Volevamo raccontarvi un pugno di film di James Bond in preparazione a quello nuovo, la cui uscita era prevista per il 10 aprile, ma poi è stato spostato a novembre.
Pensavano forse di scoraggiarci?
Col cazzo: adesso ci mettiamo qua e ve li raccontiamo TUTTI.
A voi Le Basi: 007.
Mi fa un po’ tenerezza pensare a Timothy Dalton. Quando Sean Connery lasciò Bond, nel 1967, dopo Agente 007 – Si Vive Solo Due Volte, come sappiamo cominciò la ricerca matta e disperatissima di un nuovo attore in grado di portare sulle spalle il peso di essere l’agente segreto più figo del pianeta. La Storia ci insegna che il ruolo andò al modello australiano George Lazenby che fece un film solo, Al Servizio Segreto di Sua Maestà, per poi fare come il Baglioni. Lazenby venne scelto perché, leggenda vuole, si intrufolò al provino facendo lo spanizzo e raccontando un sacco di balle, “Ah, ma lei signor Broccoli non sa, io ho fatto questo e pure quello, ho recitato di qui e di là”, ma c’era già una panchina bella lunga di attori pronti a diventare il nuovo Bond. Tra questi, scelto proprio da Broccoli, c’era già Timothy Dalton. Solo che all’epoca Dalton era ancora un ragazzino, aveva 21 anni, praticamente la metà di quelli di Connery quando aveva mollato e quindi – stando alle sue dichiarazioni – disse “no, grazie”. Per cui rimase lì, sulla panchina lunga.
E mentre lui se ne stava lì in attesa arrivarono il già citato Lazenby e poi il nostro amico Roger Moore, che si fece ben sette film per un totale di 12 anni di onorato servizio. Arriviamo quindi al 1985: Moore, dopo Bersaglio Mobile, alla tenera età di 58 anni decide di farsi da parte e, ancora una volta, parte la ricerca matta e disperatissima. Timothy, ormai quarantenne, è sempre lì in panchina. Di fianco a lui si sono appena seduti due altri attori: Sam Neill e Pierce Brosnan. Il regista John Glen e gran parte dei produttori hanno deciso: vogliono Sam Neill. A far saltare l’accordo però è il grande capo in persona, Albert Broccoli, che si dice poco convinto. A quel punto si opta per Brosnan. L’attore era sotto contratto con la NBC per la serie televisiva Remington Steele che era sulla via della cancellazione causa ascolti bassissimi. Fu però proprio la notizia che Brosnan era stato scelto come nuovo Bond a riaccendere l’interesse del pubblico nei confronti della serie, che venne miracolosamente salvata e pure rinnovata, rendendo impossibile avere l’attore. A quel punto è facile immaginarsi il coach scuotere la testa, sbuffare, guardare verso Dalton e a mezza bocca dirgli: “Vabbè, dai… vedi di giocartela bene, eh?”.
L’idea, anche a causa del flop al botteghino del film precedente, è quella di cambiare direzione. Si abbandona la simpatia a tutti i costi dell’epoca Moore per tornare alle origini. Il nuovo Bond dev’essere simile a quelli dei libri di Ian Fleming. Un agente segreto duro, che vive in un mondo dove il pericolo è reale, dove si può anche morire. Un uomo che ha anni di esperienza sulle spalle e che vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, tra macchine veloci, drink incendiari e donne bellissime. In questo senso Timothy Dalton, molto meno sbruffone di Moore, è una scelta azzeccata: ha gli occhi un po’ tristi di uno che ne ha passate di ogni. Certo, la battuta pronta non gli manca, ma lo capisci che è più una posa che altro. Peccato però che questa intuizione e l’evidente sforzo che l’attore mette nel dare una nuova vita al personaggio non venga ricambiato a livello di scrittura.
