
In the jungle, the mighty jungle…
Prospect è una di quelle storie che iniziano piccole e tali rimangono, inserite in un contesto più ampio che viene solo sfiorato dalla narrazione, una di quelle note a pie’ di pagina che interessano solo a chi ne è protagonista; cronaca locale senza alcuna rilevanza nel grande schema delle cose, lo spin-off di qualcosa di più epico che probabilmente non vedremo mai ma che possiamo immaginare mettendo insieme indizi, accenni e allusioni. È un pezzo d’atmosfera, la costruzione di un mondo per interposta persona; come, che ne so, raccontare come si vive nella Los Angeles del 2019 concentrandosi sulle vicende di un anonimo cacciatore di taglie, o parlare di un’intera galassia colonizzata fino a sembrare il vecchio West tramite le avventure di uno scalcinato equipaggio di contrabbandieri. Cinema di pesci piccoli, e quelli grossi stanno sullo sfondo, come ombre.
È una funzione di tante cose, prima tra tutte il budget minuscolo (meno di 4 milioni, metà dei quali, credo, spesi per la sequenza d’apertura e per pagare Pedro Pascal), ma più che un limite la prospettiva ristretta e intima di Prospect è una modalità espressiva, che costringe gli autori e registi Christopher Caldwell e Zeek Earl a fare economia di parole e situazioni, a ridurre a zero gli spiegoni (che avrebbero appesantito il ritmo già glaciale del film) e a far parlare immagini, set, azioni, movimenti. Ecco, pur con tutte le sue ingenuità Prospect è un film fatto da gente che vuole fare del cinema, che sa che anche un’inquadratura stretta su un’entità organica aliena può essere sufficiente a raccontare un mondo; e anche gente che, lo dico a beneficio di coloro che hanno a cuore la condizione umana, sa come si caratterizza un personaggio con pochi colpi di pennello, e come si fa a farci affezionare a lui/lei/loro.
Il fatto che abbia avuto mezza possibilità di fare capolino in sala e poi sia stato spedito quasi subito in home video è ovviamente un peccato e un errore. Sigla!
Curiosamente, Prospect si apre inciampando sulle sue stesse ambizioni, nonché con della pornografia spaziale di altissimo livello:
L’impatto è folgorante, siamo nello spazio e ci stiamo galleggiando su una qualche spaziobagnarola sporchissima e vintage, tutta interruttori da spippolare, manovelle da girare e grosse banche dati da inserire negli appositi slot.
L’idea è quella di sbatterci nel mezzo di una giornata qualunque per la coppia di protagonisti, padre e figlia, che fanno un qualche mestiere che… ed è qui che Prospect un po’ arranca, perché per quanto immersiva la scelta di cominciare in medias res ci obbliga anche ad assistere a una sfilza di dialoghi “di servizio” tra i due ricolmi di slang, termini tecnici e riferimenti a cose persone animali dei quali non sappiamo ancora nulla. È disorientante e fin troppo astratto, e richiede un enorme atto di fede (e di concentrazione) allo spettatore: stai con me, è la promessa, e pian piano capirai tutto, cosa sono i cicli, cosa è la Green Moon, cosa è stata la rush, soprattutto cosa sono le gemme.
Perché come in un vecchio film d’avventura, o una storia di Paperone, o perché no un western (la cui grammatica verrà ripresa più avanti e più volte), il motore di Prospect è una storia di tesori sepolti e di tutta quella massa di persone, pionieri, minatori, criminali, che hanno scommesso la loro vita sulla speranza di trovare l’oro e diventare ricchi. L’oro in questione cresce come una perla all’interno delle creature aliene che popolano la succitata Green Moon, e recuperarlo è una questione di precisione, attenzione, conoscenza della biologia della creatura e pure un po’ di culo – letteralmente, visto che le bestie hanno l’aspetto di sfinteri e la stessa tendenza a emettere gas in momenti imbarazzanti. Qui siamo al crepuscolo della corsa all’oro, quando i pochi depositi che rimangono sono sospesi tra realtà e leggenda; e ovviamente i protagonisti di Prospect pensano di averne trovato uno, e ovviamente non sono gli unici interessati.

Nello spazio nessuno può sentirti ascoltare Tiziano Ferro.
Per essere una luna aliena lontana anni luce dalla civiltà, la miniera a cielo aperto di Prospect è sorprendentemente popolata, ma l’occhio di bue non si sposta mai da lei, il personaggio di Sophie Thatcher; in quanto “figlia adolescente di padre poco raccomandabile” è all’oscuro delle macchinazioni del genitore, e il suo viaggio di scoperta e conseguente crescita personale diventa l’intero arco del film; al suo fianco ci sono prima Jay Duplass nel ruolo del padre, poi Pedro Pascal nel ruolo di Oberyn Martell del furfante dal cuore d’oro con il quale la ragazza stringe una forzata alleanza che diventerà pian piano sincera amicizia. Le figure che ruotano intorno a Cee (che sono più archetipi che personaggi) aiutano lei e noi a interpretare la realtà e i suoi rapporti di forza, e più che la ricerca di un favoloso deposito di gemme Prospect è un romanzo di formazione (o di perdita dell’innocenza) condensato in novanta minuti; aiuta in questo senso che Sophie Thatcher sia eccellente e molto in parte. In quest’ottica si perdona anche al film una certa frettolosità nel chiudere alcune parentesi, e pure quel paio di soluzioni narrative un po’ abborracciate che ci si può comunque aspettare da due esordienti (sulla lunga distanza almeno).
