Partiamo da un fatto importante: Errementari non è la versione giapponese di Sherlock Holmes ma un folk horror basco a base di Satana.
Bello, no? Netflix che lascia spazio a culture solitamente sottorappresentate nel cinema di genere e nel cinema in generale, che distribuisce e sostiene un film recitato interamente in basco, che belle le tradizioni, che bello il folklore, andiamo tutti insieme alla scoperta del demonio! Più o meno in contemporanea all’arrivo, tra le altre cose, di Sabrina, il che mi fa pensare che per qualche motivo Belzebù sia tornato di moda, chi sono io per lamentarmi? METAL! SATANA! SEI SEI SEI IL NUMERO DELLA BESTIA!
E poi c’è dietro Álex de la Iglesia che produce e presenta, pensateci un attimo: quello del Giorno della bestia è diventato ormai un nome di richiamo e un modello a cui aspirare, voglio dire che c’è gente che comincia a fare i film “alla de la Iglesia”, con il suo misto di splatter, satanismo, inquietudine, umorismo e basicissima inettitudine umana. Rimane forse un barlume di speranza per un’umanità che nonostante tutto trova ancora spazio creativo per copiare i film di Álex de la Iglesia? Satana! Capri! Non l’isola ovviamente!
Eppure sono qui con l’amaro in bocca, a chiedermi cosa sia andato storto, o meglio cosa non sia andato del tutto dritto, in Errementari. Perché sulla carta è tutto al posto giusto: è un bel mix tra horror classico di mostri che vivono nella foresta e afflati antropologico-folkloristici, che prova a imbastire una riflessione sulla fede e sulla tentazione e su quanto ci stia a cuore la nostra anima, con un messaggio semplice ed efficace riassumibile nella formula “il diavolo non è così brutto come lo si dipinge”, e che narrativamente si appoggia ai classici dove con classici intendo Cappuccetto Rosso, non i film di Raimi. Poi però è anche un pastrocchio visivamente piatto che ambisce a fare il del Toro (inteso come Guillermo e in particolare come i suoi non-horror storici tipo Il labirinto del fauno) e finisce più che altro con l’assomigliare a una cutscene di metà gioco di God of War III, con la personalità di un miliardo di prodotti simili e altrettanto privi di personalità, gelido e laccato come la morte che ti fa bella e indeciso fino all’ultimo sulla direzione da prendere. Epica? Farsa? Terrore? Nel dubbio, Paul Urkijo Alijo punta sull’impepata di cozze e confeziona un prodottino tiepido, che funziona finché non finisce e poi sparisce nel nulla, l’unico suo ricordo l’eco dei dialoghi in basco che, oh, posso dire che è una lingua bellissima da ascoltare ma assurda e disorientante? Satana! Sigla! Con del gran* metal basco.
https://www.youtube.com/watch?v=YtwbNKFitrY
È carina quest’idea di presentare Errementari come “un folk horror” perché di questi tempi il pensiero corre subito a The Vvitch o nella peggiore delle ipotesi ad Apostle e viene spontaneo immaginarsi una favola nera che brucia lenta e inesorabile, dipingendo un quadretto dall’innegabile retrogusto sociologico e intanto costruendo di nascosto la tensione ai margini della faccenda fino a farla esplodere in un tripudio di corna, zoccoli caprini e pentacoli. Consiglio al pensiero di starsene buono e tranquillo e adeguarsi a quello che passa il convento perché Errementari è in realtà un fantasy classicissimo, vagamente macchiato di orrore e solo occasionalmente visitato da brevi sprazzi di violenza, un fantasy di quelli con la ragazzina indifesa come protagonista e il cattivo che è un vecchio burbero misantropo che in realtà è uno giusto e lo scopo della sua vita è tenere a bada i veri cattivi qui rappresentati da un demone dell’Inferno e sarà la ragazzina a scoprire che il tremendo cannibale è un supereroe in incognito.
