Il destino della maggior parte di noi è di diventare il compatto suolo su cui camminerà chi verrà dopo di noi e sul quale questi coltiveranno i ceci. La maggior parte di noi vivrà e morirà senza lasciare un segno duraturo. Vivremo col solo scopo di lasciare la stanza meglio messa possibile per chi verrà dopo. Qualche immagine, i ricordi, gli effetti personali che parleranno di noi al massimo a un paio di generazioni di cari dopo di noi e poi finisce lì; non c’è niente di male, è la vita e va così da sempre. È il sistema che regola le cose, di cui solo noi uomini in natura ci rendiamo conto e che viviamo come un cruccio devastante. Però l’anonimato, lo stare nelle regole che sono state di tutti prima di te, l’obbedire al destino cinico e baro, ci stanno stretti da sempre. Chi ha i mezzi intellettuali per sfidare (con uno stuzzicadenti, beninteso) questo ordine delle cose lo fa con le Arti, le Scienze, le Idee, la creazione come viatico all’immortalità, un passaporto che dovrà comunque essere vagliato dall’esame del Tempo ma che vale il tentativo, visto che altrimenti c’è solo l’oblìo. C’è chi riesce ad accettare questa condizione con dignità, un’epicurea spensieratezza e chi non ci vuole proprio stare.
Questi sono altri Highwaymen ma ve li metto qui a gamba tesa, perché sì.
La mitizzazione del criminale risponde a questa esigenza arcaica ed è una delle costanti del racconto popolare: quello del criminale, assieme a quello del ribelle, è un canovaccio eterno per storie rocambolesche sulle quali l’uomo semplice proietta la sua ansia del destino: il criminale non sta alle regole di questo mondo (o dello Stato) che lo opprime, a questa natura che lo vuole solo essere il compost del futuro. Il criminale è sempre più facilmente affascinante dell’uomo di legge perché ci vende un sogno, quello dell’ineffabilità, che l’archetipo dell’uomo di legge invece cassa per costituzione. Il criminale ci racconta la bugia che ci vogliamo sentir dire, l’uomo di legge ci mette di fronte alle responsabilità delle nostre azioni. Sapere dove fermarsi in questa (anche legittima, dai) fantasia fanciullesca è una responsabilità del pubblico che, ahimé, il mondo contemporaneo ostacola in ogni modo. Siamo pungolati, dal gruppo punk del liceo alla multinazionale, a doverci reputare tutti dei tipi fuori dalle regole, quelli che la non gliela racconti mica, quelli che sono ribelli, quelli che chi segue le regole è noioso se non direttamente un cretino, quelli che “fatti furbo!”, quelli che per noi tutto è speciale perché siamo speciali. E siamo tutti controversi pensatori, “liberi dal pensiero unico”, tutti antieroi, tutti però tragicamente simili nel professare la nostra unicità. Faremmo di tutto per sentirci speciali per qualche attimo.
In questa ricerca spasmodica di figure “fuori dagli schemi” per sentirci noi stessi fuori dagli schemi, l’idolatria dei disonesti è uno dei cascami più deprecabili, quando si arriva a idolatrare i criminali dei film e delle serie televisive, svincolandosi dalla fantasia di Robin Hood e svaccando direttamente nell’elegia dei criminali veri. Ecco: Bonnie e Clyde erano due criminali, due assassini di quelli veri. Protagonisti romanzati di grandi film, di canzoni, ma Bonnie e Clyde rubavano e uccidevano a sangue freddo, pavoneggiandosi nel farlo e venendo pavoneggiati dalla stampa, assurti a idoli popolari di un’America disperata e devastata dalla Grande Depressione, tremendamente ignorante, tenuta assieme a fatica da un governo federale traballante. Un’America che attraverso di loro viveva la fantasia dello sfuggire a quell’ordine delle cose cinico e baro, di evadere da quello stato delle cose e che la stampa peggiore, quella sensazionalistica, romanzò e caricò facendoli diventare i Lupin che non erano. Nella vita reale quando vivi con le tue regole lo stai sempre facendo sulle spalle di povera gente e a volte anche sulla loro pelle, ma questo il popolino che plaude alle gesta dei farabutti non lo pensa, lì per lì vive come una fantasia una drammatica realtà in cui però per le piste ci va in qualche modo lui.
