Ci sono abbastanza punti in comune tra i registi di punta della nuova ondata blaxploitation degli anni novanta, delle carriere che sembrano svolgersi un po’ in parallelo. Pensate al formato: un film indipendente con forti risvolti di denuncia sociale si rivela un successo inaspettato e impone dal nulla la figura di un giovane regista; il quale, in tempo zero, viene identificato come visionario e genio assoluto, e messo nella scomoda posizione di dover scegliere se continuare a girare rabbiosi film di denuncia a budget tiratissimo o accettare un progetto di alto profilo, con degli attori di grido e un budget adeguato. Il più clamoroso esempio di come una cosa del genere possa andare a finire in merda in realtà non è un regista nero, ma le premesse e il momento storico sono gli stessi. Si tratta di Lee Tamahori, regista ultra-rivelazione del pesantissimo Once Were Warriors (denuncia sociale, minoranze, indigenza, gang eccetera) che in patria fu un successo strepitoso e valse al regista uno sbarco immediato ad Hollywood, dove nel giro di un paio d’anni venne relegato allo status di cottimante e oggi vanta una filmografia che dal punto di vista artistico definire imbarazzante è poco. Lo stesso destino è stato condiviso ad esempio da John Singleton, che dopo una tripletta clamorosa ha provato a cambiare le carte in tavola con Shaft, per guadagnarci di dinire nel tritacarne del secondo Fast&Furious. Per non parlare dei fratelli Hughes (From Hell). È una storia un po’ triste, volendo, nel senso che per quanto potenti e non allineate possano sembrare le opere prime di questa gente, Hollywood ti considera sempre e comunque un prestatore d’opera. Mario Van Peebles in questo calvario fa un po’ storia a sé, per tanti motivi. Il primo è ovviamente il padre Melvin, senza cui per molti versi di blaxploitation sarebbe anche difficile parlare; il secondo è che la sua carriera nel cinema era lanciata anche prima che diventasse regista; il terzo è che l’insuccesso critico di Posse (il quale, effettivamente, non è un gran film) gli è valso un declassamento quasi istantaneo a non-genio e gli è stata sostanzialmente preclusa anche la possibilità di dar via il culo in cambio dei soldi che ti toccano per un film di James Bond. Nondimeno, Mario Van Peebles è l’autore di uno dei gangster movie più importanti di questo periodo storico, ed è il film di cui si parla qui oggi.
A pensarci a posteriori, New Jack City è un film che si scrive da solo. Il film è scritto inizialmente da un tizio di nome Thomas Lee Wright e successivamente adattato da Barry Michael Cooper; l’intenzione non-scritta è quella di fare una specie di Scarface meets Miami Vice in salsa blaxploitation. Il protagonista è il capo di una gang ossessionato da Tony Montana, scritto pensando esplicitamente a Wesley Snipes; le sue controparti sono due poliziotti impostati vagamente sul modello Sonny Crockett/Ricardo Tubbs (vivere fuori dalle regole sprigionando coolness da ogni poro). Bonus: una galleria eccezionale di comprimari e un sacco di musica. Mario Van Peebles, che non ha ancora messo mano a un film per il cinema, viene sponsorizzato più di tutti dall’amico e mentore Clint Eastwood (che lo ebbe come attore in Gunny). È lui a convincere Warner a buttare qualche soldo sul progetto. Wesley Snipes viene effettivamente preso a bordo; inizialmente vorrebbe interpretare il poliziotto nero, ma Van Peebles lo convince ad accettare il ruolo di Nino Brown. Per il ruolo del poliziotto ci sono varie considerazioni ma Mario Van Peebles propone Ice-T. All’inizio è lui stesso ad avere dubbi, per via delle storie con i Crips, ma alla fine accetta. Il film viene girato nel ‘90, esce nel ‘91 e -per essere un film indipendente- incassa un sacco di soldi.