Prendiamo il cold open. L’idea di partenza è giusta: stiamo per assistere a una prova tra i vari agenti 00, una sorta di allenamento. Devono gettarsi da un aereo, atterrare nei pressi di una stazione radio e prenderne il controllo senza farsi soprendere dai soldati. Non li vediamo in faccia, li inquadrano sempre di spalle. Lo spettatore lo sa che tra quelli c’è il nuovo 007, il più forte di tutti, ma non sa ancora chi sia. Gli agenti vengono mano a mano eliminati e la tensione sale: fra poco il nostro ce la farà e una volta che prenderà possesso della stazione radio, finalmente lo inquadreranno in faccia e dirà a qualcuno: “Bond… James Bond!”. E invece no. A metà sequenza il giochino si interrompe e ci viene mostrata la faccia del nuovo 007. Poi succede di tutto, eh? Salta su una macchina in corsa, evita di esplodere, riesce a uscire all’ultimo minuto dal veicolo mentre questo si sta per schiantare in acqua, ma c’è un calo di tensione. È come se mi avessi promesso una cosa per poi darmene un’altra.
Questa sensazione di incompiutezza si trascina poi per tutti il resto del film. Si ha sempre l’impressione che manchi un pezzo del puzzle. Certo, ormai si festeggiano i primi 25 anni del Bond cinematografico, tutti sanno chi è 007, ma se l’idea era quella di rinnovare il mito, riscriverne le caratteristiche, forse si poteva concentrare un po’ di più sul personaggio e non dare tutto per scontato. Vi faccio un esempio se volete frivolo, ma secondo me abbastanza chiarificatore: fra un po’ di anni, Daniel Craig chiederà il suo primi Martini in Casino Royale. Il pubblico si aspetta che da un momento all’altra dia la solita indicazione al barman, ma succede qualcosa di inaspettato: è propio il barman a chiedere se lo gradisce “stirred or shaken“. E la risposta di 007 sarà: “Do I look like I give a damn?“. Ecco, in questa piccola variazione al canone, sta tutto il personaggio del nuovo Bond. Sei in quel mondo ma ti accordi che qualcosa è cambiato. Anche in Zona Pericolo c’è ovviamente una sequenza in cui si parla di Martini. Bond, in gentile compagnia, entra in un albergo di Vienna, raggiunge il concierge Hans a cui chiede una stanza. Il vecchio Hans, conoscendo Bond, gli chiede: “Che faccio, mando su due Martini?”. Al che il nostro si gira e risponde: “Agitato, non mescolato“. Ma lo dice senza nessuna classe, come se stesse riprendendo il povero Hans, colpevole tutte le volte di portargli in camera il cocktail sbagliato. Una delle cose meno Bond di sempre.
Come detto l’idea era quella di abbandonare le gag quasi slapstick dell’epoca Moore per abbracciare un’estetica action molto più cruda e veritiera, cosa che viene rispettata per tutto il film… o quasi. Non si capisce per quale motivo infatti ogni tanto rispunti, come un peperone che si rinfaccia, la terribile linea comica. Vedi la sequenza in cui Q presenta a Bond il Ghetto Blaster o quella in cui, durante un inseguimento in macchina, con un raggio laser Bond riesce a separare una macchina della polizia in due come in un cartone animato di Chuck Jones. Maccosa, dai.
La storia è poi eccessivamente macchinosa, senza un vero e proprio villain che si rispetti ma tre cattivelli minori: il generale sovietico Georgi Koskov (Jeroen Krabbé) in combutta col trafficante d’armi americano Brad Whitaker (il mitologico Joe Don Baker), entrambi tenuti sotto controllo dal generale Leonid Puškin (l’altrettanto mitologico John Rhys-Davies). L’unico degno di nota è lo scagnozzo di Koskov, il signor Necros che è un sicario che uccide le sue vittime strangolandole col filo del suo walkman. Gesù… Ma perché? Sul versante Bond Girl c’è da segnalare per prima cosa il cambio nel cast di Miss Moneypenny. Esce di scena la matura Lois Maxwell per lasciare spazio a una giovanissima Caroline Bliss, qui impegnata nella difficile parte della gnocca coi capelli legati e gli occhiali da vista troppo grossi. Ma la vera Bond Girl del film è la violoncellista Kara, interpretata da Maryam d’Abo. Per la prima e penso unica volta non ce ne sono altre: siamo nel 1987, là fuori c’è una malattia che si chiama AIDS e non è il caso di far andare in giro Bond a infiocinarne a dozzine.
