L’altro giorno, dopo aver visto 5 è il numero perfetto di Igort, stavo leggendo la recensione di The Nest scritta da quel giovane di talento che è Quantum Tarantino (teniamolo d’occhio: farà strada). A parte sorseggiare un caffè per poi sputarlo leggendo i suoi aneddoti su Barcellona, mi ha molto colpito un suo ragionamento. Quello sull’idea, condivisa da molti, che un film italiano sia figo quando non sembra per niente italiano. “Se l’aspetto più allettante di The Nest è l’assenza di Margherita Buy, qualcosa non quadra”, scriveva il dotatissimo giovane.
Sono ragionamenti che frullano nella testa di noi redattori de i400Calci da un bel po’, almeno da quando il cinema italiano ha iniziato a manifestare segnali di risveglio dal sonno criogenico nel quale era stato posto dal 1980 in poi. Ma stavolta mi hanno colpito particolarmente, proprio perché avevo appena finito di vedere un film che, purtroppo, rientra perfettamente in questa logica.
Dico “purtroppo” perché avrei davvero, davvero voluto tanto amare 5 è il numero perfetto. L’idea che un pezzo grosso del fumetto italiano (l’ennesimo, in tempi recenti) esordisse alla regia con un noir pop ambientato nella Napoli degli anni ’60, a metà strada tra il The Spirit di Frank Miller (sì, parlo del film) e il cinema di John Woo, era una vera bomba, sulla carta. Ma il risultato, ahinoi, non è all’altezza delle aspettative. Specialmente la parte “cinema di John Woo”.
Se ci leggete da tempo, saprete che ci impegniamo da tanti anni nella lotta contro le discriminazioni di genere nel cinema. Per noi, Fast & Furious: Hobbs & Shaw e Martin Eden devono essere giudicati con i medesimi strumenti critici. L’ultima Mostra di Venezia (dove il film di Igort è stato presentato) ha dimostrato che di strada ce n’è ancora tanta da fare in questo senso, almeno in Italia. Certo, Joker ha vinto il Leone d’Oro, ma subito dopo qualcuno ha scritto che era finalmente arrivata la “legittimazione intellettuale dei cinecomic”, dando per scontato che quella legittimazione fosse necessaria.
Ma, tralasciando le dichiarazioni antipatiche di Toni Servillo circa la differenza tra graphic novel e “Topolino e Paperino” (perché non necessariamente in linea con il pensiero di Igort e perché, suvvia, è Toni Servillo), la questione per me è un’altra, ben più pratica. Il cinema d’azione va rispettato perché CAZZO È DIFFICILE DA FARE. Come anche l’horror. Non è che a un certo punto ti improvvisi regista action. Devi prima imparare il mestiere e solo dopo puoi cimentarti.
Ecco, il limite di 5 è il numero perfetto è questo. Perché di cose ottime il film ne ha. Elenchiamole, va’, che se no sembra sempre che facciamo gli stronzi per il gusto di farlo. Igort dimostra di avere occhio per le atmosfere e sa circondarsi di una squadra tecnica che, per tornare al discorso iniziale, confeziona un film dall’aspetto per nulla italiano. La cosa, fortunatamente, sta diventando una regola ormai. I giorni degli audio registrati male in presa diretta e della fotografia modello filmato delle vacanze a Jesolo sono lontani. Il cinema italiano si sta finalmente smarcando dal senso di sfiga che ormai si tirava dietro da decenni, è sempre più al passo coi tempi, tecnicamente parlando.
5 è il numero perfetto è un film enormemente stiloso: prende le atmosfere del noir classico e ci schiaffa sopra una patina post-moderna senza mai risultare ridicolo. Toni Servillo, che vi devo dire, è magnetico, perfetto. Carlo Buccirosso è un po’ più a disagio, specialmente nelle scene d’azione, ma è sempre un caratterista di ferro. Valeria Golino prosegue nella sua missione di essere sempre più inadeguata ovunque la mettano, ma il suo è un ruolo minuscolo e quindi amen. Però tutto regge abbastanza bene e, nonostante una sceneggiatura che gira a vuoto e accumula siparietti senza un reale crescendo, riesce ad affascinare.
