Il sequel di The Debt Collector!
Ma pensa te, con tutta la roba che uno si aspetta da Scott Adkins.
Mettiamo le regole subito in chiaro: io dò scontato che se state leggendo questo a) avete già visto il primo oppure b) non vi interessano spoiler sul primo.
Di conseguenza – so che siete svegli e avete già capito in autonomia – vi sto lasciando intuire da subito che non ha molto senso guardarsi questo da solo a meno che non siate vittime di circostanze complesse.
E quindi farò spoiler sul primo.
Anzi, guardate quanto sono buono: vi lascio il tempo di pensarci e prima cambio argomento per un po’ che c’è una cosa importantissima che voglio essere sicuro che sappiate tutti.

Spoiler!!!
State seguendo Scott Adkins su Youtube?
Se sì, vi siete accorti che nella noia del lockdown ha avuto l’intuizione del decennio.
“The Art of Action” è il nome che ha dato a una serie di interviste ai migliori professionisti del mondo del cinema di arti marziali dagli anni ’80 a oggi, da gente nota come Dolph Lundgren, Tony Jaa e Steven Seagal, a eroi di culto come Mark Dacascos, Cynthia Rothrock o Loren Avedon, agli odierni maghi del settore Gareth Evans e Chad Stahelski fino ai meno decantati coreografi JJ Perry e Jude Poyer.
Qui è dove Scott Adkins si trasforma nel nerd di cinema di menare come noi e voi e chiede aneddoti, curiosità, approfondimenti, investigando come sono nati i nostri film, le nostre scene e le nostre carriere preferite.
E lo fa da una posizione privilegiata: il moderno alfiere del genere, profondamente rispettato dai suoi interlocutori, che sanno di parlare con qualcuno che li capisce e che ha un’esperienza e una reputazione chi più chi meno paragonabile alla loro.
Ne escono fuori chicche impressionanti, spesso raccontate col tono della telefonata tra amici, in cui Scott si dimostra interessato non tanto ad aneddoti vuoti ma quanto a una panoramica completa sugli ingranaggi del mondo del cinema di menare: come lo si affronta creativamente, tecnicamente e fisicamente.
È la cosa migliore che sia mai accaduta al cinema tutto come minimo dai tempi delle interviste all’Actor’s Studio di James Lipton.
E non fatevi ingannare da nomi che conoscete meglio o peggio: non c’è un solo episodio debole.
Al momento in cui scriviamo ci sono 19 episodi e sono 19 lingotti d’oro.
Non perdeteveli.

È successo davvero.
Tornando a noi.
Chi ha visto il primo film ha già una domanda: ma i protagonisti alla fine non erano morti entrambi?
SPOILER: no!
Lo spoiler sta nel fatto che li vediamo nel poster, e nel fatto che i nostri si conoscevano per la prima volta nella scorsa avventura per cui pure la strada del prequel era chiusa.
Qui ho un altro aneddoto, che a suo tempo non potevo raccontarvi proprio per questioni di spoilers: quando Scott venne a presentare il primo Debt Collector al Fighting Spirit Film Festival, insieme al buddy Louis Mandylor e al regista Jesse V. Johnson, si discusse proprio del finale. Jesse raccontava di come avesse due versioni pronte, una in cui morivano e una no, e che fu il produttore per motivi imperscrutabili a scegliere quella in cui morivano. E ci stava! Era un modo rinfrescante per prendere un film molto carino e per una volta rimanere fedele a un arco coerente piuttosto che arruffianarsi il pubblico.
La cosa buffa – e che non si vede spesso ai Q&A di un film nuovo – fu che Scott non era d’accordo e lo disse tranquillamente davanti a tutti. “Boh, io preferivo il finale positivo, per me abbiamo fatto una cazzata” (virgolettato approssimativo).
È comprensibile: Debt Collector era forse il film in cui Scott trovava la sua cifra attoriale, finalmente il tipo di personaggio al di fuori di Boyka che gli viene davvero bene, spontaneo, energico, carismatico.
E che personaggio è?
Boh, se stesso, approssimativamente. Il bulletto inglese, l’hooligan da pub.
O in poche parole: il Jason Statham.
Che purtroppo non lo aiuta molto, perché anche Jason Statham ultimamente fa fatica a fare i film alla Jason Statham, gli tocca fare da spalla a mostri giganti in CGI come in Shark – Il primo squalo o in Hobbs & Shaw.
E spero di sbagliarmi, ma l’unico uomo capace di mettere più di un Jason Statham nei suoi film è Guy Ritchie. Normalmente il 70% dei suoi personaggi sono Jason Statham, anche quando non c’è Jason Statham. Quindi spero che Guy Ritchie si ricordi di Scott.

