Jeremy Dyson e Andy Nyman sono due nomi che potreste avere incrociato durante uno dei vostri classici tè con la regina, ma che non fanno necessariamente parte del programma di studi del cittadino medio di Valverde. Il primo in particolare ha avuto una carriera fortemente improntata alla comicità british e non ha un gran rapporto con il cinema di genere o con il cinema in generale; il secondo potreste ricordarvelo per Funeral Party, quello inglese che si distingue da quello americano perché fa ridere, o per Kick-Ass 2 – se siete su queste pagine però è più probabile che lo conosciate per l’adorabile Severance o, ancora meglio, per il capolavoro Dead Set. Resta che nessuno dei due è il primo a cui pensate quando pensate “horror”.
Eppure! I due sono anche autori e interpreti teatrali, e il loro massimo successo finora è uno show dell’orrore e del non raccontare a nessuno quello che hai appena visto chiamato Ghost Stories. Non l’ho visto, ma l’Internet mi dice che è il genere di spettacolo del quale non esistono foto di scena, che accoglie gli spettatori con grossi poster con foto delle fazze del pubblico durante la rappresentazione e che si basa su jump scares e altri trucchetti da cinema horror classico, trasportati a teatro pare con grande efficacia. Ora immaginate che io in realtà abbia visto Ghost Stories a teatro e vi stia confermando tutto, così da dare più gravitas al pezzo.
Il Ghost Stories di cui parliamo qui è la versione filmica dello spettacolo teatrale, ancora una volta scritta e diretta da Nyman e Dyson e della quale Nyman è anche protagonista e figura centrale per vari motivi che non vi andrò a spiegare altrimenti vi rovino la sorpresa. Come a teatro, è una mini-antologia di storielle dell’orrore (da cui il titolo) tenute insieme da una cornice onnipresente e quasi invadente, che serve a impostare ideologicamente il film e inquadrarlo come riflessione sul ciarlatanesimo, sulla razionalità, sullo scetticismo e sull’impossibile che diventa reale. È quasi un’opera autobiografica per Nyman, che in carriera ha anche lavorato insieme all’illusionista e debunker di professione (confermo quello che ho appena scritto) Derren Brown, dedicandosi a smascherare i pazzi che dicono di avere poteri soprannaturali e a spiegare come funzionano i trucchi dei presunti maghi che ti leggono la mente e ti mostrano il sette di quadri che era poi la carta che avevi scelto.
È anche un sorprendente debutto alla regia per due tizi che zitti zitti sono innamorati da anni dei film a episodi della Amicus e degli horror anni Novanta, e che decidono di fare coming out con una lettera d’amore alle loro paure preferite. E l’amore è più forte di ogni magagna. E a proposito di amore, eccovi una SIGLA che non c’entra un cazzo con il pezzo.
Che Nyman sia uno a cui piace stare sul palco e tirare conigli fuori dal cilindro si capisce dalla pervicacia quasi ottusa con cui Ghost Stories fa finta di essere un’antologia di corti horror fino all’ultimo secondo disponibile. La già citata cornice è il professor Goodman (Nyman, appunto), del quale scopriamo fin da subito il mestiere (debunker di cazzari) e lo stato d’animo (depressione e solitudine). Il Gandalf della situazione, che arriva con una missione che gli sconvolge la vita, è Charles Cameron, un altro che come lui si occupava di distruggere i cialtroni a colpi di scienza e che da anni è sparito nel nulla; e che ovviamente si rifà vivo per chiedere a Goodman un incontro, nel corso del quale gli consegna tre cartellette. Sono gli unici tre casi inspiegabili della carriera di Cameron, e quelli che l’hanno convinto che c’è qualcosa di altro e che gli scettici razionalisti scientisti hanno sbagliato tutto nella vita.
