
Culto.
Quando recensii Resolution scrissi di Justin Benson e Aaron Moorhead che non avevo idea di chi cazzo fossero. Prima di vedere The Endless ho bevuto delle birre insieme all’amica dei calci Renée Zuulweger e a Justin Benson e Aaron Moorhead, per cui non posso più dire di non avere idea di chi cazzo siano. Sono due ragazzi pieni d’amore per il cinema e forse fin troppo pervicacemente attaccati a questo concetto che meno soldi ci metti meglio ti viene il film; sembrano geneticamente hipster, senza volerlo, gente che rifiuta per principio i blockbuster hollywoodiani perché terrorizzata dalla struttura di potere che ci sta dietro e che ne determina l’inevitabile perversione rispetto alla visione iniziale dell’autore. È anche comprensibile, forse, visto l’amore che hanno per Carpenter; di certo, che sia una posa o un sentimento genuino, il risultato è che i due fanno ormai da anni film a basso budget e grandi concetti, e con The Endless hanno raggiunto contemporaneamente il loro apice artistico e una barriera per spingersi oltre la quale avranno necessariamente bisogno di vendersi almeno in parte, se non vogliono rimanere bloccati in questo limbo artistico per sempre. Che d’accordo, limbo non è ed è anzi uno spazio sicuro nel quale i due si muovono con estrema maestria, e forse è solo il mio egoismo che parla quando spero che accettino di scendere a compromessi di fronte a un’offerta che non si può rifiutare.
Mi sto perdendo.
Vanno molto di moda i culti ultimamente, avete notato? Di ogni tipo, da quelli mitologico-folkloristici a quelli più, in mancanza di termine migliore per definirli, moderni (mi veniva da chiamarli “americanate”). Sono finiti in Far Cry 5 al posto dei soliti selvaggi da massacrare. Avete presente Martha Marcy Maldini Mutombo o come si chiamava quel filmone lì con Elizabeth Olsen? Quell’altro film dell’Anderson sbagliato? CULTIST SIMULATOR? Violetta Bellocchio AKA Dolores Point Five ha appena pubblicato La festa nera, che alla fine è un romanzo che parla principalmente di culti, assumendo che i social network e le community online siano definibili tali; parla anche della fine del mondo, il che mi fa sorgere spontanea la domanda: i culti vanno di moda perché il mondo sta andando a puttane e ci stiamo allenando a capire se di fronte alle lusinghe di una setta pronta al suicidio di massa prima dell’apocalisse saremmo abbastanza furbi da non cascarci?
The Endless, nel caso non fosse passato il messaggio, è un film che parla di culti, e incidentalmente prova a rispondere anche alla domanda precedente. Sigla!
Lo spunto è di quelli che da soli scrivono il film: Justin e Aaron (purtroppo Justin Benson interpreta Justin e Aaron Moorhead interpreta Aaron) sono due fratelli fuggiti da una decina d’anni da una setta che loro stessi definiscono “UFO death cult”. Purtroppo la rete sociale americana fa schifo al cazzo, e dieci anni dopo i due hanno ancora un lavoretto da bidelli che porta loro pochi soldi e nessuna soddisfazione, perché la gente tende a rifiutarsi di assumere due tizi che sono fuggiti da una comune di pazzi che vivono nel deserto adorando una divinità senza volto che vive nei boschi e attendendo qualcosa. Quindi, su insistenza di Aaron, i due tornano a Camp Arcadia nella sede del culto per passare un paio di giorni in compagnia dei loro vecchi sodali, adoratori pure loro del Grande Ciaparche Verde.
Il mio tono è faceto ma The Endless si preoccupa davvero, tra le mille cose che fa, di trasformare il reinserimento sociale di due ex cultisti in un tema e argomento di conversazione: è un segnale nemmeno troppo silenzioso che il suo intento è quello di stimolare più che terrorizzare, di richiedere abbastanza concentrazione allo spettatore da preparargli la testa all’inquietudine. È un horror per empatia, se vogliamo.

