Dal titolo mi credevo che fosse un film sulle confraternite che si sfidano a gare di canottaggio estremo. Tipo un Anno 2000 – La corsa della morte con le trivelle che escono dai fianchi delle canoe e la gente che muore malissimo e c’è ‘sto torneo distopico, no?, in cui c’è la confraternita dei Kappa Tau Omega che tipo è imbattuta da ventordici stagioni e ha il sostegno del rettore – DANNATO RETTORE!!! – e allora arrivano questi sfigati a cui nessuno darebbe una lira e sono tipo dei disadattati che al confronto Bluto Blutarsky è un senatore degli Stati Uniti e alla fine in sostanza vincono vincono e con loro vincono gli USA interi.
E invece no, non è un film sulle gare di canottaggio estremo ambientato in un futuro distopico in cui si cacherebbe sotto anche Katniss Everdeen. Row non vuol dire remare, ma strada. E il film è ambientato sì in un futuro distopico in cui le confraternite universitarie si fanno la guerra e hanno il sostegno del rettore – DANNATO RETTORE!!! – ma mica a proposito del canottaggio. No, l’oggetto del contendere, il MacGuffin se vogliamo, del film è il commercio delle biciclette rubate. O, come lo chiamavamo noi all’uni di Padova, una passeggiata a Prato della Valle.

The Row.
In pratica quello raccontato nel film di Trevor Stevens è un vicino futuro in cui tutta l’America, ma che dico, tutto il Mondo, è diventato un enorme Prato della Valle in cui, invece dei tossici, a rubarti la bicicletta per poi rivenderla di nuovo a te non sono i tossici, ma i frat guys protetti dai Poteri Forti. Nella persona di un rettore – DANnato eccetera – interpretato dalla persona di un Larry Miller, aka “Dove cazzo l’ho già visto questo?”, mai così viscido e infame. In questo Prato della Valle futuribile, siccome le amministrazioni delle università, avide e corrotte, hanno alzato a eleven le tasse universitarie, tra gli studenti si è scatenato il caos e le confraternite ne hanno approfittato per prendere il controllo dei campus dopo il crollo della civiltà (accademica). E qual è il mezzo con cui esercitano questo controllo ed estorcono ai compagni di college il denaro per sopravvivere?
Ecco, questa è l’idea più intelligente della sceneggiatura di Bomani J. Story (giuro, si chiama veramente così): le biciclette, come si diceva poc’anzi. È un’idea quasi britannica, anche se infilata in un film tutto americano, per come prende un dettaglio frivolo e lo mette al centro di un plot da film post-apocalittico, un Mad Max in cui al posto di Toecutter c’è un fighetto phonatissimo che pare un incrocio tra Joaquin Phoenix e il vostro compagno di classe più stronzo. Quasi come se i Monty Python o Douglas Adams avessero scritto Classe 1999 dopo aver visto Stranger Things.

Il mio villain lancia matite. Il tuo?
Devo dire che, essendo io vecchio, il film mi ha anche fatto venire in mente un manga che lessi moltissimi anni fa e di cui ora non ricordo assolutamente né titolo né autore. Per cui adesso digiterò su Google “manga distopico di ambientazione universitaria” e vediamo cosa esce f– no, niente, sono dovuto andare sul sito della Star Comics a scaricare il catalogo e alla fine l’ho trovato. Fortified School, una roba che forse mi ricordo solo io, disegnato da quel matto col botto di Shinichi Hiromoto, una specie di Simon Bisley giapponese. Ambientato, e cito la pagina di Wikipedia, in “un carcere riformatorio dalla forma di un esagramma, posto al di sopra di un altipiano, circondato da dirupi scoscesi e una foresta popolata da bestie feroci e affamate”. Tanto pe’ non fasse mancare nulla.
L’altra cosa che ovviamente viene subito in mente, e questa credo a tutti quanti lo vedano, è Per un pugno di dollari. La struttura è la stessa, con il cavaliere senza nome che arriva in sella alla sua bici e, mosso da istinto di conservazione e malcelato eroismo, mette una contro l’altra le due fazioni dominanti, cambiando lo status quo.

Volevate la prova?