Una delle critiche che ho visto muovere al film di Netflix è che “rovina il mito romantico della coppia criminale” in favore del punto di vista della coppia degli uomini di legge, due ex Texas Ranger in pensione, quei noiosoni con la realtà dei fatti contro il Sogno. Che noia, eh? Oggi, nell’epoca dell’eversione assurta a valore, del sentirsi tutti legittimati a considerarsi un caso a parte e delle verità alternative quando non autoassolutorie, scocciarsi perché un film, dopo decenni di retorica romanzata su una coppia di assassini seriali, si azzarda a darne una versione più aderente alla realtà, lo trovo in qualche modo disturbante. Con buona pace del grande Arthur Penn, al cui bel film dobbiamo tutti molto perché sancì la New Hollywood. Sarà l’età.
Dopo Triple Frontier mi trovo quindi a parlare bene del secondo film Netflix di fila cosa che, non percependo soldi per farlo, mi causa stupore perché fino a l’altroieri è stata un’evenienza molto rara. Highwaymen è un buon film, che ha il merito di evitare tanto di mitizzare (di nuovo, banalmente) i criminali quanto evita di ingigantire gli uomini di legge e fare tramite loro del giustizialismo spicciolo, evitando un gioco delle parti malato e di cui la narrativa statunitense è sovraffollata. La storia si concentra sulle indagini rocambolesche dei due ex Texas Ranger in congedo che coordinarono la battuta di caccia all’uomo più celebre della storia americana, basandosi sui fatti dell’epoca e sui memoir dei due (che a onor del vero sono sempre stati tacciati di tirare un po’ l’acqua al loro mulino). Chi si aspetta una caccia all’uomo serrata e adrenalinica fa prima a passare oltre: Highwaymen è un poliziesco tinto di western che fa dell’antispettacolarità la sua cifra. Lento, lentissimo a volte, fatto di personaggi tanto motivati e pittoreschi quanto stanchi, pieni di difetti e ossessionati, che cacciano dei fantasmi nell’America rurale, dalla polvere alle paludi. Una caccia ossessiva a due spettri che non vengono mai mostrati ma che lasciano morti dietro di sé, idolatrati da una folla demente, ebbra di prurigine e scomposta, fino alla terribile e grottesca danza del rientro delle salme, nel postumo di una delle esecuzioni a sangue freddo più cruente della storia poliziesca statunitense, col compiacimento di un governo federale che finalmente ha il suo pegno di sangue.
In Highwaymen – L’ultima imboscata non ci sono facili eroismi, e non ci sono soluzioni facili all’eternità; ci sta un sacco di povertà, un sacco di solitudine, violenza, alcolismo e i fantasmi della guerra messicana che si insinuano con echi di selvaggio West in un’America ormai urbanizzata ma non del tutto civilizzata, non del tutto uscita dalla mentalità predace della frontiera dei pionieri, ammesso che ne sia mai uscita.
Ci sono sicuramente un Kevin Costner (Frank Hamer) come non lo vedevamo da tempo, tornato alle intensità che gli si addicono, e un Woody Harrelson (Maney Gault) smagliante e luciferino, che getta il guanto di sfida a Mcconaughey a chi parla il texano più stretto, sempre malinconico e biascicante nei fumi dell’alcol. Un film a schiena dritta che sfugge tutte le tentazioni più facili e alle captatio benevolentiae dell’antieroismo per cercare una sua autonomia, che rimette le vicende un po’ più in prospettiva e fa i conti con varie cose scomode degli USA: il ruolo dei media, la fascinazione della violenza, il caos giurisdizionale tra forze di polizia e poteri legislativi. Cose degli anni trenta ma nemmeno troppo, a guardare bene.
