Volevamo raccontarvi un pugno di film di James Bond in preparazione a quello nuovo, la cui uscita era prevista per il 10 aprile, ma poi è stato spostato a novembre.
Pensavano forse di scoraggiarci?
Col cazzo: adesso ci mettiamo qua e ve li raccontiamo TUTTI.
A voi Le Basi: 007.

«Guarda, è proprio l’ora del clistere!»
Ci pensate che nel 1967, proprio quando nei cinema di tutto il mondo stava uscendo Si vive solo due volte, c’era ancora gente che sperava di poter preparare un piatto di James Bond senza Broccoli?
Casino Royale, che NON è il film con Daniel Craig uscito parecchi anni dopo, è un unicum nel canone bondiano, talmente unicum che non è neanche parte del canone. È un esperimento, anzi ancora meglio è una frettolosa correzione di rotta in corsa di quello che doveva essere un progetto ispirato a Fleming e che si è trasformato, per ragioni extra-cinematografiche ed extra-letterarie e meramente commerciali, nella pecora nera delle vicende di 007, l’unico film sull’agente segreto non prodotto da Eon (insieme a Mai dire mai del 1983, che però almeno aveva a bordo Sean Connery), nonché l’unico film sull’agente segreto scritto e girato apposta per far ridere come degli scemi.
Venne massacrato ai tempi dell’uscita, sepolto di insulti e di ferocissime considerazioni critiche tipo “non ci si capisce un cazzo”. Fu un macello dare il via alla produzione, fu un macello girarlo, fu tutto un macello, di scene girate e mai utilizzate, di modifiche in corso alla sceneggiatura per adeguarsi alle bizze del cast, e tutto questo macello si vede, si sente, si respira per tutti i 130 minuti di durata. Uscisse oggi si solleverebbe un coro di lodi, punteggiato di parole come “destrutturazione” e “postmodernismo”, il che spinge a domandarsi se Casino Royale non fosse stato capito all’epoca oppure se ci siamo rincoglioniti noi con gli anni (rispondo alla fine). Il dettaglio certo è che il titolo è la cosa più a fuoco dell’intero film nel momento in cui la prima parola viene letta come “caos, confusione” e non come “posto dove scommetti i soldi e giochi a baccarat”.
Più di ogni altra cosa, Casino Royale è un film che, nascondendosi dietro la maschera della parodia macchiata di satira, risponde a una domanda fondamentale su 007 che nessun altro film della saga affronta, e cioè: che cos’è James Bond per chi non è fan di James Bond? Nella SIGLA!, l’unico elemento del film che abbia avuto un qualche successo immediato.
Breve storia produttiva di Casino Royale: nel 1955, sette anni prima dell’uscita del primo film su James Bond, Ian Fleming vende i diritti del suo primo romanzo su 007 Casino Royale al produttore Gregory Ratoff, che cinque anni dopo verrà colpito dal morbo della morte; tali diritti passeranno dunque alla vedova e, tramite una serie di manovre spericolatissime, al suo avvocato e produttore cinematografico Charles Feldman, il quale viene immediatamente contattato da Albert Broccoli che vorrebbe acquisire quei diritti per dare il via a una serie di film con protagonista l’agente segreto. Feldman rifiuta perché vuole essere lui il primo a produrre un film su 007, salvo poi cambiare idea quando viene battuto sul tempo da Licenza di uccidere. Il progetto Casino Royale rimane così in un limbo dal quale è lo stesso Broccoli a provare a tirarlo fuori; Feldman non ne vuole sapere di cedere quei benedetti diritti, ma nel 1964 prova quantomeno a convincere Eon a co-produrre il film. Ovviamente va tutto male, come va male il suo successivo tentativo di avere Sean Connery come protagonista (pare che avesse chiesto troppi soldi). In breve, Casino Royale continua a essere un progetto nato morto, almeno finché Feldman decide che si è rotto il cazzo e che il suo film non sarà un normale adattamento del romanzo di Fleming, ma una parodia dei film di spie che in quegli anni, e proprio grazie a Eon e a James Bond, andavano per la maggiore.
