Scena.
Siete al ristorante. Tu e la tua lei o il tuo lui. È una sera speciale quindi hai deciso, per una volta, di non andare a mangiare in quel posto dove ti chiamano con un soprannome che non ti è mai piaciuto ma che hai accettato perché non è bello contraddire chi ha dovuto pulire la toilette dopo il tuo passaggio in “quei certi giovedì sera” in cui eri “molto stanco”. Il ristorante dove siete è uno di quei ristoranti chic specializzati in pesce che è come un ristorante chic deve essere: c’è il caminetto acceso, la musichetta poco invadente, le luci che fanno tanto cimitero monumentale, il tovagliato candido e tanto inamidato che tutte le volte che ti pulisci la bocca torna in mente tutta la library sonora di un body horror degli anni 80. È la serata giusta. Sei felice.
Dopo una breve consultazione dei menù stampati in una carta dalla grammatura calcolata a etti e grossi come il letto della tua stanza da universitario, fate la vostra ordinazione a un solerte e cedevole maitre di sala che, dopo aver pronunciato un liquamoso “Molto bene”, si eclissa con un brevissimo ma visibilissimo inchino tra i vostri sorrisi imbarazzati.
Arriva l’antipasto. L’avete ordinato alla cieca puntando il dito a caso su uno dei tanti nomi evocativi privi di qualunque spiegazione e apparente significato: “Cime tempestose”, “Lo scampo gioca a rimpiattino”, “Il colore del grano”, “Spirali abissali”. Il maitre, con gesto sicuro, dirige i camerieri come un direttore d’orchestra, li fa danzare intorno a voi come dervisci rotanti finché i patti non vengono deposti davanti ai vostri volti. Sono belli. Sono invitanti. Siete curiosi e felici. Iniziate a mangiare. “Non male” pensate in contemporanea. “Com’è?” dite con perfetta sincronia. “Non male” rispondete all’unisono. Sorridete pronti a protendere i mignoli quando. Ecco. Improvvisamente. Sulfureo e mellifluo compare il maitre.
“Il piatto è di suo gradimento?” ti chiede.
“Sì, l’ho appena assaggiato. Ma è buono”, rispondi.
Ripete la stessa domanda alla persona davanti a te e poi, con un sibilante “Molto bene. Molto molto bene”. Scompare.
“Che tipo…” riesci appena a dire facendo una smorfia con la bocca.
Lui/lei sorride.
Va tutto bene.
Porti la forchetta al piatto, infilzi una cosa a caso che sembra molto gustosa quando ecco il maitre riapparire.
“È una finta tagliatella di ostrica quella che sta per assaggiare. Una specialità molto saporita ma fatta con estrema cura. È una FINTA tagliatella perché è di ostrica e con l’ostrica non si fanno le tagliatelle, ha presente, no? Però è ostrica vera. Sa… è una cosa molto prelibata”.
“Capisco” dici portando la finta tagliatella alla bocca.
“Buono?”
“Buono”
“Molto bene. Molto molto bene. Molto molto molto bene. Buona continuazione”
E scompare di nuovo.
Silenzio in sala. Per un istante lasci la forchetta a giacere sul piatto. Ti pulisci la bocca. Osservi quello che oltre alla tagliatella d’ostrica c’è nel piatto.
“È caviale russo”.
Il tuo sistema nervoso reagisce prima di te e ti fa fare un piccolo saltino sulla sedia. Te ne vergogni immediatamente mentre, dietro di te, la voce del maitre parla scandendo ogni sillaba.
“Beluga. Il migliore che c’è. Sa di mare. Sa di pesce. A lei il pesce piace no?”
“S-sì” balbetti.
“E questo sa molto di pesce. Sa di mare. Lo sente il mare? Senta il profumo del mare… lo sente? Sente il profumo del mare?”
“Io…”
“Senta il profumo del mare… È buono il profumo del mare. È dolce. È dolce il profumo del mare”
Qual è la differenza tra un servizio solerte e un invadente stalkeraggio al tavolo? Qual è il confine, sottilissimo, tra attenzione e oppressione? Qual è la linea che separa il gioco di prestigio dal raggiro? Quale quello che divide la citazione colta dalla cafonissima operazione di marketing?
