
Spanciarsi dalle risate.
Eccone un altro! L’infinita saga afferente all’Universo Cinematografico dei Mostri che Ritornano con un Reboot si arricchisce di un nuovo affascinante capitolo! Questa volta tocca a Leprechaun Returns, il capitolo numero [conta sulle dita] otto, o forse sette perché il precedente era un reboot totale che è già stato dimenticato e azzerato a sua volta, o magari due perché, come già successo di recente con Halloween, anche il film di Steven Kostanski prende le mosse dal finale dell’originale ed elimina dal canone tutto quello che è successo nei sequel, ivi compreso il fatto che il quarto film si svolgeva nello spazio, il capitolo numero qualcosa di un franchise nato negli anni Novanta da un’idea di Mark Jones.
«Un momento, hai detto Steven Kostanski?». Sì, l’ho detto! È proprio lui, l’uomo che ci ha già regalato The Void, Father’s Day, quel capolavoro di Manborg, siamo insomma dalle parti di “il nuovo Puppet Master lo scrive Craig S. Zahler“, una scelta che già sulla carta fa tornare il sorriso e la speranza e promette qualcosa di speciale anche in un contesto di riciclo di idee di vent’anni fa. Kostanski si è finora fatto un nome per la sua straordinaria capacità di aggiornare e dare un tocco personale a opere altrimenti vecchissime nella concezione e nell’esecuzione, di far passare la nostalgia per classicismo; è l’uomo che per un’ora e mezza non ti fa rimpiangere i tempi in cui Carpenter faceva ancora film perché lui stesso fa film che sembrano usciti dai tempi in cui Carpenter faceva ancora film, e li fa come se allora anche lui fosse stato uno dei grandi.

«Uh?».
Con Leprechaun Returns Kostanski aveva vita facile, e contemporaneamente un compito improbo. Voglio dire che la saga finora è più famosa per aver lanciato la carriera di Jennifer Aniston e perché il cattivo è stato Warwick Davis in sei film su otto che per i suoi indiscutibili valori cinematografici: non si tratta di proseguire una tradizione di impeccabile qualità ma di approfittare del momento storico e di sfruttare un franchise per fare qualcosa di personale e interessante, per dimostrare che anche gli edifici narrativi più semplici possono venire abbelliti dal sapiente uso di sangue, budella e qualche bella intuizione visiva.
È, insomma, la prima volta che Kostanski si trova per le mani non un materiale già esplosivo da declinare a piacere appoggiandocisi con lascivia, ma “un film”, senza nessuna vera qualità intrinseca e dunque da elevare in qualche modo partendo da zero. Father’s Day era “un film della Troma da rifare per l’epoca moderna”, e gli è venuto benissimo. Manborg era una sinfonia quasi psichedelica nella quale tutto (design, sceneggiatura, attori, luci, suoni e colori) era fuori posto se preso singolarmente e perfetto nell’insieme. The Void un’ottima carpenterata, ma anche il primo film nel quale Kostanski dimostrava un po’ di stanchezza, o comunque di pigrizia nell’affidarsi agli originali e all’effetto nostalgia a scapito dell’idea nuova.
Leprechaun Returns è, ahinoi, un ulteriore passo avanti lungo la strada della normalizzazione e della cieca aderenza ai modelli. Non è ancora “il suo disastro” o una fotocopia di mille altri film, ha qualche spunto divertente e azzecca un paio di scelte decisive, ma è, più di ogni altra sua opera precedente, una copia senza troppa personalità di quello che è venuto prima. E, per lo stupore di nessuno, non ci sono né Jennifer Aniston né Warwick Davis. Sigla!
Non ci sono perché a lei non gliene frega un cazzo, ma talmente un cazzo che l’unica cosa che le era richiesta per il film era recitare un paio di frasi al telefono, neanche mostrare la fazza, e lei ha comunque detto di no al punto che Kostanski ha dovuto ingaggiare una tizia con la voce simile per imitarla. Davis invece è diventato padre e da quando ha dei bimbini ha capito che l’horror non fa più per lui – il che peraltro immagino significhi che non vedremo mai neanche un sequel di Skinned Deep. Solo Mark Holton, che nel 1988 si fece conoscere dal mondo intero per il ruolo di “lo spettatore che urla «è Enrico Pallazzo!» in Una pallottola spuntata“, ha accettato di tornare per dare continuità a una storia che, nella migliore delle tradizioni horror, comincia 25 anni dopo il finale del primo film, e vede come protagonista la figlia di Jennifer Aniston.
Non quella vera che tra l’altro non esiste, quella della finzione. Leprechaun finiva con Jennifer Aniston e i suoi amici che bruciavano vivo Warwick Davis nel giardino della loro frat house e lo gettavano in un pozzo, e Leprechaun Returns si apre con la figlia di Jennifer Aniston che si trasferisce nella frat house della mamma nel cui giardino c’è un pozzo tutto bruciato. Tutta la casa in realtà è messa di merda fatiscente, e infatti Lila e le sue amiche ci si sono trasferite per rimetterla in piedi e renderla energeticamente indipendente, così da andare off the grid e vivere da vere Waldo a un paio di chilometri dal campus della loro università.

