In Molly’s Game, l’ultimo film scritto (e il primo diretto) da Aaron Sorkin, la protagonista mette su un redditizio giro di partite di poker tra gente celebre e/o ricchissima, approfittando del fatto che a questi tavoli siede sempre una major movie star, una di quelle che quando le guardi negli occhi ti tremano le gambe e non sei più capace di bluffare, o se pure hai una mano vincente butti comunque tutto all’aria per l’emozione. Presente, no? Uno tipo Michael Cera… MICHAEL CERA?!?! Guardavo il film e sono mezza caduta dalla sedia in preda al maccosa. Intendiamoci, io voglio bene a Michael Cera, gli voglio bene soprattutto quando gli lasciano fare la parte dello stronzo (come in questo caso) più di quando lo costringono nel ruolo dello sfigatino che balbetta e inciampa mentre ti fissa sperduto con gli occhi a palla; gli voglio bene perché Scott Pilgrim e perché This Is the End etc. etc., ma se penso a “divo di Hollywood che ti fa perdere la testa a immaginare di essere seduta al suo stesso tavolo”, ecco, no, non Michael Cera, no.
[N.B.: Molly’s Game è tratto da una storia vera e recente, hanno cambiato o omesso tutti i nomi autentici, ma mi hanno raccontato che nella realtà il personaggio interpretato da Michael Cera fosse Tobey Maguire in pieno e scintillante periodo Spider-Man, che comunque, ok, più comprensibile di Micheal Cera, ma neanche poi così tanto].
Ho pensato a Michael Cera guardando The Outsider, e non solo perché al posto di Jared Leto, nelle prime fasi di lavorazione, avrebbero dovuto esserci Tom Hardy o Michael Fassbender (a proposito di major movie star), ma perché, esattamente come per Michael Cera in Molly’s Game, non ci ho creduto un secondo. Voi ci credereste? A Jared Leto, reduce americano della Seconda guerra mondiale, che nella Osaka degli anni 50 diventa uno yakuza cazzutissimo e, in un momento estremamente delicato per la storia del paese e della sua simpatica e caratteristica criminalità organizzata, in bilico tra tradizione e modernità, sa incarnare i valori antichi e profondi della giapponesità con più sincerità e meglio dei giapponesi medesimi?
No, nemmeno io. Sigla!
Si comincia in medias res, che è un buon modo per iniziare, soprattutto se, come in questo caso, le coordinate sono poche: una prigione giapponese, con guardie incazzatissime e compagni di cella pure (son quasi tutti yakuza come s’evince dai tatuaggi), e c’è quest’unico bianco silenzioso con la faccia mesta di Jared Leto che fa le pulizie, salva Tadanobu Asano da morte certa e poi lo aiuta a evadere in cambio della promessa che il favore verrà ricambiato. È di una vaghezza interessante, questo incipit, perché riesce a suscitare curiosità: dove siamo, e quando? Che bazze brutte ha Tadanobu Asano? E com’è che Jared Leto è finito a pulire i cessi in quest’infognatissima galera giapponese? Ecco, anche il regista – il danese Martin Zandvliet, che con il precedente Land of Mine s’era guadagnato una candidatura all’Oscar, e per consolarlo di non aver vinto devono avergli regalato un Jared Leto – e lo sceneggiatore Andrew Baldwin – uno così fortunato che il suo unico precedente è aver scritto un film tutto su Parigi che viene attaccata dai terroristi proprio un attimo prima che Parigi venisse realmente attaccata dai terroristi – devono aver pensato la stessa cosa: oh, bella questa vaghezza, lasciamo tutto così, molto in sospeso, lunghi silenzi, occhiate dense di sottintesi, la bellezza esotica del Giappone sullo sfondo, teatro kabuki, incontri di sumo, Jared Leto che scruta pensoso l’infinito, e poi, ogni tanto, una bella esplosione di violenza grafica e sanguinolenta, gole squarciate, sangue che sprizza dalle giugulari, però senza esagerare, per non guastare l’atmosfera, ricordiamoci che comunque stiamo facendo un film serio e introspettivo, qui. «Non vedo cosa possa andare storto, Andrew»; «Ma certo, Martin, d’altronde ha funzionato perfettamente per il tuo connazionale Winding Refn, quella volta in Thailandia».