Ecco, ora, se uno mi dicesse che Rock Steady Row è un mix tra Fortified School, Classe 1999 e Per un pugno di dollari con una spruzzatina di irriverenza british, legittimamente mi aspetterei una bella bombetta atomica, no? E invece non so esattamente cosa sia che non funziona, forse il fatto che sia sceneggiatore che regista (Stevens è al suo debutto dopo una serie di corti) non hanno tutta questa grande esperienza e preferiscono puntare sull’effetto facile. Fatto sta che si perdono in un bicchiere d’acqua, e quello che avrebbe potuto essere un omaggio a Carpenter si trasforma in un rip-off dei vari Astron-6 e Kung Fury, in cui l’unica cosa carpenteriana è la colonna sonora coi synth. Anche se ormai il riferimento, anagraficamente parlando, è appunto Stranger Things.
Che poi qui ci starebbe anche un lungo discorso su come la nostalgia si stia rapidamente tramutando in uno stile a se stante. Ormai non penso si possa più nemmeno parlare di citazioni, tanto gli anni ’80 sono stati filtrati e distillati in un magma completamente avulso dagli anni ’80 stessi. Come quando vai a Little Italy a New York durante la festa di San Gennaro e scopri che le “specialità italiane” sono cose che non hai nemmeno mai sentito nominare, tipo le fettuccine Alfredo.

“Scusa, che cazzo hai detto?”
Qui è più che mai evidente: questo continuo rimando agli anni ’80 è talmente radicato che non è neanche più ricerca. È semplicemente un dato di fatto. Come il walkman laser di cui è armato il protagonista (armato anche di un fazza da Eric Stoltz che levati) e che non ha nessun legame con il resto della storia, nessun background coerente con l’universo narrativo in cui è ambientata. Accade e basta, perché, suvvia, cosa può esserci di più anni ’80 di un WALKMAN LASER? Forse solo dei bambini in bicicletta che combattono roditori alieni mentre cercano il tesoro nascosto di un coetaneo finito sotto un treno durante la festa di Halloween.
Insomma non volevo tediarvi, ma alla fine il discorso l’ho fatto tutto e non era mica tanto lungo. E il discorso è: la nostalgia ha rotto il cazzo? Sì, no, forse. Dipende da come la usi, devi saperla dosare e non è facile. Una cosa che sicuramente ha rotto il cazzo sono le panoramiche a schiaffo che fanno whoosh. E all’ennesima panoramica a schiaffo che fa whoosh, caro Trevor Stevens, ritieniti eleggibile di essere mandato a fare in culo.

Menarsi un po’.
Un peccato, perché il signorino Stevens un po’ di occhio ce l’ha e le poche scene di vero menare sono anche coreografate discretamente, ma soprattutto girate con una mano decente che mette in luce le botte anziché nasconderle con la Parkinson camera. Solo che tutto fa WHOOSH e SMACK e BIFF e dopo un po’ ANCHE DUE MARONI SIGNOR TREVOR STEVENS EH?
Comunque dai, dura un’ora e diciassette minuti. C’è molto di peggio.
DVD-quote:
“Most likely to direct a movie with Hitler riding a T-Rex”
George Rohmer, i400Calci.com
“Fortified School” iniziava divinamente, ma ricordo di non aver trovato il finale all’altezza. Boh… Sono passati vent’anni!
Noi a Fe le passeggiate le facevamo in stazione.
Fortified School bomba atomica, ma finale un po’ così. Mi ricordo la vignetta dove il Tizio entrava nel bagno dei maschi e c’erano gli studenti che si inculavano tra loro. Vent’anni fa era una roba veramente sovversiva, considerando che l’alternativa erano Ranma 1/2 e Dragonball.
E comunque mi pare di ricordare che di Fortified esista un film, anche se non l’ho mai visto
Insommetta eh. Alla fine dei Novanta, oltre al solito Kenshiro, ne stava uscendo di roba dove la violenza era meno cartoonesca del solito. Se non sbaglio, per citare l’esempio più eclatante che mi viene alla mente, alla data d’uscita di FS il povero Gatsu era già stato violentato da Gambino, e con una resa grafica certamente più realistica del tratto molto “fumettoso” di Hiromoto. Ma sono abbastanza sicuro che pensandoci su mi verrebbero in mente altri esempi. Questo senza nulla togliere a FS, opera senz’altro valida ma lungi dal poter essere considerata un’apripista per certe tematiche.
