Comunque: io scherzavo con quella storia del remake di Equilibrium, era tutta una scaltra scusa per parlare di un film di oltre 15 anni fa che per coincidenza s’intitola come un doc concerto di Giovanni Allevi di oggi, ma – a quanto pare – l’hanno fatto davvero. Il remake di Equilibrium, intendo. Un film il cui protagonista, forte e ganzo, è il più brillante tra i sostenitori della legge in un futuro distopico che impone di distruggere libri, musica, opere d’arte, etc. per evitare nuove terribili guerre civili. Un film in cui l’eroe, per magico contatto con una figura femminile bella e misteriosa, improvvisamente si risveglia dal torpore cieco del fanatismo e passa dalla parte della resistenza. Gli hanno cambiato titolo, però: oggi s’intitola Fahrenheit 451, è una lussuosa produzione HBO presentata fuori concorso all’ultimo festival di Cannes, e da noi in questi giorni in programmazione su Sky. E purtroppo, no, non c’è il gun kata. Quindi, di cosa stiamo parlando? Sigla!
Voi ridete, ma io ho letto sull’internet più di un commento che definiva il nuovo adattamento di Fahrenheit 451 “copiato da Equilibrium”, e la cosa sorprendente – e a suo modo interessante – è che mi è venuto il dubbio: è perché chi dice così non sa che Equilibrium s’era lasciato pesantemente ispirare dal (leggi anche: aveva plagiato il) romanzo di Ray Bradbury, oppure perché questa versione 2018 di Fahrenheit 451 assomiglia effettivamente alle dittature distopiche standard di tantissima sci-fi contemporanea da Equilibrium fino all’insormontabile marea young adult alla Hunger Games?
È una domanda meno peregrina di quel che può sembrare, perché in fondo è il cuore del problema di questo film. Che, sì, è un tv movie, ma di extralusso, con protagonista nientemeno che Donnie Creed/Killmonger, con antagonista l’implacabile Michael Shannon, con la Bella Sofia Boutella, e alla regia Ramin Bahrani – coccolatissimo da tutti i festival del mondo: i suoi ultimi due film, 99 Homes e At Any Price erano in concorso a Venezia –, che ne ha firmato anche la sceneggiatura insieme ad Amir Naderi. Naderi: nouvelle vague iraniana, esule sfuggito al regime, apolide, cinema verità + fiction + cinefilia, quello per cui i critici importanti tirano fuori senza problemi la definizione di “cineasta liberissimo e imprendibile”. Cos’ha Fahrenheit 451 che piace così tanto a chi ha fatto (una) nouvelle vague? Non è difficile capirlo: per François Truffaut, che nel 1966 ne ha tratto il suo primo e ultimo film di fantascienza (abbastanza tormentato e che ancora oggi fa storcere il naso a molti: vedi alla voce robot volanti inguardabili), la questione era l’amore folle per i libri e per il loro potere salvifico e implicitamente antiautoritario. Per Naderi (e Bahrani, che è americano ma di origini iraniane anche lui) è l’ovvia insofferenza per ogni regime, che ora è diventata paura nera, vista l’elezione di Trump a presidente di quella che dovrebbe essere la terra della libertà (ah ah), e tutto quel che l’ha causata e che ne consegue.
Bahrani e Naderi, con il beneplacito entusiasta di HBO, vorrebbero fare un’operazione alla The Handmaid’s Tale, la serie che ha adattato Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood – un romanzo scritto nel 1985, e che tra le altre cose fu ispirato all’autrice sia dall’esplosione entusiasta del reaganesimo sia dalla rivoluzione iraniana – e si è ritrovata a essere più attuale dell’attualità, sia per le questioni femministe sia cercando la risposta alla domanda “come cazzo ci siamo finiti in questa situazione di merda?”. E allora, giustamente, Bahrani e Naderi si mettono lì e provano a ri-costruire il mondo di Fahrenheit 451 – un romanzo scritto nel 1953, ispirato all’autore dall’orrore dei roghi nazisti e delle purghe staliniane e dal maccartismo – per far sì che risuoni potente col contesto di oggi. Oggi, che se mi viene voglia di rileggermi Fahrenheit 451 lo trovo comodo online in pdf. Oggi, che grazie a internet chiunque ha potenzialmente accesso a ogni informazione (ho detto potenzialmente). Oggi, che posso stipare un’intera biblioteca in un Kindle.