Che ovviamente è una scusa per prendere tre o quattro ragazze carine, vestirle (poco) in canotta e pantaloncini e farle rotolare nel fango in nome della sostenibilità ambientale.
In ossequio ai classici ai quali si ispira, Leprechaun Returns popola così il suo film, e la casa nella e intorno alla quale si svolge, di maschere carnevalesche da film horror: la Nera Sassy, la Mora Nevrotica, la Bionda Sfasciata (non nella foto) e la Final Girl. Non è neanche più una questione di sessismo o misoginia (quella è tutta concentrata nel mostro di turno, che quando apre bocca tre volte su quattro è per fare una battuta a sfondo sessuale), è una scorciatoia di scrittura che si allarga anche ai rappresentanti del genere maschile che vengono coinvolti nella faccenda, e che sono due: c’è il Maschio Alfa (grosso, sfacciato, ormonato e irresponsabile, si fa la Nera Sassy nonostante lei, che è molto più intelligente di lui, sotto sotto lo disprezzi) e c’è il Maschio Beta (magrolino, filmmaker, timido e gentile, non si fa nessuna). È tutto talmente già visto che sembra un bigino, o un’operazione altamente teorica se uno volesse azzardare letture non supportate da dati di fatto.
A onor del vero, Kostanski e il suo cast fanno l’impossibile per dare energia a un materiale così scolastico. Final Girl in particolare, qui nel ruolo di “Taylor Spreitler“, si carica il film sulle spalle dal primo minuto, forse anche prima: in quanto Final Girl è classicamente timida, asessuata e un po’ fuori dalla realtà, ma l’idea che lo sia non per principio ma perché ha passato tutta la sua vita a prendersi cura della madre (che, ricordo, è Jennifer Aniston) che tutti credevano pazza perché raccontava di essere stata perseguitata da un leprecauno è vincente, perché la mette automaticamente nella posizione di stupirsi solo fino a un certo punto all’arrivo del mostro, e di diventare poi quella proattiva ed eroica non per grazia ricevuta ma per meriti conquistati sul campo.

«Seh vabbe’ gni gni gni lalala».
In più c’è che Taylor Spreitler è molto in parte, e perfetta nell’alternare i registri seguendo le montagne russe della sceneggiatura, che non rinuncia mai al tocco comico neanche nelle sequenze più splatter e che le richiede spesso di passare da scream queen a battutista e ritorno nel giro di pochi secondi. È ottimamente supportata in questo dalle sue tre amiche, un po’ meno dai suoi due amici che sono due bellissimi esemplari di tonno insuperabile con pochissimo da dire su tutti i livelli, ed è aiutata dal fatto che la parte comedy di questa horror comedy è scritta con i tempi giusti e un discreto brio.
Ora, in ossequio alle regole della retorica, dovrebbe arrivare il momento del “ma”, tipo “peccato che tutto questo perda di valore nel momento in cui la parte horror di questa horror comedy è scritta e girata male” o qualcosa di simile. In realtà non è vero neanche questo, cioè: Kostanski fa bene i compiti anche quando si tratta di massacrare gente, inscena un’ottima sequenza di (pochi ma buoni) omicidi molto creativi e visivamente soddisfacenti, ci regala tanti tanti bellissimi effetti speciali pratici pieni di frattaglie interiora budella pappa di pomodoro e muco verde, conferma di avere un buon occhio per l’azione e un gran gusto per le sorprese e i bubusette che non scade mai nella sindrome del jump scare gratuito…

