Donnie Yen ormai lo conosciamo. A 54 anni suonati è il migliore in quello che fa e quello che fa è sparare pose wing chun e tirare calci volanti facendolo sembrare assolutamente normale. È l’Hayao Miyazaki delle arti marziali, perché è bravo, sì, ma soprattutto perché ogni sei mesi annuncia che si ritira e poi fa un altro film.
Bello, atletico, un patrimonio nazionale, non proprio simpaticissimo, dicono, e neanche troppo versatile, Donnie è abbastanza notoriamente un’insopportabile primadonna e il tipo di attore che non interpreterebbe mai un cattivo perché “il mio pubblico mi vuole vedere in ruoli positivi” o “cosa prenderebbero i miei figli?” (penserebbero che sei un attore, cos’avranno pensato i figli di Bryan Cranston, di essere seduti sopra a un impero di crystal meth?).
La verità è che a 54 anni suonati Donnie Yen non ha voglia di fare quello che alla fine del film viene sconfitto, umiliato, ucciso o anche solo contestato. Ha ingoiato il rospo quand’era giovane, col cazzo che lo fa adesso che gli americani lo implorano di fare Star Wars perché senza di lui i cinesi non vanno a vederlo. Fatelo voi il cattivo, Donnie Yen accetta solo ruoli da Gesù Cristo in su.
Andy Lau è un altro discorso. Se Donnie ha passato la sua carriera a cercare di essere il nuovo Bruce Lee, Andy Lau è Leonardo DiCaprio e Fiorello legati assieme. Prolifico, oltreché versatile, in vita sua ha fatto veramente di tutto, dai thriller alle commedie musicali passando per i film in costume e condurre Sanremo. È un attore molto più completo e “affermato” di Donnie Yen e forse per questo non ne condivide quel pudore nella scelta dei ruoli. O forse gli manca proprio il senso della vergogna.
Chasing the Dragon è il primo film che vede recitare insieme queste due superstar dalla carriera trentennale. Nonostante sia stato promosso quasi esclusivamente come l’ultimo vanity project di Donnie Yen — il primo film in cui recita un ruolo non d’azione — in realtà Yen e Lau hanno lo stesso peso all’interno della pellicola, sono a tutti gli effetti co-protagonsiti e, incredibile ma vero, interpretano tutti e due i cattivi.
Come è possibile?
Tutto passa per un uomo.
La mia nemesi.
Wong Jing.
“Regista” e produttore spregiudicato e iperattivo (media di otto film all’anno a riposo), specializzato in instant movie di serie Z che secondo alcuni sono scuse neanche tanto velate per riciclare i soldi della mafia, è l’autore di alcune delle peggiori e dico davvero peggiori pellicole della storia del cinema tipo il film di Street Fighter senza i diritti di Street Fighter.
Chasing the Dragon è un animale strano, è contemporaneamente una specie di remake, fanfiction e crossover di due film usciti nel 1991, entrambi storie di gangster, entrambi ambientati nella Hong Kong degli anni 60. Il primo, To Be Number 1, che all’epoca fu un discreto successo di critica e pubblico, è la classica storia di ascesa & caduta di un signore del crimine realmente esistito, Ng Sek-ho detto “Ho lo zoppo”, sorta di Scarface cinese che controllava il narcotraffico di mezza Asia. Il secondo è il dittico composto da Lee Rock e Lee Rock II, che racconta le gesta (tenetevi forte) di Lee Rock (vi avevo detto di tenervi forte), un poliziotto corrotto (anche lui ispirato a una figura realmente esistita: ogni singolo poliziotto di Hong Kong) che aveva accumulato ricchezza e potere enormi stringendo patti con la criminalità organizzata invece che combatterla.
Con quello slancio e fantasia fanciulleschi che da sempre caratterizzano le sue peggiori idee, Jing decide che questi due personaggi, avendo operato negli stessi luoghi e negli stessi anni, si conoscevano — e così fa un film sulla loro amicizia, affidando le parti rispettivamente a Donnie Yen, in un inedito ruolo da non-combattente, e ad Andy Lau che, avendo già interpretato il personaggio di Lee Rock nei due film originali, si trova nella bizzarra e inedita posizione di fare il remake di se stesso a 27 anni di distanza.
In tutto e per tutto un film di mafia, Chasing the Dragon aggira il problema della censura cinese (e dell’ego di Donnie Yen) attraverso un sofisticato sistema di specchi e leve che ridimensiona gli aspetti criminali delle vite dei due protagonisti in favore di una narrativa che fa più comodo a tutti, in cui il vero cattivo è l’occupazione inglese.