Fahrenheit 451 è il tipico romanzo profetico, che ha visto arrivare il futuro prima di altri: per esempio l’onnipresenza degli schermi tv nelle case degli americani, perfino i reality show, e l’interazione con le celebrità (è tutta la parte legata alla moglie del protagonista Montag, che in questo nuovo Fahrenheit 451 non c’è). E dunque il primo problema, in questi casi, è: come lo faccio, un adattamento contemporaneo di un romanzo distopico che aveva previsto un sacco di cose che oggi sono effettivamente diventate circa vere? La risposta che si danno Bahrani e Naderi è un po’ fare Black Mirror: una distopia che è la nostra realtà solo spostata un passo di lato, con un tratto esasperato, con l’evoluzione di una tecnologia che già c’è ma che portata all’estremo cambia tutto. E così, in questo Fahrenheit 451, c’è un internet epurato che si chiama The Nine e che è in realtà un grosso social network, che connette continuamente tutti e funziona meravigliosamente da Panopticon, oltre che da sfogatoio e da inibitore sociale. The Nine è collegato a una specie di Amazon Echo/Google Home/Siri, che sta nelle case di tutti e che anche quando dici “spegniti” resta acceso. Montag non è più un diligente fireman di mezza età, ma la giovane star in ascesa del mega reality show intitolato “troviamo tutti i radical chic che ancora leggono i libri e bruciamoli”, con il suo esercito di fan che gli manda un’inarrestabile scia di reaction a cuoricino. I firemen bruciano i libri superstiti, certo, ma anche gli hard disk che contengono i dati, e ogni tipo di supporto, soprattutto se vintage (mini DV, pellicole 35 mm… sulla VHS di Blockbuster mi sono quasi commossa). Se nel libro si dice che a un certo punto la gente, senza che nessuno la obbligasse, “ha smesso di leggere”, qua si ricorda che a un certo punto “ha iniziato a leggere solo i titoli” degli articoli, rendendo inutile il lavoro giornalistico, prima ancora che venisse dichiarato fuorilegge dal governo. Il contenuto dei libri – che è poi il punto su cui nel romanzo di Bradbury si innesta una vaghissima speranza, con gli uomini-libro che imparano a memoria il loro romanzo preferito sganciandolo così dal supporto fisico e preparandosi a tramandarlo oralmente ai posteri – non è precisamente eliminato dal regime, ma trasformato in una pratica, semplificata e decerebrata schermata di emoji.
Insomma, c’è un iniziale lavoro di world building che non è male, con anche il recupero di alcune parti del romanzo che risuonano efficacemente con l’attualità di oggi (Beatty che spiega come Huckleberry Finn offendesse i neri, ed Henry Miller le femministe, e allora meglio farne a meno, così da essere “tutti uguali” e non incazzati), e la messa in scena, tutta luci al neon coloratissime in contesto minimale, a un passo da Nicolas Winding Refn, riesce quanto meno a differenziare questa Cleveland futuribile da tutte le distopie in stile Apple Store che ci siamo puppati dall’inizio del millennio.
Purtroppo – e qui è dove torniamo a Equilibrium, ma anche un po’ a Hunger Games – dopo la costruzione del mondo e dell’atmosfera, deve partire la storia, e la storia la conosciamo già a memoria, proprio perché dopo Fahrenheit 451 (il romanzo) ce l’hanno raccontata in ogni salsa: il protagonista si lascia incuriosire da questi misteriosi oggetti che fin qui gli è stato insegnato a temere e odiare, ci trova dentro il mondo e se stesso, si “risveglia”. E ovviamente passa alla resistenza (nel libro non va esattamente così, ma qui è dove vi invito a leggerlo, se vi manca: è davvero molto bello). È una parabola talmente nota che, mi pare, Bahrani e Naderi sembrano i primi a disinteressarsene, lasciando che scivoli con pigrizia e prevedibilità sui binari che sappiamo a nastro. E se se l’erano cavicchiata dignitosamente nell’immaginare il corrispettivo 2018 di un futuro prossimo senza libri del 1953, non va altrettanto bene con l’introduzione della società parallela degli uomini-libro: davvero mi mettete il ragazzino probabilmente autistico che si è imparato 13.000 testi in pochissimo tempo? Davvero la ribelle dai tratti asiatici che ha memorizzato Il libretto rosso di Mao?!? E posso capire che (SPOILER?) la trovata della cultura tramandata via DNA sia sembrata una buona alternativa contemporanea, visto che oggi appunto esiste la tecnologia per sganciare il contenuto testo dal contenitore libro senza bisogno di mandare a memoria, ma la frenesia della “caccia all’OMNIS” finisce per sciupare tutta l’universalità della storia, avvicina questo Fahrenheit 451 a tutte quelle distopie young adult che scambiano l’invenzione di un gergo per la creazione di un mondo, e quando non sanno come tirarsi fuori dal futuro fosco che hanno disegnato s’immaginano un MacGuffin deus ex machina e a posto così.
E, nel frattempo, si perdono per strada gli spunti interessanti (Beatty, da personaggione pieno di chiaroscuri diventa un cattivone e basta; il discorso sui supporti e sul fascino feticista che esercitano introdotto appena, e subito dimenticato) e ci si scorda che il succo di Fahrenheit 451 sta nel risveglio di Montag, nel potere destabilizzante del pensiero critico, nell’apertura a una complessità che può spaventare per le difficoltà di comprensione ma anche diventare una droga di cui necessitiamo come l’aria. Nulla di tutto questo è scritto, e potrei facilmente decantarvi la manzitudine di Michael B. Jordan per migliaia di battute (credetemi, potrei), potrei dirvi che è pure un discreto attore oltre i pettorali (lo è), ma purtroppo non è bravo abbastanza per raccontare con la sola espressività il percorso interiore di Montag. Vorrei però la sua abilità nell’aprire un libro a caso e trovare subito la citazione giusta di Dostoevskij o Kafka: sai quanto tempo risparmiato.