Il supereroe in questione è l’errementari (che in basco significa fabbro) del titolo, un tizio che, ci viene spiegonato nel modo più dritto e didascalico possibile, ha avuto a che fare con i già citati demoni dell’inferno e ne è uscito vincitore ma irrimediabilmente segnato, e da allora vive in isolamento nella sua capannuccia in mezzo ai boschi mentre il villaggio che sorge alle soglie della sua foresta racconta favole terrificanti su di lui e la sua abitudine di rapire i bambini. C’è nel villaggio la bimba che dicevo sopra, quella diversa dagli altri, che vive nell’ossessione dell’inferno (sua madre si è impiccata e il prete le ha spiegato che per questo è finita lì, a bruciare per l’eternità), e che sempre ovviamente finirà tra le grinfie del fabbro, scoprendone il lato umano, il turpe segreto, la scimmia sulla spalla. C’è il percorso di redenzione del presunto cattivo, ci sono i veri cattivi che si mostrano in tutta la loro satanica maestà… c’è tutto, eppure è come se non ci fosse niente.
C’è in primis una superficialità e una faciloneria ingiustificabili nel raccontare e mettere in scena la faccenda: lo script è una sequenza di scene già viste altrove, reinterpretate per l’occasione e incollate una dopo l’altra a costruire una narrazione nella quale persino i colpi di scena sono telefonati. C’è una forte sciatteria nella messa in scena, che alterna momenti in cui il buio la fa da padrone e sequenze di azione confuse e illeggibili a sprazzi di potenziale bellezza, regolarmente rovinata dall’artificiosità dei set – tre in tutto, peraltro, e quindi belle le foreste inquietanti ma dopo quaranta minuti di foreste inquietanti ci saremmo anche un po’ rotti il cazzo –, dei costumi, delle luci, degli effetti speciali. C’è un tizio che dirige gli attori dando loro come unica indicazione «parlate in basco che fa strano» e per il resto li lascia liberi di vivere il personaggio come pare a loro, cambiando marcia e angolo tra una scena e l’altra, con il risultato di popolare il film di snodi di trama su due gambe che intervengono giusto per far succedere quello che serve a cambiare scena e poi ritornano nella confusione e nell’anonimato. C’è un intero film che si appoggia sulle spalle del trio di protagonisti (il fabbro, la bambina, il demonio) e gli mette intorno il minimo indispensabile per portare a casa la baracca. E c’è un design di costumi, scenografie, tutto, che sembra il risultato di una sessione di shopping selvaggio in un negozio di paccottiglia di Halloween che sta svendendo i fondi di magazzino.
C’è, insomma, la sensazione che Errementari sia talmente contento di riuscire a esistere che non gli è venuta voglia di sbattersi per rendersi interessante. Non che sia un disastro completo che deturpa l’immacolato volto della Musa della Settima Arte (Ellen Ripley mi pare si chiami), e anzi c’è qualche intuizione dal forte sapore di fiaba popolare che solleva dalla mediocrità un paio di scene madre (tra cui il finale, quello almeno è promosso) e per lo meno tiene alta l’attenzione. Ma fa incazzare il fatto che i momenti migliori del film siano quelli più posticci e “alla de la Iglesia”, che mischiano violenza e umorismo in modo surreale e grottesco dando all’opera una parvenza di tono e direzione che vengono perse in un istante, e che il resto, il contesto storico, l’antropologia, la religione, il demonio, l’inferno in terra, persino la violenza, galleggi in una palude di mediocrità e già visto.
Il punto è, attenti alla banalità della settimana, che non basta che una storia funzioni su carta per trasformarla in un film, e che se ci si muove in un genere così complesso e poco sfruttato non ci si può appoggiare ai cliché da fratello minore scemo per portare a casa il risultato. Una scelta bisogna pur farla: o ci si addentra nei nebbiosi territori pieni d’atmosfera del già citato The Vvitch oppure si abbraccia fino in fondo il proprio Raimi interiore e si alza il volume a 11. Errementari è un mix dei due estremi, dove il primo esiste solo in superficie perché non c’è la pazienza né il coraggio per affidarcisi davvero, e il secondo è presentato in versione softcore nel fallimentare tentativo di prendersi molto sul serio. Ne risulta un film piacevole ma innocuo e molto più scemo di quanto si renda conto di essere, che non è il risultato che mi aspetto quando il materiale di partenza prevede Satana e le animacce dannate dell’Inferno.
