Quando annunciarono il cast di John Wick 3, tutto mi aspettavo tranne che Mark Dacascos avrebbe avuto un ruolo importante.
Troppi sono i precedenti deludenti di Hollywood in quanto a snobismo verso le star di arti marziali: si guardi anche solo a come usarono il povero Tony Jaa in Fast & Furious 7.
E invece salta fuori che non solo il buon Mark era il boss finale, ma che per qualche oscuro miracolo sono riusciti a tirare fuori da lui una quantità di carisma che non aveva mai avuto in carriera, con la quale non solo regala al film un pedigree marziale impeccabile e dosi di atletismo che il suo coetaneo Keanu si sogna febbricitante di notte, ma si frega pure le scene più divertenti.
Quale migliore occasione quindi per parlarvi meglio di lui e farvi riscoprire uno dei suoi classici?
Mark Dacascos nasce a Honolulu, Hawaii, da Al Dacascos, leggenda delle arti marziali. Eredita quindi lo stile ideato dal padre, il Wun Hop Kuen Do, ma impara anche Muay Thai, Wushu e Capoeira. Sfiora l’ingaggio come protagonista nei Power Rangers originali, fa comunque gavetta, e infine ottiene il primo ruolo di spicco come villain in American Samurai di Sam Firstenberg (lo stesso di American Ninja).
Segue il suo primo ruolo da protagonista nel classico Solo la forza (di Sheldon Lettich), dopodiché potrebbe sfondare nel mainstream grazie a Double Dragon, in cui fa coppia con Scott Wolf di Party of Five, ma il film è orribile e floppa malissimo.
Non è grave: Mark continua umilmente la sua gavetta, si infila in roba tipo Kickboxer 5, e infine ottiene il ruolo da protagonista in Crying Freeman di Christophe Gans, di cui vi parlai malissimo qualche tempo fa ma che ora sono propenso a perdonare dopo aver scoperto che la pacchianissima storia d’amore filmica fra l’assassino e la testimone sbocciò in amore vero e il Mark e Julie Condra sono sposati ancora oggi.
Nemmeno quello però serve a fargli fare il salto di livello che sembra meritarsi.
Per anni, Mark Dacascos sembra una specie di proto-Scott Adkins: belloccio a livelli di cui difficilmente Hollywood si potrebbe lamentare, agile come una libellula, capace di mosse acrobatiche che pochi sapevano imitare, fra tutti gli eroi della kickboxing spuntati all’ombra di Van Damme pareva il più interessante e l’unico con qualche seria possibilità di farcela, ma per qualche ragione rimaneva invariabilmente piantato nella palude dei DTV di arti marziali.
Sulla carta, Drive di Steve Wang del 1997 non è fra le occasioni più ghiotte che gli siano capitate: è lui il nome più famoso del cast (a meno che qualcuno non riconosca Kadeem Hardison da una lunga lista di ruoli secondari tipo nei film con Mario Van Peebles), e il regista è un mago degli effetti speciali che aveva diretto i due film di Guyver.
Ma il progetto si svela più ambizioso del previsto: Wang è carichissimo, ha meno soldi di Christophe Gans ma più di un Albert Pyun qualsiasi, gira in 70mm, ha l’intenzione di metterci un sacco di scene action elaborate.
Drive si configura come un classicissimo buddy movie con vago retrogusto sci-fi: immaginate Rush Hour con una base di Universal Soldier.
Mark Dacascos interpreta un tizio iniettato con un microchip che ne migliora le prestazioni atletiche ed è ricercato dalla mafia, Kadeem Hardison è sostanzialmente un passante che finisce coinvolto e si ritrova ad accompagnarlo nella fuga.
Qui è dove probabilmente vi rendete conto che no, non c’entra nulla con il più recente ma meno acrobatico Drive con Ryan Gosling, ma va detto che quest’ultimo contiene una comparsata di John Pyper-Ferguson – qui interprete del villain principale – che alcuni di voi potrebbero considerare come una coincidenza ma che secondo me conta come sentito e rispettoso omaggio di Nicolas Winding Refn al suo illustre predecessore.