Volendo trovare qualcosa di interessante – ripeto: oltre a Dalton che si impegna come un pazzo – è lo sbrocco finale in cui Bond per sconfiggere i russi, si unisce alla lotta dei fieri e liberi mujaheddin. La cosa è interessante perché è la stessa cosa che deciderà di fare l’anno successivo John Rambo in Rambo 3. Bond e Rambo uniti per la prima volta. Dai combattenti per la Jihād. Il pubblico dell’epoca apprezzò e anche di molto: Zona Pericolo a fronte di un budget di 40 milioni di dollari, ne porta casa ben 190. Oggi mi sembra sia uno dei Bond meno citati in assoluto e, per quanto mi riguarda, me lo ricordavo decisamente meglio.
Bond Girl & Bond Villain by Gianluca Maconi:
DVD-quote:
“Mah… me lo ricordavo meglio”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
Eh, niente, anche il povero Dalton… non so… era anche bravo ed espressivo. Ma di nuovo la faccia sbagliata.
Quel ciuffetto un po’ così, schiavo di quegli anni, quello sguardo un po’ così… da persona rassegnata alla routine, fosse anche salvare il mondo. Insomma, questo aspetto da “Impiegato dello spionaggio” che sarebbe andato bene ad un altro personaggio meno “visibile”.
Ecco Timothy avrebbe potuto essere erede di uno dei tanti professionisti interpretati da Michael Caine, un buon Jason Bourne ed un perfetto Jack Ryan.
Ma non “Bond, James Bond”. Mi spiace Tim, davvero, sei bravo… ma non sei LUI.
Concordo: per altro, i baffetti di Dalton sono un po’ come i capelli di Sansone. Li togli, perde coolness.
Pensa te… Io invece credo che il “doppio zero” a Dalton calzi a pennello! :-D
Il mondo è bello perché è vario!
Ho da sempre un debole per il dittico di Bond con Dalton (sopratutto adoro quello di mercoledì prossimo). Lui mi sta molto simpatico “a pelle”, oltre che per sto fatto della panchina lunga. Sarà per sta sindrone da “seconda scelta” che i suoi due film vengono visti come quelli sfigati che nessuno mai si ricorda di citare?
E invece sono due solidissimi film action-spionistici fatti come Dio comanda usciti nel periodo più buio, quando il genere attraversava un momento di crisi superato in popolarità e fama da altri eroi di altro stampo e da altri generi cinematografici. Non siamo ancora alla spia-super eroe tipo Ethan Hunt di “M:I” o Jason Bourne che mena tutti ma non si ricorda manco il suo nome. No, qua si parla ancora si infiltrazioni vecchia scuola, omicidi, tradimenti, doppio-gioco, guerra fredda, coperture,… Molto più vicino, come idea di fondo, a “Dalla Russia con amore” o “La spia che mi amava” rispetto ai sboronissimi capitoli di Connery e Moore. E poi Dalton accigliato è sicuramente più credibile come spia rispetto all’affascinante Sean e al gigione Roger. Il personaggio, esteticamente, gli calzava come un guanto a Dalton.
Purtroppo, come scritto da Casanova, a livello di scrittura il film zoppica. Probabilmente non si voleva calcare la mano perché il cambio di attore principale è sempre un rischio. Si riciclarono perciò gli stunt di sicuro successo (la fuga sugli sci e il volo col paracadute iniziale ad esempio) e le battutine sceme “alla Moore”. Ma il piano malvagio è inutilmente contorto e i cattivi sono 3 cazzoni random senza carisma (l’unico con un minimo di background è l’americano appassionato di battaglie storiche). Fortuna che almeno il “braccio armato” Necros è minaccioso quanto basta per essere un pericolo più che concreto per Bond (nonostante il modus operandi francamente ridicolo…). Infine la spia-assassina-violoncellista Kara è caruccia ma pure lei parecchio piatta e inutile. Non ha un’identità precisa ondeggiando tra i vari ruoli che la sceneggiatura prevede (cecchino a cui viene affidata una missione, damigella da salvare). Col senno di poi è facile vedere dove si poteva mettere mano alla sceneggiatura, ma se, ad esempio, 007 l’avesse seccata subito accorgendosi poi che il cecchino è una bella ragazza bionda finita come pedina sacrificabile in un gioco molto più grande di lei e la missione di Bond diventava quella di smascherare il traffico d’armi, sarebbe stato un film probabilmente migliore.
Uno 007 duro ma umano, feribile nel corpo e nell’anima, con una coscienza, ma se ha una missione da portare a termine diventa implacabile sbaragliando ogni nemico che gli si pone davanti.