Lee e Ho sono due giovani ambiziosi che imboccano strade poco ortodosse e commettono azioni certamente condannabili, ma che alternative hanno, in una Hong Kong in cui politici, militari e uomini d’affari stranieri, molto più corrotti di loro, fanno il bello e il cattivo tempo? È il sistema a essere fallato, la loro unica colpa è esserci nati dentro e aver cercato di arrangiarsi. Tecnicamente, per quanto si tratti di un signore della droga e di un poliziotto che è a tanto così dal fare le rapine in banca, non li si vede fare mai niente di male, anzi: rispettano il codice non scritto dell’onore che conta più di qualsiasi legge, difendono a modo loro i più deboli, quegli emarginati che lo Stato sfrutta e di cui fin troppo spesso si dimentica, e alla fine della fiera quando si ammazzano si ammazzano solo fra criminali. È quel genere di retorica che racconta una mafia alla Robin Hood, non proprio onesta al 100% ma, ehi, ci sono i soldati inglesi che fanno i bulli e si rifiutano di pagare quando perdono a carte, esiste veramente qualcosa di peggio?
Al di là della visione manichea e strumentale di un momento storico complessissimo e pieno di contraddizioni sul quale potremmo discutere all’infinito con voi che mi dite “ma il cinema è cinema” e io che vi rispondo “ma l’eroina non fa bene”, il vero problema del film è che fallisce clamorosamente nel tentativo di raccontare un conflitto. È una specie di Infernal Affairs coi due protagonisti che invece di essere nemici giurati si fanno le treccine. Vorrebbe essere, come i due film da cui è tratto, una storia di ascesa e caduta, ma si scorda la caduta. I due personaggi principali sono e restano, fino a 10 minuti dalla fine, dei vincenti, sul proprio cammino non incontrano avversari credibili e qualsiasi tentativo di dar loro una qualche tridimensionalità, aggiungendo a casaccio tragedie personali, scade nel melodramma spinto, ancora più difficile da prendere sul serio a causa dei parrucconi, baffi e completi verde smeraldo sfoggiati da Donnie Yen.
E a proposito del costume di scena di Donnie: è senz’altro interessante vederlo, per la prima volta, muoversi fuori dal suo elemento con risultati a volte addirittura stranianti (la scen ain cui affrona da solo venti avversari e NON vince, strano ma vero, fa un certo effetto). Bello il trucco, l’accento, fingere di zoppicare, ma ci sta anche un fragoroso grazie al cazzo: stiamo descrivendo il mestiere dell’attore! Chi l’avrebbe detto che non significava solo fare quello che ti pare e interpretare sistematicamente in ogni pellicola una versione iper-idealizzata di te stesso? Credo chiunque.
Ma poi gratta la superficie, la parrucca e il bastone da passeggio, Ho lo zoppo è al 100% un personaggio da Donnie Yen: un uomo leale, coraggioso, carismatico che usa il suo potere per proteggere il suo clan, la sua famiglia allargata, solo che stavolta il suo potere è l’eroina. Salutata dalla critica cinese come grande prova attoriale, rimane tutto sommato una timida parentesi tra un Ip Man e l’altro.
Ciò che redime Chasing the Dragon è che, contrariamente alla media dei film di Wong Jing, è incredibilmente ben fatto. Probabilmente è merito dell’esordiente co-regista Jason Kwan, con un passato da coordinatore degli stunt, che in un film che non dice veramente niente, riesce a dirlo veramente bene.
Per citare qualche scena veramente riuscita, tutti concordano sull’inseguimento nei bassifondi della città murata di Kowloon (luogo esistito realmente e dalla storia interessantisisma: praticamente una città nella città dove è stato pacificamente deciso che non esisteva la legge perché il Governo non c’aveva sbatty), sequenza d’azione e di suspance ottimamente coreografata e fotografata, in cui Yen e Lau scappano dagli uomini di un clan rivale, ma anche la scena di massa dello scontro tra le bande di Hong Kong con cui si apre il film o il combattimento tra Donnie e Philip Ng (Bruce Lee in Birth of the Dragon) in cui un Ho, ancora giovane e non ancora zoppo, deve dimostrare il suo valore a un boss prendendosi a pizze col suo guerriero migliore: in entrambi i casi viene fuori il vero talento di Donnie Yen, la sua straordinaria fisicità e la padronanza dei più svariati stili di lotta, che vanno dal kung fu pulitino a una vera rissa da strada in cui ci si tira di tutto, dai calci alle sedie.
Una robina patinata con qualche sprazzo di personalità, ma che non dice niente di nuovo, di scomodo o di interessante, scritto con l’accetta e completamente piegato alle esigenze delle sue due star super impegnate a farsi dei grossi segoni a vicenda. Dall’energia e l’entusiasmo con cui Donnie si è sbattuto a promuoverlo (“il mio miglior film dopo Ip Man”) ci si aspettava sinceramente di più, ma prima di lamentarci forse è meglio tenere a mente che la prossima collaborazione tra Donnie e Wong Jing si intitola “Enter the Fat Dragon” e parla di arti marziali coi ciccioni.
DVD-quote:
“Un apostrofo verde tra Ip Man 3 e Ip Man 4”
Quantum Tarantino, i400calci.com
forse è colpa del titolo ma ho ripensato fortissimo a quella puntata di South Park con “Heroin Hero” che consisteva nell’inseguire un draghetto nella foresta bucandosi il più possibile
No, ma io “Enter the fat dragon” lo voglio vedere tipo stasera!