Uscito di prigione, Jared Leto esercita per un po’ la professione di fare brutto, vestito come James Dean per qualche ragione, per conto dell’ormai amico Tadanobu Asano e per il clan yakuza cui appartiene, gli Shiromatsu: si conquista la fiducia di (quasi) tutti con il buon vecchio e infallibile metodo “spacco botilia amazzo familia” (in un caso letteralmente, in un altro usa una macchina da scrivere: due momenti notevoli) e, in una sempre efficace svolta alla Fast & Furious, imbastisce una storia d’amore con la sorellina del suo nuovo BFF, che all’inizio chiaramente non approva, ma poi naturalmente dà la sua benedizione, con tanto di consegna di daisho di famiglia. Infine, Jared Leto diviene uno Shiromatsu a tutti gli effetti (smette l’outfit James Dean in favore del classico ed elegante completo nero camicia bianca), ma la neo-raggiunta felicità mafiosa e un brillante futuro fatto di sfruttamento della prostituzione, racket e gioco d’azzardo sono messi a repentaglio dalle macchinazioni di un clan concorrente e dall’invidia dell’ex braccio destro del capo (che fin dall’inizio ha guardato in cagnesco Jared Leto, probabilmente borbottando tra sé e sé: «Pensavo avessimo già dato con Tom Cruise»).
Ora, io so che la vera domanda a cui si spera di ricevere risposta guardando The Outsider è: quale delicata sfumatura di overacting, quale pacatissima e assolutamente ragionevole immersione nel Metodo avrà adottato l’attore premio Oscar Jared Leto per calarsi nella difficile parte di Nick, uno straniero in terra straniera, alla prova con il complesso confronto e incontro tra due culture così differenti, lontane, inconciliabili, e con un personaggio dal passato drammatico e dal presente duro e violento? Si scopre che, proprio come un interruttore della luce, Jared Leto ha solo due frequenze recitative: o fuori come una mina, oppure spento. Qui è spento: nelle intenzioni, suppongo, dovrebbe essere un modo di alimentare il mistero attorno al personaggio e di accrescere la sensazione di pericolo che lo accompagna, nella pratica il film è una collezione di scene in cui Jared Leto mantiene imperscrutabile la medesima espressione assente, che si tratti di intimidire i nemici del clan, corteggiare la sorellina di Tadanobu Asano, tagliarsi una falange davanti al capo per pagare un errore. A parte quando esplode “spacco botilia ammazzo familia”, naturalmente, ma purtroppo non succede abbastanza spesso.
La combo con la sceneggiatura drammaticamente generica rischia di essere letale: è chiaro, avanzando, che Zandvliet e Baldwin non hanno davvero intenzione di spiegare nulla, di approfondire niente, quanto piuttosto di mettere in fila una manciata di topoi dello yakuza film – ma rivisitati ed edulcorati per un palato occidentale – mescolandoli con ispirazioni noir e con il gangster movie – e poteva essere anche una buona idea visti i tanti punti di contatto tra i generi, ma il risultato è qualcosa che avanza per inerzia, con ritmo uniforme e prevedibilità disarmante. Non si può dire che sia brutto, e nemmeno del tutto malriuscito: i comprimari sono tutti solidi, la ricostruzione del Giappone del secondo dopoguerra è evocativa, la sottotrama che fa scontrare i due diversi modi di intendere la yakuza è interessante (molto più interessante di quella principale di Jared Leto, peraltro). Ma, anche se su Netflix ci è finito dopo che era stato già ultimato e non è una produzione originale della piattaforma, The Outsider sembra davvero una di quelle cose fatte con l’algoritmo: e quindi uguale a cento altre, e comunque peggiore degli originali che vuole replicare.
E adesso pensate che questo film avrebbe dovuto farlo Takashi Miike con protagonista Tom Hardy, e dedicate sentitamente con me una piccola e tenera e affettuosa bestemmia all’uomo del Giappone.
DVD-quote suggerita:
“Una particella di yakuza in acqua Leto”
Xena Rowlands, i400Calci.com
Sono ancora indeciso se vederlo o meno. La vostra e’ l’ultima recensione negativa di una lunga lista, ma l’argomento mi interessa e prima o poi gli darò un’occasione. Unico appunto e’ che ogni volta che un film hollywoodiano o occidentale racconta di un gaijin che si fa strada in Giappone, si tirano fuori Samurai, geisha e yakuza… mai una volta che uno vada in Giappone a farsi i cazzi suoi.
Complimenti per la recensione, perché il film è effettivamente così scialbo che io non avrei saputo dirne quasi nulla, a parte che Leto è un cane che fa venire voglia di guardarsi un po’ di pubblicità ogni volta che viene inquadrato.
Che in questo film significa quasi sempre.
E sì, il contorno è esteticamente apprezzabile, ma il risultato è una specie di “a single man” giappo, con il protagonista sbagliato.
Takashi Miike e Tom Hardy? Allora questo non lo guardo per principio.
Best DVD-quote EVER!