Arriverebbe dunque qui la parte in cui vi racconto estesamente il secondo casino relativo a Casino Royale, ma essendo una faccenda lunghissima provo ad accorciarla: il film viene scritto, riscritto e ritoccato infinite volte, tanto che la lista dei credit su IMDb comprende sette nomi “uncredited”, alcuni dei quali hanno contribuito in minima parte alla stesura finale – Terry Southern, per esempio, che aveva già lavorato con Peter Sellers nel Dottor Stranamore, è presente solo perché lo stesso Sellers lo volle per scrivere i suoi dialoghi, mentre non è chiarissimo come abbia contribuito Billy Wilder, per dire. Lo script originale viene tagliato, rimaneggiato, rivoluzionato, rimasticato una quantità francamente eccessiva di volte, e il risultato finale è una specie di Frankenstein (non ho scelto il mostro a caso, visto che compare nel film, interpretato da un David Prowse pre-Darth Vader) che contiene moltitudini ed è un pasticcione fortemente psichedelico di tutto quello che la cultura popolare associa all’immaginario di James Bond.

«Mi tiri il dito?»
Al centro di tutto, o meglio a fare da cornice al delirio, c’è un maestoso David Niven nei panni di Sir James Bond, l’originale, ormai in pensione e molto deluso dalla piega che hanno preso le cose da quando se n’è andato e il suo numero di identificazione, lo 007 ovviamente, è passato in mano a personaggi più interessati al lusso e alla passera che al caro, vecchio spionaggio di una volta. Tutti i discorsi su Bond erotomane, sulle Bond girl e sul male gaze diventano in Casino Royale il cuore del film: da qualche parte nel mondo c’è un’organizzazione cattivissima che sta ammazzando tutte le spie, la cui arma sono una serie di donne bellissime e affascinanti che usano il loro bellissimo fascino per sedurre il Bond di turno e poi farlo fuori. Sir James viene così richiamato in servizio e messo a capo di un programma segreto per addestrare nuove spie che siano immuni al fascino femminile, e possano così scoprire chi sta dietro agli omicidi.
Non sto esagerando ad arte: la trama del film è letteralmente che la figa sta ammazzando gli 007 e l’unico in grado di resisterle è lo 007 originale, figlio di un tempo nel quale l’integrità professionale era più importante della fama personale e pure del sesso. Come poi questa trama venga raccontata è un altro, complicatissimo discorso: sul set passano almeno sei registi diversi, ciascuno con il suo tocco personale e le sue idee, al punto che dopo le prime due macrosequenze (“Bond torna in azione” e “il funerale di M”) il film diventa una collezione di gag più o meno scollegate tra loro che si reggerebbero in piedi da sole se fossero cortometraggi, e che invece la produzione è costretta a far convivere individuando uno straccio di fil rouge che dia quantomeno un’impressione di unitarietà. Clamorosa in questo senso è l’intera sequenza ambientata in una scuola di spie di Berlino Est, una delirante parentesi espressionista ispirata al Dottor Caligari che non ha alcuna necessità di avere un contesto intorno per poter essere goduta.
Inutile quindi proseguire a raccontare la storia, quello che succede, perché non è chiarissimo a nessuno, probabilmente neanche a chi il film l’ha fatto; ci sono intere sequenze che sono state girate e poi scartate e che sarebbero servite a dare un senso a certi passaggi, manca un collante, una visione d’insieme, per dirne un’altra: la seconda volta che compare, Ursula Andress si sta liberando di un cadavere, in teoria si tratterebbe del corpo dell’agente 006 (Ian Hendry) se non fosse che tutte le scene da lui girate furono tagliate dal montaggio finale, per cui quello che rimane è un corpo senza volto che finisce in cantina e del quale non sapremo mai nulla.
C’è poi il problema dell’ego delle star coinvolte, Peter Sellers in particolare, che voleva che i suoi dialoghi fossero migliori di quelli di Woody Allen e Orson Welles, che sparì dal set per intere settimane e che si rifiutò di comparire in alcune sequenze, tanto che per ovviare alla sua assenza venne chiamato un ospite (Val Guest, ironicamente) a girare alcune sequenze di raccordo che dessero un senso a un film che ne perdeva un po’ ogni giorno che passava.