Il film però non è male e ad ogni occasione lo riguardo con piacere. Ma come molti altri, ha il sapore di occasione sprecata. Nonostante questo è meglio di alcuni capitoli più famosi e blasonati.
Questa volta ti vado contro :)
Dalton ce la mette tutta e riesce anche a dare un’identità al suo Bond, per fortuna anni luce diverso dal Bond di Moore.
Ma il film è ai limiti del guardabile:inutilmente intricato, non c’è un vero villain, la Bond girl è piatta e tra doppi giochi vari scivola veloce nel dimenticatoio.
Mi fermo qua perché penso anche di peggio su quello successivo… :)
Si può dire che Dalton segni in qualche modo l’inizio di una sorta di “era moderna” di 007. Ma poteva iniziare meglio
Eh sì, era un Bond fisiologicamente nè carne nè pesce perché arrivava nella seconda metà degli anni ’80 dove bisognava liberarsi dell’iconografia di Moore e l’unico trend certo su cui calcare la mano era la Guerra Fredda: i Bond vivono di trend che li ancorano alla loro epoca di uscita, se i riferimenti sono vaghi perdono un po’ in connotazione. Nel ricordo collettivo non ha aiutato neanche sapere a posteriori che Dalton sarebbe comparso in soli due film, prima dei novanta a forte trazione Brosnan. Però ho un ricordo positivo di questo film – più che del successivo – proprio perché il mood spionaggio era bello forte. (Ma l’ultima volta che l’ho visto sarà stato più di dieci anni fa, quindi potrei avere un ricordo edulcorato.)
Film piuttosto sfilacciato, che alterna momenti spassosi a piattume lento e invecchiato malissimo.
C’è da dire che il Bond letterario è uno dei primi influencer di sempre (molti libri di Fleming, nei dettagli tracciano vere e proprie mappe stilistico/gastronomiche del mondo), e in quel momento storico era tutto quanto in sospeso: la Guerra Fredda era agli sgoccioli, lo yuppismo si era tagliato le palle con la crisi di borsa, gli anni ’90 erano ancora un enigma. Bond torna ai libri, ma senza averli davvero capiti.
Anch’io è tanto che non lo rivedo, ma ho sempre apprezzato molto il dittico di Dalton.
Il prossimo è più sporco e violento, ma questo Zona Pericolo (che peccato non aver conservato il titolo originale Il lume dell’Intelletto, anche se poco action) per me è uno dei Bond “perfetti”, di quelli in cui davvero le varie componenti della mercuriale formula bondiana trovano l’equilibrio giusto. Dalton ci dà l’anima, la trama sinceramente non me la ricordo nemmeno (e, diciamoci la verità, le trame di Bond dopo quasi trenta film si somigliano abbastanza) ma questo film lo ricordo come uno di quelli con la migliore atmosfera in assoluto. Bond che si prepara a fare il cecchino E’ letteralmente l’incarnazione delle pagine di Fleming.
Inoltre ho un debole per Kara, la violoncellista bondgirl. E’ meno, ehm, bona di tante altre bondgirl ma la trovo dotata di una grazia tutta sua che me la fa considerare un a parte nel roster di gnocche bondiane.
E trovo ottima anche la canzone degli A-ha.
Dalton poteva essere un buon Bond ma come detto questo film ha una trama contorta a cui manca tutto l’effetto cool tipico di bond. I nemici hanno davvero poco fascino come del resto l’unica Bond girl. Il tutto da uno tono da sfigato al povero Dalton. Sul film successivo Dalton è già bollito e recita con poca voglia ed entusiasmo rendendo il film l’unico b movie della serie. Del resto all’epoca in un intervista disse che non era interessato a questo tipo di film, preferiva il teatro.
La le dichiarazioni dell’attore principale stile “Sì, lo interpreto ma Bond in realtà lo odio e vorrei dedicarmi ad altro” sono talmente parte della prassi produttiva bondiana che penso siano direttamente nel contratto degli attori, insieme al fatto di dover indossare anche nella vita personale il brand di orologi sponsor e spero almeno non pure i vestiti.
Per chi, come me, si è avvicinato al mondo 007 leggendo tutti i libri di Fleming e solo dopo ha visto i film, Dalton non è uno degli interpreti di James Bond.