Ma poi arrivano le sparatorie al ralenti con due pistole. Sembrano girate nel tempo libero da tuo cugino, che negli anni ’90 si sparava le VHS di The Killer e Hard Boiled e poi ha smesso di guardare film perché non ci potrà mai essere nient’altro di così figo. Tuo cugino è volenteroso, animato da un amore incondizionato per quelle folli e complicatissime coreografie di danza che John Woo metteva in scena con la fluidità di un Nureyev di sparare. Ma tuo cugino non è un regista e, quando poi tutto infervorato ti fa vedere le scene che ha girato nel campetto di basket sulla circonvalla, coi suoi amici, il Giangi e il Righe, vestiti con gli impermeabili neri e armati di pistole giocattolo, tu fai la faccia da poker, abbozzi uno stentato “BRAVI” e fingi di dover telefonare.
È in queste scene che tutti appaiono invariabilmente spaesati e fuori parte, non aiutati da un montaggio che scambia i ralenti con la lentezza. Non è tutta colpa di Igort, comunque. Sono dell’opinione che un film sia un’opera collettiva e ci sta che un esordiente si circondi di gente coi controcazzi per bilanciare i suoi limiti. Evidentemente, in Italia al momento manca proprio una scuola di professionisti in grado di salvarti delle scene d’azione col puro mestiere.
È un vero peccato, perché il film ha indubbiamente delle qualità. E perché anche solo il fatto di avere cinema così è una manna dal cielo per noi poveracci che abbiamo vagato nel deserto del cinema italiano per settant’anni. Ma, per tornare all’inizio e chiudere il cerchio con sapiente retorica: non basta.
DVD-quote:
“Topolino, Topolino…”
George Rohmer, i400Calci.com
Concordo su tutto. Visivamente è davvero notevole (e anche solo per quello a chi ha un paio d’ore da perdere lo consiglierei), ma la mancata capacità di gestire i momenti action fa perdere al film l’occasione di accelerare il ritmo quando servirebbe, facendo risultare tutta la narrazione piatta e monocorde.
Come cambia questa situazione? Il cinema italiano ci ha abituati a tanti anni di mediocrità e provincialismo che per reazione ci facciamo piacere ogni film italiano che tenta di discostarsi?
Io per primo lo faccio, mi rendo conto che apprezzo certi “esperimenti” (che esperimenti non dovrebbero essere) solo perché “beh per essere un film italiano”…
Forse tocca aspettare che tutto ciò diventi sistema per giudicare ogni suo film per i suoi veri meriti. Mi chiedo come siamo arrivati al fatto che non è permesso al cinema italiano di “sognare”. Sarebbe troppo facile imputarlo all’ingombro del neorealismo, ma la maggior parte del cinema di genere italiano viene dopo. Cosa è successo da fine anni ottanta, primi anni novanta in poi?
Perché vorremmo vedere un attore italiano in una sparatoria o in un viaggio nel tempo e poi quando succede non ci crediamo, a meno che non sia tutto smorzato dalla commedia?
Anche Jeeg Robot, pensateci (a prescindere da come giudicate il film) é riuscito a rendersi credibile perché il supereroe è un criminale di periferia. Ma perché? Uno che vive in un quartiere residenziale non è reale?
Non volevo rispondere a Djenco ma lasciare un commento autonomo. Scusate.
Jeeg è credibile perché ben scritto e ben girato, pur con i suoi difetti e i suoi limiti. L’aria poveraccia c’è sempre, ma è ben mascherata e il fatto che il film non si prenda troppo sul serio è un punto a favore.
Viceversa, se si fa un film scadente, l’effetto poveraccio viene acuito, perché siamo continuamente sottoposti a prodotti americani o stranieri in generale che, anche nel peggiore dei casi, sono fatti con mezzi e competenze migliori e vincono il confronto.