Ma quindi, stante questa situazione sulla carta disastrosa e le crudeli recensioni che il film si attirò nel 1967, che cosa rimane oggi di Casino Royale? Soprattutto, ne vale la pena?
La risposta è un sonoro “sì”, perché Casino Royale è una parodia, un film comico, e in questo senso, nonostante il macello o forse proprio grazie al macello, funziona ancora alla perfezione – mi azzardo a dire che funziona meglio oggi, dopo anni di Mel Brooks e di Zucker-Abrahams-Zucker, di quanto funzionasse nel 1967 quando questo modo di approcciarsi al racconto non era ancora stato codificato e formalizzato per bene. Casino Royale contiene una bella fetta di canone bondiano (Vesper Lynd, M, Le Chiffre, la SMERSH), non solo frullato tutto insieme ma anche, soprattutto, piazzato sotto la lente d’ingrandimento della parodia, esasperato nei suoi elementi involontariamente comici, dissacrato senza alcuna pietà.
È James Bond come se lo immagina chi di James Bond ha sentito solo parlare: donne bellissime e semisvestite, assurdi gadget ipertecnologici, doppi e tripli giochi, trame e sottotrame, incomprensibili intrecci di potere, fascinosi agenti segreti in completi elegantissimi, sigari, alcool. È anche un film che, nonostante i casini produttivi, sprizza amore per il cinema da ogni sequenza, nel quale quasi tutti i nomi coinvolti hanno dato il meglio possibile per far funzionare la parte a loro assegnata: ci sono esplosioni, inseguimenti, grandi balletti esotici tutti veli e luci ammiccanti, slapstick comedy nascosta dietro ogni angolo, persino un clamoroso finale meta- che anticipa di quasi dieci anni quello di Mezzogiorno e mezzo di fuoco. È difficile trovare qualcosa che davvero non funzioni momento su momento, e la locura spintissima che punteggia ogni sequenza riesce a mascherare la natura ibrida e incoerente dell’opera; in altre parole, il fatto che sia un film scritto, girato e montato a cazzo di cane non ne inficia la qualità, ma anzi contribuisce a farla schizzare a livelli altissimi. È caos organizzato, seppure involontariamente, un pastrocchio che riesce nell’impresa di farci credere che sia tutto voluto, tutto pianificato accuratamente, alla faccia dei frettolosi reshoot e delle pecette che spuntano qui e là.

Barbara Bouchet best Bond girl ever
La curiosità più grossa, a più di cinquant’anni dall’uscita del film, rimane una: come sarebbe se venisse fatto oggi? Quanta roba in più si potrebbe aggiungere al polpettone per continuare a sfottere un canone che non ha mai smesso di prendersi mortalmente sul serio? Casino Royale nacque come sfottò in un’epoca in cui non se ne sentiva ancora pienamente il bisogno, e contestualizzato nel 1967 assomiglia più a un dito medio di Feldman a Broccoli che a un’attenta operazione di decostruzione di un caposaldo della cultura pop occidentale dell’ultimo secolo. Preso come opera a sé stante, però, rimane, 53 anni dopo, un pezzo di comicità surreale culturalmente elevatissimo, che sopperisce con le idee a un ritmo zoppicante e a tutte le sue lungaggini. Forse, ve lo concedo, non è il Bond migliore di sempre, ma è senza fatica uno dei più interessanti.

«Ma grazie!»
Bond Girl & Bond Villain by Gianluca Maconi:
Quarantine quote
«Un minestrone di Bond condito con la polvere ridolina»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Barbara Bouchet… e i polsi di una generazione che tremano!
Wow, grandi, non mi aspettavo ripassaste anche questo!
L’ho visto per caso solo una volta secoli fa, gia’ iniziato e in widescreen, probabilmente neanche sapevo cosa stavo guardando. Rimasi straniato dall’atmosfera “pop” talmente esasperata da diventare psichedelica, un campionario di roba 60s talmente 60s che sembrava un prodotto retromaniaco immaginato decenni dopo. E quell’incredibile cast, cioe’: Peter Sellers, Woody Allen, Orson Welles, John Huston, David Niven, William Holden e Jean-Paul Belmondo tutti insieme in uno stesso film! Ricordo che fu una visione tra lo sconcertato e il molto divertito e mi rimase in testa un senso di cialtronata totale eppure genialoide. Con gli anni poi ne ho letto di male in peggio e, laciandomi influenzare, non avevo piu’ pensato di recuperarlo, ma dopo questa recensione lo metto subito in lista per le visioni piu’ immediate.