+1
io non ci credo a jared leto qualunque cosa lo mettano a fare. comunque ci tenevo a dirvi che ho interrotto i deftones solo per ascoltare la sigla.
dunque, ora completerò la lettura della recensione.
boh io manco tom hardy ci avrei visto in una parte così, mi sarei bagnato con mad mikkelsen piuttosto.
Cmq belli i tattoo di j leto, sembra una maglia desigual
ma sto qua non può continuare a rompere le teens con il suo gruppetto da strapazzo che gli HIM a confronto erano i motorhead, invece di continuare a dimostrarci che recitare non è roba per lui.
più hardy metto in dubbio miike che negli ultimi tempi non ne ingarra mezzo per quanto mi riguarda.
che poi in realtà ha dimostrato di non essere sempre un cane idrofobo. È solo che da qualche anno a sta parte ha preso un delirio brutto
se hardy ha rischiato di menare inarritu, questa era la volta buona che miike volava in cielo dai suoi antenati di hiroshima
Jared leto andava bene solo a pigliare mazzate in fight Club
“Volevo distruggere qualcosa di bello”, battuta memorabile.
Buhahahah mica l’ho mai saputo che fosse lui!
Ah… “bazza”, un’altra emiliana nata o acquisita… amen!
Molto credibile che nella yakuza (un’associazione criminale ideologicamente reazionaria in quello che è forse il paese più razzista dopo la curva del Hellas Verona) accettino uno straniero come affiliato.
Per quanto concerne “Solo Dio Perdona” è una merda…. esattamente come lo è “Neon Demon”.
+1
Non ho visto Solo Dio Perdona ma Neon Demon si e confermo, fa schifo.
“i neon non bastano” questo pensai a metà film quando stoppai The outsider. purtroppo è uno di quei film di cui in realtà non puoi parlare troppo male ma non c’è un guizzo che sia uno che sia formale o su altri piani di lettura e finisce per essere più indigesto di roba magari più difettosa.
Oddio, Jared Leto…
Intendiamoci: in Dallas Bayers Club aveva dato un ottima interpretazione, ma solo ottima.
Poi ha rovinato joker (perché dare il ruolo da psicopatico ad un attore bravo, tipo Tim Roth, quando abbiamo questo pseudo-emo?)
Per quanto riguarda il regista, è una storia vista mille volte: un regista internazionale che gira un film interessante, viene preso a Hollywood e gli viene dato il primo film disponibile, tanto in realtà a fare tutto sarà uno della produzzione.
Ah, ormai i tempi della New Hollywood sono andati.
Boh… Mi aspettavo una merdaccia di film; non tanto per la recensione, quanto per il fatto che provenendo da una 10+10 ore di binge watching de “La Casa di Carta” qualsiasi cosa vista dopo non avrebbe potuto che far cagare male.
Certo, bisogna scendere a diversi compromessi (implausibilità del contesto, yakuza super stereotipata, gomitini a Takeshi Kitano, Jared Leto… 2 ORE DI DURATA) ma alla fine non è malaccio.
Dimenticabile: Sì. Superfluo: Sì. Brutto: No.
Beh dopo quella telenovelas fatta da cani forti de la Casa di Carta anche questo sembra un buon film
Scommetto tutto quello che ho in tasca in questo momento* che non hai visto La Casa di Carta.
* 2 euro e 70 cent.
vero. se lo avesse visto lo avrebbe definito “paso adelante ambientato nella zecca di stato”
Prime 5 puntate prima serie: mina.
Resto, brodo.
Quando tokyo decide di rientrare nella zecca con la moto, punto zero della merda.
Pure a me quella cosa di Maguire che faceva brutto ai tavoli da poker mi era rimasta un po’ così. Come fai a prendere seriamente uno che aveva sfoggiato quella pettinata e quella scena?! Ha però la faccia da stronzetto vero, quindi magari ci sta.
Leto lo saltiamo a piedi pari, grazie.
Maguire ahaha beh ci starebbe pure devo dire.
Su Tom Hardy che fa un film Yakuza dove devo mettere la firma?
Bella rece, brava Xena.
Per il fanta-outsider:
Protagonista Walton Goggins, diretto da Takeshi Kitano
Per capire perché questo film è una merda basta pensare alla penultima scena.
SPOILER
Lui va lì a chiedere lo scontro finale, e lo scontro finale non c’è. E con uno scontro finale degno, il film lo salvavi eh.
Per il resto, tutte le cose belle sono quelle non legate alla storyline principale.
Comunque dai, aggiorniamo la classifica dei film a tema “gaijin che vanno a (provare a) fare brutto nel Sol Levante”.
Questo lo mettiamo sopra o sotto quella merda di wolverine?
Bonjour tristess. Anzi, nemmeno quella.
‘Sto film ha lo stesso sapore di cartoncino bagnato insipido del ramen istantaneo.