Ho 40 anni, triste a dirsi. Tra le altre cose significa che nel momento in cui ho iniziato ad essere un fanatico di film, la principale risorsa di approvvigionamento erano la TV e i videonoleggi, nell’era pre-Blockbuster. Il videonoleggio medio era un negozietto di una-stanza-barra-due in cui venivano stipati video più o meno a caso che servivano i dubbi gusti del proprietario, qualche rigida esigenza di mercato (novità, porno) e un malinteso senso comune. A Cesena un negozio aveva investito pesantemente sulla quantità di titoli: uno stanzone gigantesco con le novità, lo scantinato con il catalogo d’archivio, e un proprietario ultra-nerd che ti accompagnava di sotto a parlarti dei suoi film del cuore. La combinazione tra futurismo delle location, nerdismo dei proprietari e ampiezza del catalogo gli avevano permesso di diventare una specie di monopolista e allargarsi in giro per la città con altri due o tre punti vendita. I costi economici del noleggiare video, a raccontarli oggi, sembrano fantascienza. Vado a memoria: si poteva essere clienti occasionali, pagare un noleggio che per le novità rasentava le diecimila lire per ventiquattro ore e sette-ottomila lire per ogni giorno di ritardo; oppure potevi fare una tessera, una sorta di membership card, che ti faceva scendere il costo intorno alle settemila per il noleggio novità e cinquemila per il catalogo, oltre ad avere un giorno in più per la consegna e condizioni favorevoli sui giorni di ritardo. Il problema è che la tessera costava qualcosa come trentamila lire, che tu pagavi a inizio anno così, tanto per fare. L’idea di acquistare un VHS originale, quelli che 7/8 anni dopo avrebbero iniziato a tirare in faccia alla gente, nella mia fascia sociale era semplicemente inconcepibile. Questa premessa dà la misura di due cose: uno, con la paghetta dei 16 anni non potevi permettere, economicamente, di guardare un film con la nonchalance bradipica con cui occasionalmente provo a far partire una produzione Netflix dalle premesse dubbie; due, se avevi noleggiato un film ed eri talmente esaltato da tenerlo una settimana per continuare a guardarlo, dovevi pagare dei soldi. O in alternativa sperare che il Signore ti fosse propizio e che il film passasse nella programmazione notturna di Mediaset, possibilmente guardandolo in diretta per registrarlo senza pubblicità. New Jack City lo vidi vedo in VHS intorno al ’94, grossomodo; film uscito da qualche anno, Ice-T tra i protagonisti, e tanto basta. In quel periodo i Body Count li ascoltano tutti ma il personaggio è relativamente sconosciuto -nel mio paese, anzi, tra i rapper gira insistentemente il VHS di un film intitolato Cool As Ice (il protagonista è Vanilla Ice e se non l’avete visto non posso descriverlo). Comunque porto a casa New Jack City per questa percezione malsana tipo “in questo periodo piacciono i film con i rapper e questo è pure un poliziesco violento”. Mi piace da subito: inizio a guardarlo a ruota e mi ripresento con il panico negli occhi al videonoleggio, due settimane dopo averlo noleggiato. Il proprietario mi guarda, abbozza uno sguardo che un po’ è paterno e un po’ è complice, e decide di farmi pagare un forfettario simbolico -due giorni di ritardo o qualcosa del genere.
Credo di capire perchè a un ragazzo di 16 anni come me piacesse New Jack City: è duro, c’è un sacco di musica, c’è un sacco di pistole, ci sono delle scene pesantissime all’interno della crack-house, c’è pure una particina di Flavor Flav. Ci sono dei crateri nella trama ma vengono colmati a furia di musica e pistole: uno può anche starci. Credo di capire anche perchè dopo i 16 anni ho avuto difficoltà a riguardarlo: dopo un po’ hai bisogno di struttura, e poi entri in quella fase del cinema d’autore, presente. Ma è passato così tanto tempo dall’ultima visione che quando Nanni mi ha parlato del progetto e mi ha proposto una rosa di nomi, ho scelto immediatamente New Jack City. Così l’ho riguardato, e queste sono le cose che ci ho tirato fuori a 40 anni.