So che non ve ne frega nulla perché avete ragione voi, ma siccome eravate il mio sito superpreferito di cinema vi dico che speravo che per la quarantena avreste consigliato qualche chicca da scovare sui vari calderoni streaming invece di leggere segoni a due mani su James Bond e commenti della cumpa su film già recensiti.
Però oggi grazie a voi ho voglia di ascoltare musica psichedelica!
+1
Domanda sincera (da uno che non ha mai visto 007): cosa ha di calcistico? Mi sembrano più film per bambini che altro…
Risposta sincera: se non fosse esistito 007 un bel pezzo di cinema che qui si recensisce manco esisterebbe.
Se proprio non hai mai visto nulla, almeno Casino Royale (quello con Craig) e Goldfinger recuperali.
i segoni a due mani sono quasi d’obbligo per una delle saghe (Segoni saga ah ah rabbrividiamo) più longeve della storia … esattamente cosa non è di menare in James Bond ? pistole fighe, auto fighe , gente figa che si mena con vari gradi di convinzione e credibilità, tope con nomi improbabili, cattivi altrettanto improbabili e una colonna sonora esagerata ed immortale. Se si vuole il sbam sbam con Parkinson cam citofonare Bay e il suo anticinema (di menare e non solo)
Twitter, #400primer, e vedi che hai pisciato fuori.
Caro alex
Mi sembra evidente il debito che il cinema contemporaneo debba alla saga di bond. Rivoluziono’ il ruolo dello spy movie, dimostrò, grazie a Ken Adam, la possibilità di creare grandi set fantascientifici senza il digitale, ridefini il senso di glamour e figaggine, divenne il marchio di fabbrica del British style. Poi è chiaro che tutto deve essere contestualizzato ma nel 62 la andress che usciva dall’acqua era qualcosa vicino a un sogno erotico per un film mainstream
Si, vero, ne hanno consigliati, me ne ero dimenticato. Anche se per me monografie e pubblicazioni di commenti rimangono segoni a due mani.
Visto che è morto pochi giorni fa, mi sento di aggiungere che in una scena c’è un cameo di Stirling Moss, il più grande pilota mai esistito.
Clark, Senna, Hamilton: am I a joke to you?
hamilton?
Hamilton non sarebbe tra i più grandi piloti della storia della F1?
Seriamente???
Guarda, è l’ora del clistere!
Da seguace dei Prophilax, ho riso più del dovuto…
Di questo film resta anche la bellissima canzone “The Look of Love” di Burt Bacharach e Hal David che fu candidata all’Oscar nel 1968. Il brano fu cantato dalla magnifica Dusty Springfield,un monumento della Canzone inglese. Un’occasione per ricordare anche questa cantante,con una Voce ed un talento sublimi.
È vero! Dusty Springfield partecipò al Festival di Sanremo nel 1965,ma poi stranamente non venne più nel nostro Paese. Se penso che in tutti questi decenni a Sanremo sono stati invitati più volte cantanti a dir poco penosi,mi chiedo perché non sia stata richiamata per esibirsi di nuovo,un vero talento come Dusty Springfield. E perché non viene pubblicato NULLA della Springfield in Italia?
Meno male che su Youtube si trovano tantissime canzoni di Dusty Springfield. Compresa la canzone di questo James Bond 007 parecchio demenziale. Vale veramente la pena,sentire Dusty.
“Uscisse oggi si solleverebbe un coro di lodi, punteggiato di parole come “destrutturazione” e “postmodernismo”[…]”
Questo è quello che direbbe metà esatta dei commentatori dell’internet. L’altro 50% della giuria di qualità denuncerebbe sdegnato che FA SKIFO XKè CI SONO I BUCHI DI TRAMAH!
Film folle ma se ci sono attori come Niven e Sellers non si può non vedere. Visto la prima volta da bambino e, sinceramente, non ci capii nulla. Mio padre, grande fan di 007, non sapeva fosse una parodia e lo affitto’ dal videonoleggio (no vhs ma pellicola) per proiettato sul muro. La delusione fu terribile (oggi con internet non sarebbe mai successo).
