“Salve, sono Drew Pearce. Forse vi ricorderete di me come l’ideatore del soggetto di Mission Impossible: Rogue Nation, o il co-autore insieme a Shane Black della sceneggiatura di Iron Man 3 o come script doctor delle prime stesure di Pacific Rim e Godzilla. Quest’anno ho anche esordito come regista con Hotel Artemis, che mi sono scritto da solo”.
“Drew, sono il tuo analista. So chi sei, non devi presentarti ogni volta. Ma senti, Shane Black è così simpa come lo descrivono?”
“È il più simpatico di tutti, ha uno strano feticcio per le rape rosse – dice che gli ricordano molto Bruce Willis quando si agita – e sotto Natale organizza feste incredibili. Ma vede? È proprio questo il problema. Vorrei avere anch’io un sacco di personalità. Vorrei essere in grado di scrivere dialoghi ficcanti e originali come quelli di Shane Black, e inserirli con naturalezza in una struttura narrativa complessa ma che scorre liscia come l’olio. Vorrei che fosse il suo analista a chiedere a lui se sono io quello simpa. In alternativa vorrei il carisma o le ex mogli di Bruce Willis. Mi accontento anche delle proprietà rimineralizzanti della rapa rossa. Che poi alla fine, anche se non se l’è cagato nessuno, Hotel Artemis era un film importante. C’avevo Jodie Foster, Jeff Goldblum, le rivolte per l’acqua potabile, le botte, il passato triste traumatico e misterioso, il futuro distopico, Dave Bautista tenero ed enorme, Zachary Quinto inquartato. Quinto che si inquarta, capito a che livello di raffinatezza meta siamo? E Sofia Boutella. Per dio, avevo Sofia Boutella. Perché nessuno mi calcola? Perché pensano tutti a Shane Black?”
“Scusa, non ti stavo ascoltando. Leggevo di Shane Black. Sai che è andato al college con Tim Robbins? Va bene, ora però cominciamo la sessione. Giù pantaloni e mutande, piegati in avanti”
“Continuo a non essere convinto della sua doppia specializzazione in psicoterapia e proctologia”
“Non mi faccio mettere in discussione da uno sceneggiatore che usa aggettivi come ‘ficcante’”.
Sigla!
Sapevo molto poco di Hotel Artemis, prima di vederlo. Avevo in mente solamente il titolo, che pare quello di uno spinoff non autorizzato di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo, e un trailer che urlava fortissimo “Originale Netflix tratto da un graphic novel di cui non hai mai sentito parlare”. Nessuna delle due deduzioni si è, fortunatamente, rivelata corretta. Anzi, per la maggior parte del tempo l’esordio alla regia di un lungometraggio dello scozzese Drew Pearce è un giocattolone bello divertente. Uno di quelli con cui ti trastulli volentieri se non devi investirci dei soldi. Tipo Trivial Pursuit, che è spassoso quando lo trovi in casa altrui e proponi di giocarci perché sai di essere con persone che finiranno a discutere della condotta sui social di Salvini e delle disastrose idiosincrasie interne al PD. Poi però Hotel Artemis arriva a quel punto in cui svela di essere costruito attorno al METAFORONE e non è che tutto d’un tratto diventi brutto, ma il tuo giudizio nei suoi confronti si aggiusta nello stesso modo in cui si aggiusta quello su Trivial Pursuit quando, succede tutte le volte con la prima domanda di Storia, capisci che è un gioco che sta tentando di insegnarti qualcosa. Avessi voluto imparare le cose avrei finito le medie, porcogiuda.
