Il Wyoming.
Il Wyoming è uno dei territori par excellence dell’immaginario di frontiera americano. Dove infatti il Texas ne incarna l’anima southwestern fatta di praterie e polvere, mandrie e fortini, il Wyoming specularmente assolve al ruolo di cartolina del paesaggio ubertoso e selvaggio.
Se il bruno Tex già dal nome ammicca al southwest, il biondo trapper Ken Parker è nativo del Wyoming come pure era del Wyoming il Marlboro Man ed era lì che cavalcava spippettando in decenni di spot. Si trova nel Wyoming il parco di Yellowstone, summa del paesaggio naturale nordamericano con il suo geyser, le sue sequoie e i suoi monti specchiati su laghi, con le cascate che creano una bruma avvolgente e perenne nella foresta circostante. È ambientata, a dispetto del titolo, nel Wyoming la più corposa saga western americana: “Il Virginiano”, con ben cinque trasposizioni cinematografiche e una serie TV decennale, con la colonna sonora di Morricone e tratta da un romanzo del 1902.
È in Wyoming che nel 1876 avvenne la celebre battaglia di Little Bighorn e la disfatta del generale Custer, la più famosa e violenta vittoria dei nativi americani sugli invasori bianchi. Più recentemente la serie di romanzi con protagonista lo sceriffo Walt Longmire, diventata anche una buona serie televisiva, ha aggiornato l’immaginario del Wyoming come di un posto diverso ma uguale, dove si va in pick up più che a cavallo ma in cui la tensione tra nativi e i bianchi è ancora ben presente, per niente pacificata e dove la natura selvaggia è ancora il terzo contendente in questa conflittualità. Alba Rossa è ambientato tra Wyoming e Colorado e per annessi e connessi di questo vi rimando a un mio vecchio pezzo in merito.
Il Wyoming è, insomma, per gli americani un luogo archetipico dell’America, quella di Teddy Roosevelt, dei trapper, di Lewis & Clark e dei bisonti. Lo sanno, anche senza andare a visitarlo. Per la maggior parte del pubblico italiano, probabilmente, il Wyoming è tutte queste cose ma senza saperlo, per via dei tanti film, fumetti e serie TV assimilati anche se fruiti un po’ distrattamente; il loro ricordo più distinto legato al nome è forse questo.
Nel suo essere America’s America il Wyoming è anche un posto perfetto, come il southwest del resto, per osservare in vitro come è l’America: le tensioni sociali, il rapporto con il territorio, la mentalità dei suoi abitanti. Quando col binocolo guardiamo da vicino la cartolina vediamo un po’ oltre il paesaggio mozzafiato, forse più di quanto vorremmo. E questo fa il nostro Sheridan nella sua trilogia sulla frontiera.
Taylor Sheridan, texano, è un personaggio particolare: tanto pragmatico quanto arguto e intelligente, come un Larry McMurtry o un Terry Allen del resto. Nato in una città grande come il policlinico Umberto I di Roma nel Texas centrale, è scappato da un nulla che la pianura padana al confronto è non dico Disneyland ma quantomeno Gardaland, credetemi. E credo che Hell or High Water abbia quella credibilità anche quando esagera, perché Sheridan quella vita e quella desolazione li conosce bene: cresciuto in una fattoria è uno di quegli americani che prende e parte, viaggia, si arrangia facendo mille cose e arriva al cinema per vedere che succede, in quell’accezione un po’ di Legione Straniera che spesso ha il cinema per gli scappati di casa e quando arriva ad una maturità stilistica ha una biografia di quelle da cui poi gli americani traggono un biopic. Diventa sceneggiatore e attore televisivo per decadi, collabora anche a tanta mondezza ma sempre con professionalità, scopre dall’interno cosa non gli piace della narrazione filmica e dopo quasi trent’anni al servizio di opere altrui, al momento di scrivere le sue cose, decide di riscrivere la frontiera cinematografica in tre film, con una mano sola. Per fare questo, pragmatico e intelligente come è, decide di usare trame “assurdamente semplici” (.cit) per incentrare tutto il racconto su quello che è la frontiera nel suo intimo: le persone, il luogo e la lotta tra questi.
Di Sicario e Hell or High Water vi abbiamo già parlato (del secondo fui sempre io a farlo e vi consiglio di rileggerlo perché alcune cose dette lì risuonano anche per questo film), oggi la trilogia si conclude con questo Wind River, che Sheridan decide di dirigere, debuttando, oltre che scrivere.
Wind River non è un fiume, o meglio non è solamente quello: Wind River è una riserva indiana, una di quelle risoluzioni vergognose adottate dal governo degli Stati Uniti per confinare i popoli indigeni, espropriarli delle loro terre e dimenticarsene per un secolo. Una vergogna per la quale non è mai stata fatta realmente ammenda, nei fatti. Si trova poco sotto il parco nazionale di Yellowstone e sarebbe anche un territorio evocativo, di suo.