Apripista no certamente, ma non se ne vedevano molte di cose del genere in edicola (in fumetteria era pieno così delle robe di Nagai, giusto per fare un esempio)
Vero, ma non per colpa delle edicole: i favolosi Nineties, con la loro esplosione di vendite nel settore del fumetto, portarono all’introduzione di quel concept store dei comics che è la fumetteria anche in Italia (già ce n’erano, ovviamente, ma le vendite non permettevano di farne un business a livello nazionale). E divenne naturale per i distributori sfruttare un canale dedicato piuttosto che uno generico, tant’è che risale a quegli anni la graduale sostituzione in edicola degli albi seriali Marvel/manga con quelli Bonelli, trascinati da Dylan Dog, e Disney. Questo non impediva che Berserk facesse capolino anche nelle edicole, per esempio, ma certo, robe del genere non ce n’erano molte, proprio perché in generale il mercato stava cambiando e dal giornalaio c’era sempre meno di tutto.
Bella bombetta Fortified school con la pecca di puntare sempre al rialzo e finire per esagerare un pochino tanto nel finale…frase ad effetto la pubblicità della star comics “La ricreazione è finita, branco di cagasotto”…o qualcosa del genere.
Film non lo so, ma questo (molto divertente, tra l’altro, ma sono passati diversi anni da quando l’ho visto), ci si avvicina molto: http://www.dramapanda.com/2016/01/volcano-high-movie-review.html
Fortified School bomba finché non cominciava con le robe degli esperimenti genetici coi dinosauri, però il presideche sembrava Mazinga dopo una cura di crystal meth valeva da solo il prezzo degli albi
Mi fido di voi, ragazzi. Giuro che non mi ricordo un cazzo a parte che mi piacevano i disegni.
Condivido l’opinione di obbo, anche se Battle Royale era un’altra cosa. Però anche un film sulle gare di canottaggio estreme non dev’essere male per niente!!!
Sul film si, capisco. Purtroppo il mondo è pieno di pellicole che a raccontarne la storia sembrano belle e poi a vederle invece sono cagate micidiali. Capita, può capitare sia quando il soggetto diventa sceneggiatura che quando la sceneggiatura diventa film.
No, però, George… abbi pazienza, anche no…
Leggo l’introduzione e penso “incidente ferroviario in galleria”.
Leggo incrocio tra Per un pugno di dollari e FS e penso “incidente ferroviario in galleria”.
Leggo l’articolo e mi confermi “incidente ferroviario in galleria”.
Bon, semplice no. Un film con una idea abbastanza del cazzo girato con velleità pulp che non avrebbe mai potuto funzionare. Anche perché un mix tra il capolavoro di sintesi impressionista di Sergio Leone e l’orgia espressionista di Shinichi “è venuto un chilo di budello in più… ‘o lascio?” Hiromoto, può funzionare come la Bagna Cauda sulla Meringata.
Da ex studente a Padova, un mondo diventato tutto Prato della Valle é in effetti bello angoscioso.
Bomani J. Story nome incredile.
Il film sulle pagaiate distopiche che hai immaginato lo guarderei volentieri.
A questo magari do una chance visto che dura poco.
Ho letto anche io quel manga, al primo anno di ing meccanica a padova
Le fettuccine Alfredo sono state inventate nell’omonimo ristorante qui a Roma non so quanti anni fa ma non le ho mai mangiate perchè me so sempre rifiutato di daie i tipo 20 euro che te chiedono per quel piatto
Wikipedia dice 1908 oppure 1914.
Cito Wiki: “Le fettuccine Alfredo sono diventate un piatto molto diffuso nei ristoranti italoamericani degli Stati Uniti e simbolo di “italianità”; la ricetta però non è quella del ristorante romano di Alfredo Di Lelio, bensì una variante che comporta l’uso di panna (in sostituzione del burro cremoso previsto originariamente) e altri ingredienti, come il petto di pollo, che poco o nulla hanno a che fare con l’originale”.
Era un esempio come un altro. Sono stato davvero a Little Italy durante la festa di San Gennaro ed era esilarante quanta roba irriconoscibile spacciata per italiana c’era tra i vari stand.
era chiaro il tuo punto.