Esiste già, diretto ed interpretato ovviamente da Sammo Hung. Immagino si tratterà di un remake.
http://www.imdb.com/title/tt0077538/
cito testuale da un’intervista a wong jing: “no, non sarà un remake, usiamo solo lo stesso titolo perché fa ridere”
Ah guarda sto già ridendo infatti.
come minimo in italia lo faranno diventare “il mio grosso grasso maestro di kung fu”
mammagari sti film arrivassero in italia e potessimo almeno farci due risate sui titoli italiani. sono lontani i tempi di “mai dire ninja” http://www.imdb.com/title/tt0118708/
c’è donnie yen, le regole del gioco sono chiare da principio quindi mi incarto il suo ego tremebondo e me lo porto a casa. Poi ti dirò, il trailer a parte alcuni momenti cafonissimi tipo quello delle auto pare promettete bene e incuriosisce a sorvolare sui difetti che dice la rece. Complici quei bei completi e la storia di mala c’è quel fascino da romanzo cantonese che spacca. Purtroppo so già dove cagherà fuori, mentre leggevo mi dicevo “dai ok, su questo ci passo su, si questo pure” ma appena sono arrivato a “melodramma” ho capito che ci saranno le solite puttanate cinesi loro. Speriamo si siano risparmiati gli inserti musicali ruffiani alla sollima perché un conto è se parte total eclipse of my etc, un conto se parte quella musicaccia orrenda che passano nei loro store pieni di calzoni col cavallo sbagliato e roba con resistenza al fuoco pari a quella della benzina
E però io lo vedrò, anche solo per l’inseguimento nella città murata di Kowloon, che per me è una delle storie (vere) più fiche mai apparse sul pianeta Terra. Poi però, in ambientazione hongkonghese, mi piacerebbe davvero vedere un film su Tsui Po-Ko, “Il Poliziotto venuto dall’Inferno”, che non sia questa banalità qui: https://variety.com/2014/film/asia/berlin-film-review-that-demon-within-1201094474/amp/
per tanto così Mad Detective di Jonnie To che è vagamente (ma molto vagamente) ispirato allo stesso caso
Che filmone quello di To
@Quantum @Axel Mi ero perso Mad Detective di To, lo recupero subito, grazie della dritta!
Quello che più mi diede più fastidio di IP Man 2 è che accumunava il periodo coloniale britannico (che con tutti i suoi difetti aveva almeno fatto assaggiare il concetto di democrazia agli abitanti) all’occupazione da parte dei giapponesi (gente che aveva organizzato i campi di stupro e fatto esperimenti di guerra batteriologica sulla popolazione). Senso della misura no???
Donnie invece di sbrigarsi a fare Flashpoint 2 o un SPL a caso perde i suoi anni a fare sta roba. letteralmente: limortaccisua
Ma dai Enter the Fat Dragon?! Una volta vidi un video di un vecchio film di Sammo Hung, chiaramente una parodia del film di Bruce Lee, che aveva lo stesso titolo. Ma cosa sarebbe un remake di un film parodia di Sammo Hung?
Mah, mi sembra che della carriera di Donnie Yen sai poco. Donnie ha interpretato varie volte il cattivone, da Once upon in China (1992), New Dragon Gate Inn (1992), Highlander: Endgame (2000), Shanghai Knights (2003), Wu-Xia (2011) XXX: Return of Xander Cage (2017) anche se negli ultimi due la parte comunque è del figo cattivo.E questi sono solo i film che ho visto. Io non capisco perchè si scrivano cose così errate nel web. Tanto qualche fesso lo legge senza accertare le informazioni c’è sempre. Per quanto riguarda Enter the Fat Dragon, confermo che sono due film completamente distinti. Li ho visti entrambi.Non mi interessa che tu pubblichi il mio commento ma è per comunicarti che secondo me te dovresti smettere di fare recensioni, non credo tu sia capace. Sembra piuttosto che hai delle preferenze oppure che non conosci bene l’argomento che tratti. Non sono riuscita neanche a finire di leggere, se tanto mi da tanto… Firmato una lettrice.
ciao una lettrice, è ovvio che chi scrive abbia delle preferenze, il riassunto del film lo puoi leggere su wikipedia dove, non ho problemi ad ammetterlo, in fatto di riassunti fanno un lavoro insuperabile.
il tuo sguardo sulla carriera di donnie yen invece mi sembra un po’ approssimativo (in metà dei film che citi non è vero che fa il cattivo) e soprattutto manca di contesto, perché metti sullo stesso piano i film del suo esordio e quelli più recenti, le produzioni asiatiche e quelle americane, situazioni cioè in cui il suo potere contrattuale cambiava drasticamente e di conseguenza la possibilità di rifiutare o customizzarsi un ruolo.
grazie per il commento, comunque, è sempre un piacere poter avere un confronto pacato con chi ha un punto di vista diverso, continua così! 👍