È il due Novembre mentre vi scrivo, in una Roma livida e sferzata da giorni di pioggia incessante. Ho passato la mattina come tanti di voi a fare visita ai parenti che non ci sono più e già che mi trovavo al Verano sono passato anche a portare un saluto ai commilitoni di mio nonno, al sacrario della Grande Guerra del cimitero monumentale giacché nonno riposa lì vicino e tra un paio di giorni è il centenario della fine di quel conflitto tremendo. Una guerra cruenta contro una reale invasione militare che a molti oggi fa comodo, vilmente, paragonare a questa o quell’altra invasione di fantasia. L'”invasione” e la conseguente resistenza a questa è un topos ricorrente, soprattutto nel cinema americano, il che è bizzarro, visto che gli statunitensi, che amano fare i buoni quando giocano, hanno consolidato il loro mito della “terra dei liberi e casa dei valorosi” su invasione, genocidio, riduzione in schiavitù e rimozione. Eppure la narrazione della terra, la “mia terra”, la “terra dei miei avi”, è sempre molto forte nella retorica statunitense e non solo nel cinema. Quella del “sangue e suolo” è una retorica pericolosa, su cui non è mai sano basare le unità nazionali che dovrebbero essere basati sulla pacificazione e gli accordi che si stipulano per passare oltre le invasioni, le vendette e il sangue versato su quel suolo. Ma del resto la vendetta è uno dei prodotti più spinti dal marketing americano. “Tutti hanno il diritto di vendicarsi, persino gli indiani”, dice a bruciapelo uno dei protagonisti del film e credo sia una delle migliori sintesi di una certa mentalità statunitense.
Il cinema western è uno dei pochi veri prodotti culturali DOP a stelle strisce assieme al Blues, al Jazz, all’hard boiled e come questi è un contenitore di dolori e contraddizioni. Il cinema western è stato spesso il primo (quando non unico) cronista dell’anima schizofrenica degli Stati Uniti presso il grande pubblico, che magari non leggeva Faulkner o Steinbeck, fungendo da viatico delle sue contraddizioni e ipocrisie orrende miste a valori della nonna. Ritengo che sia stato uno strumento di indagine e autocritica tra i più efficaci in patria per riflettere sull’anima della nazione, dal dopoguerra in poi. La retorica sull’invasione da prevenire (mentre la si compie, magari) e il sacro diritto degli americani a vendicarsi sono merce comune nella cultura popolare del paese e Hostiles ci catapulta proprio di peso in mezzo a queste dinamiche terribili e complesse.
Hostiles non è esattamente un film da combattimento e non è un film di menare, è un film drammatico secco e tagliente, con quattro sparatorie pure abbastanza asciutte, bella fotografia e grandi prove d’attore ma nonostante questo è un film che combatte ed è un film che mena. Hostiles è un profondo carotaggio nelle molte stratificazioni di merda che costituiscono il suolo americano dove “i coraggiosi” e “i liberi” che l’hanno eletto a loro terra e loro casa continuano ad esercitare discriminazioni, espropriazioni e schiavitù legalizzata.
La vicenda si apre con una lucida e spietata riflessione sull’America di David Herbert Lawrence (un inglese, tanto per rendere tutto più “ostile” per un americano) tratta da un suo saggio sul nuovo continente del 1923. La citazione che funge da incipit è l’ultima riga di un discorso più ampio e se possibile ancora più centrato nel descrivere le dinamiche che Hostiles va a immortalare e che vi riporto nella sua completezza:
“Democracy in America was never the same as Liberty in Europe. In Europe Liberty was a great life-throb. But in America Democracy was always something anti-life. The greatest democrats, like Abraham Lincoln, had always a sacrificial, self-murdering note in their voices. American Democracy was a form of self-murder, always. Or of murdering somebody else… The love, the democracy, the floundering into lust, is a sort of by-play.
The essential American soul is hard, isolate, stoic, and a killer. It has never yet melted.”