Tutte queste spaziovicende – che comprendono tra l’altro un paio di sparatorie e un coso che sembra uscito da Mad Max, giusto per rimarcare le credenziali calciste del film – sono messe in scena a botte di artigianato durissimo, che è poi il grande valore aggiunto di Prospect. I set, le ingombrantissime tute nelle quali bisogna rinchiudersi prima di esporsi all’aria tossica della Green Moon, le armi, gli strumenti da lavoro, è tutto frutto di un gran lavoro di riciclo, di taglia-e-cuci, di saldature, di lastre di metallo tagliate con seghe circolari, di tubi di gomma; sto parlando di Zeek Earl che si chiude in cantina, lancia della polvere per aria, la riprende e poi la usa come filtro per far vedere l’appena citata aria tossica della Green Moon. Sto incidentalmente dicendo che, pur con quattro soldi due graffette e la polverina di un gratta e vinci, Annihilation puppa la fava.
Poi ovviamente tutto questo non va da nessuna parte, eh? Non ci sarà mai la trilogia sequel che ci fa vedere come funziona l’intero universo colonizzato e non solo lo scorcio di un angolo di periferia – in Prospect c’è anche spazio per una tizia che parla una lingua aliena e che è quindi, con ogni probabilità, un’aliena: da che pianeta viene? Quante altre specie aliene abbiamo incontrato? –, né, immagino, scopriremo mai il destino di Cee; non usciranno romanzi né serie Tv né videogiochi, non nascerà da Prospect nessun universo cinematografico. È una storia che inizia prosegue e finisce, e si allontana verso il tramonto circondata da un alone di non detto o solo accennato che promette un intero universo e invece di sbattercelo in faccia lo affida all’immaginazione dello spettatore. Che a me pare una cosa bellissima e sempre più rara, e quindi preziosa.

Natura morta con casco.
Streaming quote suggerita:
«Come infilare la mano in un ano alieno e trovarci una pietra preziosa»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
PS Sophie Thatcher è la Emma Watson di cui abbiamo sempre avuto bisogno.
A proposito di fantascienza: un parere su “love, death + robots”? Ne ho letto molto bene e molto male.
Sembra fico. A proposito di storie che non stanno li a spiegarti tutto per filo e per segno ma spaccano tantissimo, non vogliamo parlare di black summer?
Voleva essere un commento autonomo invece ho risposto a te :|
Love+Death+Robots visivamente è una bomba e il formato mini degli episodi lo rende godibilissimo. Dal punto di vista dello storytelling pur essendo formalmente impeccabile è piuttosto derivativo e non c’è molto di sconvolgente per chi ha già confidenza con i generi che tratta (quindi forse il 70% di chi frequenta questo blog). Comunque al momento è la mia serie prefe del 2019.
godibilissimo, con episodi di qualità altalenante. Ci sono 3-4 gioiellini comunque, nella stagione, e altre cose buone. Ottimo formato, spero la rinnovino
Black summer è una merda.
Mi hai comprato con “Annihilation puppami la fava”.
“love, death + robots” è una figata. Poi ovviamente dipende da ogni singolo episodio, sono anche molto diversi tra loro
Visto al festival a Trieste lo scorso novembre. Concordo, ruvido e interessante, tiene bene nello sviluppo pur con un paio di debolezze in fase finale. Forse gli manca quel l’idea veramente innovativa o quello sguardo nuove per lasciare un vero segno….
Vendutissimo, cavolo.
10 anni fa usciva “Moon” e sembrava (almeno a me) potesse aprire un’era di fs dura e pura, fatta di piccoli-grandi film a medio-budget. E insomma.
E infatti poi il regista è finito a fare quella tamarrata imbarazzante di Warcraft.
sono fuochi di paglia. Hai visto il regista che brutta fine ha fatto
Ma esce da noi?
Aspè ma è mica tratto da un corto? O è possibile che abbia trovato online legalmente il film? Perché mi ricorda qualcosa…
Porca vacca, per me è un grosso sì. Non ti spiega un cazzo, metà delle dinamiche le puoi solo intuire ma ai titoli di coda mi è spuntato il sorrisone come alla protagonista. Bello.
(un’intera recensione di ani alieni, e nemmeno un “Cronenberg”… devo controllare col Sindacato, ma potremmo essere in procedura di violazione)
Secondo me Daemon non è il padre della ragazzina, il pianeta è un enorme esperimento genetico andato male, le piante sviluppano una tossina che trasforma gli uomini in animali e gli ani fumanti sono la causa dell’atmosfera tossica del pianeta.
Per quanto riguarda le pietre, sempre opinione personale sono uova, uova da cui vedremo prima o poi uscire qualcosa di non molto bello…anche sull’astronave.
Ti be continued.