Molto brutte le scene di botte.
DVD quote:
«Molto brutte le scene di botte»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
IMDb | Trailer
*in realtà no.
Fa cagare
su netflix ogni 100 film cosi ne becchi uno decente.
Decisamente mediocre anche il black basco. Meglio quello giamaicano.
https://www.metal-archives.com/albums/Orisha_Shakpana/Spectral_Duppymaan_Black_Metal/281933
Dico solo questo: Netflix film di Natale con Kartola Russel nella parte del simpatico ciccione che consegna i regali… ed è una commedia… valida la definizione che ne ha dato i Calci: servizio per ammazzare il tempo nell’attesa dei 2 titoli decenti l’anno che vale la pena vedere…
Però hanno messo su Howard il Papero…
Non concordo.
O meglio concordo sui limiti del film descritti nella rece, ma per me il risultato finale e’ ampiamente positivo. E’ un b-movie sgangherato, con problemi di ritmo ed evidenti limiti produttivi, ma colorato, divertente e fuori dal tempo.
Il confronto non e’ da fare con l’horor rigoroso di The VVitch, ne’ col melodramma funereo del Fauno di del Toro, ne’ in fin dei conti manco con la roba sulfurea di de la Iglesia, ma piuttosto con vecchi film analogici come Labyrinth, Return to Oz e Dark Crystal, cioe’ quel fantastico per ragazzi che un po’ per generosita’, un po’ per sbaglio, veniva fuori un po’ freak e stramboide.
Non mi sembra neanche cosi’ poco oroginale. La figura del diavolo e dell’Inferno nella loro iconografia piu’ favolistica, “contadina” e dantesca non mi pare cosi’ sfruttata dal cinema.
Ma magari avesse un’oncia della creatività e dell’artigianato quello bello di Labyrinth o Dark Crystal.
Va beh, questo ha anche un cinquantesimo (forse neanche) dei budget di quelli. Facciamo allora “Il demone delle galassie infernali” e “La spada a tre lame”. La B che fa simpatia, quella “vorrei ma non posso, comunque ci provo lo stesso”.
Poi boh, per me appassionato di fiabe popolari, per cui gli splatterosissimi Grimm e il Calvino delle Fiabe italiane sono piu’ fighi di tutti i Tolkien del mondo, ‘sto film con la sua aria “contadina” e un po’ acre non pare neanche cosi’ scontato e gia’ visto.
Anche io credo che sbagli i paragoni. Non è un film alla “iglesias” e nemmeno un fantasy. Non può essere paragonato al Del Toro del labirinto del fauno. Semmai a “Lo cunto de li cunti”, meno “artsy”, becero e grossolano, ma più che di un horror è un’opera dal sapore “tradizionale” che trova nei 3 protagonisti, ma soprattutto nel diavolo ingabbiato, degli straordinari interpreti, fuori dal tempo e dalle categorie classiche del cinema di genere. Io l’ho trovato “sorprendentemente ” bello.
a sto giro concordo con Tommaso e sos, l’ho trovato molto piacevole e non poco orginale, secondo me c’e’ anche un po’ di Legend nella rappresentazione dei diavoli
dimenticavo, il demone sembra preso pari pari dal diavolo della copertina di the number of the beast degli iron maiden
D’accordo con Tommaso. Vi sono evidenti problemi di ritmo, specialmente nella prima parte, ma alla fine il risultato è più che soddisfacente.
Bravo Tommaso, sono d’accordo con te. Questa storia, così come rappresentata, anche nella manifestazione del satanasso, richiama ampiamente la tradizione orale di alcune fiabe raccontate dai nostri nonni o bisnonni. Io la vedo degna rappresentazione cinematografica di questo filone fiabesco, niente altro. Non ci vedo altri paragoni sostenibili. Quando mi raccontavano le storie di gente che gabbava il diavolo… io il diavolo lo immaginavo così. Per me esperimento riuscito per il regista!
avrei il classico mese gratis di Netflix ma lo considero il male.assoluto 666
Netflix è per gli appassionati di serie televisive, sia nuove che “datate”. In quest’ambito propone e produce sia capolavori (La Casa di Carta, Marco Polo, Penny Dreadful, Lost, Ray Donovan, Prison Break) che roba minore, ma realizzata con cura (In between, La Foresta, Glacè).