Nel film un veterano dell’esercito degli Stati Uniti prossimo al congedo viene incaricato di scortare un vecchio capo indiano prigioniero alla sua terra nativa, dove chiede di poter morire assistito dai suoi cari. In passato il vecchio soldato e il vecchio capo indiano si sono scontrati su quel suolo insanguinato, teatro di invasione, e in quella guerra senza regole hanno massacrato e visto massacrare i propri uomini. C’è solo un profondo odio a legarli, ognuno ritiene che l’altro incarni l’intera anima dei rispettivi popoli e non c’è altro che disprezzo tra il detenuto e il suo carceriere. Siamo nel 1892 e i tempi stanno cambiando, le rese dei grandi capi si avvicinano e le guerre indiane termineranno a giro di pochi anni, l’opinione pubblica convive ormai con nativi “addomesticati” da tempo e “pii istituti” religiosi simii a campi di concentramento si occupano di “civilizzare” i selvaggi tagli di capelli, abiti civili e l’onnipresente ausilio della Bibbia. I burocrati dell’esercito vogliono dare una nuova immagine del rapporto con gli indigeni, il braccio armato con cui hanno fatto il loro lavoro sporco ormai è inviso e scomodo e il vecchio soldato, un vero e spietato cacciatore di indiani, viene scelto quasi a fargli fare ammenda per la pertinacia con cui ha svolto il suo compito. Irriso e minacciato di corte marziale il Capitano Joseph Blocker ingoia il rospo e accetta di scortare il vecchio Yellow Hawk a morire in pace, tanto a breve sarà in pensione. Però, per il teorema di Murtaugh, sappiamo che quando si è prossimi alla pensione è proprio lì che succede il finimondo.
In questo viaggio lungo e pericoloso dal New Mexico al Montana attraverso il selvaggio nordovest, la compagine di militari e i loro scortati sperimenteranno il tutti contro tutti che è alla base della nascita della nazione: nativi contro nativi, bianchi contro nativi, bianchi contro bianchi, tutti ostili come da titolo e avvelenati su più livelli. Rifletteranno sugli orrori che vedranno, combatteranno assieme e seppelliranno i loro morti assieme, capiranno che ognuno rappresenta in fondo nient’altro che se stesso e nel dolore, forse, si capiranno meglio come esseri umani. Del tremendo invasore austriaco dipinto dalla propaganda interventista dello scoppio della guerra mio nonno ebbe a dire che quando se lo trovò di fronte la prima volta realizzò che erano dei ragazzini più piccoli di lui, convinti poco e motivati peggio; non riuscì a fare fuoco e nemmeno loro e ritornarono tutti nei rispettivi tunnel con mutuo sollievo; purtroppo non fu sempre così in seguito. Le invasioni e i nemici sono più efficaci quando non li si guarda da vicino, potremmo scoprire che a volte non ci va granché di massacrarli, che non ci va di comprare un po’ di vendetta. La prima regola per mandare alla guerra una nazione è disumanizzare il nemico dopo averlo indicato, da Erodoto coi Persiani ai nostri giorni poco è cambiato e per questo Hostiles risuona di attualità.
I critici americani Hostiles lo hanno capito parzialmente, credo. Probabilmente perché è difficile e scomodo vedersi e comprendersi da fuori, non saprei; ma qualcuno ha detto che non è abbastanza entertaining, altri che il messaggio dell’amicizia oltrepassa le divisioni è banale (quando quello è poi solo una minima parte del senso del film, onestamente), dimostrandosi tanto tiepidi quanto ottusi. Del resto il campione di incassi in quelle settimane in USA è stato un vero film da liberi e coraggiosi come il nuovo Jumanji. In Hostiles non c’è una trama trascinante, non ci sono frasi ad effetto, non c’è comic relief, nulla di quello che piace al grande pubblico odierno. C’è un lento, violento e incerto, incedere di uomini e donne diversi verso un destino uguale e crudele, che sputa in faccia a ogni retorica di invasione e di homeland, che non dà punti cardinali fissi e libera tutti in un’ode alla pacificazione non stucchevole. Ci sono delle scelte narrative discutibili e qui e lì l’accuratezza storica vacilla ma sono aspetti irrilevanti in un film che sotto il cavallo di Troia del western classico ha una lezione tanto classica e didascalica (perché è ovvio e pacifico che ci sono nella scrittura delle sottolineature in rosso impensabili nella realtà dei tempi narrati) ma che mi auguro si recepisca oggi come oggi. Per noi, ma anche per mio nonno.