Mah, per me usare le armi è come ordinare al takeaway.
C’era un’altra cosa figa in Debt Collector: c’era Louis Mandylor che si mangiava la scena.
Louis Mandylor! Ci avevo messo un po’ a capire chi era.
Io mi ricordavo di Costas Mandylor, Frank Costello in Mobsters, Shin nel film di Ken il guerriero, l’assassino meno carismatico del mondo in Saw 4, 5 e 6, e uno dei 50 uomini più sexy del 1991 secondo i trivia di IMDb (che, sempre secondo IMDb, in questo momento ha VENTISETTE film in post-produzione).
Louis è il fratello, che può vantare lo street cred di aver partecipato a 22 episodi di Più forte ragazzi con Sammo Hung, ma anche di aver fatto parte della famiglia di protagonisti di Il mio grosso grasso matrimonio greco (ve lo ricordate? Madonna che vagante di soldi senza senso che fece all’epoca. Alcuni amici furono a tanto così dal portarmi a vederlo e dissi “piuttosto Harry Potter”, e li deviai a vedere un Harry Potter per poi addormentarmici felice dopo 25 minuti).
Insomma, come dire: io non avevo mezzo indizio che Louis Mandylor nascondesse una tale quantità di carisma da potersi mangiare un film (uno qualsiasi), ma ce l’ha, lui e il suo accento inarrestabile: fa ribaltare dal ridere, e ha un’intesa con Scott degna dei migliori buddy cop.
E quindi sì, si arrivava alla fine che tutto sommato dispiaceva per quei due. Erano dei bei personaggi.
Forse Scott aveva ragione, e dovevano mantenere il finale aperto per un sequel.
Oppure no?
Beh, ormai l’hanno fatto.