Ho avuto modo negli anni di visitare la riserva Navajo nel sud-ovest, che si estende dal New Mexico all’Arizona e ho viaggiato attraverso l’Oklahoma delle tribù deportate lungo il trail of tears, rimanendo sopraffatto dal disagio palpabile e con addosso un senso di angoscia indelebile. Ecco: non ho visitato Wind River ma una cosa che so per esperienza è che una riserva indiana è sempre una merda, dove si trovi si trovi e quando ho visto quelle baracche coi pick up arrugginiti parcheggiati fuori ho avuto chiarissimo il senso del luogo perché sono stato in posti diversi ma in sostanza uguali a quello.
A Wind River, nella realtà, la povertà e la violenza raggiungono infatti percentuali importanti pur essendo un’area scarsamente popolata e mal collegata. La disoccupazione giovanile è alta come in Zimbawe, il consumo di droga è ingente come a Detroit e le forze della indian tribal police sono sparute e poco armate. Più recentemente le statistiche sono generalmente migliorate ma non da farne un posto in cui far crescere i proprio figli, con una mortalità attestata attorno ai cinquant’anni di età, come in Iraq.
Il clima è impietoso e il terreno impervio ma quelli sono così e non migliorano mai. Probabilmente è perché è così difficile vivere lì che di tutti i territori espropriati agli Arrapaho gli è stato lasciato quello come luogo dove rimanere confinati, come ultimo screzio.
Un giorno in uno di quegli oceani di neve che a Wind River separano un pugno di edifici dall’altro, viene trovata da un cacciatore una ragazza indiana della riserva, morta, apparentemente senza ferite e scalza. Ha corso per molti chilometri nella neve prima di morire stroncata dal gelo della notte. Perché correva e dove correva nella notte? Perché indossava una tuta da neve ma era scalza? L’FBI viene contattato per rilevare la scena del crimine e si apre un’inchiesta nella quale la giovane agente dell’FBI pervenuta, il cacciatore che trovò la ragazza e la polizia locale cercano di ricostruire i fatti e capire il perché di quella strana morte avvenuta in una comunità in cui tutti si conoscono. C’è lo sceriffo locale, c’è il federale che viene da fuori città per dirimere le cose, c’è il trapper che aiuta il forestiero a districarsi sul territorio e tra le tribù altrimenti inavvicinabili, ci sono quelli della compagnia privata fuori città che non la raccontano giusta. Cambiando l’anno è un western classico, volutamente sbattutoci in faccia senza alcun metaforone, urlando: “qui non cambia mai nulla! L’America ha le stesse piaghe da sempre!” con una veemenza a prova di sordo. Perchè “la frontiera” e le sue dinamiche non cessano di esistere semplicemente perché non c’è più una frontiera da esplorare, perché tutto è unificato in una nazione sola; la frontiera è dentro il cuore nero dell’America e non è una questione spicciola di confini.
Non ci sono grandi twist, non c’è granché giallo da risolvere: qui avvengono cose semplici, tremende e avvengono molto linearmente perché a Sheridan interessano i personaggi, cosa fanno, come lo fanno, perché lo fanno e dove lo fanno. E qui Wind River è un film abbastanza complesso, invece. Senza le forzature tipiche del film impegnato ma anzi con tutti i crismi del thirller, tanti dei problemi della sfaccettata società americana ci passano davanti come fantasmi mentre seguiamo un film “semplice”; passano nei dettagli, nelle tipologie umane, nelle azioni. nei dialoghi. La condizione dei nativi è la prima, la più presente e permeante, la più evidente. Ma poi c’è la violenza sulle donne o meglio ancora la percezione delle donne, la sperequazione sociale tra chi vive nelle capitali e chi vive nel nulla, l’emarginazione giovanile con annessi e connessi di droga e violenza.
Più sottilmente, invece, emerge il ricorso alle armi: da una parte come ultima opzione possibile dall’altra come unica opzione accettabile per la difesa del proprio territorio e di se stessi. E ancora più sottilmente i rischi che si corrono, in nome dello small governament, lottizzando la sicurezza del territorio tra tante, troppe, entità con competenze sovrapponibili e conflittuali: dalla sovranità statale dell’FBI alle polizie regionali, quelle tribali, quelle private, fino alla folle ossessione dei contractor statali che sono di fatto un’entità governativa e privata allo stesso tempo, lavorando in una zona grigia di lassaiz faire che fa molto comodo a chi può permetterselo. La violenza nel film è un esercizio professionale, la sua rappresentazione è puramente cronistica e non c’è la glorificazione/redenzione dell’action: in questa frontiera rivisitata non c’è epica ma ci sono solo sopraffazione e sopravvivenz, qui la vendetta non libera dal dolore e le armi non hanno fascino. La nuova frontiera di Sheridan è la stessa vecchia frontiera, ma le sue brutalità non sono più al servizio di un Eldorado a venire, di una terra nuova da conquistare e abitare, dell’ adattarsi o perire: è ormai un vizio atavico, una tara genetica. Tutto ciò che c’è di male negli USA, e che è lì da sempre, sfila con candore in Wind River lasciando il segno oggi più che mai e lo fa con il respiro di certa narrativa americana in cui un fatto semplice è in realtà pieno di sottotesti complessi, per chi sa o vuole coglierli, da “Il buio oltre la siepe” in poi.