Esterno culto.
È anche glaciale nell’incedere e quasi documentaristico nell’approccio: non found footage in senso grammaticale (per quanto il concetto di “girato/fotografie ritrovate” sia centrale a tutta la faccenda), piuttosto un approccio verista al tempo del racconto (dei dialoghi e delle interazioni umane, soprattutto) e un uso cronachistico e funzionale delle inquadrature, che solo raramente – ma con grande criterio – si concedono attimi di vanità e di ricerca estetica. Tutta la bellezza – o lo schifo – di The Endless succedono come logica conseguenza di quello che sta accadendo in scena, tanto che se si accetta di passare un paio d’ore in compagnia di gente. che parla. molto. lentamente. e. con estrema. attenzione. a ogni. parola è impossibile non venire rapiti dal culto. Chiamatela atmosfera, chiamatela sospensione dell’incredulità: The Endless è un film che ci tiene a far sentire lo spettatore lì, a fargli respirare l’aria del deserto e mangiare la sabbia, a godersi i pochi squarci di panorama

Splendida cornice 1.
tanto quanto i dettagli inquietanti

Splendida cornice 2.
Funziona tutto alla grande anche perché tutti i coinvolti ci credono un sacco, e il fatto che i due protagonisti siano anche registi e sceneggiatori aiuta a dare al tutto un’aria domestica, da falò sotto le stelle; la sensazione è che anche quelli che ci credono talmente tanto da renderlo evidente lo facciano per sincera passione e voglia di far felici i loro amici visionari, e il risultato è che la piccola comune di Camp Arcadia ci impiega dieci minuti a sembrare un luogo reale, quantomeno possibile.
È il possibile il vero segreto di The Endless, e il suo motore. È possibile fare una vita come quella che fanno questi sciroccati, sopravvivere, persino vivere bene, tutto nel nome della fede in qualcosa di più grande? È possibile uscirne? Anche: è giusto uscirne? Nessuno dei personaggi di The Endless è cattivo, violento, bugiardo o manipolatore: è tutta gente onestissima e cordiale, e sinceramente interessata al benessere collettivo. E quindi: è possibile ritornare nel luogo di culto (ah ah), il cervello depurato da dieci anni di incontri dallo psicologo, e non ricascarci da capo? Resolution, il precedente film della coppia i cui fan gioiranno durante la visione di The Endless e mi fermo qui, parlava esattamente di questo, ma lo faceva dal punto di vista della droga; ne faceva una questione di dipendenza e disintossicazione e di ossessione chimica. Qui il discorso di fondo è diverso, e arriva a sfiorare l’escatologia.
Non che la droga manchi.