DVD-Quote suggerita:
“Un film a schiena dritta”
Darth Von Trier, i400calci.com
Bella recensione, ma non condivido l’argomentazione di fondo: la legge della giungla non è che un articolo nel più ampio codice della natura, lo stesso che fa di tutti noi compostaggio a uso delle generazioni future.
Detto altrimenti, se esistesse una giustizia giusta che si oppone all’iniquità iniqua dei malvagi, ciò potrebbe accadere solo in virtù di un’etica universale che trascenderebbe la bruta materia, sconfessando quindi l’assunto di partenza.
La stessa prospettiva di una morte ineluttabile quanto inutile apre inevitabilmente al nichilismo che spazza via qualsiasi possibilità di trovare un senso morale nelle azioni degli individui: e quindi, chi se ne frega della povera gente?
L’idealizzazione del criminale non è diversa dall’idealizzazione dell’uomo di legge, e tutt’e due stanno a zero di fronte all’orizzonte del vuoto di significato. Dopo tutto, a paragone dell’eternità, che differenza fa morire un anno prima o un anno dopo, per mano di un cancro o di un rapinatore?
innanzitutto non ho parlato di legge della giungla, che aborro.
Parlavo di natura delle cose, non tanto di Natura quindi, bensì di dinamiche dell’umanità ineludibili benché generate da essi stessi e quindi divenute “naturali”.
Sulla Natura poi citi il nichilismo ma ci sarebbe da guardare pure agli stoici greci (a cui Nietzsche pure ha guardato), che al contrario un senso ultimo lo trovavano proprio nella Natura, poi c’è pure Hegel ma è un altro discorso e non è la sede idonea. Tendo domunque a rifuggire una discussione che si basa sulla legge della giungla perché è una selva di slippery slope e comunque non sussistente nella realtà dei fatti.
Nella Natura etologica che citi tu, comunque, le specie non si massacrano tra di loro abitualmente, per profitto, e se devo trovare una cosa auspicabile nella sovrapposizione dei modelli è (in senso lato) l’equilibrio con cui creazione e distruzione avvengono. In virtù di questo equilibrio “l’uomo di Legge” si contrappone al “criminale” e quindi, a ben vedere, la sua è una funzione “naturale” all’interno del nostro sistema.
Per il resto, nonostante le sue imperfezioni e la sua mutevolezza, continuo a preferire la legge degli uomini alla legge della giungla, come spero chiunque ci legga. Come dico nel pezzo ci sono dei motivi per empatizzare (in narrativa) con il criminale e altri per l’uomo di legge, a volte anche a turno, perché rispondono ad ambizioni e frustrazioni eterne e umanissime. Uscire dalla fantasia dello “sfuggire alle regole” e fare dell’assassino, reale, un idolo su cui proiettare il tuo scontento per come vanno le cose è un’altra cosa. Perché è questo, di sottofondo, uno dei temi portanti del film.
È tutto nella faccia sgomenta di Costner quando vede la sfilata dei cadaveri con la folla che cerca di strapparne dei pezzi, per souvenir. Vale la pena quella scia di morte per arrivare a una macabra parata in cui si strappano pezzi di due ragazzetti, già dilaniati dalle pallottole? Per coccolare il sogno meschinetto di poter essere al di sopra degli altri? Non credo.
Saluti.
Buongiorno Darth,
mi aggiungo su questa risposta per complimentarmi, invece, per la bellissima recensione.
