grazie cari)
mi sento di aggiungere, post conversazione col Capo Supremo, che il film va visto se possibile in originale -sta su Netflix, per dire. la ragione principale è che qualcuno ha detto a Pierce Brosnan “puoi fare l’accento irlandese” e lui ha deciso di calcare UN POCHINO la mano su questo aspetto.
UN POCHINO è un vero e proprio understatement, a volte mi sembrava di ascoltare la parodia degli irlandesi che trovi nei film comici.
Detto questo concordo in toto con la tua recensione, mi aspettavo un film con un jackie chan invecchiato e un po’ disilluso e mi sono ritrovato con un film dalla trama solida che non mi faceva affatto rimpiangere il fatto che Jackie ha due scene di mazzate (buone ma pur sempre due). Grandi comprimari (dal primo all’ultimo, tra cui l’amica vietnamita? cinese? di JC), attori che sprizzano convinzione da tutti i pori, azione girata bene, morti ammazzati.
E poi ho stima di Campbell fin da Legge Criminale. Spero che con questo, dopo quel passo falso sui pigiamoni verdi, si sia riportato definitivamente sulla carreggiata dei giusti.
Grazie della segnalazione.
Stavo infatti notando che la distribuzione nelle sale italiane è nello stadio “ma anche no”.
@David Kronenbourg:
Credevo non se lo ricordasse nessuno, Legge Criminale…
Brosnan che fa l’accento irlandese mi pare comunque più accettabile di Brad Pitt e Jason Flemyng che parlano in “travellers Irish” in Snatch. Cose molto divertenti da ascoltare in lingua originale.
@Claude:
oddìo, io i ruoli di Pitt/Flemyng in Snatch li ho visti sempre un po’ come delle macchiette e ruoli volutamente sopra le righe, qui con Brosnan, per quanto il suo ruolo sia tosto e serio, nei momenti in cui era più concitato mi scappava spesso un sorriso.
Sembra molto molto interessante, lo andrò a cercare su Netflix appena possibile, cercando di superare il mio problema personale riguardo la storia dell’Irlanda del Nord (ovvero iper-semplificando una situazione di una complessità allucinante, ho sempre considerato l’IRA i buoni e gli inglesi i cattivi, per cui dovrò farmi andar giù un film nel quale mi sa che è il contrario..)
Credo di avere il tuo stesso identico problema. Comunque cerco di scindere sempre le opinioni politiche dall’ambito calcista: altrimenti come sarebbe possibile godere dei capolavori dell’action reaganiano anni ’80?
Ah no, per quelli per un razzista e suprematista bianco come me non c’è problema :D
The Foreigner comunque non è né pro-IRA né pro-governo inglese, e a dire il vero non è nemmeno pro-cazzo o pro-figa o pro-violenza, non ha un’identità politica a parte quella secondo cui i film violenti sono meglio degli altri.
Io comunque non credo in questa mentalità così diffusa secondo cui è possibile in generale fare un film che sia contemporaneamente di cassetta e anti-sistema, e in realtà nemmeno nella mentalità secondo cui esistano film su cui non ho nulla da eccepire dal punto di vista politico/ideologico.
Quindi c’è da eccepire dal punto di vista politico-ideologico su qualsiasi film?
se dovessi dirti un film il cui tra virgolette messaggio è perfettamente conforme senza riserve alle mie opinioni politiche sulla faccenda di cui si occupa, diciamo che avrei molte difficoltà.
Questa te la rubo
togli le smorfiette e lo stupore cartoonesco di quando schiva gli schiaffi o fa gli stunt andati bene di jackass, fallo immalinconito e disilluso, fallo di sottrazione e quasi indecifrabile e hai il miglior JC anche per il futuro. Nel complesso ti viene da dire eh ma che rognoso figlio di puttana questo uomo in là con gli anni, però è anche vero che sta pericolosamente in bilico tra “credibile” e “dai ormai qui non è più lui, magari 10 anni fa, mo’ sarà una controfigura”. Quindi onore al merito a cambell che se la gioca sicuro e in pieno controllo. Non è detto che la mossa alla liam neason, cui sicuramente giova la fisicità più statica e pesante, sia replicabile in futuro. Dovrà sempre più abbandonare piroette varie sennò sembrerà quella 80enne cinese che andò a italias gt talent che faceva lap dance e human flag a uso ridere
Gran ritorno, Wim! Che piacere un po’ di Classic 400Calci! Ottimo inizio d’anno, film solidissimo, e Pierce in gran spolvero !
