Avete presente — ovvio che sì — quando nei film dell’orrore i personaggi tutto d’un tratto iniziano a comportarsi come dei perfetti idioti? Quando, dopo un primo atto che li ha descritti come delle persone tutto sommato normodotate e in possesso di un’istruzione (seppure ricevuta negli USA) nella media, cominciano a prendere, per esigenze narrative, decisioni veramente deficienti? E voi, con tutta la sospensione dell’incredubilità di cui siete capaci, guardate lo schermo con le mani nei capelli e commentate “ok, ma questo è un po’ troppo”? Dead Shack ha molti limiti e di sicuro non vincerà il premio per la sceneggiatura più originale o la messinscena più elegante, ma bisogna riconoscergli che prende il toro per le corna e risolve questo problema con una certa eleganza: i suoi personaggi sono stupidi per davvero.
Roger è un 40enne ubriaco e fuori forma che ha accettato abbastanza serenenamente di non essere un buon padre e perciò si sforza con ogni fibra del suo corpo di essere un padre fico; Lisa è l’ultima di una lunga serie di fidanzate opinabili, non ha nessuna intenzione di fare da madre ai figli di Roger e tutto quello che dice nel corso del film riguarda l’essere in hangover o il non voler essere sobria; Colin, il figlio più piccolo, è il ritratto dell’adolescente brufoloso con un dito nel naso e una mano nei pantaloni, il tipico ruolo da Jonah Hill a inizio carriera; Summer, la figlia maggiore, è senza dubbio la lampadina più brillante dell’albero genealogico, ma il suo buonsenso è facilmente annebbiato dal fatto di essere annoiata e arrabbiata col mondo; al gruppo si aggiunge Jason, il migliore amico di Colin, introverso e un po’ strambo, la cui famiglia è così stronza che lui preferisce frequentare quella di Colin. Se in questi personaggi c’è un solo barlume di intelligenza, è utilizzato per farsi scherzi e insultarsi a vicenda, non certo per prendere la decisione più saggia quando si tratta di improvvisare una vacanza in una casa isolata in mezzo al bosco (la più economica che c’era su Craiglist, tiene a precisare Roger), né tantomeno quando salta fuori che i loro vicini di casa sono una famiglia di zombie.
Io dopo 10 minuti li volevo adottare tutti.
Il mio rapporto con i film di zombie è complesso e con “complesso” intendo che li odio. Ne escono 360 all’anno, sono tutti identici e mediamente inguardabili, è come se l’intero genere fosse un gigantesco lasciapassare per gente senza talento, “ehi, sono facili da fare, significa che dobbiamo farne uno anche noi!”. No, non dovete. Potete — se avete un’idea, se siete minimamente capaci, cosa che puntualmente non succede e si calcola che tra 10 anni saranno più le persone che hanno fatto un film di zombie di quelle che hanno visto un film di zombie. Incurante di tutto questo, in un panorama popolato da geni convinti di stare riscrivendo le regole del genere (fateci caso, ormai i film di zombie parlano solo di film di zombie), Dead Shack va dritto per la sua strada, non rompe il cazzo a nessuno, non cerca di convincerti di essere il primo della classe e soprattutto si ricorda che il punto dei film di zombie è parlare di qualcos’altro, con gli zombie che stanno sullo sfondo, come una sorta di arredo scenico ambulante, mettono in moto l’azione, che però non li riguarda mai veramente.
Dead Shack, poi, non guarda neranche tanto a Romero, quanto piuttosto a Joe Dante, a Columbus o a Spielberg quando era divertente: è un film sulla famiglia, quella che ti scegli e quella in cui ti ritrovi incastrato e che volente o nolente ti devi far piacere e devi proteggere (la qual cosa vale tanto per i buoni quanto per i cattivi), con un intreccio super classico che culmina nel momento in cui i ragazzi devono prendere in mano la situazione e salvare gli adulti. È una commedia horror che non fa mai veramente paura (né ci prova) ma con dei tempi comici fenomenali; ha un budget risicatissimo, ma ci gira attorno con classe (due delle scene più divertenti e riuscite sono quelle in cui l’azione si svolge fuori campo!); non spreca tempo a dare spiegazioni o creare una mitologia, fa affidamento sulla capacità dello spettatore di capire da solo che minchia stia succedendo e investe i suoi 80 minuti spaccati per scrivere dei personaggi. È veloce, sgraziato, ignorante e semplice come il punk — non fosse per l’estetica un po’ vaporwave e il tappeto sonoro elettro-indie, potrebbe passare tranquillamente per una gemma dimenticata straight to videocassetta degli anni 80.
Il suo regista, Peter Ricq (che sembra un nome che qualcuno ha iniziato a scrivere ma a metà si è rotto le palle e allora l’ha lasciato così), è un canadese mega sconosciuto che prima di questo ha fatto solo due serie a cartoni animati; è ovviamente specializzato in animazione ed effetti speciali, ma già da qui si vede che sa il fatto suo anche dietro la macchina da presa, e per essere un’opera prima, Dead Shack è una cosa di cui andare fieri. Tenetelo d’occhio: tra qualche anno leggeremo che, sulla base del fatto che fa molto bene cose personali e a basso baudget, gli hanno messo in mano e subito dopo tolto uno spinoff di Star Wars.
DVD-quote:
“Un film di zombie. Bello, tanto per cambiare.”
Quantum Tarantino, i400calci.com
La chiosa finale è bellissima :)
Sta su Netflix, Youtube, muli vari?
Concordo sulla chiusura del pezzo ;)
Colin Trevvor x prendersi avanti ha mollato lui prima di iniziare a girare il 9, c ha visto lungo l amico
in usa è uscito per l’home video, fai te
Compriendo
Odio i film di zombie.
Amo questa recensione.
Ergo questo me lo guardo.
Scorri in fretta, dannato venerdì!
Se ricorda anche solo vagamente le ultime cose di Dante me lo guardo. non perché l ultimo Dante abbia particolare spinta eh ma è davvero l unico che fa ancora quella roba li in quel modo li nonostante i budget ridicoli.
La chiusura finale si potrebbe riferire in generale alla disney e ai suoi registi/mestieranti/schiavi. Al 90% li prendono indipendenti perché costano meno, fanno un film tranquillo, in cui nessuno calcola loro ma il super eroe/jedi del film, e poi tanti saluti e chi si è visto si è visto.
ok. ho cosa guardare questa domenica sera.