Chi vuol sentire una barzelletta?
Inizia bene, Debt Collector 2.
French (Scott) e Sue (Louis) sono vivi.
Non ti interessa più di tanto sapere perché, ma loro te lo spiegano lo stesso.
Fa piacere rivederli e hanno effettivamente la stessa intesa di sempre, forse perfino meglio.
Scott entra in scena con una rissa al bar e non si poteva partire con piede (in fazza) migliore.
Louis forse ha l’accento persino più calcato di prima.
Dopo le avventure del primo film, come l’etichetta del genere insegna, sono alla ricerca dell’Ultima Missione Ricchissima Dopo la Quale Ritirarsi.
Debt Collector 2 è il tipo di action low budget che regala personaggi scritti sopra la media degli action low budget, interpretati da due tizi insospettabilmente in palla che sembrano aver trovato un ruolo cucito su misura e divertircisi come vecchi amici.
Ti ritrovi a pensare “starei a sentirli parlare per un film intero”.
Ed è qui che Debt Collector 2 ti frega.
Ti frega perché ti legge questo tuo pensiero entusiasta frettoloso e dice “ah sì?”, e ti dà esattamente quello.
Va tutto abbastanza bene, ma verso la mezzora inizi a pensare “ok, sono simpatici, ma magari facciamoli anche entrare in azione?”.
Io non lo so com’è nato questo sequel, se ha davvero avuto più successo dello Scott Adkins medio (è appena il suo terzo franchise dopo tre Undisputed e due Ninja) o come abbia trovato i fondi, specie considerando che da qualche parte è uscito come The Debt Collector 2 ma da altre è uscito come “The Debt Collectors” e in UK – madre patria di Scott Adkins – addirittura come “Payback”, non solo a sganciarlo del tutto dal franchise ma anche a confonderlo a gratis con un classicone di Mel Gibson. Ma ecco, per qualche ragione sembra persino più economico del primo.
Nel primo c’erano ruoli piccoli ma importanti per Tony Todd e Michael Paré, in questo sono andati a recuperare quel gigante di Vernon Wells ma gli hanno dato il ruolo di “indebitato X” e non molto da fare.
Quando finalmente Scott mena è in un setting perfetto, una palestra, ma per via di questa foga di sembrare più raffinati del solito e non fare quelli che cercano solo scuse a caso per tirare calci in fazza finisce che non vengono tirati calci in tazza e finisce tutto in caciara.
Ci crede tanto, DC2, e lo stimi per quello.
Poi ci crede un po’ troppo, finisce per dimenticarsi di avere a mano Scott Adkins e non un Mark Wahlberg qualunque: la stira all’impossibile, e quello che sembrava un contorno di lusso finisce per essere la portata principale, mentre quello che aspettavamo come portata principale non arriva mai.
E a un certo punto pure i dialoghi smettono di essere simpatici, dopo aver chiaramente abusato dell’ispirazione degli sceneggiatori Jesse V. Johnson e Stu Small ben oltre i loro limiti.
A un certo punto si pensa di poter rimediare tutto in un colpo rifacendo la scazzottata di Essi vivono, forse ancora più lunga, ma anche questa sortisce lo stesso effetto di tutto il resto: una buona idea stirata fino al punto in cui non sembra più una buona idea.
E dispiace, perché loro due sono in gamba e per una volta sembrava una situazione di lusso: un Guy Ritchie di serie B, certo, ma in confronto alla media qualitativa del Van Damme pre-mainstream e di tutti i suoi cloni pare di vedere uno Scorsese del ’90.
Li guarderei ancora?
Sì, certo, spaccano e il setting si presta a mille avventure.
Coi soldi di un Joel Silver, ad aumentare botte ed esplosioni, ne uscirebbe un classico serio.
E non ho fretta.

Le prove che non hanno solo parlato, signor giudice
DVD-quote:
“È prevista dell’azione in questo film d’azione?”
Nanni Cobretti, i400calci.com
So di avere visto il primo .
Mi piacerebbe seguire le interviste dello Scott, ma senza i sub ita non ghe la fo purtroppo. E i sub automatici del tubo solitamente non sono il massimo.
Guys, Ma il primo esiste in ita?
Me lo domandavo anch’io…
Intanto ho iniziato a vedere le interviste su youtube di Adkins: wow!
Nathan
Ti confermo che c’è! Visto ieri!
Ho visto solo quella ad Atkins ed è una meraviglia. La stanzetta con Schwarzy fianco a The Raid 2, gli oggetti sulle mensole e le sue parole su arti marziali e crescita tecnica dei suoi film sono meravigliose.
“Non pensavo un gallese potesse fare film di arti marziali” dice.
Poi guarda che ti combina il ragazzo.
Peccato solo che sveli molto sull’incolumità degli stunt. Io volevo davvero credere alla clausola contrattuale: “Puoi morire!”.
Intervengo solo per dire che Cynthia Rothrock è ancora adesso una signora molto ma molto piacevole anche fisicamente. E che non sapevo fosse rimasta 45 minuti in spaccata su un muro mentre giravano la scena finale di Yes Madam. Sono oltre l’ammirazione . La serie di Scott è puro amore