Uno che ha vissuto infanzia e adolescenza nella provincia romagnola degli anni ottanta è abbastanza ferrato in materia di fumo, paste ed eroina, ma il crack francamente l’ho imparato dai film. La trama di New Jack City in questo mi sembrava abbastanza una cacata -voglio dire, è come sarà The Raid una ventina d’anni dopo ma senza il contesto: i trafficanti controllano interamente un palazzo di sei piani e lo gestiscono con la legge marziale, gli sbirri non possono entrare -oppure sì ma devi fare a botte. Ecco, voglio dire, a New York? Un palazzo intero in mano a uno spacciatore? In realtà pare che la storia sia ispirata a un’autentica gang di Chicago che gestiva una crackhouse su un intero palazzo di quattro piani, quindi insomma -non si finisce mai d’imparare. Di sicuro il film non ci va giù leggero con il risvoltino sociale, indugia bene e spesso sulle facce dei tossici, fa pochi sconti (qualcuno sì, ma più che altro per esigenze di trama) e si permette perfino un pippone a caso nei titoli di coda. Vorrei dire “senza essere pedante”, ma ad essere sinceri New Jack City è davvero pesantissimo in questa cosa de IL MESSAGGIO. Ma almeno fornisce abbastanza altro da permetterti di chiudere IL MESSAGGIO in una scatolina a lato, in modo da far sì che non massacri il film.
In tutta onestà, New Jack City è anche uno di quei film che quando si inizia a sparare diventano noiosissimi. La miglior scena action del film è quella in cui Ice-T insegue Pooky all’inizio del film, la quale pare sia finita dentro per miracolo (doveva essere un inseguimento in auto ma non c’erano più soldi, Chris Rock sale su una bici, Ice-T lo insegue a piedi e questo è quanto). C’è una sparatoria durante una cerimonia religiosa, girata con un piglio vagamente artsy (quello che poi affonderà Posse), su cui è impossibile resistere all’impulso di usare l’avanti veloce. Al contempo, dentro New Jack City non c’è un minuto di film sotto le righe. Nei momenti più interlocutori stai ad ascoltare un pippone nell’appartamento di Ice-T e dopo un minuto Judd Nelson svuota un caricatore sulla parete del soggiorno, così a caso. Paradossalmente è uno degli aspetti che ha tenuto il film in vita, specie rispetto alle aspirazioni un po’ real TV degli altri prodotti dell’epoca (tipo Nella Giungla di Cemento): c’è più azione nei momenti in cui due personaggi si fanno una chiacchierata che durante le sparatorie, per certi versi. In realtà ero curioso anche di scoprire che effetto mi avrebbe fatto la musica: da un punto di vista filologico New Jack City sarebbe una delle principali occasioni del periodo per capitalizzare sulla prima stagione del gangsta -non solo ha come protagonista uno dei padrini ma favorisce un contesto in cui potenzialmente il rap stradaiolo, che in quegli anni aveva già iniziato a spostare numeri enormi, funzionerebbe alla grandissima. In realtà non è così, e la musica del film è esattamente quella che il titolo promette -cioè una New York paludosa e malfamata in cui i barboni, senza alcun apparente motivo se non intrattenere gli altri barboni, si mettono a fare i quartetti vocali intorno a un bidone infuocato. Lo stesso succede all’interno dei locali e negli stereo dei gangster: overdosi di new jack swing, completi giacca-e-cravatta color giallo canarino e un sacco di soul. A riguardarlo oggi sembra un po’ un’occasione sprecata, ma il fatto di non ammiccare troppo verso le pose da street poetry riesce a dare un briciolo di slancio al film anche fuori dalla sua epoca. Ma il punto forte sono decisamente gli attori, e Van Peebles probabilmente si è