Le tre cartellette sono poi i tre corti che fanno da apparente spina dorsale del film: c’è
lo spookycorto di chiara ispirazione kinghiana con la guardia di sicurezza che di notte vede le luci stronze e sente i rumori e scopre che c’è una presenza che vaga per i corridoi della, suppongo, fabbrica. C’è molto incomprensibile accento inglese, tanto buio, un’onnipresente torcia e la camera ballerina, e un bell’effetto speciale sul finale.
l’episodio raimiano con lo psicopazzo Alex Lawther, il demonio e un bel piano sequenza in una foresta con la camera ad altezza erba che prelude a un altrettanto ottimo momento mostro e in generale a non avere alcuna vergogna nel citare La casa. Lawther, che ha un repertorio immenso di faccette e che è altrettanto immenso quando deve fare il tizio instabile, tiene in piedi tutto quello che non coinvolge direttamente il mostro, e l’aggiunta dell’elemento religioso/fanatico è la ciliegina sulla torta di quello che è il segmento migliore del film.
lo sgangheratissimo episodio con Martin Freeman, miliardario misantropo la cui moglie morta mormora maledizioni mefitiche martoriando la memoria del marito minuto dopo minuto. In sostanza è un poltergeist, che fa tante bellissime cose da poltergeist e ci regala Martin Freeman che si guarda intorno sconvolto mentre in cucina volano i piatti e le sedie si schiantano contro le stoviglie. Esattamente come i due episodi precedenti, anche quello con Freeman sembra non portare da nessuna parte, e qualsiasi spettatore con una briciola di occhio per i dettagli avrà cominciato a notare temi e simboli ricorrenti tra un episodio e l’altro, e a farsi venire il dubbio che forse il cuore della faccenda non sono le storie di questi tre tizi a caso ma il modo in cui il narratore racconta queste storie e la sua, almeno presunta, dedizione alla verità solo la verità nient’altro che la verità.
Sto dicendo, decidete voi quanto quello che segue può essere considerato uno spoiler, che l’episodio con Martin Freeman sembra non portare da nessuna parte finché all’improvviso lo fa con una certa decisione, ed è il momento in cui il film esce dalla cornice, o forse diventa la cornice, e si trasforma in una cavalcata quasi psichedelica che abbandona molto rapidamente il senso per dedicarsi anima e corpo all’esperienza.
Diventa tutto un grande gioco di simboli e allegorie che convergono verso l’Unica Soluzione Possibile, quella inaspettata e shockante, il che non le impedisce purtroppo di essere il vero tallone d’Achille di Ghost Stories, e credo che in questo caso la colpa sia del testo teatrale e della scelta di Nyman e Dyson di affidarsi troppo al fatto che finora gli sia bastato un palco, un sipario e un rapido cambio di scena per far funzionare la macchina. Il cinema vive di sipari e rapidi cambi di scena, e il risultato è che Ghost Stories arriva al traguardo con il fiatone e finisce giusto perché deve finire, insicuro di quello che ha voluto dire fino a quel momento e disperatamente inconcluso. Fino a lì, però, che gran viaggione.
DVD quote:
«Ghouls ‘n’ ghosts»
(Stanlio Kubrick, nel 1984)
Salto subito ai commenti.
Domanda: su una scala da 0 a Wikipedia Italia, quanto è spoilerosa la recensione/esposizione della trama?
Se entro lo 0.5 / 1.0 leggo, altrimenti rimando ché non voglio rovinarmi la visione di stasera, a cui voglio arrivare ignorantissimo di tutto..
Per ora il miglior horror di quest’anno. Al contrario, secondo me però, è proprio il finale ad elevare di tanto “Ghost Stories”, con un atmosfera così delirante grazie a cui non inizi più a capire una ceppa, ma va bene così. Bella anche la citazione ( che forse mi sto immaginando io), a “Il Seme Della Follia” d’un certo Carpenter.
No ma figurati, la rincorsa visionaria e pazza per arrivare in fondo mi va benissimo, è proprio la soluzione finale che è stiracchiata e stra-abusata e mi ha lasciato un po’ così.
Anch’io lo considero il miglior horror di quest’anno, m’ero ripromesso che se non mi fosse piaciuto non sarei più andato a vedere un horror fino all’anno prossimo.