DVD-Quote suggerita:
“Hostiles è un profondo carotaggio nelle molte stratificazioni di merda che costituiscono il suolo americano”
Darth Von Trier – i400calci.com
‘l’unione di terra e sangue causa il tetano’ (cit.)
Nell’immaginario di un mio caro amico Joseph Blocker è assurto a icona dell’umano dolore: mi ci ha tormentato per mesi. Sono certo che il film vale la pena e sicuramente lo vedrò.
Onore al Nonno.
Per me e’ un buon flm, ma non sono molto d’accordo sulla sua “ostilità” culturale. Lo trovo piuttosto allineato su un certo politicamente corretto penitenziale e lamentoso oggi invece molto di moda.
Si veda l’ambiguita proprio sulla questione “disumanizzazione del nemico”: nel film i “buoni” non fanno che incontrare cattivi (senza virgolette) che sembrano totalmente votati al Male, senza un barlume di (appunto) umanita’, e la cui eleminazione oltre che narrativamente sempre giustificata e’ molto appagante per lo spettatore. Tipico di molti western, anche bellissimi (Il texano dagli occhi di ghiaccio, per dirme uno), ma se oltre a raccontare una storia si vuole anche far la predica allora un po’ piu’ di complessita’ e sfumature sarebbe doveroso mettercele.
Non ho ancora visto il film, ma ci sono due-tremila altre pellicole per le quali l’ultima frase del tuo post vale come verità assoluta, me la rivenderò senza dubbio e senza dartene alcun merito. Ma bravo.
Il film m’incuriosisce, lo vedrò e probabilmente mi piacerà. Però, per una volta e non me ne voglia il buon Darth, non m’è piaciuta la recensione. Retorica ed adeguata ad un certo tipo di conformismo che, spesso, non è meno mortifero di quello di segno opposto, oserei dire banale in un certo anti-americanismo di maniera. Mi spiego, so che quello che s’intendeva dire non è cosi semplice, ma è cosi semplice (e forse banale) che è arrivato. So anche che è un rischio (paradossalmente) che si corre quando si scrive di argomenti nei quali si crede davvero e che quindi non si riesce a trattare con distacco però il risultato è un pochino sotto standard. Almeno nella mia assolutamente irrilevante opinione.
Guarda, non so da quanti segui il sito e se hai presente altri miei pezzi ma gli Stati Uniti sono una cosa che tratto spesso, conoscendoli (anche fisicamente) abbastanza a fondo e non credo di essere affatto anti-americano. Come ne ho parlato “bene” alcune volte ne parlo “male” talune altre, anche con carissimi amici statunitensi. Quando parlo di contraddizioni parlo anche di questa identità contrastata, fatta di cose incredibili opposta a cose ignobili, il bilanciamento delle quali in certi periodi gli riesce molto meno di altri e anche il venirci a patti a volte gli riesce molto male (ad esempio scaricare la colpa di secoli di sterminio degli indigeni da parte di americani su Colombo che nemmeno ci è sbarcato in Nord America, per dire quanto a volte siano goffi anche nel crearsi una coscienza civile)
Non ho alcuna posizione viziata sul paese in questione, anzi mi ha dato molto; ma non mi bevo nemmeno il sogno americano tutto d’un fiato, ecco.
Ma ne sono sicuro, ed infatti in realtà a veder bene (e si, magari anche conoscendo altre tue recensioni, sono tue quelle dei film di Taylor Sheridan) si capisce che c’è una profondità di giudizio, una conoscenza ed una ricerca della complessità diversa da quella che sembra trasparire dal pezzo. Però ecco, se posso permettermi e di nuovo per quante vale la mia opinione, magari questo t’era venuto meglio in altri articoli, insomma credo che forse un utente meno attento riceva un messaggio diverso da quello che intendevi.
Fermo restando che se il messaggio del film è ” i bianchi hanno fatto tante cose cattive agli indiani, e gli americani attuali non vogliono elaborare la cosa” sicuramente è giusto ma non è più granchè originale, voglio dire “Little big man” è di quasi cinquant’anni fa
La aspettavo. Davvero. Grazie. So long!