Nel 1992 uscì Cuore di tuono un altro thriller su un’indagine federale per un omicidio all’imterno di una riserva indiana, ambientato poco più a nord di Wind River, in Sud Dakota. Mi piacque, è un discreto film e in generale lo trovavo uno spunto interessante per raccontare quell’elefante nella stanza che sono le riserve indiane. Ma un po’ per gli anni in cui uscì, un po’ per il faccione di Val Kilmer, riesce ad essere “solo” un buon thriller. Wind River con la sua anti-spettacolarità, col suo essere thriller ma anti-thriller scava più a fondo, invece. È un film che ti lascia un peso sul petto che non sai bene cosa è, su cui ti interroghi un po’. Perché, sulla carta, hai visto un film semplice, un film con pochi attori ma bravi, poche location azzeccate, pochi eventi molto chiari e tutto girato bene ma senza virtuosisimi esibiti. E invece ti ha lasciato il magone. Per me, se succede questo, è buon cinema.
DVD-Quote suggerita:
“Riscrivere la frontiera americana da solo: ✓fatto” – Dal taccuino degli appunti di Taylor Sheridan.
Grande Sheridan :una tripletta così non può essere di sicuro niente di meno che talento puro! Non vedo l’ora a sto punto di vedere il seguito di sicario.. Grande Darth :hai dato voce a cose che solo percepivo dietro un gran bel film ma non avrei saputo focalizzare!
Sono molto curioso di vederlo… anche se il tanto celebrato “hell or high water” (celebrato qui, perchè altrove manco lo cagano) sinceramente mi aveva un po’ deluso, forse proprio per le eccessive aspettative generate dalla rece, o forse colpa mia che mi aspettavo altro, ma mi ha lasciato veramente poco
anche a me HOHW ha lasciato poco onestamente.
Abbastanza misconosciuto ma soprattutto inapprezzato.
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_accolades_received_by_Hell_or_High_Water
Non potrei essere più d’accordo. Wind River è innanzitutto scrittura e pochissima regia, non ci sono particolari guizzi se non qualche scena, tipo quella nella baracca dei giovani nativi. Ed è anche il suo più grande limite probabilmente.
Vero però che terminata la visione rimane qualcosa, un senso di insoddisfazione non dovuto alla mancata risoluzione ma piuttosto all’assenza di una qualsivoglia giustizia. Ok, il giallo è risolto, ma quell’angolo rimane uno schifo.
Merito anche di Renner nel ruolo nella vita, un personaggio al cui interno è esplosa una bomba e le macerie sono rimaste dentro, e nulla poi è stato ricostruito.
Angolo di mondo, era inteso.
@darth Taylor Sheridan e Craig S. Zahler sono veramente i nomi nuovi di un certo cinema americano. Attendo con piacere questo Wind River
Io purtroppo sono ignorante, pero’ ho fiuto. Ho scelto questo film tra il centinaio di film che mi propinava il servizio in volo di non ricordo quale Beijing Shanghai o giu’ di li’. E ne sono rimasto soddisfatto anche se potrete immaginare che sullo schermino a cristalli liquidi certi panorami mozzafiato vadano piu’ immaginati che guardati. Film essenzialissimo. E comunque anche con una bella esplosione di violenza in mezzo a tanta tensione. Non mi sarei aspettato, ripeto, perche’ sono ignorante, di trovarlo da queste parti e mi ha fatto molto piacere.
Apri i 400 calci e trovi Darth von trier che recensisce Wind River, e la giornata inizia con il piede giusto.
Veramente un film pazzesco. Anche a distanza di mesi se ripenso ad alcune battute e al modo perfetto in cui sono recitate, mi sudano un sacco gli occhi.
Bella recensione davvero.
Domanda: a me pare che Hostiles meriti pari attenzione. Non lo recensite?
Con una recensione così, questi paesaggi e Jeremy Renner mi compri facile…
Per me Wyoming ha sempre voluto dire questo: https://www.youtube.com/watch?v=xUQLwOGjVQE
Ora torno a leggere la recensione
Appunto, ahahahahah: grande Darth!