Lo sapevi che andava a finire così. Dio mio!
Straccione schifoso! Non sei che un lungo delirio di un lungo rifiuto e ti liberi solo di ciò che possiedi.
ATTENZIONE SPOILER
Allora, il finale ricorda molto l’Horror British “classico” per la chiave morale che vuol dare all’intero film. In pratica rileggere tutto quello che abbiamo visto non in chiave paranormale, ma secondo il senso di colpa che ha spinto un uomo a tentare il suicidio.
In questo senso rientra anche il gioco di specchi che fa l’inserviente col protagonista: il film ci era stato presentato come un uomo razionale (cresciuto in un ambiente religioso) che sprofonda nell’inspiegabile e nel soprannaturale. Il twist finale ribalta tutto un’altra volta, offrendoci una chiave di lettura razionale. Anche se poi il corvo che sbatte sulla finestra potrebbe voler significare di non voler chiudere del tutto le porte a spiegazioni che vanno oltre l’umana comprensione.
Insomma, tutto il film si dipana sulla lotta tra razionale e soprannaturale.
Detto questo, concordo che il protagonista del secondo caso fa delle fazze clamorose.
MA SOPRATTUTTO: IL PROFESSOR CAMERON DA VECCHIO E’ PRECISO SPICCICATO IDENTICO A RUGGERO DE CEGLIE!!!
Ma De Ceglie quello del Servette ex Juve? Non fa mica Paolo di nome?
No il personaggio de Soliti Idioti, anche se il De Ceglie juventino era una roba che….
Io l’ho visto a Londra. ero finita per sbaglio in prima fila e mi sono cacata sotto tutto il tempo. Giacca sulla faccia e mani schiacciate forti sulle orecchie
Ho visto a teatro quella che credo sia la versione italiana dello spettacolo inglese, piacevole e divertente, ma senza sconvolgere. In ogni caso è un fattore che porta maggior interesse alla visione del film (il primo episodio mi pare identitco a quello teatrale, pazienza per lo spoiler!), tantopiù che gli horror inglesi a episodi mi son sempre piaciuti. Venduto!
Stanlio, non me ne volere, ti lovvo tantissimo :) ma anch’io ipotizzo rece positiva dalle prime 4 righe e salto il resto (compresi i commenti) perché questo me lo voglio godere in sala…e poi c’è Martin Freeman: ho sopportato quella cazzatona atomica di Black Panter solo per il suo (inutile) ruolo, quindi questo s’ha da vede’…
Mamma mia che caruccio. Spaventa il giusto (a parte Alex Lawther, che fa paura anche quando apre una porta) e non è la solita minestra riscaldata.
Chi mi spiega il finale? Se c’è una spiegazione univoca.
Leggi la mia recensione sotto.
Film visto l’altra sera su Rai4, tra l’altro ho visto solo la fine, quindi ho deciso di riguardarlo sul sito di RaiReplay, anche se cosi mi sono giocato tutti i riferimenti sul finale, che tra l’altro inizialmente non capivo e mi è sembrato uno di quei film senza idee che il finale lo buttano in confusione, perché altrimenti non saprebbero come concluderlo e invece riflettendoci su una mezza giornata ho capito che questo film è davvero intelligente e non è il solito horror idiota, tipo quelli che puntano sullo spavento improvviso, insomma non uno di quei film horror americani senza troppe idee; alla fine e sto facendo un ANTICIPAZIONE quindi chi non avesse guardato il film dovrebbe smettere di leggere, alla fine come dicevo ci si rende conto che il professore non sta facendo altro che sognare tutte le storie di fantasmi e che i protagonisti di queste storie non sono altro che le persone che interagiscono con lui giornalmente, che lui ne coglie una parte della personalità e che la sua psiche li adatta ai personaggi dei sui sogni o meglio dei suoi incubi, infatti come si dice alla fine del film il professore ha tentato il suicidio e adesso vegeta nella sindrome del chiavistello (Locked-in syndrome), quindi riesce a percepire quello che gli accade intorno, anche se è immobilizzato a letto, non a caso il personaggio della sua prima storia, cioè il custode notturno viene mostrato essere l’inserviente, che gli dimostra un po’ di calore umano sistemandogli uno specchio davanti agli occhi, in tal modo che il professore possa vedere qualcosa altro almeno di riflesso oltre al soffitto, in questo caso il professore può vedere di riflesso la finestra con cui si apre e si chiude il film, comunque questo personaggio guarda caso nella sua storia di fantasmi, racconta di avere una figlia con la sindrome del chiavistello; oppure il personaggio della seconda storia il giovane insicuro e in piena psicosi e con una famiglia “disfunzionale”, non è altro che il giovane dottorino con la madre che lo assilla al telefono mentre visita il professore immobilizzato a letto e infine il protagonista dell’ultima storia, non è altro che il medico anziano che fa battutine insensibili sul povero professore stesso a letto, soprattutto sul fatto che avrebbe fatto meglio a tentare il suicidio con un colpo di fucile..