Dalton è Bond.
Ne ha colto in pieno lo spirito.
Non un superman, un infallibile tombeur de femme, una spia implacabile.
Un uomo, tabagista incallito e forte bevitore ( mezza bottiglia di whisky al giorno), che nei libri pare combattere più contro i suoi demoni interni che con il villain di turno.
Spesso non gli piace quello che fa, e non lo nasconde.
Dalton è anche quello che si avvicina più alla descrizione fisica fatta da Fleming, l’unico ad avere quel “sorriso crudele” che, nel romanzo ” La spia che mi amava” fa credere alla protagonista femminile di trovarsi di fronte all’ennesimo gangster.
Timothy, sei durato troppo poco.
Ma forse, di essere James Bond, te ne fregava solo un capello più di George.
Mah. Dalton per me e’ perfetto ne L’amore e’ un trucco,
Ahah, cosa mi hai ricordato. Avrebbero dovuto intitolarlo La Tata ed Io.
Però non dimentichiamocelo in Hot Fuzz (“Well, he murdered Bill Shakespeare”)
IL PADRE DI CHUCK!
Sbagliatissimo quello è Scott Bakula, lui interpreta un villain la cui figlia è nientepopodimenoche Lauren Cohen.
È verissimo!!!
Diciamolo con onesta: quando Dalton prese il ruolo di 007 era già un attore con la A maiuscola a differenza di chi verrà prima o dopo che avevano avuto esperienze non di primissimo livello. Dalton veniva dal teatro dove recitava al fianco di quel monumento di Vanessa Redgrave (sua compagna anche nella vita privata, a sinistra della sinistra, che immagino non stappasse spumante a sapere che il suo compagno interpretasse un reazionario come bond. Non so se sia un caso che si lasciarono proprio a cavallo delle riprese del film). Insomma aveva un’altra caratura come attore e si vede. Studia il personaggio, legge i libri e imprime a 007 una durezza inaspettata soprattutto a confronto con moore. Il film secondo me è ottimo nella prima parte: il teatro, il cecchino, la fuga nella tubatura, l’assalto al mi6, la scena dell’aston Martin (una delle migliori in cui finalmente viene dispjegata tutta la potenza del mezzo), Tangeri, ecc. Tutto questo ha un brusco arresto quando arrivano in Afghanistan. La’ il film ha una brusca battuta di arresto che ne pregiudica tutto il seguito. Si salva solo il confronto tra bond e il trafficante d’armi. Questo rende difficile dare un giudizio univoco perché è come assistere a 2 film diversi.
Piccola nota: una seconda bond girl c’è nel prologo e consumano sulla barca facendo il verso in “dalla Russia con amore” su quanto tempo moneyponny “concede” a bond prima di presentarsi a rapporto
Porca miseria, che Bond sarebbe stato Sam Neill!!!
Per la serie “Se non lo sapevate, sapevatelo”.
Joe Don Baker tornerà in altri due film della serie (“Goldeneye” e “Il domani non muore mai”) nei panni, però, di un altro personaggio (l’agente della CIA Jack Wade). L’unico, nella Saga di Bond, oltre a Maud Adams (Andrea Anders in “L’uomo dalla pistola d’oro” e Octopussy in “Operazione Piovra”, più un cameo in “Bersaglio mobile”).
Andrebbe forse aggiunto alla lista Robert Brown, il quale, dopo aver interpretato l’ammiraglio Hargreaves in “La spia che mi amava”, sostituì Bernard Lee nel ruolo di M: non si capisce, però, se si tratti del vecchio M (Sir Miles Messervy) o di Hargreaves subentrato a questo’ultimo.
Il messaggio non era evidentemente in risposta a Killing Joke, chiedo venia.
Veramente anche Charles Gray comparve in due film con due ruoli diversi: in “Si vive solo due volte” era Andrews, e crepa subito, in “Una cascata di Diamanti era Blofeld.
Orco…verissimo, c’era anche Charles Gray, m’era completamente passato di mente.
