C’è stato un tempo in cui ci si trovava una volta a settimana con gli amici, la domenica sera, per un cineforum all’insegna del peggio che riuscivamo a scovare. L’idea era di scoprire i film senza speranza, quei casi di “vorrei ma non posso” talmente clamorosi da meritare una visione. Rigorosamente in compagnia, con una discreta quantità di lattine di birra, popcorn e la necessità di farsi quattro risate catartiche.
Anche in queste situazioni, però, è indispensabile trovare il film giusto. Parafrasando il consiglio dato da Kirk Lazarus a Tugg Speedman in Tropic Thunder, non si può andare full retard, affondare fino alle anche nelle sabbie mobili della BRUTTEZZA, perché poi subentra la noia e non ti diverti più. Ricordo la volta in cui guardammo Turkish Star Wars, sulla carta un sublime concentrato di NO come non si era mai visto prima. In realtà, dopo la prima mezzora di maccosa sparati alla velocità della luce al ritmo della colonna sonora di Indiana Jones, restò solo l’imbarazzante vuoto pneumatico di un film intollerabilmente lungo, piatto e tedioso. Ecco, il film di cui vi parlerò oggi fa esattamente questo: va full retard.
Quando ho scoperto che qualcuno aveva avuto la malsana idea di realizzare un rip-off de Il giustiziere della notte con il sosia ufficiale di Charles Bronson, l’ungherese Robert Bronzi (accreditato come Robert Kovacs, il suo vero nome. Bronzi è una contrazione di, lo avete indovinato, Bronson), sono stato colto da una certa curiosità. Lo ammetto, i film iper-citazionisti che ricostruiscono un determinato genere nello stile e persino nei difetti mi incuriosiscono sempre un po’, anche se sono più spesso vetrine per l’abilità tecnica di un regista che film con un proprio spessore. Una roba tipo The Editor degli Astron-6, che rifà pedissequamente il giallo italiano con tanto di dialoghi doppiati fuori sincrono (perché nelle versioni estere di quei film era così), la trovo divertente la prima volta, ma non mi viene certo voglia di rivederlo. Serve il passo successivo, il passo di Tarantino, per far sì che da un’idea di ricostruzione filologica post-moderna esca un FILM vero e proprio.
Un passo che non tutti sanno fare. Eppure Death Kiss, sulla carta, mi attirava proprio perché lo credevo un’operazione alla Astron-6, da far uscire tra l’altro nell’anno del semi-imbarazzante remake di Death Wish diretto da Eli Roth. E qui lo spazio-tempo si ingarbuglia su se stesso: Roth ha diretto Green Inferno, il perfetto esempio di film iper-citazionista-post-tutto di cui sopra. Ed ecco un pensiero che mi sovviene proprio ora, in questo momento, mentre sto scrivendo questa recensione, e non mi era mai passato per la mente prima: chissà cosa avrebbe combinato Eli Roth se avesse scelto la strada del film iper-citazionista-post-eccetera anziché farsi acchiappare dalle manone di Hollywood. Chissà, poi, cosa ne sarebbe scaturito se Roth avesse avuto a disposizione proprio Mr. Bronzi. Spoiler: probabilmente una roba brutta, ma non tanto quanto Death Kiss.
Elucubrazioni che resteranno sempre e solo tali, perché, ahinoi, Mr. Bronzi – la cui somiglianza con Bronson è effettivamente impressionante – ha invece scelto di farsi dirigere da Rene Perez, stimato autore di classici moderni quali From Hell to the Wild West (sempre con The Bronz), The Punished e It Hungers. Sembrano titoli dell’Asylum, ma non sono prodotti dall’Asylum. In sostanza, Rene Perez (regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia, autore delle musiche e fa anche una signora carbonara) è talmente un cretino del cinema che fa i film per l’Asylum dell’Asylum. Immaginatevi un po’.
Immaginatevi che roba sia Death Kiss, un film diretto da un regista (e sceneggiatore, e montatore, e direttore della fotografia, e autore delle musiche) talmente poco brillante da non essere manco entrato nella scuderia Asylum. Immaginate come possa essere un film d’azione diretto da uno che non è manco capace di dare ritmo a una scena di dialogo campo/controcampo. Cercate di immaginarlo. Perché immaginarlo è sempre meglio che vedere il film.
La trama, che non terrebbe sveglio nemmeno un cocainomane: il nostro viene prima mostrato mentre somministra la sua personale ricetta di giustizia sommaria a un’accozzaglia di poco convincenti e molto generici spacciatori. Poi a un certo punto incappa ne IL PLOT, sotto forma della fregna di turno e di sua figlia, che il giustiziere aiuta economicamente per ragioni ignote, ma che verranno via via rivelate fino a un emozionantissimo* finale in cui il nostro debella i cattivi. In mezzo a tutto questo c’è posto per i rantoli di un deejay alt-right (interpretato da Daniel Baldwin nella sua ora più nera), che dovrebbero fare da contraltare alle azioni del protagonista e invece risultano inevitabilmente didascalici (con perle tipo “Chi mai ci difenderà da tutta questa debordante violenza urbana signoramiah?”, stacco sul Bronzi che passeggia). Specialmente considerando che – SPOILER – alla fine il deejay è in combutta con il Bronzi, dunque ogni minimo accenno di satira politica se ne scende amabilmente per le tubature del water.
Non c’è invece posto, in mezzo a tutto questo ben di dio, per una minima backstory sul protagonista, di cui non sappiamo nemmeno il nome. Poteva essere interessante collegarlo in qualche modo a Paul Kersey, ma evidentemente la paura per l’eventuale causa legale degli eredi di Brian Garfield e della MGM era troppa. Certo, va detto che Death Kiss è ambientato ai giorni nostri, perché una ricostruzione d’epoca sarebbe stata troppo costosa e, molto probabilmente, al di là delle capacità del regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia e autore delle musiche Rene Perez.
In sintesi: un Robert Bronzi sprecatissimo (e doppiatissimo malissimo, per altro) in un film che regala un’esperienza paragonabile al morire lentamente in una cella umida con una goccia che vi martella in fronte. Ma meno divertente!
DVD-quote:
“Il giustiziere della noia”
George Rohmer, i400Calci.com
*scherzo.
Che notevole scoperta il Bronzi!
Non avevo voglia di vederlo prima di leggere la recensione, ma ora ne ho ancora meno!
Ma quindi, non ti è piaciuto?
E’ così evidente?
Tarantino potrebbe trovare 30 modi creativi di utilizzarlo.
praticamente la versione povera degli attori ringiovaniti/ricreati in cgi.
p.s.
sono un robot
L’equivalente ungherese di Charles Bronson non iscritto al sindacato.
alla prima foto mi son detto: “Charles Bronson? Ma pensavo fosse morto! Forse è un film postumo che è stato distribuito anni dopo”. Grazie per avermi fatto evitare la trappola che mi aveva teso una simile spazzatura.
P.S: Ma questo Bronzi è bravo a recitare o la sua sola qualità è essere identico a Charles Bronson?
Ma almeno uno che si firma Robert Bronzi di Riace arriverà prima o poi qui sopra
Sarebbe geniale. Peccato che io abbia scelto già scelto il mio nome, se no l’avrei preso.
Troppo poco un solo accenno alla topona in foto: dicci di più
Ah, quella sarebbe una topona ? Staje mess’ male