Tra l’altro in un modo o nell’altro tutte e tre le storie ci spiegano il perché il professore ha tentato di suicidarsi, del resto sono un parto della sua mente tradotti in sogni o incubi; cose come la solitudine che è molto ben espressa nella prima storia, quella dove il povero guardiano notturno è costretto ad affrontare una presenza forse maligna da solo e nel buoi, che potrebbe rappresentare la vita buia e solitaria del professore, presenza che alla fine forse rappresenta il rimpianto di non essere mai diventato padre; oppure la seconda storia del ragazzo con i genitori assillanti, che tra l’altro si lega all’inizio del film quando il professore introduce se stesso, mostrando la sua famiglia fatta da un padre severo e fortemente religioso, questo lascia intendere che anche il professore come succede alle persone con la sindrome del chiavistello, alterna momenti di sonno dove produce i suoi racconti dell’orrore a momenti dove è sveglio, come appunto all’inizio del film e nel finale quando guarda la finestra riflessa, grazie all’ inserviente che gli ha messo lo specchio davanti agli occhi.
Il fatto che il professore abbia sia momenti di sogno e momenti dove è sveglio, lo si capisce nella scena finale, quella dove la presenza incappucciata si paleserà e riporterà il professore a letto, quella presenza che si vede per tutto il film perseguitare il professore e che alla fine si capirà essere un povero ragazzo con problemi mentali, che il professore ha lasciato morire quando era ragazzo e che nel film lo perseguita, come probabilmente il rimorso per quella azione ha perseguitato il professore per tutta la sua vita e alla fine forse è anche il vero motivo del suo tentativo di suicidio, bene quando questo presenza trascina il professore verso il letto in una scena surreale, il professore chiede di non farlo, perché probabilmente come succede a volte ha capito di stare in un sogno o incubo e non vuole svegliarsi, perché in ogni caso svegliarsi per lui è peggio del dormire e avere questi incubi, infatti per il professore svegliarsi significa passare le giornate immobile a guardare il soffitto o una finestra attraverso uno specchio messogli davanti agli occhi.
Quindi il film si muove su due livelli, quello del professore sveglio che ricorda la sua famiglia e il padre severo e religioso, che lo spingerà a credere solo a quello che si può dimostrare, facendogli intraprendere la carriera da smascheratore di imbroglioni del paranormale e il secondo livello, quello dove il professore dorme e ha questi incubi vividi dove la sua psiche, rielabora la sua vita e i suoi ricordi e in modo molto freudiano lo mette davanti ai sui demoni.
Quindi non sono d’accordo con la recensione, questo film è studiatissimo in ogni particolare e il finale chiude il cerchio alla perfezione, del resto non mi stupisce che mi sia piaciuto, per me gli horror hanno senso quando devono veicolare un messaggio e non fermarsi a qualche scena di spavento e questo film è un vero horror, perché racconta l’inferno di una persona intrappolata nel suo corpo e costretta a confrontarsi con i suoi demoni interiori e nel resto del tempo a guardare una finestra o il soffitto.