Io sono sempre del parere che oltre alle idee, fondamentali, per fare film di genere serve pure credibilità tecnica, che tradotto, se in un film di supereroi l’effetto speciale migliore è un termosifone di gomma piegato, e in un film di inseguimenti in macchina ci sono al massimo due tamponamenti, il film viene male pure se lo scrive il miglior sceneggiatore del mondo. Si può ovviare con le idee, con le trovate, con la simpatia, ma se non ci si crede in partenza e si cerca sempre di fare il massimo con due spicci verrà sempre un vorrei ma non posso.
Ci vorrebbe in primis qualche produttore coi soldoni veri che desse fiducia e mezzi ad un regista che si imbarchi nell’impresa di fare un film d’azione dove l’azione è la parte principale.
“Certo, Joker ha vinto il Leone d’Oro, ma subito dopo qualcuno ha scritto che era finalmente arrivata la “legittimazione intellettuale dei cinecomic”, dando per scontato che quella legittimazione fosse necessaria. ”
Mi sembra esattamente il punto di tutto il discorso. Perchè un genere per essere tale ha bisogno della legittimazione intellettuale di certa critica? Adesso che Joker ha vinto sdoganiamo tutto il genere? Sembreranno meno americanate? Mah.
Sulla scuola di professionisti per certe scene d’azione concordo in pieno: in Lo Chiamavno Jeeg Robot lo scontro finale era la cosa più debole per esempio. Va detto che nel “Il Primo Re” al contrario alcune scene d’azione (quella nella palude) sono di livello molto buono. Ma forse lì anche per il fatto che Borghi ha cominciato come stunt-man la sua carriera.
Forse bisognerebbe cominciare ad importare qualche manovalanza da fuori per iniziare a costruire sapere e conoscenze, senza la spocchia di dire “ma noi in Italia lo sappiamo già fare bene” (o magari già succede e non lo sappiamo).
In generale però va fatto anche in modo che gli attori “comprino” il ruolo e lo trattino con pari dignità di quando devono interpretare un disagiato della perferia, un magistrato contro la mafia, un cinquantenne in crisi coniugale etc. (sto andando per stereotipi). E infatti Veloce Come il Vento funzionava perchè Accorsi oltre a essere bravissimo spesso faceva le scene di corsa da solo (mi pare ne parlasse Jackie nel suo pezzo)
Senza andare a scomodare Tom Cruise che si lancia dagli aerei da solo, metto sotto l’allenamento che Keanu Reeves si è fatto per John Wick 3.
https://www.youtube.com/watch?v=2jLTSzf-5p4
O potrei citare il lavoro fatto da Charlize Theron per Atomica Bionda.
Il punto è che per essere credibile devi credere in quello che stai interpretando e alle volte in Italia per queste tipologie di film, non ho questa sensazione.
Scusate la lunghezza.
Ad esempio io non ricordo sequenze action degne di nota nel cinema italiano degli ultimi, boh, 15 anni? 20?
Forse qualche scazzottata in ACAB e nulla di più… e concordo sul giudizio del combattimento finale di Lo chiamavano Jeeg Robot, ma li mi pare di ricordare che la produzione si ritrovò a corto di liquidi…
concordo…da noi l’attore é in giacca e camicia e fa le stesse cose che facciamo tutti nella vita di tutti i giorni proprio perché i film in cui recita parlano solo di quello (e senza neanche troppa fantasia)…poi di chi sia la colpa non lo so…forse l’atavica voglia di dare sempre e comunque un messaggio “politico” infilato in qualsiasi genere rende il messaggio e il film una merda ….si salva a volte l’atmosfera, a volte la prova di qualche attore, ecc ma l’opera completa fuori dal tinello ma con tutti gli ingranaggi al punto giusto non l’ho ancora vista (il John wick italiano per dire)…se Il capitale umano qualche anno fa sembrava un film spietato e cinico su una società corrotta e decadente … (film sopra le aspettative ma alla fine si tornava sempre sul messaggio che non era niente di che ). Certo se poi un regista fuori dal genere mi fa un Suspiria più che notevole e viene badilato soprattutto dalla critica e gli spettatori italioti perché si tocca un film ormai mito ma di 40 anni fa…insomma non so anche il pubblico drogato dalle serie horror action Netflix and co (con puntate che spesso nella media hanno qualità bassa e si salvano con episodi sporadici di alto livello) secondo me si trova spiazzato dai film di genere di casa nostra che appunto hanno spesso tanto cuore ma pochi mezzi
@Hans “Ad esempio io non ricordo sequenze action degne di nota nel cinema italiano degli ultimi, boh, 15 anni? 20?”