Detesto i film retorici e leccaculi che difendono i regimi e i valori tradizionali, ma purtroppo è inevitabile che ogni film si fondi su un’etica, e sinceramente anche io inizio a essere disturbato da questi film che sto iniziando a vedere (anche su Netflix, per inciso), che invece esaltano un’etica e una morale insostenibile per una società civile: roba che porta acqua solo al mulino di chi grida “SvegliaAA!1!”, ma senza visione d’insieme, e soprattutto senza una vera critica concreta al sistema.
Per questo sono rimasto colpito dal taglio dato dalla tua recensione: condivido la tesi, e ho considerato molto interessante il punto di vista!
Non so se mi è piaciuta di più la recensione (splendida) o questo commento, del quale condivido anche la punteggiatura.
La legge è necessaria affinchè la società persista e vada avanti (ovvero “lasciare la stanza almeno messa bene come l’abbiamo trovata”), anche e soprattutto perchè la legge naturale la nostra specie, essendo senziente, non la rispetta da tempo, e non può rispettarla.
Per cui ha bisogno di proprie regole che, non volendo vivere in una società teocratica (anche perchè quale Dio scegliere?), non possono essere che quelle ritenute giuste dalla maggioranza. Come diceva Churchill, la democrazia è il peggiore dei sistemi possibili eccettuati tutti gli altri. E queste regole è bello sognare di infrangerle, ma alla fine è necessario rispettarle
Ero dubbioso in quanto Netflix.. Mi attirava per gli attori più che altro (Kevin Costner era già ritornato alla grande con yellowstone). Comunque (parere personale) ho capito cosa ti era piaciuto di triple frontier e condivido, però i difetti sono proporzionali ai pregi. Direi un 50/50.spero che Highwaymen sia meglio
Non sono d’accordo col tuo incipit: “ciò che facciamo in vita risuona per l’eternità”
No.
La maggioranza di noi vive e muore senza lasciare nulla di rilevante. E va bene così, è ok.
Se l’oblio però ti spaventa tanto allora adoperati per lasciare qualcosa di sensato ai tuoi posteri, sperando che sopravviva al Tempo… Sai quanti gladiatori sono morti dopo un’eccellente carriera senza lasciare memoria di sé? Il tempo li ha ingoiati, loro e i loro record che sembravano eterni, allora.
Almeno fatti fare una bella lapide in pietra dura, un mosaico pure. Molti dei gladiatori che ricordiamo li ricordiamo per quelle cose lì. Ma in fondo, quando le guardiamo, guardiamo più loro o l’artista, seppure anonimo, che le creò? Meglio l’arte dell’arena, forse.
Saluti.
Esiste, purtroppo, la via di Etostrato (distruggo qualcosa di importante, un Tempio, Due Torri… così le cronache dovranno riportare, nel racconto dell’evento, anche il mio nome) e temo che a qualche livello stia prendendo popolarità – almeno, sotto sotto è il motivo con cui mi sono spiegato il terrorismo di questi anni.
Film che ho li’ da vedere da un pezzo senza decidermi a farlo. Ma dopo questa recensione non vedo l’ora.
Con una rece così di livello, il film è venduto (metaforicamente parlando, trattandosi di abbonamento). Nella mia personale esperienza con i film originali Netflix mi sembra che il livello stia leggermente salendo da “poverata noiosa” a “piacevole puttanata” (The Dirt, Polar, Triple Frontier), magari con questo si fa un salto ulteriore. Non penso comunque che la piattaforma streaming sia una vera minaccia per il Cinema, anzi la limitatezza di budget è un’opportunità per ripartire a raccontare storie con buone sceneggiature e idee solide in un’epoca in cui i film di successo al cinema puntano sul Larger Than Life e una facile riconoscibilità del brand. So che si aprirebbe una discussione enorme, ma in sintesi penso che i due mondi (sala+servizio online) rimarranno per coesistere.
Recensione che fomenta non poco!