Che recensione pazzesca.
A naso mi sa che la bellissima recensione di Darth batte il film 6-0, 6-0. Comunque mi hai fatto venir voglia di vederlo.
Pezzo capolavoro, infatti gli unici veri americani sono gli indiani che nei vecchi western erano sempre i selvaggi e i cattivi, in Full Metal Jacket al contrario degli altri film sulla leva, li nell’addestramento venivano disumanizzate le reclute, il nemico inventato c’era anche in Starshipp Troopers, bei blattoni giganti che stavano li a farsi i fatti loro, nel west i grandi proprietari terrieri assoldavano bande per prendere i terreni dei piccoli allevatori di bestiame, se notate nei film anni ’80 c’era spesso il quartiere che veniva gestito da bande pagate dai ricconi per fare scendere i prezzi delle case (Robocop, Ritorno al Futuro parte 2) proprio una guerra del territorio.
Infatti in America esiste ancora il cacciatore di taglie più west moderno di cosi.
La politica americana si basa sulla supremazia.
C’era anche una puntata di Black Mirror che sottolineava il concetto della “disumanizzazione indotta” del nemico.
Forse era pure troppo esplicita sul punto- infatti non era una delle migliori.
È sempre un piacere leggere le recensioni di Darth, meglio ancora su un film tosto come hostiles.
D’accordo su tutto, complimenti.
Apro una piccola parentesi riguardo la frase sulla critica americana che ha bocciato il film perché privo di comic relief. Triste ma vero. Per gli americani ormai ridere tutto il tempo è diventata una necessità per quanto riguarda tutti quei film che si pongono l’obiettivo di intrattenere, trasformando tristemente quasi tutti i film di genere in variazioni della commedia . Commedia horror, commedia action, commedia scifi e via dicendo.
Ho visto finalmente Mile 22, assoluta bomba atomica per me, poi ho aperto l’Internet e ho scoperto che è stato massacrato da pubblico e CRItica per motivi inspiegabili se non appunto la (da me graditissima) assenza di umorismo.
Ti distrai un attimo e ti trovi Wu Ming a scrivere recensioni sui 400 calci
Eh “un attimo” durato 8-9 anni, tipo.
E comunque con Wu Ming non ho nulla a che spartire, in vari sensi. Saluti.
Bhe però anche se non li apprezzi ti consiglio manituana.
Manituana è bellissimo.
articolo interessantissimo (guarderò il film, ma penso la recensione apra già un sacco di spunti interessanti). grazie.
segnalo due piccoli typo:
– si occupano di “civilizzare” i selvaggi [con?] tagli di capelli […]
– che il messaggio dell’amicizia [che?] oltrepassa le divisioni è banale […]
Darth è sempre un piacere riscoprire leggendoti la profondità delle tue interpretazioni.
lo avevo nel radar da un po’ ma poi mi è completamente sfuggito. Ma quindi Scott Cooper sta migliorando? Out of the Furnace era un po’ meh e Black Mass una cagata incredibile.
Bale nel west, troppi ricordi: penso a Yuma e sospiro. In più ha pure i baffoni, direi che è un sì
black mass non l’ho visto ma rispetto ad out of the furnace non c’è proprio paragone, questo è molto più diretto e asciutto, mille volte meglio.
@reverendo in virtù della nostra comune lunga militanza qua nei commenti, ti regalo la mia rece no spoiler di black mass: un gangster movie dove uccidono solo 3 persone di cui una off screen
Bellissime parole, Ruben
@Steven: a proposito di Yuma, in cui anche lì c’era Ben Foster, quando in Hostiles lui e Bale si incontrano, si salutano con un cenno e uno sguardo da “tò, anche tu qui”.
Film importante e recensione impeccabile, come ci ha abituato il buon Darth.
Io l’ho visto, m’é anche piaciuto, però alle volte un po’ troppo lento.
Non pretendo che ogni film abbia il ritmo di Soldato o Alien (ieri mi sono visto Il Mistero della Casa del Tempo), ma questo é davvero lento.
Tra l’altro, come sottotitolo io e gli amici gli abbiamo dato: un viaggio pieno di disgrazie.