Gomorra aveva almeno due scene – sparatoria nel supermercato e fuga in auto – notevoli, ma appunto è una pochezza che conferma quello che dici.
Mi sembra che la sparatoria nel supermercato sia in Suburra (e successivo inseguimento in macchina con Greta Scarano al volante).
Però ecco alcune eccezioni meritevoli (Sollima, lo stesso Guadagnino, Sorrentino, Garrone e mi fermerei forse qua) ci sono. Ma la media è quella là. Forse a breve il ricambio comincerà (la cricca di Rovere/Sibilia, Mainetti, i due registi di Mine) ma c’è molto lavoro da fare.
Jax, a cosa ti riferisci citando Sorrentino?
Comunque dai… io butterei lì pure l’assalto al treno di Smetto quando voglio masterclass, magari in un action puro e duro gli avremmo fatto la punta al cazzo per certi dettagli ma in una commedia è oro colato.
Nel senso di registi con respiro internazionel (ma si Sorrentino zero action o simili).
Sibilia l’infatti l’ho messo nell’elenco sopra.
Ho scritto Gomorra e volevo dire Suburra, sono un coglione.
non so se se pò defini action, ma il finale di gomorra il film con i killer vecchi, ciccioni e con gli infradito che seccano i due pischelli alle spalle è di una potenza disarmante
fotografia e scenografie spaziali. E’ vero che le sparatorie risultano un po’ “strane” ma la cosa che mi ha dato più fastidio è che in una trama così semplice è tutto molto confuso, tutto l’intreccio viene appesantito da una sceneggiatura sghemba che nell’ultima parte gira a vuoto di brutto. Comunque ad avercene…
Mettere due pistole nelle mani di Buccirosso è un idea del cazzo in tutti i film possibili e immaginabili. Questi film sono come quei regali che ti facevano i parenti che infondo non ti conoscevano per niente. Forse non conoscono il pubblico a cui si rivolgono ma probabilmente neanche il genere a cui attingono, i “tempi Buy” non finiranno facilmente.
Sulla “legittimazione intellettuale dei fumetti”. È stato fatto notare che ci sono almeno 3 titoli molto seri, accostabili al cinema d’autore, che sono tratti da opere a fumetti. A history of violence, Persepolis, La vita di Adele.
Vedendo Cronenberg o Kechiche nessuno ha tirato fuori la balla del “fumetto nobilitato”. Perché?
Perché quelle storie realistiche non sono percepite, dall’immaginario “profano”, come fumetti, poiché i fumetti, nell’immaginario “profano”, sono pupazzi o supereroi in pigiama.
Lì sta la differenza: pigiami o non pigiami. Joker fa la furbata di stare a metà, prende un villain dai supereroi e lo trasforma in un film drammatico su uno che diventa matto. Ottimo, ma questo manda fuori i neuroni dei critici.
mi sembra un’ottima osservazione. Fa il paro con la delegittimazione di Topolino/Paperino e con la necessità di suddividere il fumetto in serie A (graphic novel) e serie b (tutto il resto, specialmente i suddetti Disney e i fumetti Marvel/DC a meno che non scritti dai mamasantissima Miller etc.). Questa è un’altra cosa che non mi va giù per niente.
anche perchè a dirla tutta il discorso sui cinecomics nasce da una produzione più che decennale che si basa su un singolo universo e ruota attorno a 4 5 personaggi…han fatto i big money esaltando un certo genere di fumetto e adesso per il pubblico lo standard è quello..non importa che non si tratti ne dei fumetti migliori ne del cinema migliore (per me una roba abominevole tolta la patina)..è stato sdoganato il genere paccottiglia pigiamato per under 21 e chi viene dopo deve inventarsi qualcosa di originale…ha il vantaggio di avere magari meno puzza sotto al naso da parte di tanta critica e pubblico ma allo stesso tempo deve vedersela con una concorrenza “sleale” per mezzi e forza d’impatto sul pubblico
poi oh per fare un esempio chi ha un po’ di spirito si “inventa” Jeeg Robot, chi invece tenta con “disonestà” di piazzare la bandierina fa roba come “Il ragazzo invisibile” ( ma ci sono anche esempi americanissimi solo che li si perdono nel marasma dell’offerta )
Che poi, ehm, buttalo nel cesso Topolino.