La storia è quella di Jodie Foster nei panni di una signora ansiosa e ingrigita che, nella Los Angeles del 2028 governata manu militari dalle multinazionali e sotto il costante assedio di sommosse popolari che protestano la privatizzazione dell’acqua, gestisce l’Hotel Artemis, quello che in gergo da malfattore viene chiamata una dark room. No, Jodie Foster non fa la maîtresse in un locale per scambisti, bensì è un medico che accoglie, garantendo anonimato e protezione totali, malviventi che richiedono cure urgenti. A darle una mano c’è l’operatore socio-sanitario più enorme che la storia ricordi, un Dave Bautista correttamente ribattezzato Everest, e tanto basta per tenere a bada assassini, ladri e trafficanti d’armi di passaggio. Jodie Foster, che non mette il naso fuori dal finto hotel da 22 anni (dalla tragica morte del figlio tossicodipendente) gestisce la sua clinica seguendo rigidamente un decalogo di regole da lei stessa redatto, ché in tempi difficili e in ambienti criminali la disciplina è l’unica cosa che separa l’uomo dalla bestia, e l’uomo vivo dall’uomo morto. Succede tutto in una notte, anche se non è quella di Natale. All’Hotel Artemis si registrano Sterling K. Brown, che si trascina dietro un fratello in fin di vita in seguito a una rapina andata a mario, e la killer prezzolata Sofia Boutella in abito da sera con una pallottola nell’avambraccio sinistro. Mentre all’esterno infiamma la più violenta rivolta nella storia di Los Angeles, un titolo di tutto rispetto, Jodie Foster deve fare i conti anche con l’imprevisto arrivo di Jeff Goldblum – unico azionista dell’Artemis e ultra potente boss della malavita losangelina, meglio conosciuto come il re dei Lupi – e con la richiesta di soccorso di una poliziotta, vecchia conoscenza rigurgitata da una vita precedente, rimasta ferita durante gli scontri. Le premesse sono buone per mandare tutto a catafascio e far finire l’intrigo a pugni in faccia e a bisturi volanti.
Quindi ci sono almeno due livelli di lettura per Hotel Artemis. Quello letterale, e in questo caso il film di Pearce si rivela un discreto esercizio di stile come thriller/noir distopico che si svolge rispettando le unità di luogo e tempo. E quello metaforico, di cui è difficile parlare senza spoiler non richiesti, che racconta la lunga incubazione di un senso di colpa e l’autoimposta prigionia mentale (allegoricamente trasformata in tangibile) che ne consegue. L’Hotel Artemis è il carcere a cui Jodie Foster si è ingiustamente condannata, le botte menate da Bautista e Boutella sono il faticoso contrappasso per potersi liberare dei metaforici secondini e fuggire dalla metaforica cella. Ed è un’idea che va più che bene (anche se nella pratica si risolve in maniera a tratti scolastica e prevedibile) se serve a convincere Jodie Foster a interpretare quella che è brava a recitare e Jeff Goldblum a fare Jeff Goldblum: fanno sempre comodo, in un film di menare, un’attrice due volte premio Oscar e un Jeff Goldblum una volta candidato all’Oscar – nomination che, con un twist decisamente jeffgoldblumesco, non gli è stata data per la recitazione, bensì per la regia di un cortometraggio. Però ci vuole una gran sensibilità nei polpastrelli cinematografici e un occhio importante per i dettagli e le sfumature se vuoi davvero prendere l’impianto narrativo stereotipato del fumetto – personaggi impossibili e straordinari, stilizzati con due pennellate in croce: la letale assassina francese, il geniale ladro che ha sempre un piano ma è affossato dal fratello tossico, l’enorme e leale e in fondo saggia spalla – e usarlo come impalcatura per una metafora sulle prigioni mentali in cui ci rinchiudiamo per difenderci dai traumi. Altrimenti ti viene fuori un pastrocchio tipo Sucker Punch. Fortunatamente Hotel Artemis scampa alla brutta malattia del prendersi troppo sul serio grazie alla quota calciante del cast. Bautista e Boutella, che dovrebbero immediatamente mettere su famiglia e fare tantissimi bambini che si chiamano Coso o Cosa Bautella Boutista, sono stati assunti da Pearce per fare il lavoro sporco, per menare le mani, spaccare ossa e incidere carni, e lo fanno con la giusta fierezza e una presenza scenica salvifica per il film. Lei conferma, e al terzo indizio dopo Atomica bionda e Kingsman – Il cerchio d’oro diventa ufficialmente una prova da inscrivere nella costituzione di Val Verde, di essere una sacerdotessa della violenza filmica da venerare. Lui dimostra ancora una volta di essere uno dei corpi più mostruosamente cinematografici dei nostri tempi calcianti, attaccato a una testa funzionante e in grado di dare personalità diversa a ogni ruolo da montagna di muscoli che gli viene appioppato.