Alla fine mancavano solo gli esattori delle tasse e avremmo fatto tombola!
“Ciò che gli uomini pensano della guerra non ha importanza, disse il giudice. La guerra perdura nel tempo. Tanto varrebbe chiedere agli uomini cosa pensano della pietra. La guerra c’è sempre stata. Prima che nascesse l’uomo, la guerra lo aspettava. Il mestiere per eccellenza attendeva il suo professionista per eccellenza. Così era e così sarà. Così e non diversamente” scriveva Cormac McCarthy in ‘Meridiano di sangue’, forse la migliore opera di letteratura western mai scritta sinora. E così è, in effetti. Il quadretto bucolico messo in scena da Hostiles crolla miseramente quando lo si consideri nella sua oggettività e non dal punto di vista del protagonista che il regista necessariamente forza nello spettatore. Troppo facile dividere indiani Comanche cattivi e indiani Apache buoni, troppo facile assegnare un valore morale positivo a tutti i personaggi per cui la platea deve fare il tifo e condannare all’inferno gli altri senza appello. Hostiles è un film profondamente manicheo, in cui la finta evoluzione del protagonista lo porta dall’odio più feroce al sincero rispetto nel giro di una scampagnata a beneficio ed edificazione del pubblico. La brutale verità sarebbe forse più vicina all’affermazione dell’esigenza di sopravvivere che non risparmia nessuno e scaglia gli uni contro gli altri senza distinzione di razza colore o religione; ma questo è cinema, non la realtà, e una volta che la lezioncina ha terminato di lasciare il tempo che trova, rimane un cinema piuttosto godibile. Il triste intermezzo di Black Mass dimostra che Cooper funziona molto meglio quando viene lasciato libero di scrivere le proprie sceneggiature; Christian Bale ci mette il mestiere, forse calcando un filo troppo la mano, il resto del cast non sfigura al paragone. Direi un bel 7.
Gran bel film che paga un errore di marketing. Fosse uscito un mese o due dopo e lo avessero venduto come il film dove timothee chalamet muore male sbancavano..
Non ho ancora visto il film, ma mi accodo su “gli americani e la loro storia discutibile”.
Per dire, con una mia amica americana ci siamo messi un giorno a parlare di guerra. Io le ho fatto notare pacificamente che anche gli americani commisero errori, e lei si incazzò. Disse che non avevo diritto di dire certe cose. Poi le chiesi della bomba atomica, e rimase interdetta. Dopo qualche minuto disse: “ma era una bomba tedesca”.
Comunque anche oggi, per quanto riguarda i nativi americani, non è che sia cambiato molto: gli americani giocano a salviamo la minoranza più in vista del momento, ma nessun nativo viene mai citato. Neanche i cosiddetti americani liberal riescono a fare vera autocritica.
Ora mi fai sentire in colpa per essere andato al cinema a vedere Jumanji.
Molto bene, giusto così
Questo film mi ricorda The Homesman di e con Tommy Lee Jones e Hilary Swank. Un film in cui il mito del western viene fatto a pezzettini e come ci viene mostrato invece come la vita nel west fosse durissima, senza legge e civilta’.
Altro che mito, che indiani, era na mmmerda.
Penso che lo vedro’, solo solo perche’ c’e’ la sciroccata di Gone Girl, che per me e’ un’attrice IMMENSA
Visto. Molto bello, e soprattutto lascia qualcosa, non di dimentica facilmente pur essendo asciutto e privo di scene iconiche o frasi ad effetto.
Buon Bale e grandissima Rosamund Pike. Fierissimo il capo indiano, dal profilo davvero nobile e azzeccato.
Gran film.
Dispiace che sia sottovalutato.
Ho finalmente visto il film. chiedo a Darth qual è l’accuratezza storica non accurata? chiedo perché voglio sapè.
al di là delle parti che gridano “scusa” e “siamo tutti in fondo in fondo cattivi” è un buon film. molto asciutto. certo ci si lamenta dei dialoghi ma non potevano sfrecciare con le automobili per le praterie del montana pur di arrivare dopo la prima mezzora.
Per me, filmone. E, onestamente, farei interpretare a Bale western fino alla fine dei suoi giorni.