Ci comparivano (e ancora capita) storie e soggetti originali scritti con una bravura e una freschezza tali da superare a destra tre quarti delle sceneggiature che vengono portate su schermo in Italia.
Hans, qualsiasi cosa di Carl Barks, Don Rosa, la serie MM, PK, la storia scritta da Jerry Siegel con la luna che finisce per scontrarsi con la terra e distruggerla dopo guerre atomiche, quella con Gambadilegno che ha un congegno per manovrare le macchine…vado avanti?
Sul fatto che mcu abbia fatto i soldoni con i suoi pigiami (ma è più che altro un discorso di metodo, applicazione e, soprattutto, avere le idee chiare su cosa si vuole mettere su pellicola), non mi pare c’entri granché con la critica. La Grande Critica Autoriale, ha sempre considerato i fumetti merda e le graphic novel capolavori: basta vedere Mollica che si srotola ogni volta che parla di Pazienza, come se l’Italia avesse prodotto solo pazienza, mentre tutto il resto è merda.
Che poi, ‘sta storia che Topolino e Paperino vengano usati come termini di paragone per “merda”, dimostra che questa gente non ha mai aperto manco per sbaglio un albo dei fumetti disney. Basti pensare a Banks o Rosa o a qualche autore nostrano tipo Scarpa o De Vita.
Però vabe, come ha detto il buon Rohmer qui sopra, la legittimazione autoriale dei cinecomic, serve giusto a quella parte di critica che ama il profumo delle proprie scorregge
si ma io mi riferisco all’accoppiata fumetti cinema non al fumetto o graphic novel in sè per sè…per me se ne dovrebbe parlare come si può discutere dell’adattamento di un libro solo che non esiste alcun monopolio di successo di un certo tipo di libro o di un certo autore.
I tempi di Battisti fascio perchè se ne sbatteva il cazzo della politica nelle canzoni e fuori dalle canzoni finalmente son finiti e a quanto pare anche da noi si comincia a sfornare roba con maggiore” leggerezza” (ma anche magari più impegno tecnico in cose che prima erano snobbate, come si dice nella recensione) …il problema è che se di Jeeg Robot o Smetto quando voglio (o Non essere cattivo, o velocità massima o Suspiria o altri che non ricordo e che hanno magari citato altri) ne escono a esser buoni uno all’anno quelli saranno vivisezionati all’infinito dalla nostra critica stracciapalle.
Sarebbe bello invece che per ogni 10 tinellate ci fossero almeno 4 o 5 pigiamate, trillerate, noirate ecc, anche “scarse” non fa niente.. almeno un pò alla volta ci dimenticheremo dei tempi Buy (non so Smetto quando voglio mi sembra un Lock e Stock in ritardo di 20 anni eppure se lo guardi ha il suo perchè e sotto sotto non frega a nessuno della storia dei precari ecc, idem in Jeeg Robot non è che sto li a studiare come risolvere il problema delle periferie, mi godo un’avventura diversa che ha come scopo principale l’intrattenimento).