Piccolo trivia: Niven fu uno dei più grandi amici nonché vicino di casa di Roger Moore. Quando Niven morì, Moore disse che era come perdere un fratello
Stirling Moss, Detto il re senza corona. Il pilota più vincente di sempre senza aver vinto il campionato del mondo di F1. Suo il record di percorrenza della mille miglia, stabilito nel 1955 con la Mercedes-Benz.
Anch’io lo vidi da ragazzino e non ci capii un cazzo di nulla. Rivisto all’età giusta e preparato da innumerevoli visioni di film parodie/demenziali, si capisce che CASINO ROYALE è uscito decisamente prima del tempo e pure malamente, ma un idea di cosa si voleva fare la si può intuire (anche se hanno clamorosamente mancato il bersaglio).
Il personaggio Bond è “destrutturizzato” perfettamente mettendo in risalto e in ridicolo tutte le sue caratteristiche fondamentali, ma, ahimè, è tutto il resto che è scollato e fuori focus. Fossero state mini-missioni di Bond/Niven che deve sventare minacce random in giro per il mondo (Scozia, Berlino, Londra, il casinò,…) con una bellezza altrettanto random a fargli da spalla/rivale forse avrebbero salvato capra&cavoli. E magari anche nel ’67 si sarebbe potuto apprezzare questa visione parodistica della spia. Sarebbe bastato dare una traccia di storia ai vari sceneggiatori e ai vari registi ma lasciargli contemporaneamente carta bianca per curare i loro corti che poi uniti avrebbero composto il film finale.
5-6 mini-film scritti da diversi sceneggiatori e diretti da grandi nomi con ospitate clamorose e bellezze mozzafiato inserite di volta in volta accanto o contro David Niven fino allo scontro finale contro Woody Allen. Brutto? E invece è uscito un pastrocchio semi-inguardabile dove anche turandosi il naso parecchie volte si fa fatica a seguire il carrozzone. Peccato.
Un cinque altissimo da parte mia alla decisione di dedicare un pezzo a questa semi-sconosciuta pellicola che qualche anno fa – ante netflix & co. – ho faticato a trovare.
Da fan di tutto quanto e’ demenziale, alcune cose sono meravigliose e, sicuro, troppo avanti per il tempo. E poi il cast e’ incredibile; faccio fatica a ricordare un altro film che riunisse cosi’ tante bellezze.
Non so se e’ gia’ stato citato, ma tra i debitori di questo Casino – pun intended – l’ovvio Austin fra tutti
(A proposito di Dusty Springfield. 14 anni dopo, sarebbe stata anche un wishful thinking di Bill Conti per interpretare il tema principale del 12° Bond-movie Eon, «For Your Eyes Only»: o lei o Donna Summer, ritenute le più adatte dal temporaneo successore di John Barry.
In realtà furono contattati anche i Blondie, nel 1981 all’apice del successo mondiale, ma la versione alternativa che proposero – per me entusiasmante, le avrei volute entrambe – non fu accettata; e Debbie Harry, a sua volta, non accettò di limitarsi ad eseguire un pezzo altrui del quale non apprezzava le lyrics.
Alla fine la scelta della produzione cadde sulla fascinosa e talentuosa Sheena Easton, reduce dall’exploit del secondo singolo, «Morning Train (9 to 5)», che aveva raggiunto il N.1 delle charts prima in UK e poi in USA: a tutt’oggi, unico e solo caso di main-artist a fare bella mostra di sé anche fisicamente, durante la sua performance canora, sui titoli di OO7.
Fine del pop-up divagazione).
Vabbè, a sto punto gradirei un approfondimento su Austin Powers, per favore.
No,Marco V. hai detto una cosa interessante. E aggiungo che Bill Conti pensò a Dusty Springfield anche per la canzone del Bond “La Spia che mi amava” del 1977. Ma purtroppo Dusty dovette rinunciare perché ricoverata in una clinica specializzata per disintossicarsi da alcool e droga. Dopo aver sentito su Youtube parecchi brani cantati dalla Springfield,sono convinto che la sua magnifica voce ed il suo talento avrebbero meritato MOLTA più fortuna. Sia la canzone del 1977 (Nobody does it better) che il brano cantato da Sheena Easton furono candidati all’Oscar. Sheena Easton fu “scoperta” dalla Springfield in una trasmissione antenata di X Factor nel 1979-80. Quante combinazioni…
Anche io sono convinto che il James Bond col grande Niven fosse un “pastiche” fracassone e non molto rispettoso del romanzo di Fleming.
