C’è questo sketch geniale di Corrado Guzzanti, credo dei tempi del Pippo Chennedy Show, intitolato (da me, non so se abbia un titolo ufficiale) Ah, ma allora rivolete il comunismo! In caso non l’abbiate presente e non abbiate voglia di cliccare il pratico link: c’è un tipo che attraversa la strada sulle strisce, un altro tipo che lo investe con la macchina. Incidente! L’investito, acciaccato e malridotto, chiede di chiamare un’ambulanza, i vigili, prendere la targa per fare la denuncia; l’investitore, scocciatissimo e sfacciato, attacca con un “Ah, ma allora rivolete il comunismo!” e si lancia in un monologo assurdo, attaccando lui la vittima, parlando di questioni politiche random, cambiando continuamente argomento, saltando di palo in frasca, ammorbando il poverino finché quest’ultimo se ne va senza ottenere nessun risarcimento pur di liberarsi dell’automobilista urlante. Il quale, a quel punto, si rivolge a noi spettatori, guarda in macchina, ci fa l’occhiolino e ci rivela: “Oh, funziona sempre!”.
Ora, non voglio star qui a parlare di politica o degli inenarrabili danni del berlusconismo, ma guardando Outside the Wire continuava a tornarmi in mente questo sketch di Guzzanti. Perché, insomma, ho la sensazione che il nuovo action/sci-fi/war movie di Netflix, subito balzato tra i primi posti della top ten dei film più visti di Netflix, abbia fatto con me la stessa cosa dello stronzo dello sketch di Guzzanti, cioè intortarmi su con la velocità e l’agilità del suo sparar cazzate, cambiando furbescamente argomento quando una puttanata era sul punto di rivelarsi come tale e lasciandomi alla fine esausta a dirgli “okay okay, va bene, come vuoi tu guarda, adesso però lasciami stare”.
Outside the Wire inizia come ormai tradizione consolidata dei film distopici, cioè con settordici didascalie che illustrano nei dettagli la complessa situazione geopolitca del futuro prossimo. Nello specifico qui siamo nel 2036, gli americani continuano la loro gloriosa tradizione di esportare democrazia a mezzo bombe e carriarmati, sebbene questa volta, con un “rinfrescante” cambio d’ambientazione, non siamo in un generico Medio Oriente ma in una generica zona contesa tra Ucraina e Russia che, per comodità, chiameremo Sokovia. Per comodità e perché il protagonista di Outside the Wire è Anthony Mackie/Falcon degli Avengers, il quale, stanco di aspettare di poter fare Capitan America nella continuamente rinviata The Falcon and the Winter Soldier su Disney+ (arriva a marzo, Anthony, stai calmo), ha deciso di prendere in mano la situazione e prodursi da sé un film in cui è lui il super soldato potenziato che questiona la moralità delle scelte guerrafondaie a stelle e strisce e in cui a un certo punto può dire – testualmente, giuro! – “I can do it all day” mentre mena un tizio.
Qua il nostro Falcon(e) si chiama Leo(ne), e non è un soldato potenziato come Steve Rogers, ma direttamente un androide fortissimo, intelligentissimo e programmato per essere umanissimo. Il vero protagonista del film – anche se è Anthony Mackie il figo che spacca tutti i culi – è però Harp (Damson Idris), un pischello che fin qui ha giocato alla guerra come efficientissimo pilota di droni, al sicuro in uno di quegli sgabuzzini nel deserto del Nevada che nell’ultimo decennio ci sono diventati così familiari. Nella prima scena del film Harp, operando un gelido calcolo, decide di contravvenire a un ordine diretto del suo superiore e di sacrificare – sempre dalla calda sicurezza del suo sgabuzzino – due giovani soldati per salvarne 38. Per punizione l’esercito decide di spedirlo sul campo, a vedere la guerra vera dal vero, e per di più agli ordini di Capitan Leo, un tipo strano da cui tutti stanno alla larga dicendo “non è come noi”, e infatti, bravi, avete ragione, è un cyborg. Neanche il tempo di smaltire il jet lag, Harp viene trascinato da Leo nella pericolosa zona smilitarizzata di Sokovia, ufficialmente per consegnare dei vaccini (uh! Attualità! Attualità!), in realtà per andare a caccia del potentissimo e cattivo cattivissimo signore della guerra Victor “Red Herring” Koval (che, scopriremo, è interpretato da Dark Pacey di Game of Thrones in un’unica scena, quella che s’intravede anche nel trailer).