Toccherà andarlo a vedere
(ovviamente a casa dell’amico che ci ha Netflix)
Comunque va detto che, anche se l’immaginario collettivo ha finito per attribuirgli quell’aura romantica (e quindi nel discorso dell’articolo ci sta la citazione), “Gangster Story” di Penn era un film tutt’altro che romantico e elegiaco. Anzi, la novita’ del film stava proprio nel descrivere i due celebri criminali spogliandoli dal mito, mostrandoli come due disperati un po’ tardi, infantilmente incapaci di comprendere la violenza e le conseguenze dei loro atti. La simpatia del pubblico nei loro confronti scattava solo perche’ erano immersi in un mondo infinitamente piu’ spietato e miserabile di loro. Poi il mega-successo, il revival anni 30 che il film scateno’, e Beatty e la Dunaway diventati due divi ultra-glamour hanno in un qualche modo cambiato la natura originale del film.
Mi aggiungo con tommaso a quelli che ‘sto film l’avrebbero ignorato ma, folgorati da recensione tanto ispirata, lo guarderanno
@Darth: in confronto all’eternità, un’ora in più è “sempre” meglio di un’ora in meno ;)
Un film netflix ottimo, finalmente, senza se e senza ma (ma con 2 attoroni in gran spolvero)
Oh finalmente un film Netflix senza pretese autoriali! Mi sembra sempre che Netflix, compreso Triple Frontier, voglia aggiungere ciccia per far passare un film lineare, basico, in un film d’autore, anche quando non c’è proprio il materiale di partenza. Tipo il film con Gyllenhall, l’altro di Susan Bier o quello di Jeremy Saulnier (che pure pareva un buon soggetto). Pefino Sodebergh si è rincoglionito appresso a Netflix tirando fuori il suo film peggiore in 30 anni di carriera. Questo almeno vuole raccontare una cosa specifica, non si perde in altro, non eccede mai e porta a casa un risultato dignitoso, medio ma non mediocre. L’unico vero filmone originale Netflix che c’è è Into the inferno, ma Herzog è un’altra categoria.
Comunque Gangster Story è un film a 360 gradi sulla vita e sulla morte, che va molto più in profondità di questo. Questo film è più aderente alla realtà dei fatti, ma alla fin fine c’è meno verità. Ok, il personaggio di Warren Beatty è stata mitizzato, è più romantico, ma credo racconti davvero di più rispetto al poliziotto un po’ tormentato e stanco che è Kevin Kostner.
Film discreto, senza vette particolari.
Grazie Darth. Mi hai venduto un film che addirittura ignoravo con tanto di introduzione filosofica che merita solo cinque altissimi. Recensione molto bella.
Comunque la certificazione che Kostner è nato per ruoli da cowboy o da anni ’30/anni abbastanza nel passato.
Guardato appena uscì grazie al richiamo dei due attori protagonisti, e non c’è che dire: è un film bello e avvincente con un Kevin Costner sorprendente.
Bellissima recensione “filosofica”, Darth, cinque alto.
Una recensione asciutta ed intelligentissima per un film che ho apprezzato tantissimo.
Poi condivido appieno anche il discorso su Triple Frontier, quindi bravo Darth e ancora brava Netflix.
Recensione eccellente che rende perfettamente giustizia ad un prodotto che non è (e non vuol essere) un capolavoro, ma che merita, e che piace a chi lo guarda, con due attoroni strepitosi. Come in tutti i film che raccontano storie “vere” c’è cmq una grossa parte di leggenda (la storia di McNabb è completamente diversa dalla realtà, probabilmente Bonnie Parker non solo non ha mai ucciso nessuno ma forse non ha mai nemmeno sparato un colpo e molto altro) ma in questo caso c’è anche uno spirito onesto e sincero nel voler mostrare ciò di cui parla Darth.
Consigliato! Specie paragonato al film peggiore della vita di Michael Mann (public enemies)
Ho rivisto a bella posta Nemico Pubblico subito dopo aver visto questo (tanto bene sta pure su Netflix), e sì, cavolo, tristemenete gli dà una pista.