La tipa in barca all’inzio è Virginia Hey c’era anche in Mad Max 2 e la tipa che si innamora di Max e muore nell’inseguimento finale trafitta
Hey, tipa…
Ogni volta che guardo i successivi film di Brosnan, anche quello bello, riesco solo a pensare: dove sei Timothy? Lui era il Bond per eccellenza: duro, freddo, impietoso. E l’introduzione a Gibilterra lo spiega perfettamente: il cattivo fa fuori quegli incapaci degli altri 00 con l’avviso “morte alle spie” in russo (citazione top alla Smersh dei libri), l’ultimo urla cadendo dalla scogliera, Tim si gira con John Glen che gli piazza uno zoom favoloso, e basta, tu già sai che quello è Bond, James Bond. Solo che non lo dice, mica sta giocando a baccarat come Connery, sta in missione e allora corre, pesta di botte chi deve pestare, lo fa esplodere a mezz’aria e solo DOPO sottolinea l’ovvio, sputando fuori la frase quasi con disprezzo, che tanto sono passati trent’anni e la conoscono anche i muri.
Insomma un professionista, ma puoi credere senza riserve al suo lato umano che fa capolino davanti a Kara, che per una volta non è una gnocca travestita da agente segreto, ma una violoncellista che di quel mondo di spie e cortina di ferro non ci capisce niente. Già, la guerra fredda, è l’ultima volta che si vede per davvero in un film di Bond. Addio al capo del KGB Gogol, che doveva fare Puskin (che non è un villain, maccosa! Tanto che dopo si mette pure d’accordo con Bond) ma l’attore era troppo malato, e allora si limita a fare un breve cameo al concerto finale; e addio a John Barry, che compare come direttore d’orchestra, prima di mollare la serie.
Film insomma crepuscolare, ma ci si diverte senza strabordi, come in Solo per i tuoi occhi. Forse con villain ugualmente realistici ma più incisivi, e l’eliminazione del Felix Leiter più blando di sempre, parleremmo di un gioiello della saga. Ma anche come thriller, tra Dalla Russia con amore e questo, guardo più volentieri l’ultimo.
8/10 al film, 10 e lode a Dalton, 11/10 al Ghetto Blaster, censurato dalla pudica versione italiana già all’epoca.
Non concordo. Brosnan secondo me è stato il miglior bond. Ha racchiuso in sé tutte le caratteristiche dei precedenti. Purtroppo non ha avuto film alla sua altezza ma gli va dato merito di aver tenuto in vita una saga con buoni incassi
Gusti. A me il Bond di Brosnan è sempre stato qui, non so perchè, forse mi ha sempre dato l’idea che fosse lì per atteggiarsi più che per fare il suo lavoro. Dove Brosnan mi piace davvero è in La Morte può attendere. Con l’intero film che gli crolla intorno, zeppo di maccosa, lui e Rosamund Pike sembrano gli unici minimamente interessati a tenere su la baracca. A me non piace, ma meritava un finale migliore, questo sì.
il bond di brosnan È il migliore, al meno in versione del gamecube…
Con “Vendetta privata” il tentativo di rinnovo è andato sicuramente meglio.
Veramente anche Charles Gray comparve in due film con due ruoli diversi: in “Si vive solo due volte” era Andrews, e crepa subito, in “Una cascata di Diamanti era Blofeld.
Timothy Dalton fu la giusta punizione che incorse su chi si lamentò di Roger Moore. Completamente privo di carisma e di humor, Dalton era uno 007 simpatico come un calcio nel culo e sensuale come la figlia di Clinton. Villains ridicoli e incapaci, la bond girl più dimenticabile di sempre, perfino la peggior Aston Martin mai prodotta, tutto in questo film dà la sensazione che si cerchi di tappare il buco nell’attesa che si liberi un Brosnan a caso. Nemmeno una delle sceneggiature più convincenti della serie e qualche stunt ispirato riuscirono a risollevare la situazione. Andrà un po’ meglio (non per merito di Dalton) nel capitolo successivo, ma non tanto da non rinnovare il Cococo all’incazzoso Timothy.
Sembra io sia l’unico a considerare “quello dopo” ancora più terribile di “quello di adesso”.
Ancora due giorni e ci pronunceremo tutti in merito :)
Rimane il fatto che sono per me due capitoli assolutamente dimenticabili, non per colpa del buon Dalton in ogni caso.
la sessione dei commenti ai film di Bond sui 400 calci: un must, quando stai telelavorando e non ne hai mica tanta voglia.