Che bello è tornato il mio recensore preferito. il film me lo vedo stasera credo.
Sbaglio, o hanno fatto apposta a far assomigliare Brosnan a Gerry Adams? Comunque esiste un film omonimo interpretato da Seagal: non so se sia un bene…
quando ho visto la foto qui sopra nella rece ho pensato “Toh, c’è anche Saul di Homeland” O_o
invece quel barbagrigia è Brosnam?
@Liam Threesome
L’omonimo film con Seagal è di un tedioso che non ti dico.
Non brutto..Tedioso..
@Lanzetta Non l’ho mai visto, ho visto solo la kill count su Youtube. Da quello che mi ricordo, c’è lui che ammazza un casino di nemici (tutti uguali) usando il silenziatore. Botte pressoché assenti
che coincidenza…ho visto la locandina proprio qualche giorno fa cercando non so cosa.
e,senza sapere di cosa si trattasse, la mia mente l’ha liquidato automaticamente come “inutile trashata home-video col vecchio chan ormai bolso” (solo dalla locandina, senza neppure degnarmi di vedere un trailer)
e invece oggi scoprio che è interessante.
è proprio vero che a volte si giudica troppo in fretta… lo recupererò.
In questo periodo in cui molti citano (giustamente) “Alien Nation” come ispiratore (eufemismo) della vaccatina “Bright”, sentivo che c’era un altro titolo che poteva essere fatto, ma che nessuno faceva.
Leggo dell’ottimo Martin Campbell (“Fuga da Absolom” uno dei migliori fantascientici dei 90s e miglior Mad Max senza Mad Max) e mi scatta la scintilla: Campbell aveva diretto il divertentissimo “Cast a Deadly Spell”, film tv del ’91, che mescolava una trama da hard boiled con elementi magici e fantasy. Un’adorabile stronzata grondante amore per i noir anni 40, colori baviani e mostriciattoli (joe)danteschi, con un cast enorme: grandi facioni come David Warner e Clancy Brown, una non ancora famosa Julianne Moore in versione Jessica Rabbit (va beh, passata sotto uno schiacciasassi) e il grandissimo Fred Ward nei panni di H. P. Lovecraft detective chandleriano.
PS per me “Il domani non muore mai” 007 tra i piu’ sottovalutati, lo preferisco al pur ottimo “Goldeneye”. “Il mondo non basta” mediocre, ma non lo confonderei con “La morte può attendere” che fa davvero macchia (di merda) nella filmografia di JB in quanto a fallimento.
PPS “Fuori controllo” pensavo fosse un film che non avevo visto, controllo e invece l’ho visto. E assolutamente dimenticato. Beh, riprovero’.
ti ricordo tuttavia “pensavo che natale venisse solo una volta l’anno”
Ahahah, ero convinto che fosse una battuta di “La morte può attendere”, tanto sono abituato ad attribuirgli tutto il peggio della saga.
Mettiamola cosi’: “La morte può attendere” riesce ad essere peggio di un film con battute come quella.
Bello questo commento.
Dovresti pubblicarlo anche nei commenti di Bright,
così chi passerà di lì andrà a cercare Deadly spell.
Se non hai voglia o tempo posso farlo io
“vent’anni di cinema action che confluiscono in un film di due ore e ne tirano fuori tutto il meglio”
wow. se lo trovo subito lo guardo.
Visto ieri sera (grande Netflix!). Con una soglia di attenzione prossima alla sogliola, ho alzato gli occhi dal cellulare al primo scoppio e sono uscito dalla stanza per fare pipì solo ai titoli di coda.
Bello, davvero, restituisce dignità a mr Chan, cui continuo a voler bene (da calcista, non posso rinnegare un ammmore della mia vita) nonostante le ultime minchiate cinematografiche, che oltre ad essere ancora credibile nello spaccare culi a mani nude infila un paio di scene a mano armata eccellenti.
Mi sono venute le lacrime, mangiavo un Twix sognando si trasformasse in un Raider, perché era tutto troppo da filmone in prima serata di Italia 1 anni ottanta.
Persino la battuta finale di chiusura del film è azzeccatissima!
Grazie Wim <3
Bisognerebbe accendere tanti ceri a Martin Campbell.