E il gun kata? No, è inutile, non c’è, mi spiace.
Obbligatorio gioco di parole a tema fuoco: “Un ardente tentativo finito in fumo”.
Dvd quote suggerita: “Non il remake di Equilibrium che (non) avevamo chiesto, ma forse quello che ci meritiamo”. (Xena Rowlands, i400calci.com)
Bella recensione, ma rovinata dal “…abbastanza tormentato e che ancora oggi fa storcere il naso a molti: vedi alla voce robot volanti inguardabili…”. Ma l’hai visto il film (capolavoro, uno dei tanti) di Truffaut? …Continuiamo così, facciamoci del male…
Beh non ha tutti i torti, tra i mille film fatti da Truffaut, l’adattamento di Bradbury è uno dei meno ispirati e più divisivi anche tra i suoi fan più accaniti (oltre a tutta la lavorazione, che se non ricordo male non è stata delle più facili).
l’ho visto sì! il film è bellissimo. i robot sono inguardabili. :D (ma cit. di moretti rules!)
Si, problemi di produzione perché era il suo primo film in inglese con produzione straniera, bla, bla, bla. Ma la realtà dice che il film è stato candidato al Leone d’oro al Festival di Venezia (1966), e che il parere di un maestro del cinema come M.Scorsese su F451 è: “…as called the film an “underrated picture” which had influenced his own films…”.
F451 è poesia (come la maggior parte dei film di Truffaut). E poi “i robot volanti” erano dei pompieri/poliziotti che cercavano Montag (non dei robot!). Criticare un film così per un effetto speciale venuto male…Continuiamo così, facciamoci del male…
Il commento anonimo qui sopra è mio (Gianni Carpentiere)
Grazie Xena per aver riconosciuto la citazione di Moretti ;D
Comunque bella recensione (a parte i Robot che non erano Robot). Sei una grande.
grazie a te!
chissà perché ho sempre pensato fossero robot… comunque io amo il fahrenheit 451 di truffaut, sia chiaro, volevo solo ricordare che la lavorazione (e anche la ricezione all’epoca) era stata un po’ un casino (se non sbaglio ci si era messo pure oskar werner a fare le bizze)!
Sì f451 di Tft molto poetico… però concordo: i pompieri/poliziotti erano inguardabili, come del resto molti effetti speciali con gente appesa del cinema fantastico dell’epoca. E in questo caso in un film manco costato poco…..
Oh, la sigla mi ha fatto ribaltare.
Ma il film poi è calciabile o è un’eccezione meritevole?
uhm, direi che vorrebbe essere calciabile, solo che poi i momenti action son quelli che a Bahrani interessano meno… quindi si ferma lì nel mezzo, un po’ come tutto il film.
La sigla farà danni nella mia testa per mesi a venire (su un libro, ovviamente)
Ma è Shannon un gigante o Jordan un nanetto di quelli che vedi in palestra tutti pompati ma che poi finiscono come decoratori del giardino insieme a Mughini?
Se non ricordo male, Shannon passa il metro e novanta.
Oh, non mi toccate Michael Shannon eh?!
No per carità, tienitelo pure. Tutto tuo a prezzo discount.
magari è un problema mio ma la bella sofia mi da la sensazione di pacco a sorpresa…
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“con anche il recupero di alcune parti del romanzo che risuonano efficacemente con l’attualità di oggi (Beatty che spiega come Huckleberry Finn offendesse i neri, ed Henry Miller le femministe, e allora meglio farne a meno, così da essere “tutti uguali” e non incazzati)”
http://www.lastampa.it/2018/07/19/esteri/kipling-colonialista-e-razzista-gli-studenti-cancellano-la-poesia-if-nelluniversit-di-manchester-tRgikJqfCJA4WLp8lcJlfP/pagina.html
E diamoci tutti appuntamento a Codroipo, va!
Ottima recensione, anche se mi pare che neon e luci diverse, ma spesso uguali tra di loro, da quelle vagamente odontoiatriche stile Apple nel futuro siano fin troppo frequenti: l’immagine distopica ha dei codici quasi unilaterali
Ma è davvero F451 o è Equilibrium con i suoi parenti?
La pigrizia evidente di metà film a mio modo di vedere è anche la faciloneria della metà prima, che un poco tradisce la serietà di Ray
E scusate ma la handmaid la trovo una serie di dubbio gusto
Pecca della recensione è la ripetizione di nel frattempo tra testo e finestra (imprecisioni sintattiche e grammaticali sono il bello stile)
Ma è possibile che ultimamente Shannon sia utilizzato sempre e solo come Cattivone E Basta? Sembrava un attore ben più interessante di così. Si è appiattito lui o si sono appiattiti i personaggi che gli scrivono?