DVD quote:
«I calci salvano le vite e anche qualche film»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
Se siete fan di Sofia Boutella, come si evince dalla splendida recensione, suggerisco di vedere Climax di Gaspar Noé.
https://vengonofuoridallefottutepareti.wordpress.com/2018/10/21/climax-un-trip-di-lsd/
Se siete fan della rapa rossa, suggerisco un buon fruttivendolo!
Sam hai fatto il commento ch3 avrei fatto anche io.
Ma quanto è bella la boutella?
Direi parecchio bella, in qualunque film la veda mi impressiona sempre un sacco!
Giuro che vedendo quell’immagine della Boutella ho pensato fortissimo ad Elektra
Sucker Punch è un fottuto capolavoro, amico.
Tu e tutto il resto del mondo non avete capito un cazzo.
Meno male che IO sì.
Siamo in due ad apprezzarlo.
Tre
Grazie a voi ho scoperto la verità su quella figata di Sucker Punch e la programmazione Monarch, anche se in realtà stavo meglio prima.
mi accodo…nella.sua follia ha il suo perché
Scusa Toshiro, ma alla fine sembra che l’unica critica da muovere a questo film è che non è stato scritto da Shane Black…
Me lo presenti male ma poi me lo vendi bene…
Quoto. Anch’io leggendo l’incipit pensavo ad una cagata fumante e invece mi sa che devo recuperarlo.
Comunque qui sui calci avreste dovuto mettere il capcha
SI SONO UN ROBOT
Anna ti lovvo platonicamente come si lovvano platonicamente i robot.
(Ma meno di quanto lovverei la boutella in qualunque modo)
…anzi,qual’è la fila per farsi picchiare da lei?
UNA pizza dalla Boutella al mattino è sempre bella, ma quando la Boutella vien di sera, una fracca di botte in fazza di spera.
Boutella : pura poesia di menare.
Spero via sia più Boutella in futuro.
Che mondo sarebbe senza Boutella? (scusate, qualcuno doveva dirla)
Ma i pensieri troppo dolci su di lei possono far male, la Boutella non è Nutella
Boutello Bautista il primo maschietto
Bautista Boutella la prima femminuccia
Gli altri fratellini: Batista, Bomb, Nutella, Bella, tutti col doppio cognome (però Boutella per primo e Bautista per secondo)
Visto in aereo… boh
Avete vagliato la possibilità di un figlio piccolo come la Boutella e bello come Bautista? Però catiiiiivo….
Praticamente Iko Uwais o Tony Jaa.
Visto ieri, a me pare un compitino svolto svogliatamente con dentro tanti clichè che però non risolvono la questione: è un film di menare, è un film distopico, vuole essere entrambi? Alla fine non è nulla di tutto ciò.
il ruolo della Foster è tagliato con l’accetta (neanche ben affilata), Bautista usato meno di quanto bisognerebbe, il personaggio di Charlie Day è insulso (sempre sopra le righe come in Pacific Rim ma senza far ridere), Zachary Quinto pare quello che gioca a NomiCittàAnimali con le Coliche.
L’ho visto con biglietti omaggio e nonostante questo ho avuto forte la sensazione di aver sprecato tempo.
Mah! Giudizio totalmente negativo. si salva solo la Boutella ma perchè è la Boutella
Qualcuno mi spiega come questo film da domenica pomeriggio è stato graziato da un cast della madonna come questo?
al netto del cast…un film tra l’orribile e l’inspiegabile
Arrivo in enorme ritardo, e mi leggo la recensione dopo aver visto l’opera.
Non è un capolavoro, ma non è neanche una schifezza…ha un cast decisamente migliore del film che è, però non lo boccio del tutto.
Si, a volte è un po’ un cliché però io mi son divertito.
Ma se hai Batista devi farlo menare moooolto di più.