Fun fact: il leprecauno è interpretato in questo film dal Jimmy Bobo onorario Linden Porco.
E allora cosa c’è che non va? Niente in realtà, è solo che non c’è nulla che vada abbastanza. Voglio dire che se a Valverde dessimo i voti ai film qui saremmo dalle parti del 6/6,5, una decisa sufficienza (e sicuramente il miglior Leprechaun dai tempi del primo) adatta a riempire una serata spensierata e poco altro; manca il vero guizzo, la mossa sovversiva, qualcosa che stacchi Leprechaun Returns dal muro e lo trasformi da “decalcomania di un passato glorioso” in “oggetto tridimensionale”. È tutto giusto e a orologeria ai confini con l’algoritmico, divertimento sì ma un po’ monotono e prevedibile, tanto che a spezzare il ritmo c’è solo una clamorosa sequenza che include Mark Holton che, tra le altre cose, mima l’intera trama del primo capitolo, un momento quasi casuale e completamente delirante che per un paio di minuti ci fa credere che ci sia un altro film molto più interessante e anarchico dietro questa maschera di formalismo estremo.
Che poi sono un po’ tutte menate, cioè, se dovessi valutare il film con serenità e spirito critico non potrei che scrivere robe tipo “un solido slasher con il mostro, violento, ironico e sanguinario al punto giusto, tre teschietti su cinque” o puttanate simili. Ma per affetto, stima e speranze riposte non riesco a non pensare che a questo giro Steven Kostanski si sia accontentato del minimo sindacale e abbia lasciato agli altri (alle altre in realtà) il compito di aggiungere un po’ di sale. Che l’abbia portata a casa dai dai dai e si sia fatto sfuggire l’occasione per lasciare il segno su quella che a conti fatti è solo un’inutile operazione nostalgia. Che possa fare di più che farsi pagare le bollette da SyFy, e che lo aspettiamo con il suo prossimo film, sempre fiduciosi ma un po’ irritati.

«Meh».
DVD limerick suggerito:
«There’s a guy who makes great horror movies
Full of gore, tentacles, boobies
Now the leprechaun’s back
Is Steven a hack?!
I hope not, but this shit’s just not groovy»
Amici, che bello il lunedì mattina!
Ho talmente sonno che ho letto “passare da scream queen a batistuta nel giro di pochi secondi”.
Pallazzo dopo, prima ancora Mark Holton si era manifestato al mondo come ciccione nell’unico vero Teen Wolf.
Occazzo.
Grazie della segnalazione, mi era sfuggito.
Poco male eh, il senso del discorso sulla sua triste carriera rimane intatto.
Se hai urlato «è Enrico Pallazzo!» hai avuto una carriera cinematografica invidiabile, indipendentemente dagli altri ingaggi.
recensite quella bomba acida di POLAR stronzoni, invece di perdere tempo con ste porcate su.
è su netlix.
Sinceramente anch’io mi aspettavo la rece di POLAR. Uno dei film più 400esco visto negli ultimi tempi.
State calmissimi
Io non so bene quale capitolo vidi a suo tempo o forse lo confondo con suo cugino Rumpelstilskin, la versione horror ovviamente non uno spin off di Schreck.
Davvero interessante :) Grazie
A chi chiede la rece di Polar: il juke box è nella stanza di fianco, ocio che accetta solo i due euro e non dà resto.