Un film enorme con un Jeremy Renner mai così in palla. Indubbiamente l’apice della trilogia della frontiera di Sheridan (anche se il Jeff Bridges di Hell or High Water spaccava di brutto).
Condivido in toto; è vero: il Jeff Bridges di Hell or High Water è monumentale (soprattutto in lingua originale) xD!
Wyoming è anche la “Russia” di Rocky 4.
Bella recensione.
Purtroppo ha confermato che mi sto rincoglionendo : )
Ero convinto che i Calci l’avessero già recensito parlandone male…
Poi ho ritrovato la prima recensione che avevo letto (team Ruthless lo scorso agosto)… ma ne parla bene. Quindi mi sono sognato un’inesistente recensione negativa.
Mi fa piacere perché dare i soldi a Jeremy Renner mi fa, inspiegabilmente, sentire bene.
ma invece il nostro come se la cava nel passaggio da tastiera a macchina da presa? Onestamente dal solo trailer vedo un po’ troppi primi piani o azione molto stretta. Il che tornerebbe pure con quanto dice la rece che a livello di script si è lavorato molto e specie sui personaggi ma non vorrei si fosse sacrificato molto del resto. Prendi Sicario (bomba) storia e sceneggiatura della madonna ma con dei punti deboli mica da poco e spesso messi in secondo piano da villeneuve. Per dire, l’incursione nel tunnel che è una roba assurda io me la sono pure provata a immaginare scritta su celtx ma là cosa ti tira fuori il regista signora mia, ma sheridan?
in generale le riprese sono molto ampie,ci sono tanti paesaggi e la camera si muove senza ma senza esagerare. ci sono un paio di belle sparatorie riprese con una grande attenzione al realismo, niente shaky cam e credo di non aver mai visto un corpo colpito da una fucilata volare all’indietro in modo così soddisfacente.
per quanto mi riguarda, se la cava più che egregiamente.
allora bomba
https://m.youtube.com/watch?v=tKdROAvZXvg
rilancio a caso visto che non è fucile però sempre bella e possibile SPOILER
https://youtu.be/GednMPvlDFo
Sul tema consiglio il fumetto SCALPED che lo sviscera (anche letteralmente) ed è ampiamente calciabile
A me è piaciuto anche se
SPOILER
la prima parte soffre di qualche lungaggine procedurale di troppo, o almeno i risvolti sociali non li ho trovati poi così originali e interessanti… invece mi è piaciuto molto il brutale cambio di registro nel finale con lo shootout alla Tarantino, inaspettato visto tutto quello che precede e che mi ha fatto davvero saltare sul divano.
Ottima recensione. Concordo su tutta la linea. Per me si nota anche una certa influenza di Sons Of Anarchy dove Sheridan interpretava il vice sceriffo.
Filmone davvero. Azione e sentimenti tutti dosati al meglio. Il finale da urlo. Ma come mai ci siete arrivati così tardi a recensirlo, esce a breve in sala?
Esce proprio oggi.
A volte mi allontano per un po’ dai 400 calci.
Poi, quando torno, leggo pezzi così e capisco perchè vi preferisco a tutti gli altri. Niente cazzate da presunti cinefili boriosi, tanta sostanza e tanta profondità nelle analisi. Una comprensione del cinema che non trovo da altre parti. E una cultura importante, non sbandierata tanto per dimostrare di essere “quelli che ne sanno”, ma usata in modo funzionale al discorso che si sta facendo.
Davvero, complimenti Darth, e grazie.
Grazie.
Io l’ho trovato semplicemente perfetto (come la rece: complimenti!):
per certi versi scarno, essenziale, dove azioni/reazioni relativamente semplici all’esterno sono frutto di complesse dinamiche interne… anzi: interiori.
Visto in lingua originale (merita…), Renner è una spanna sopra a tutti, ma è davvero niente male pure la Olsen, che qui non fa la classica poliziotta bellona che impalma il protagonista. Un film al quale non saprei/potrei aggiungere o togliere un fotogramma rispetto a quelli che ha già… ma lo stesso vale per Sicario e Hell or High Water, e quindi bravo Sheridan xD!
Ah, dimenticavo: soundtrack DA URLO! (Cioè… Nick Cave & Warren Ellis, mica pizzi e fichi!)
Pezzone. Applausi a scena aperta.
Ottimo pezzo per un film bellissimo e dolente. Ritmo lento e inesorabile, parole pesanti come macigni… la violenza finale non è liberatoria, non chiude un cerchio, non cambia proprio nulla. La vita sarà sempre dura e misera da quelle parti. Devo rivederlo subito.
Fun fact: nel Wyoming c’è un paesino che si chiama Sheridan.
Che meravigliosa recensione.
Emozionante, sincera, educativa.
Grazie.
Recensione perfetta, per un film,a suo modo impeccabile.