Per i film conviene senz’altro cercare altrove, fermo restando che certe sperimentazioni indie, magari pallose ma da vedere, le trovi solo là, tipo Bottom of the World e The Bad BAtch; ogni tanto sgancia delle bombe atomiche come il fichissimo (daje) Hold the Dark, e l’ultimo dei Cohen, La Ballata di Buster Scruggs di cui mi aspetto SUBITO la recensione.
Ultimamente non imbroccate una recensione.
Però loro ci mettono 80 righe ad articolo, tu una sola, non puoi argomentare almeno?
Dai, veramente. Stavolta non concordo (nelle conclusioni piu’ che nell’analisi in se’) e l’ho scritto, ma che tormento questa “moda” recente di lamentarsi genericamente del blog sotto tutti post.
Ma per Stan Lee davvero nulla???
Mi avete fatto venire voglia di guardarlo. Netflix me lo consiglia perché ho guardato Sabrina, ovvero #metoo all’inferno; purtroppo la cosa che ho più gradito di Sabrina è stata la denuncia da parte della chiesa di satana (?) agli autori, per aver usato l’immagine di Bafometto (??). Non sapevo ci fosse il copyright su queste cose. E quindi tendo a non fidarmi dei consigli di netflix, ma i diavoli contadini promettono bene
Gratis, diavolo, divano. Per me ok…
A me è piaciuto parecchio.
Bastilani
Hai vinto tutto.
Io l’ho goduto. E’ una favolona per ragazzini, un film Disney live action a tinte scure e con qualche parolaccia.
E comunque più rispettoso dello spettatore adulto e della sua intelligenza di qualsiasi film Marvel.
Bene tutta la prima parte, bene i ragazzini/e finalmente mostrati come sono: dei dannatissimi piccoli bastardi malvagi.
Bene il mostrare come una bambina, cresciuta da un prete fanatico e da una vice-mamma matta palata, preferisca andare all’Inferno-quello-vero anzichè restare un solo giorno in più nel suo inferno quotidiano fatto di botte, umiliazioni, solitudine e miseria.
E bene, benissimo i diavoloni finali, bene l’inferno, una soddisfazione pupazzosa rispetto ai dannati green screen.
Suggerisco a tutti di dargli una seconda occasione in lingua originale (con sottotitoli), perchè da noi è stato doppiato dal team di voci che noi, istintivamente, associamo ai cartoni animati: abbiamo Four di Bim Bum Bam, abbiamo Sirio il Dragone e tanti altri… e siccome noi tutti ci siamo completamente flippati il cervello, ormai siamo condizionati.
Quando sentiamo Marco Balzarotti, beh… può anche doppiare Barak Obama, ma sarà sempre e solo Sirio il Dragone. E questo, cioè il suono della voce, in un film ha un peso enorme.
Concordo con chi dice che Netflix ha dei titoli del ca…, ma questo lo salvo nettamente.
E non è che Amazon Prime abbia poi chissà quale catalogo eh…
Uauuaala battuta iniziale della recensione ma fatto ride.
Fuori tempo massimo mi accodo a chi difende il film, che ha il merito di riportare il grottesco a la iglesias su schermo (che dopo “nel bar” sembra si sia incartato su se stesso), di utilizzare dei bellissimi pupazzoni (i vari demoni del finale quanto spaccano?) e di riportare le fiabe alla loro orgine, cioè raccontare storie spaventose e divertenti, invece di edulcolarle in maniera disneyana. Certo, anche io avrei gradito un po’ di cattiveria in piu, e sicuramente non tutto funziona (budget visibile, qualche scontatezza nella storia) ma la straniante atmosfera che si respira, forse data dall’assurda lingua che è il basco, mi ha abbastanza catturato. Però bella per stanlio a prescindere