Un altro problema poi sono gli attori ..con meno tinellate forse avremo qualche attore di sesso maschile in più di punta che non sia gassman o Leo o Servillo(che è bravo ma non è che può essere sempre lui dai su) e anche qualche donna più rock e meno Mezzogiorno / Buy che piange (brave ma anche basta). Poi si può anche discutere su come sostenere il cinema più o meno indipendente italiano però non mi si può chiedere di andare a vedere ogni singolo film in uscita che non sia tinelloso perchè viste le programmazioni e i prezzi delle multisala dovrei fare il critico cinematografico a tempo pieno…quindi sticazzi e si vede quel che si può godendo di siti come questo che ringrazio sempre di esistere
Il discorso è lo stesso: ho scritto fumetti, ma è trasferibile con “cinecomic” o qualsiasi altra opera (cito di nuovo paperino: la nuova serie di ducktales è una bomba, per dire)
@Ste in realtà sia Smetto quando voglio o Jeeg Robot (ci metto dentro anche ACAB visto che l’ho citato io) il messaggio c’è pari pari che in una tinellata, e come in molti film di genere di ogni paese ed epoca. Cambia il veicolo e il registro narrativo, il che a mio parere li rende anche più efficaci relegando appunto il messaggio sullo sfondo e alleggerendolo. Per dire, riguardo la faccenda dell’affresco di periferia trovo più efficace Jeeg Robot di Brutti, sporchi e cattivi. L’ho sparata grossa, lo so…
P. S. con questo non voglio affatto far passare l’idea che il genere debba sempre e per forza avere un sotteso. Il bello è appunto che può funzionare benissimo da solo, si tratta di un valore aggiunto.
no ma son perfettamente d’accordo…diciamo che come qualcun altro ha detto in modo più efficace e sintetico…non si prendono troppo sul serio..quindi si può “giocare” con maggiore libertà nel genere senza sfondare bella boiata..maggiore leggerezza e competenza e il pubblico di un certo tipo non può che apprezzare
Ottimo articolo e non posso non concordare sulla necessità del cinema italiano di rimettersi in pari con resto del mondo che non ha avuto i “tempi Buy” giustamente citati e, soprattutto, quell’aria di sfiga totale che ci caratterizza.
Vero è pure, tuttavia, che ogni volta che si è tentato di fare qualcosa “di genere” (alla Lansdale/Ellroy, per intenderci) in Italia, il risultato al botteghino e l’attenzione dei critici non si sono visti (e penso a cose come “Cemento armato” di Martani, di qualche anno fa). Magari è ed è stata una questione di non aver azzeccato il momento “hip”, ma se non c’è mercato è anche difficile che una scuola di cinema dedicata possa nascere e, perché no, anche sviluppare un proprio stile. Speriamo che inizi a nascere questo interesse, e mi piace sperare che il resto verrà da sé..
E dire che negli anni 60-70 siamo stati noi ad insegnare agli americani come si facevano i film d’azione… Sigh!
Ma su ancora con sta storia…
…ma… sei quel Lucio Leoni? Il Maestro Disney? L’autore de L’imbianchino mascherato? (personaggio di cui aspettiamo al più presto una trasposizione cinematografica degna dei 400 calci)
Una delle immagini a corredo dell’articolo ricorda un sacco questa: https://images.app.goo.gl/LksPs479T7o8ubQM9
Insomma è Watchmen con le scene d’azione girate peggio?
Vabbè tutto sommato mi sembra che i pregi, da come lo descrivete, sopravanzano pesantemente i difetti…
E già le scene d’azione di Watchmen rasentavano il ridicolo…
No, dai! A me sono piaciute, si integravano bene nell’atmosfera!
Non c’è davvero nulla da aggiungere la recensione è di una lucidità impeccabile. Si fa fatica a volergli male perché per lo meno si vede un impegno produttivo professionale e perché igort probabilmente il genere lo ama sul serio, si appoggia su alcuni archetipi classici e satura tutto fino a renderlo caricaturale (ma mai sfociando nel parodistico). Manca però un mestiere adeguato in fase di scrittura e messa in scena che prosciugano qualsiasi possibilità di rendere il film realmente appassionante.
Quindi sì, a fine film ci si incazza per ciò che sarebbe potuto essere ma si fa fatica a volergli male perché una volta tanto qualcuno ha provato a fare le cose nel modo giusto. Fallendo. Ma col cuore dalla parte giusta.
Visto ieri. Capolavoro assoluto. Guardatelo, capitelo, amatelo, lasciate che vi entri dentro, vi cambi, vi sporchi. Film pazzesco. Godetevelo. E nu scassat o cazz :-)