Non sono domande retoriche. Ve lo sto chiedendo davvero. Perché questi interrogativi hanno iniziato a rimbalzarmi in testa a partire dal minuto 1 (di 102) di questo Nekrotronic (o Nekromancer), opera terza della coppia di cineasti australiani Kiah e Tristan Roache-Turner, già autori di Wyrmwood, gran pasticcio sporcaccione con il suo zoccolo duro di apprezzatori. E queste domande mi hanno continuato a frullare nella testa anche dopo l’ultimo minuto (dei 102) di visione frammiste a un senso di disagio che ho cercato di descrivere nel cappello introduttivo: una costante, assillante, onnipresente e imprevedibile presenza di gomitini, gomitini, spiegotti, gomitini. Il tutto finalizzato, confezionato, liofilizzato e somministrato per un facile ma ossessivo compiacimento dello spettatore. Quel tipo di compiacimento che ci sta brutalizzando l’infanzia una pedalata di BMX alla volta. Un lancio di D20 alla volta. Se però pensate che si stia sempre inzuppando il pane nell’untino di noi splendidi 30-40enni, vi sbagliate. Qui stiamo già pericolosamente dalle parti delle generazioni a cui scende la lacrimuccia quando sentono i primi pezzi di Bieber. Perché la nostalgia canaglia dei Roache-Turner non va oltre il primo dei film della Trilogia del Cornetto, quel Shaun of the Dead di cui questo Nekrotronic cerca di essere disperatamente un successore.
Dico disperatamente proprio perché questo accrocchio mal riuscito e mal pensato, questo film dalla tecnica passabile ma dai contenuti confusi, è la versione cinematografica di quel tipo che vuole farsi accettare a tutti i costi e quindi vede i film giusti, legge i libri giusti, ascolta la musica giusta ma che, alla fine, proprio perché non ha capito cosa ha visto, cosa ha letto e cosa ha ascoltato risulta, nella migliore delle ipotesi, patetico. E Nekrotronic è questo: patetico. Fa le battute senza capirne il significato, va avanti a botte di dieci di momenti Rule of Cool senza contestualizzarli nella trama e davvero (DAVVERO) gioca a fare il “film” alla Edgar Wright senza aver capito che, dietro ai film di Edgar Wright della trilogia, oltre a un manico grosso come una casa, a un ritmo perfetto e interpreti in stato di grazia, ci sono metafore che sono in grado di pettinare in sequenza Aronofsky, N0lan e Avati.
Tutte cose che in Nekrotronic mancano completamente. Certo, ci sono solo le battute, gli scherzini, le intuizioni recuperate di peso, le citazioni post-premoderne come numerosissimi richiami al mondo cineludico e videoludico (dal guanto di Thanos, al personaggio femminile badass uguale uguale alla Lara Croft degli ultimi tempi e quello more badass uguale uguale alla Milla Jovovich dei Resident Evil dei primi tempi) che rendono il tutto una copia pezzotta, vuota e gustosa come una torta fatta di schiuma da barba spalmata su un strati di polistirolo.
Non voglio ulteriormente tediarvi su un film in cui un addetto all’autospurgo si scopre di colpo Harry Potter ed è chiamato a sconfiggere un demone che vuole usare internet per possedere l’umanità; cui interi pezzi di pellicola sembrano inspiegabilmente montati in ordine cronologico sbagliato; in cui l’immaginario di riferimento è così poco chiaro e confusionario da essere, più che ridicolo, fastidioso (negromanti che sono esorcisti, che sono evocatori, che sono telecineti, che sono cacciatori di demoni che sono una dinastia che sono una famiglia che va beh) e in cui alla fine l’unico messaggio che passa è così passatista da far sembrare i profeti della decrescita felice dei pionieri 4.0. Vi basti però sapere che, alla fin fine, quanto lo schermo si farà nero, non vi resterà che un conto troppo caro in tasca e un ricordo troppo fumoso in testa di una sera in cui tutto vi sarebbe dovuto davvero piacere. Ma nulla vi è davvero piaciuto.
DVD-Quote suggerita:
“Persino gli operatori porta-a-porta del settore energia sono più onesti di questo film.”
Bongiorno Miike, i400calci.com
IL CAPITOLO MONICA BELLUCCI
Monica Bellucci richiede un piccolo inciso a parte perché lei è un film a parte. Monica Bellucci recita per tutta la durata del film (per un minutaggio davvero importante) come se a dirigerla fossero Dolce & Gabbana. Alterna varie espressioni estatiche accompagnandole con sinuosi movimenti delle mani e lievi inclinazioni della testa (verso destra, verso sinistra, leggermente indietro, indietro a destra, indietro a sinistra e ricominciare). Si impegna davvero tanto in quello che fa, il problema è non sa cosa sta facendo anche, e probabilmente, a causa della coppia di registi australiani che l’hanno lasciata a ruota libera limitandosi a protrudersi in calboniani baciamano e in “Facci lei, contessa carissima”.
Non si può però che lodare l’attrice però per andare costantemente a imbarcarsi in avventure di volta in volta più strampalate o rischiose (Dobermann, Shoot’em Up, L’ultimo capodanno, I Fratelli Grimm e l’incantevole strega ma anche cose come Irréversible) anziché essersi costruita una dorata carriera fictionara sulle spalle di chi paga il canone RAI. Il che la rende non la migliore tra molti ma di sicuro meglio di tanti.
