Lontani dai fasti produttivi e dalle location esotiche di Triple Threat, la coppia d’oro del cinema d’azione dtv, il dinamico duo delle botte, il tag team dei film di menare poveri ma col cuore Scott “calci” Adkins e Jesse “action” V. Johnson torna a casa, nella vecchia Albione, per girare un film piccolo, personale, intimista. Una pellicola che sa di teatro filmato, ma nella sua accezione migliore, un dramma da camera che come nella migliore tradizione shakespeariana parla di sangue e di vendetta.
Un irriconoscibile, sdentato e sfigurato Scott Adkins prende in ostaggio un intero bar frequentato dalla feccia del mondo criminale londinese. Diventa chiaro abbastanza subito che nessuno uscirà vivo da quel bar, ma ciò che aspetta i suoi loschi avventori non è una morte rapida: prima di ucciderli come si deve a suon di calci e manate in faccia, Scott ha intenzione di torturarli per un’ora e venti con un monologo sconclusionato e privo di senso, tipico di quando un matto ubriaco ti impezza sui mezzi pubblici, che spiega per filo e per segno gli eventi che lo hanno portato fin lì. Ebbene, Scott Adkins non è stato sempre sfigurato e squilibrato: prima era un ragazzo di bell’aspetto e belle speranze ma poi ha fatto troppi film con Jesse V. Johnson , a causa delle diaboliche macchinazioni di suo fratello (Craig Fairbrass, che nella vita vera non è il fratello di Scott ma un caratterista specializzato nel fare esclusivamente il delinquente) prima è finito in prigione senza aver fatto (quasi) niente di male e poi ha passato i successivi sette anni a combattere per la propria vita a costo dei propri connotati e della propria sanità mentale.
Ora a muovere Scott c’è una e una cosa soltanto: la vendetta. Almeno fino agli ultimi 15 minuti di film, in cui a muovere Scott ci sono due e due cose soltanto: la vendetta e la redenzione. E Dio aiuti chi è sulla sua lista nera, chi cercherà di mettersi fra lui e il raggiungimento dei suoi obiettivi o chi si rifiuterà di spillargli una birra!
Due cose colpiscono di questo titolo: la prima è l’aspetto, detto senza ironia, sinceramente teatrale della pellicola, che chiude chiude per buona parte i suoi attori in uno spazio chiuso e affida lo sviluppo della trama, merito ancora una volta del semi analfabeta Stu Small, quasi esclusivamente all’abilità oratoria di uno Scott Adkins nell’inedito ruolo di mattatore (nel senso di grande attore che si mangia la scena — vale la pena specificarlo visto che stiamo parlando di cinema di menare e uno dei film di Jesse V. Johnson si chiama The Butcher). La seconda è il tema quasi filosofico, portato avanti con ingenuo entusiasmo e estrema previcacia, dell’uomo comune che, una rissa alla volta, una ferita alla volta, perde progressivamente ogni cosa che lo rendeva umano per trasformarsi in una bestia che comunica unicamente attraverso i cazzotti.
Scott, inutile dirlo, ce la mette tutta come sempre. Oltre a offire la solita dose di violenza, esplicita e ottimamente coreografata, non si risparmia neanche sul piano recitativo. Non ha paura di mettersi alla prova, di dire e fare in nome della settima arte cose sgradevoli, di imbruttirsi fino a diventare irriconoscibile, lui che è sempre stato così bellino (nelle immortali parole di Sasha Cohen, un ukrainian Ben Affleck), di interpretare un personaggio che percepisce come controverso.
Il problema sta tutto là, nella percezione di Scott. Perché, con tutta la buona volontà del mondo, finché si fa i film con gli amici suoi, con tutti che gli danno ragione, che gli dicono sei un grande qualsiasi cosa faccia, il rischio di sbagliare strada, pure in buona fede, è sempre dietro l’angolo. È come andare in palestra (scelgo di proposito un esempio che Scott possa capire) senza nessuno che ti segue: fai un esercizio visto su YouTube e ti impegni un botto, ma se non hai qualcuno che ti stia dietro lo sbagli la prima volta e poi fai seimila ripetizioni sbagliate che nel migliore dei casi non danno alcun risultato, nel peggiore ti distruggono la schiena. Se lo chiedete a lui, probabilmente Scott vi dirà che si sta mettendo in gioco, che sta uscendo dalla sua comfort zone, la verità è che ogni nuovo film è una variazione sul tema di quello precedente: Scott è affezionatissimo a quest’idea di essere un uomo combattuto tra due nature antitetiche, un bravocattivo ragazzo che mena come un fabbro e all’inizio non vorrebbe, ma poi ci prende gusto perché dentro di lui c’è un demone che aspetta solo di essere svegliato e insomma, qualcuno gli deve dire che 1) non è un’immagine così interessante come crede lui e 2) non è che gli riesca così bene.