La cosa che da una parte fa ridere e dall’altra è probabilmente indicativa di una certa diffidenza del pubblico medio per le arti marziali è che, a differenza di Universal Soldier, gli effetti del microchip in corpo a Mark Dacascos sono sottili e non includono praticamente alcun effetto speciale: Mark salta e prilla e fa cose che per rivederle a schermo tocca sostanzialmente aspettare l’invenzione di Yuri Boyka, ma è tutta farina del suo sacco. Non sfonda muri come Van Damme, non resiste ai proiettili: è rapido e reattivo come si confà ad un qualsiasi eroe marziale standard, di quelli capaci di schivare tutti i colpi sostanzialmente perché hanno letto la sceneggiatura, ma fa numeri acrobatici che non avete mai visto fare a uno della sua stazza. Pare, nei momenti migliori, un Jackie Chan con le gambe lunghe il doppio. Che è forse il tipo di cosa che al pubblico medio puoi spiegare solo sforando nella fantascienza.
Con almeno tre macro-sequenze action davvero corpose – una in un cantiere, una in un motel e lo showdown finale in un club – Drive regala a Mark Dacascos una quantità di occasioni per sfoggiare il suo repertorio che, per essere una produzione occidentale, definire generosa è poco: siamo ampiamente oltre la media del genere sia in qualità che quantità, roba che non ricordo nemmeno film di Van Damme paragonabili (forse il più vicino è Double Impact).
E, ancor più raro, lo fa con la giusta dose di energia e passione e la voglia di prendere i pochi soldi in cassa e usarli fino all’ultimo centesimo: in un mondo in cui Van Damme faceva incredibili milionate sforzandosi al massimo di trovare un posto creativo in cui esibirsi nella sua epic split, Drive punta ad essere un piccolo cugino occidentale povero ma volenteroso della scuola Jackie Chan, di quelle che si autocostringono a costruire lunghe coreografie complesse con l’ambizione di mostrare la retta via di menare a Hollywood – obiettivo poi incredibilmente/finalmente raggiunto soltanto da John Wick.
Persino l’impalcatura è buona per la sua categoria: se vogliamo mantenere il paragone con Rush Hour (che però uscì dopo), Kadeem Hardison è un solido improvvisatore sicuramente meno esagerato, meno esagitato e più umano di Chris Tucker, mentre Mark Dacascos oltre a saltare e menare non dimostra particolari doti recitative, ma sfoggia un personalissimo fascino ingenuo perfettamente sintetizzabile nella scena in cui gli fanno cantare un pezzo swing al karaoke, una specie di risposta disarmante al balletto truzzo-sexy di Van Damme in Kickboxer.
Intorno a loro, Pyper-Ferguson è un redneck villain di livello affiancato da uno scagnozzo garanzia come Tracey Walter (Conan il distruttore, Batman), ma spicca ovviamente il piccolo ruolo per Brittany Murphy, che all’epoca aveva già fatto Ragazze a Beverly Hills e qui va dritta in mega-acting facendo una caricatura di se stessa, provocante e allucinatissima, come una specie di Marilyn Monroe reimmaginata da Nicolas Cage.
La sequenza conclusiva è pirotecnica: spuntano motociclisti come in un piccolo Hard Boiled, e spunta soprattutto un boss finale anch’esso dotato di microchip migliorante (Masaya Katô), per uno scontro che sinceramente supera, umilia, doppia e ridoppia il Van Damme vs Lundgren di Universal Soldier.
Ma fu tutto inutile: Drive era un film destinato a rimanere una chicca di culto per quei pochi appassionati capaci di scovarlo, e quello ottenne.
Dacascos non ci guadagnò nulla e continuo la sua lunga e faticosa strada nella melma dei DTV infilandosi – quando andava bene – in roba tipo una serie tv di Il Corvo, prima che Christophe Gans si ricordasse di lui per Il patto dei lupi regalandogli un altro estemporaneo riflettore cinematografico, e soprattutto prima che, per motivi che mi sono tuttora completamente oscuri, ottenne l’ingaggio per cui è realmente noto ancora oggi, ovvero quello come presentatore di Iron Chef.