Ma come ha fatto a sbagliare così tanto Mann?
Ah, ribadisco la VIGLIACCHERIA della suprema redazione nel non recensirlo all’interno de Le Basi :D .
Ciao,
Nei vari Le Basi non abbiamo recensito quei film che non rientravano troppo nello spettro di cose che trattiamo, oppure quelli già recensiti in precedenza come nel caso di Nemico Pubblico, che venne recensito alla sua uscita.
http://www.i400calci.com/2009/11/due-o-tre-motivi-per-andare-o-non-andare-a-vedere-nemico-pubblico/
Saluti.
Urca e chi lo sapeva! Vado subito, grazie.
Più che altro questo è un film che (magari furbescamente) almeno ci prova a trasmetterti lo spirito di un epoca e di un posto. Forse sono pazzo io, ma nella scena delle due macchine che s’inseguono nel polverone (non a caso inesistente nella realtà, la sparatoria finale è stata la prima e ultima volta nella quale Hamer e Gault hanno incontrato Bonnie e Clyde) ho visto una rappresentazione metaforica della “Dust Bowl” che attanagliava gran parte degli USA negli anni della depressione. Nemico pubblico è totalmente artificiale, e (IMHO) fallisce anche nel voler essere una storia “universale”, ovvero che prescinda da luogo e tempo specifici.
Costner e Harrelson monumentali in questo film. Woody sta sempre più scalando le classifiche dei miei attori preferiti.
A me è piaciuta molto quell’aria di rassegnazione che i due hanno, il conflitto tra il voler mollare e la necessità di fare quello che è giusto. Il tutto senza la classica, melensa, retorica del “buon Americano” ma con un’evidente stanchezza.
Bellissima anche la recensione, complimenti.
Riporto un’idea vera ma non mia, letta su Twitter: qui c’è un bel gioco metacinematografico che si impernia su Harrelson, che da vecchio si ritrova a dare la caccia a un personaggio che è praticamente il se stesso da giovane in Assassini nati.
Recensione splendida. Il film ce l’ho in lista da un pò, e ora lo vedrò.
Grazie
Replica al primo commento di And Li`, stranamente non riesco a replicare direttamente e mi si dice che il commento sarebbe un duplicato, quando in realtà` non appare, strano
Non e` vero che il rapporto tra criminale e uomo di legge sia identico di fronte al vuoto di significato, come non e` vero che il codice della natura (codice e` già` qualcosa oltre il vuoto, e` qualcosa di pensato e scritto e condiviso) sia qualcosa equiparabile ad assenza di significato.
Gli uomini creano significato: parola e capacita` di astrazione ci elevano dallo stato naturale (ammesso che esista) e ci rendono capaci di stabilire regole e leggi. Etica, che dovrebbe essere la disciplina che stabilisce appunto regole universali (universali=condivisibili da tutti), separa quello che dovrebbe essere la legge della giungla (ovvero la piramide alimentare per farla breve) dalla civilizzazione (società basata sulla condivisione e compassione, ideali alti, ma alla nostra portata).
Detto questo: morire per malattia o essere uccisi da un criminale e` una bella differenza, e la dicotomia criminale/uomo di legge ha senso ed e` importante ai fini della costruzione di un senso condiviso da tutti. Leggi la Critica della Ragion Pratica di Kant per favore.
Kevin Costner+Woody Harrelson= VENDUTO!
Bel film, lento, come da rece, ma mi è piaciuto molto per questo, perché questa lentezza sembra rispecchiare la stanchezza dei protagonisti, costretti ad andare avanti per le loro personali motivazioni, soprattutto Woody che avanza per dovere e per il legame con Kevin.
Una coppia di protagonisti praticamente perfetta, il ritmo giusto e la scelta di un punto di vista inusuale: assolutamente uno dei migliori film di Netflix.
La scena del racconto del massacro durante il poker sembra tratta da un racconto di McCarthy.