Che goduria ragazzi. che thriller bello teso, non si sente il bisogno di distrarsi manco per un secondo, bellissime scene d azione ma pure tutto il resto tra la trama, le musiche è tutto al suo posto. Bellissimo se mai uscirà in Dvd me lo accetto, grande Campbell
Bella recensione, mi hai messo voglia di vederlo. Altrimenti l’avrei passato di sicuro!
E ottima dvd quote!
bella recensione, film della madonnona.
solo, non mi è chiaro quali sarebbero questi punti improbabili della trama. io l’ho trovato piuttosto solido e credibile sotto tutti gli aspetti.
già dal trailer mi ispirava molto ma vederlo è stata una vera sorpresa.
la canzone sui titoli di coda immagino sia cantata da jackie chan, giusto?
Un tizio a caso che per quanto ex special forces sgama il numero privato di un vice ministro del Regno Unito? Che gli va in ufficio con bottigliette di benzina in tasca e nessuno lo perquisisce? Che gli entra in casa a Piccadilly fuckin’ Circus senza che nessuno se ne accorga?
(Filmone eh, facevo per risponderti)
la cosa più bella di GoldenEye sono i contenuti extra, dovete sentire come grida “ACTION” quando si gira. non era più così ai tempi di Casino Royale.
Era ora. Dopo 3-4 cialtronate cinesi contaminate dal solito umorismo idiota che fa ridere solo loro e infarciti da insipidi idol locali, finalmente, dopo rob b hood o forse dopo policr story 2013 (che con tutte le sue debolezze soprattutto il finale buonista alla jackie chan) ecco arrivare un film azzeccato. Il tutto mentre si stanno bevendo l’amicone di jackie; quel pagliaccio umano e professionale di Brett Rattner
scusa il ritardo, mi si è sconnessa la calotta cerebrale.
SPOILER
punti improbabili della trama: già la trama di per sè parla di un cinese solitario che sconfigge l’IRA. Nella realtà sarebbe già improbabile vedere Jackie Chan arrivare all’ufficio di Pierce Brosnan, qui abbiamo JC che parla tranquillamente con PB, poi lo minaccia, poi gli fa esplodere un cesso. Più avanti nel film si scopre che conosce le ubicazioni di tutte le sue case, che tampina le guardie del corpo di PB senza problemi e gli caccia bombe in macchina. Intanto segue PB e lo becca in un pub a limonare con una (si scoprirà) terrorista, e poi lo attacca nella tenuta di campagna alloggiando nel bosco vicino senza che nessuno lo riesca a trovare o a fermare. sul finale entra in una casa sorvegliata dai militari e spacca il culo a 5 persone senza farsi beccare da nessuno di quelli che sorvegliano. dall’altra parte abbiamo PB in una situazione tipo uomo-ragno: è vittima di un complotto che comprende sua moglie, il suo migliore amico, la tizia che si scopa, il nipote che LUI fa rientrare dagli stati uniti, e via di questo passo.
Bel thriller ma, onestamente, Jackie mi ha messo molta tristezza (e non si senso buono). Comunque un bel film.
Ma questo è un grandissimo film, niente altro da dire. grandissimo.
Alla fine l’ho visto. Minkia che bello. Vero che c’è qualche inverosimiglianza nella trama, ma grandissimi JC e PB
Il cinema di Hong kong ha inevitabilmente cambiato Hollywood a meta anni 90, mandato in pensioni i grandi registi americani d’azione, vedi Walter Hill o john McTiernan; poi registi americani da videoclip hanno inflazionato il genere con robaccia tipo “Il monaco”, invece Matrix resta il miglior Wuxia americano, parlo del primo perché i seguiti sono robaccia sopratutto il terzo.
Poi è vero questo film non è altro che “Fuori controllo” solo una versione 2.0, ma con la sceneggiatura molto svogliata e senza Ray Winstone a mangiarsi tutto il film, del resto Campell i due film l’ha diretti allo stesso modo, ha preteso che anche i personaggi secondari come quelli principali avessero tridimensionalità e per il resto tanto mestiere,pensare che all’inizio credevo ad un film sulla falsa riga di “Equalizer”, solo fatto in maniera più credibile, qui almeno Chan non affronta bestioni il doppio di lui e sembra sempre stare ad un passo da un attacco di cuore, come qualsiasi uomo anziano;certo bisogna far finta di niente su altre cose poco realistiche,ma che non arriveranno mai al finale di “Equalizer”, li siamo proprio nel mondo dei sogni o peggio, per il resto Chan tiene il confronto con Gibson in “Fuori Controllo”, mentre Brosnan perde il confronto con il già citato Winstone.