Lo scopo effettivo del mio commento era sottolineare non tanto la follia di chiedere 20 euro per un piatto di pasta col burro ma di darglieli.
rimango in attesa di intervento del Sig. Alfredo modello commento a recensione negativa su tripadvisor
Su quanto sia diversa la cucina italoamericana da quella italiana si potrebbero scrivere dei libri. Ho avuto un’esperienza simile ad Hoboken nel periodo della ricorrenza della nascita di Frank Sinatra, personaggio che in tale città credo abbia un’importanza superiore a quella che ha, per dire, San Gennaro a Napoli e si vedeva l’inverosimile, offerto (gratuitamente) da persone che senza eccezione alcuna sembravano uscite pari pari da una puntata dei Sopranos..
prato della valle e fortified school: mi e scesa una lacrima…..
” tutto il Mondo è diventato un enorme Prato della Valle”
dove altro puoi leggere cose simili in una recensione? <3
STORIA DI ALFREDO DI LELIO, CREATORE DELLE “FETTUCCINE ALL’ALFREDO” (“FETTUCCINE ALFREDO”), E DELLA SUA TRADIZIONE FAMILIARE PRESSO IL RISTORANTE “IL VERO ALFREDO” (“ALFREDO DI ROMA”) IN PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA
Con riferimento al Vostro articolo ho il piacere di raccontarVi la storia di mio nonno Alfredo Di Lelio, inventore delle note “fettuccine all’Alfredo” (“Fettuccine Alfredo”).
Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma in Vicolo di Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi).
Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio: nacque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue “fettuccine”, divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è “the birthplace of fettuccine all’Alfredo”.
Alfredo Di Lelio inventò le sue “fettuccine” per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie (e mia nonna) Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito (mio padre Armando). Il piatto delle “fettuccine” fu un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con “i baffi all’Umberto” ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue “fettuccine” davanti ai clienti sempre più numerosi.
Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna (oggi Galleria Sordi), Alfredo Di Lelio decise di aprire a Roma il suo ristorante “Alfredo” che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a terzi estranei alla sua famiglia.
Ma l’assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante “Il Vero Alfredo” (noto all’estero anche come “Alfredo di Roma”) in Piazza Augusto Imperatore n.30 (cfr. il sito web di Il Vero Alfredo).
Con l’avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della “dolce vita”. Successo, che, tuttora, richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose “fettuccine all’Alfredo” al doppio burro da me servite, con l’impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare dei miei cari maestri, nonno Alfredo, mio padre Armando e mio fratello Alfredo. In particolare le fettuccine sono servite ai clienti con 2 “posate d’oro”: una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani M. Pickford e D. Fairbanks (in segno di gratitudine per l’ospitalità).
Un aneddoto della vita di mio nonno. Alfredo fu un grande amico di Ettore Petrolini, che conobbe nei primi anni del 1900 in un incontro tra ragazzi del quartiere Trastevere (tra cui mio nonno) e ragazzi del Quartiere Monti (tra cui Petrolini). Fu proprio Petrolini che un giorno, già attore famoso, andando a trovare l’amico Alfredo, dopo averlo abbracciato, gli disse “Alfré adesso famme vede che sai fa”. Alfredo dopo essersi esibito nel suo tipico “show” che lo vedeva mischiare le fettuccine fumanti con le sue posate d’oro davanti ai clienti, si avvicinò al suo amico Ettore che commentò “meno male che non hai fatto l’attore perché posto per tutti e due nun c’era” e consigliò ad Alfredo di tappezzare le pareti del ristorante con le sue foto insieme ai clienti più famosi. Anche ciò fa parte del cuore della bella tradizione di famiglia che continuo a rendere sempre viva con affetto ed entusiasmo.
Desidero precisare che altri ristoranti “Alfredo” a Roma non appartengono e sono fuori dal mio brand di famiglia.
Vi informo che il Ristorante “Il Vero Alfredo” è presente nell’Albo dei “Negozi Storici di Eccellenza” del Comune di Roma Capitale.
Grata per la Vostra attenzione ed ospitalità nel Vostro interessante blog, cordiali saluti
Ines Di Lelio