Steve Wang, da parte sua, mollò i sogni di regia e tornò a fare il mago del trucco (suo Abe Sapien nell’Hellboy di Del Toro).
Drive è oggi facilmente rintracciabile nel suo director’s cut integrale di 112 minuti, in cui si prende il tempo di costruire il rapporto fra i due protagonisti come in un bravo buddy movie da manuale, ma è il tipo di film che quando i produttori vollero ridurre a una più canonica ora e mezzo dovettero tagliare anche qualche scena d’azione. Più di così, per convincervi a introdurvi al culto di Mark Dacascos e a salutare Steve Wang come uno di noi, non so che dirvi.
DVD-quote:
“Guarda mamma, senza Kavinsky”
Nanni Cobretti, i400Calci.com
Gli articoli del capo sui film del passato sono sempre i migliori. Grazie!
Mark Dacascos idolo che mi sono reso conto solo ora di aver visto in un sacco di film.
Lacrimuccia per Brittany Murphy.
Piccola curiosità: Guè Pequeno è un fan di questo film.
Serio? Ma curiosità dove lo hai scoperto?
visto in VHS una ventina di anni fa. uno dei film della mia infanzia, mi ha fatto strano vederlo recensito qui, oggi. sempre consigliatissimo.
Idolo! The base: codice di disonore, Drive e Solo la forza (di cui canticchio ancora la canzoncina brasiliana) sono 3 VHS che sono ancora custodite a casa dei miei.
Marylin monroe fatta da Cage e Senza Kavinsky…top :)
Idolo! The base: codice di disonore, Drive e Solo la forza (di cui canticchio ancora la canzoncina brasiliana) sono 3 VHS che sono ancora custodite a casa dei miei.
Paranaueeeee – paranaue paranà…
Hai solo dimenticato l’excursus (ma credo di intuire volontariamente) di Ferite Mortali… Io ricordo anche un film di fantascienza in coppia con Rutgher Hauer, e un sacco di donne nude…Redline !
Forse post-jhon wick, si decideranno a fare un bluray come si deve di sta perla incommensurabile della storia del cinema di menare.
Mi spiace contraddirti ma non era Ferite Mortali (con Seagal) ma Amici x la morte con Jet Li, dove Dacascos faceva il cattivo.
ah già in ferite mortali il cattivo era Michael J White….hai ragione ^^
E ora che mi ricordo è anche il primo film che ho mai piratato in vita mia, filmando con una videocamera a vhs la tv che proiettava la vhs noleggiata… Il primo CAMRIP della storia…(no spetta forse è il secondo, il primo è stato mortal kombat)
Stranamente non ho mai incrociato neanche per caso un film con Dacascos, a parte “Il patto dei lupi” (uno dei casi piu’ estremi mai visti in cui il protagonista e’ tale “perche’ si'”, visto che -appunto – a fare tutto e a rubare la scena per tutto il film e’ l’indiano di Dacasos). Considerando la simpatia che mi fa questo tipo di b-movie , recuperero’ volentieri.
Che ricordi!!!
Avevo la VHS di Drive, ormai archiviata perchè più niente videoregistratore.
Uno di migliori film di arti marziali, inventivo, con scene lunghe ed elaborate.
Una piccola chicca veramente.
Qualcun altro oltre a me considera “Il Patto dei Lupi” il film più figo della storia del cinema?
Grazie Nanni per questa bella recensione, era tipo dall’inizio del blog che l’aspettavo…
E’ figo, pochi cazzi.
Cavolo, ma questo film e’ una bomba!
Davvero un peccato sia semi-sconosciuto, io davvero non mi ricordo di averlo mai sentito nominare prima di questa rece o di passaggi televisivi.
Lo metto insieme a “Drago d’acciaio” col povero Brandon Lee e “Breakdown” con Kurt Russell nel mucchietto dei film di quegli anni catalogabile alla voce “serie-B-meglio-della-A”.
“ottenne l’ingaggio per cui è realmente noto ancora oggi, ovvero quello come presentatore di Iron Chef.”
MMMMMANGOS