trovato con così tanto buon materiale da sacrificare alle performance un buon pezzo di film. La Hollywood nera degli anni ottanta e novanta non ha mai contato su moltissime superstar, e anche i caratteristi sono relativamente molto pochi -per buona parte riconducibili al giro di Spike Lee. Ma New Jack City, a guardarlo con 25 anni di distanza, è più di tutto un film di attori in cui le performance sono valorizzate al punto di mangiarsi la trama. Il personaggio emblematico in questo senso è Pookie, interpretato da un Chris Rock agli esordi, la cui reale utilità al plot varrebbe più o meno la metà del minutaggio che gli è concesso. Ma le facce indimenticabili del film sono almeno dieci: Wesley Snipes al suo massimo, un eccezionale Allen Payne, Ice-T che sprizza inesperienza ma si mangia ogni scena del film in cui compare. Ma anche la particina Bill Nunn (quello che faceva Radio Raheem, per capirci) è eccezionale. E sempre stando sul bacino di Spike Lee, a rivedere le due-tre scene in cui compare Tracy Camilla Johns, la Nola Darling originale, c’è ancora da farsi venire un infarto. Poi ci sono Michael Michele, che a un certo punto comparirà anche in ER, e ovviamente Judd Nelson. Che quando entra nello schermo, tutti gli altri spariscono.
Non male, direi.
Ho citato questo llissimo film giusto nella rece di Boyz n t Hood. Appena ho tempo leggo la rete di Wim che tra parentesi è il mio recensore preferito dei calci.
Visto una volta sola a pochi anni dall`uscita, mi ricordo solo tanta noia, ritmo televisivo e nemmeno un`oncia dello stile e della rabbia di Spike Lee, e questo nonostante ottime recensioni lette in giro. C`e` un motivo se Van Peebles non ha avuto una carriera memorabile come regista.
Io ho la cassettina originale della colonna sonora…#teamspallacci
“Si tratta di Lee Tamahori, regista ultra-rivelazione del pesantissimo Once Were Warriors (denuncia sociale, minoranze, indigenza, gang eccetera) che in patria fu un successo strepitoso e valse al regista uno sbarco immediato ad Hollywood, dove nel giro di un paio d’anni venne relegato allo status di cottimante e oggi vanta una filmografia che dal punto di vista artistico definire imbarazzante è poco.”
E l’hanno pure beccato anni fa a fare il prostituto con la parrucca
Fatto per lui decisamente meno imbarazzante dell’aver diretto Next
Anch’io mi sto facendo una carrellata di blaxploitation novatina (curiosasmente iniziata tre giorni prima che iniziaste a pubblicare sull’argomento), ma ho fatto il grosso errore di spararmi prima tutti gli Spike Lee pre-2000. Ovviamente, cosi’ facendo, quasi tutti gli altri ci fanno tutti la figura di registi goffi e dilettanteschi. (Tranne gli Huges: “Dead Presidents” gran film – peccato si siano poi, appunto, totalmente persi). E questo detto da uno che non ha mai avuto particolarmente in simpatia il poco simpatico Lee. Pero’ cazzo, quando un regista e’ un regista si vede, ed e’ quasi piu’ tosto un amarcord infantile e femminile come “Crooklin” di un poliziesco pieno di crak e morti come “New Jack City”.
E appunto concordo al 100% con la rece: film interessante, “d’epoca”, anche divertente, ma con un che di “imbranato” nello svolgimento. E le scene d’azione sono davvero loffie: e infatti quando Van Peebles andra’ a girare un western (dove la poetica della violenza e’ TUTTO) ci’ rimmarra’ completamente sotto.
Visto forse 2 anni fa lo trovato non molto bello e piatto,per me è un mistero di come Judd Nelson non abbia avuto una carriera decente
Hai nominato Cool as ice! Ah ah ah, per me cultone, conservo con gelosia il vhs originale :D