È solo il primo atto e Outside the Wire ha già cambiato idea ennemila volte su quello che vuole essere e dire. È un war movie fantascientifico con i robottoni – perché ci sono anche dei robottoni che aiutano i vari eserciti in combattimento, utili alla risoluzione del conflitto quanto alla trama del film (cioè zero). È un atto d’accusa contro la de-umanizzazione della guerra portata dall’utilizzo dei droni, che rende i piloti delle macchine senza empatia né pietà che guardano alle truppe sul campo come a pedine sacrificabili di un videogioco. È un buddy movie organizzato attorno a due figure insieme simili e antitetiche, con l’ironico ma eloquente ribaltamento per cui l’androide che è “cresciuto” a contatto diretto con la guerra è più umano dell’umano che ha vissuto solo combattimenti asettici, in seconda persona (credeteci o no, c’era già una serie così, prodotta da – e chi sennò – J.J. Abrams e scritta da J.H. “Fringe” Wyman, ne ho viste tipo tre puntate, ma poi mi sono annoiata e non so se fosse bella, comunque l’hanno cancellata subito). È una distopia che ipotizza una nuova escalation Usa-Russia, ed è un war movie critico verso gli Usa che non si fanno mai i cazzi loro e per il proprio tornaconto vanno a incasinare ulteriormente zone già incasinate, sacrificando ugualmente i civili locali e i propri soldati. È una cautionary tale fantascientifica che ci mette in guardia sui pericoli di un eccessivo affidarsi all’automazione e all’intelligenza artificiale. È un action movie sparatutto limpidamente ispirato a diversi videogame d’ambientazione bellica – d’altronde uno dei due sceneggiatori, Rob Yescombe, prima di Outside the Wire ha scritto solo videogiochi. È un viaggio behind the enemy lines di due soldati opposti e complementari, soli contro il mondo, stretti tra due fuochi, e che devono imparare a fidarsi l’uno dell’altro mentre non possono fidarsi di nessuno, decisi a per fare la cosa giusta, a qualsiasi costo, in questa sporca guerra. È una pubblicità progresso che ci insegna a non trattare male i robot perché anche i robot, in fondo, sono persone (e perché, come l’intera letteratura fantascientifica ci ha insegnato, prima o poi si ribellano sempre ai propri creatori e a quel punto sono cazzi).
Potrei andare avanti, eh. Sono tutti spunti – più o meno – interessanti. Magari non originalissimi, ecco, però ricchi di potenzialità. Ma oltre a essere troppi, restano sempre, al massimo, questo: spunti. Idee buttate lì, appena accennate, per poi passare velocemente ad altro appena cominciano a mostrare qualche crepa. Di Mikael Håfström, recensendo quello che resterà probabilmente l’apice della sua carriera, il grande capo Nanni Cobretti ha detto: «È il tipo di regista che gira con entusiasmo qualsiasi stronzata gli sventoli sotto il naso»; il che lo rende da un certo punto di vista l’uomo giusto cui affidare questa sceneggiatura-patchwork, dall’altro sappiamo già fin da subito che non possiamo aspettarci che sia la regia a dare né un tocco di coesione né un brivido di originalità a questo calderone derivativo. Nessuno, a parte forse Paolo Mereghetti, utilizzerebbe più l’espressione “sembra un videogioco” con un’accezione negativa, come se i videogiochi non siano ormai da decenni un territorio fertilissimo di sperimentazione e innovazione sia estetica sia narrativa. C’è però un modo pigro di fare un film “come un videogioco”, e credo sia questo qui di Outside the Wire: riproporre alcune situazioni e alcune dinamiche, ma senza farsi la sbatta di utilizzare l’estetica videoludica per far vivere allo spettatore l’esperienza immersiva che cerca, perché, sai che c’è, non è mica così semplice. Allora non ci resta che seguire il protagonista in missione da una comoda posizione intermedia, e intanto chiederci perché non abbiamo passato quest’ora e 40 a giocare davvero a un videogioco, piuttosto (cioè, io lo so: sono una sega a videogiocare per cui non lo faccio mai, ma non tutti possono consolarsi con questa giustificazione).
E niente, alla fine che possiamo dire a questo Outside the Wire, oltre a “sì, bravo, l’abbiamo notato il ‘gioco di parole’ del titolo, sta sia per i fili che delimitano il confine oltre il quale ci si trova nella terra di nessuno, sia per i cavi che dovrebbero in teoria contenere il robot-marionetta Leo, sia per la capacità di pensare outside the box di Harp”? Possiamo dire che Anthony Mackie supera in scioltezza il test Capitan America, che le due scene in cui fa brutto e sgomina da solo un esercito di cattivi non sono male, che anche la recluta Damson Idris regge abbastanza bene il ruolo da protagonista, che il trucco-Guzzanti a suo modo funziona, perché, un maccosa dopo l’altro, in fondo ci si arriva senza troppo patire, eh. Dicendo però anche un po’ “okay, Outside the Wire, va bene, va bene, come dici tu, adesso però mollami”.
Funziona sempre, dice.
Dvd quote alternativa Claim sul poster di Netflix: “Va bene, va bene, come dici tu”, Xena Rowlands, i400calci.com
Io l’ho trovato insipido come il tofu.