Applausi a scena aperta per Miike.
Attendo il Rated R “Nerkiotronic” con puntuale recensione di Cicciolina.
1) Bertornato Miike!
2) “l’hanno lasciata a ruota libera” Lolloni. Sono cose che ti fanno ricordare N Io e Napoleone e capire che Virzì come direttore di attori ci sa fare.
3) Solo I 400 Calci ti può buttare lì la citazione giusta di Signore e Signori, Buonanotte.
1) Grazie mille Gigos
2) Sì, in questo caso davvero c’è l’impressione che, tra le clausole del contratto per la Bellucci, ci fosse una cosa tipo “la faccio come la so fare”
3) Filetto.
Facci, facci contessa!
Ahahahahahahahahahah!
Che colpo gobbo! Siete MITICI!
questo incipit è un capolavoro e deve essere salvato a imperitura memoria. Prima o poi dovrete fare i Sylvester dedicati ai redattori e gli articoli.
Giusto, io lo dico da anni*. Pensa che belle faide interne, invidie, accordi sottobanco, tradimenti e risse col coltello questo genererebbe in redazione, una roba che il Trono di Spade al confronto è il giovedì-Risiko con la cumpa. Che poi a Valverde sono le normali dinamiche da ufficio.
*Anche se ora che non scrive più Luotto, non lo so…
Ho pensato la stessa cosa, quindi mi limito ad accodarmi. Miike genio vero!
Welcome back, il sito di riferimento si sta rianimando, non può che fare piacere.
La citazione di Tognazzi vale il prezzo del biglietto. Effettivamente non avevo mai riflettuto sulla folle carriera della Bellucci, cagna come poche, però spericolata.
A “cagna come poche” ti potevi tranquillamente fermare che avevi già raggiunto il climax.
Viva L’ultimo capodanno, il più bel film italiano del mondo
Recensione spettacolo.
Il fatto di aver reso benissimo l’idea del film senza mai utilizzare la parola ASYLUM è un esercizio tra il difficile e l’impossibile.
“Quel tipo di compiacimento che ci sta brutalizzando l’infanzia una pedalata di BMX alla volta. Un lancio di D20 alla volta. Se però pensate che si stia sempre inzuppando il pane nell’untino di noi splendidi 30-40enni, vi sbagliate. Qui stiamo già pericolosamente dalle parti delle generazioni a cui scende la lacrimuccia quando sentono i primi pezzi di Bieber”.
Miike direttore Istat subito!
quando ho visto lo screenshot “capite cosa intendo?” ho pensato “ennò, eddaiii!”…
grazie per avermi salvato 1 ora e mezza di vita (anche se, diciamocelo, la presenza di Monicona in versione live action mi aveva già fatto subodorare il pericolo…)
Ma se non lo hanno distribuito ci sarà stato un motivo, no?
È nuovo.
Intendi dire che ti aspetti che venga distribuito anche da noi in un qualche imprecisato futuro? Hai così poca fiducia nel genere umano?
Hanno distribuito il film precedente degli stessi registi, non c’era Monica Bellucci, non c’era nessuno di famoso, era meno costoso, era meno fantasioso, era brutto più o meno uguale.
Allora purtroppo sono io che ne ho troppa. E ormai sono troppo vecchio per cambiare.
A me ha divertito. Quando ho visto i primi due minuti con le faccine iper-demenziali degli uomini primitivi e i demoni, ho capito l’atmosfera e l’ho guardato in modalità Suspend-your-disbelief. E me lo sono goduto un botto. Praticamente è Constantine che non se la tira. Insomma, è un videogioco colorato tipo Anni ’80.
Come pellicola (cioè l’insieme delle scene) è goffo e disomogeneo, quasi offensivo: ma come film (insieme delle emozioni) intrattiene con la sua sgangherata, rumorosa bordata di colori, e diverte proprio perché è fuori di testa, un sequel video-giocoso di Shaun of the Dead.
Promossissimo per le serate Kebab e birra a tsunami.
@Alessandro: alla fine della pellicola me lo sono chiesto, sai? Mi sono proprio detto: “Boh, alla fine questo è uno di quei film da six pack di birra e risata con pezzi di bacon tra i denti”. E stavo per dire “Ma sì, dai, alla fine è una gran giostra colorata”.
però poi.
Poi…
Poi ho ripensato alla scena del “PIANO” a quanto fosse pedissequamente ripresa da Shaun of The Dead e ho davvero iniziato a riflettere sul fatto che la buona fede, qui, mi sa che latita.
Pensa che ho scritto al capo supremo Nanni per dirimere i miei dubbi e alla fine sono addivenuto al fatto che divertire è lecito, prendere per i fondelli no. Buona la porchetta, sì, ma se è fatta con scarti di produzione delle macellerie sanitarie anche no.