Sono d’accordo con chi ha ricordato il brano splendidamente cantato dalla grande Dusty Springfield. Una cantante di cui vorrei si parlasse di più anche in Italia. Elvis Costello ha recentemente dichiarato che la nostra Mina gli ricorda proprio Dusty! Elvis Costello:scusate se è poco…
Mi ha fatto sbracare dalle risate. Da antologia “l’harem” di M, fatto di ragazze dall’età rigorosamente compresa tra i 16 e i 19 anni, roba che oggi non la scriverebbero neanche sotto tortura.
Tutti sti fan della Springfield che cazzo stanno a fare qua ? Da quale armadio canforato sono usciti ? Ma soprattutto, possono rientrarci ?
miii errata, che t’ha fatto la springfield, ti ha sedotto e abbandonato?
A umorista,hai fatto proprio bene a firmarti Errata Corrige. Hai scritto un mucchio di castronerie. I fan di Dusty Springfield hanno anche 30 anni. Ma perché non ti ficchi tu in un armadio,e ci resti? Almeno la finirai di scrivere inesattezze.
Se parliamo di un film del 1967 e della canzone del film,chi ci volevi? Lady Gaga?? E studia!
Che razza di gente…
Errata corrige,hai proprio toppato! Se non l’hai ancora capito,stiamo parlando del James Bond con David Niven che aveva una canzone che fu candidata all’Oscar,e la cantava Dusty Springfield.
Cos’è,vuoi cambiare la cantante 53 anni dopo? Se ascoltassi qualche sua canzone,forse eviteresti di dire boiate. Armadio canforato? Ma vacci tu,che ci staresti bene! La canfora ficcatela ANCHE in bocca.
Ma mollatelo quello che si firma Errata Corrige! Sa di aver scritto scemenze e non ha neppure il coraggio di firmarsi. Dusty Springfield è nella storia della musica pop e soul e dal 1999 è nella Hall of Fame del rock negli Stati Uniti. Con lei entrò un certo Bruce Springsteen. Scommettiamo che quel frescone di Errata Corrige dirà che anche il Boss è da armadio canforato? Forse le uniche canzoni che conosce sono quelle di Candy Candy e Lady Oscar che canta mia figlia di 6 anni. Oltre,Errata Corrige non conosce. Non perdiamoci più tempo. Lasciamolo con la sua ignoranza.
Giusto,Marinoni! Pensiamo solo al film ed a tutto quello che lo riguarda. Canzone compresa:se venne candidata all’Oscar,un motivo ci sarà stato. Perché era uno splendido brano,cantato divinamente dalla grandissima Dusty Springfield.
E continuiamo a parlare in questo modo qui,cioè di cose serie e di alto livello. E NON di fregnacce.
Oggi scopro di avere tanti fans agguerriti di Dusty Springfield tra i lettori dei 400 Calci.
Caro Cobretti,non ho il piacere di conoscere gli altri fan di Dusty Springfield. Ma io sono un “bondiano” di ferro,che ama la buona Musica. E le canzoni della Springfield sono SENZA alcun dubbio Buona Musica!
La scemenza “armadio canforato” poteva tirarla fuori solo un grande ignorante .
E non poteva che “firmarsi” Errata Corrige!
Sono d’accordo con il sig. Pecci. E poi,che c’è di strano?? Si parlava del James Bond del 1967 con David Niven,che aveva una canzone che venne candidata all’Oscar. E fu cantata da Dusty Springfield! Tutto pertinente,mi pare! Se la Springfield fosse stata inserita nei commenti su un film di fantascienza,ad esempio,dove non cantò un bel niente;allora avrei capito le critiche.
Certa gente scrive o parla,senza conoscere i fatti.
Giustamente poi arrivano le “lavate di testa”! Che sono meritatissime.