«Dove sta? Eh? LA DROGA dico. Dove sta?».
Sta nel fatto che, non credo sia una spoiler troppo grosso, là fuori nei boschi c’è davvero qualcosa, e anche i due reietti che credono ancora di avere a che fare dei pazzi dovranno convincersi che è così. E visto che Benson&Moorhead hanno pochi soldi, la soluzione migliore che hanno per mostrare il qualcosa in azione è usando i trucchetti della droga. Visioni distorte, specchi e loop temporali, cose che a un certo punto le vedi e subito dopo non le vedi più, due lune nel cielo: The Endless gioca con le percezioni dei protagonisti e di conseguenza con le nostre, e riesce a ottenere tanto con pochissimo.
Perché la vera droga, gente, sta nel cinema. Sta nel fatto che Benson&Moorhead citano (“si ispirano”, in realtà, o “hanno imparato tanto da”, che comunque in qualche modo suona più nobile) continuamente Lynch, Carpenter, la psichedelia, ovviamente Lovecraft, che sia per via della sua riscoperta violenta degli ultimi anni che i culti sono tornati di moda?, persino un po’ di roba desertica alla Russ Meyer. E, come dicevo già prima quindi mi sto ripetendo, hanno un innaturale senso della misura e una straordinaria capacità di far succedere tutto questo cinema invece che di forzarlo su uno scheletro altrimenti semplicissimo.
Per riassumere: è roba da arthouse talmente discreta e umile che quasi non lo sembra. Con tutti i pregi e i difetti del caso, le coordinate le conoscete: succede poco, è tutto suggerito, un po’ di voi lo vedrà su mio consiglio e si lamenterà che è lento.
È un peccato quindi che ai due manchi il colpo di grazia. The Endless, semplicemente, a un certo punto finisce. In maniera chiara, senza troppe parentesi lasciate aperte, ma finisce, esattamente come sarebbe dovuto finire e senza neanche un guizzo che possa elevare le ultime sequenze oltre la soglia del compitino. Certo, razionalmente, logicamente, funziona tutto; ma B&M sono troppo bravi a far sobbollire la tensione per un’ora e tre quarti per potersi permettere poi di concludere con un mezzo peto. Funzionava molto meglio in questo senso The Triangle, altro esempio di culti che vanno di moda e di come capitalizzare su un’ora e mezza di nulla con una botta di droga che mi fischiano ancora i neuroni. The Endless preferisce chiudere il concetto e andarsene, silenziosamente ed educatamente, e pure con una certa faciloneria. Non so se il coito interrotto sia solo una questione di budget o una precisa scelta artistica dei due; anche fosse la seconda, resta una scommessa parzialmente persa e un invito a B&M a sfruttare il prossimo film per allargare gli orizzonti e provare qualcosa di diverso, perché non sempre alzare la voce (o drogarsi durissimo) è un male.
Che poi, tra l’altro, chi cazzo sono io per dare consigli a chi i film li gira di mestiere?

«Aspetta che ci penso eh…».

«UN CAZZO DI NESSUNO!».
Comunque il film è bello, recuperatevi anche Spring già che ci siete.
DVD quote:
«Te l’hanno mai buttato nel culto?»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Io ricordavo i registi si chiamassero Beavis e Butthead.
Stanlio io lo vedrò sia perché me lo consigli tu sia perché mi piace tanto la droga che si chiama cinema.
la dvd quote è una domanda retorica?
Loro sono bravissimi, sono freschi e sono dei nostri. Se non si perdono potrebbero anche svecchiare il cinema di genere.
Ancora mi commuovo come una mammoletta ricordando Spring. E invece ripensare ai meta-loop di Resolution mi provoca potenti erezioni.
Bravo Stanlio. Sei sulla strada ciusta.
L’unico modo per salvarsi è l’irrisolutezza.
Intendo dire che la droga non c’entra nulla con Resolution tanto quanto il culto c’entra con The Endless. Il nodo è La Storia intesa come Narrazione. Quando il personaggio si caratterizza, quando la personalità emerge in modo quasi tridimensionale e quando le sue frizioni si appiano, egli ha finito il suo compito. E’ per sempre nel Racconto in quel modo e non altro. Il culto rappresenta solo un’allegoria religiosa: è meglio abbracciare la fine o porsela da soli?
Ci sto!
Resolution mi piacque assaje e gli horror lenti coi culti strani sono decisamente il mio genere. B&M (e, indirettamente, Stanlio) si sono ampiamente meritati un altro paio d’ore di fiducia.
PS: Stà, ma Cultist Simulator l’hai provato? Ho sentito opinioni PARECCHIO polarizzate. Ho un amico che finanziò il kickstarter perchè “Alex Kennedy scrittore di Sunless Sea”, ma è rimasto così deluso da CS che si è rannicchiato in un angolino a piagnucolare da settimane.
No, ne ho letto bene ma non ho ancora avuto modo di provarlo. Mi sa ad agosto quando finalmente prendo un computer serio. Saprò dirti.
Molto bellino, recensione spiega tutto alla perfezione. Mi è piaciuto come sfiori alcuni temi molto complessi senza troppe pretese ma nemmeno dicendo per forza banalità. Bravo Stanlione.