Non te la prendere eccellentissimo, io vivo quasi completamente dentro la mia testa, dove tutto è almeno un minimo carino. Quando sopravvivi a pistole puntate in faccia, ti succede qualcosa. Un brutale divisorio tra bene e male, più crudo.
Nasce una rabbia strana. Un senso di “Ma alla fine è grazioso? Sì? Allora va nella categoria “Passabile”. Questa mia categoria assomiglia alla ragazza non proprio bellissima ma simpa un botto, e che tira dei mega bocchini e ci puoi pure chiacchierare dopo.
Ha una sua spiritualità.
A me i film piacciono tutti a meno che non siano proprio vuoti. Bada, questo ha delle forzature pese. L’amico coattissimo che causa la morte della gnocca proprio non ha senso. E sì Shaun of the Dead si sta rivoltando nella tomba ma non per uscirne fuori come tutti gli zombie per bene di questo mondo.
Ma non mi ha fatto schifo. Se è per quello a me ha fatto ridere Deadtectives. Vuoi sapere un film che non mi è piaciuto? The Drone. Parla di un serial killer la cui anima entra in un drone che spia i culi delle donne e poi le taglia a pezzi con le eliche. Gli ho dato una chance ma quando inizia a parlare stile Darth Vader attraverso uno speaker robotico innestato non ce l’ho fatta più. Anche 5-headed shark attack è vuotino. 6-headed è meglio.
Perdonami, ragioniamo lungo le stesse linee, ma io se un film è meglio di niente, per me è meglio di niente, quindi sono un pochino più morbido nei giudizi.
Io lo capisco che un recensore deve essere professionale. Hai citato Nanni, e lui mi piace molto, tante sue rece non le condivido ma si sente che ha la testa. C’è pensiero, e tanto, dietro a ciò che dice. Poi io dissento serenamente, ma solo perché per me praticamente qualunque cosa è meglio di niente.
Quando esci mezzo morto e con la febbre a 41 da un mega incubo (promemoria per chi crede a queste cose: MAI fare rituali con la febbre alta) e scendi in cucina, solo in casa mentre il mondo attorno a te trema per il temporale, e non fai la spesa da cinque giorni, e la luce del paradiso/frigorifero illumina quel singolo saccottino al cioccolato rimasto e allora ti scordi di essere satanista da vent’anni e ringrazi tutti i santi del paradiso, ti succede qualcosa. Quasi tutto è meglio di niente. Poi bada, sono io che sono così. Ma quasi tutto è meglio di niente. Poi ci sono le eccezioni: the Drone era una. Anche Alien Abduction è una. Poi me ne verranno in mente altre. Se mi sforzo. Poi oh, anche certi colossal mi hanno deluso. Vuoi sapere un colossal che ho trovato forzato in un modo disarmonico rispetto alla stazza del film stesso (e a ciò che era lecito aspettarsi)? L’ultimissmo Jurassic World. Aveva un ché di “E ora arriva un pompiere vestito da imbianchino con un fiore nel cappello”. Con il Raptor dell’Indocina AKA Indoraptor (almeno lui non ti indorapta la pillola) che sembra il diavolo, e bambine clonate e dinosauri a giro per il mondo che ora vediamo che inventano per il sequel. Bellissima pellicola (cura dei dettagli), film… forzato.
Sai cosa mi piacerebbe? Ma non è una lamentela, perché una lamentela prevede una conoscenza seria ed onesta di come vanno le cose, e io parlo da avventore, non da sapiente: mi piacerebbe che questo glorioso sito dividesse film e pellicola. Che le rece specificassero se dietro alla forzatura di certi film può esserci piacere, almeno per chi vuole vedercelo. Sai che a me è piaciuto l’ultimo Doom? Quello direct to video di quest’anno, si chiama Doom Annihilation. Goffo, bruttino, forzato, a me è piaciuto da schifo. Lo trovo allucinantemente più fedele al gioco di quello con The Rock e Urban. Ricordo quando provai a far vedere alla mia ragazza Let Her Out (che abbiamo entrambi trovato inverosimile ma molto robusto come horror, davvero gradevole) e lei mi rispose: “Tradotto vuol dire “Falla uscire”! Amo’, manco fosse ‘na scorreggia, ma che film vuoi farmi vedere?!” Poi le piacque. Siete recensori, dovete essere severi. Ma riflettete tutti voi su questo: avete potere. Il vostro carisma influenza la gente. Usatelo con saggezza. Con misericordia. Molte rece di questo simpaticissimo sito sono un po’ troppo severe :-)
Salute, Miike!
A prima vista dalla locandina sembrava un film indiano ma purtroppo è molto peggio.
E così anche i film australiani si vanno ad aggiungere ai film francesi che non devo mai più guardare.
Grazie Miike per il tuo sacrificio.