Non è che la cosa sia esclusivamente colpa sua, sono anni che lo diciamo, la Hollywood che potrebbe degnarsi di cagarlo e dargli la possibilità che merita insiste a non prenderlo in considerazione e condannarlo a questo ciclo infinito di autoproduzioni povere e poco ambiziose, ma questo è lo stato attuale delle cose.
Al di là di questo, Avengement (che abbiamo appurato essere una parola vera, traducibile come vendicamento o vendicazione, più raramente vendicazionamento) è un film onesto ma soffre di assomigliare troppo — probabilmente senza nemmeno volerlo — a due cose grossissime come Brawl in Cell Block 99 e Bronson.
Quanto a entusiasmo, Action Johnson ce la mette tutta esattamente come Scotty e il risultato sono gran scene di botte eseguite con maestria (forse troppa: visto il contesto in cui si muovono i personaggi, fa un po’ sorridere quando se ne escono con calci acrobatici e prese pulitissime) e che non lasciano nulla all’immaginazione. Ma raccontare la violenza in un ambiente come il carcere, l’abbruttimento di un uomo e il suo annullamento fino alla trasformazione totale in macchina assassina, sono cose che film più complessi hanno fatto molto meglio ed è, diciamolo, una sfida che Jesse V. non è veramente in grado di raccogliere.
Resta un’oretta, fatta la tara di tutti i momenti in cui i personaggi sentono l’inspiebabile bisogno di parlare, di mazzate consegnate a regola d’arte, denti spaccati, ossa in bella vista e crani spappolati come ormai se ne vedono solo in queste pellicole modeste e piccoline, ingenue e un po’ sceme ma fatte senza altro fine che non sia l’amore per questo tipo di cinema.
È tanto, dopo tutti questi anni, chiedere di più? Secondo me no, ma tant’è.
Blu-ray quote:
“Scott Uglinks”
Quantum Tarantino, i400calci.com
NOTA DI COLORE:
Una cosa che adoro di questo genere di DTV è come prima di tutto opzionino il titolo e solo in un secondo momento decidano cosa farci. Questi due poster, in cui Scott sfoggia look e armamentario completamente diversi da quelli che ha poi nel film, hanno iniziato a circolare un anno e mezzo fa, quando Avengement probabilmente non aveva ancora neanche un soggetto, ma a chi importa? L’importante è che c’è Scott Adkins, che è un duro e, visto che il film si chiama Avengement, che ci sia un ragionevole grado di vendicamento nel suo sguardo. Il resto è per quei fichetti sfigati che si fanno riempire la testa di cazzate come “trama” e “coerenza” dai loro professoroni al DAMS.
Francamente, ammiro la tenacia e la devozione con cui seguite la carriera di Adkins. Non vedro` questo film (come non be ho visti parecchi altri del suo catalogo), ma aspetto la nuova collaborazione con Florentine.
Ormai non so neanche perché insistiamo, al prossimo giro prendo la recensione di un film vecchio e cambio solo il poster.
Ossa spaccate con una bella coreografia e un montaggio comprensibile? A posto così. Sarebbe bello avere anche un gran bel film attorno (magari) ma il più delle volte il film è brutto e le botte poche e girate male.
Di tutti i film di questo dinamico duo delle botte devo ammettere che questo è quello che mi ha intrattenuto di più, pochi fronzoli, poca trama ma procede in maniera sufficientemente interessante per non andare di FF.
Dimenticavo: giusto per non farsi mancare niente, mi pare gli manchi solo il dramma ottocentesco in costume, il nostro è uscito pure con uno “Scottie rapito dagli alieni”, tal Abduction, diretto dal BFF suo e di JCVD Ernie BarbaCa$h, se ne parlerà su questi schermi?
Non avevo idea di cosa fosse, ho visto il trailer e ho paura che sia troppo anche per me.
Speriamo in Miike allora…
in generale sembra che questo sia stato apprezzato molto di più da pubblico e critica rispetto agli altri adkins/johnson.
io l’ho trovato migliore di the debt collector (lasciamo stare triple threat perché era invedibile) anche se il 3.4 di media su letterbox (inaudito per jvj) mi aveva fatto sperare in molto meglio.
VERGOGNATEVI. Questo film è UN CAPOLAVORO ASSOLUTO. Al momento in cui scrivo (so che nessuno mi leggerà) GRATIS ancora per 10 giorni su Raiplay.