Idem, come metà delle pellicole distribuite da Netflix. Però va detto che probabilmente ci avviciniamo a questi prodotti con troppe aspettative: ai tempi delle sale cinematografiche (appena un anno fa, ma sembra passato un secolo) capitava che venissero distribuiti film mediocri e rivolti a un determinato pubblico; è il caso di Mackie che si fa dirigere dal regista di “The Road” in “Codice 999”. Lo vanno a vedere in pochi, quelli che apprezzano il thriller poliziesco d’azione esticazzi, non è il film dell’anno, viene dimenticato presto ma nel frattempo, con pochi investimenti nella promozione, chi lo ha distribuito ha guadagnato abbastanza da non finire in bancarotta. Netflix ha un sistema di promozione diverso: presenta come fosse un evento qualsiasi titolo che abbia un po’ di risalto tra le uscite settimanali in mancanza dello Stranger Things di turno, che sia l’ultimo di Scorsese o l’action mediocre senza pretese. Tutti si fiondano a vederlo pieni di aspettative e forti del fatto che questa settimana “Outside the Wire” è il primo in classifica e magari rimangono delusi.
Diobono, definire Codice 999 mediocre ce ne vuole.
Sopratutto messo accanto a questa cacata.
Non volevo far arrabbiare nessuno, scusami Udo. Sicuramente Codice 999 è meglio di ‘sta roba, non avevo intenzione di metterlo allo stesso livello; però mi ha abbastanza annoiato, a parte le scene con Gal Gadot e un paio d’azione.
Caso vuole che Triple9 l’ho rivisto proprio la settimana passata. Non è proprio un caso, cioè il film lo avevo già visto e mi era piaciuto più di un tot, non da impazzirci pero da desiderarne almeno uno ogni quattro mesi di film così. La scorsa settimana l’ho beccato in alta definizione e ho deciso di rivederlo e bene o male il mio giudizio è rimasto invariato. Non è perfetto, non tocca particolari vette e qualcosa qua e là poteva essere migliore ma ehi, di film così ne vorrei ancora almeno 1 ogni 4 mesi. La verità è che di film come Triple9 negli ultimi 5 anni se ne sono visti davvero pochi.
Mi basta la citazione della prima didascalia.
Che però era da “Il caso Scafroglia”.
Una cosa oscena, con una sceneggiatura scritta modello Occhi del cuore di Boris.
Film che scorre veloce, non lascia niente del suo passaggio e che però mi ha fatto guardare Mackie con altri occhi…era dai tempi di Winter Soldier che non riuscivo a tollerare un suo personaggio.
Consigliatissimo per una seconda serata con la testa appoggiata al cuscino.
Maledetto, ho seguito il tuo consiglio e stamattina non ho sentito la sveglia.
Con questo film, ho fatto il record di “mi sono adddormentato al minuto…, siamo già oltre ai titoli di coda”
Cordialità
Attila
Non ho capito, il cinno salva 38 persone contro 2 e lo puniscono? Per essere uno che fa la guerra su Ace Combat non mi sembra così disumanizzato.
Probabilmente lo puniscono perchè LUI ha preso la decisione di far morire due per salvarne 38.
E non si fa mica così, eh?
Queste cose le decidono le alte sfere, mica il primo manovale del macello!
Mi sa che avete dei problemi con la logica della linea di comando, peggio che i bifolchi sugli Jaeger
Dovrebbe risalire al Caso Scafroglia quello sketch, meravigliosa trasmissione arrivata con vent’anni di anticipo.
Ecco: ogni tanto, invece di sorbirci l’ennesima scintillante e dimenticabile cacata Netflix, sarebbe meglio girare su RaiPlay e guardarsi un bel Guzzanti d’annata.
Amen. Pure Lundini, che mi piace un casino, ma quanto ruba da il caso Scafroglia? Le telefonate sono uguali.
(“Mario! Forse gli anni passano, ma i mesi ritornano!” Ogni tanto ci ripenso e rido da solo)
Che poi, scemo io, ho fatto caso adesso al tuo nick. Molto bravo.
Ma non fa discorsi di politica random, sono specifiche (contro) argomentazioni della destra liberista e populista (oggi sarebbero i discorsi salviniani), volte a sminuire gli interlocutori di sinistra nel tentativo di giustificare le peggio cacate fatte dalla destra. Lo sketch in pratica dice che sono fregnacce che si dicono pur di avere ragione in qualsiasi circostanza, ma puntano a rendere ridicole le argomentazioni stesse (e i metodi usati). Puntualizzo solo per pedanteria eh.
Il fatto che stiamo commentando di più una citazione de “Il caso Scafroglia” del film recinsito, è sufficiente per farmi desistere dalla visione.
Ma non fa discorsi di politica random, sono specifiche (contro) argomentazioni della destra liberista e populista (oggi sarebbero i discorsi salviniani), volte a sminuire gli interlocutori di sinistra nel tentativo di giustificare le peggio cacate fatte dalla destra. Lo sketch in pratica dice che sono fregnacce che si dicono pur di avere ragione in qualsiasi circostanza, ma puntano a rendere ridicole le argomentazioni stesse (e i metodi usati). Puntualizzo solo per pedanteria eh.
Boh, a me tutti i film degli attori dell’MCU fuori dall’MCU mi paiono tutti la stessa roba.
È difficile da spiegare, ma è come se dovessero timbrare il cartellino per non farsi vedere dal pubblico sempre col pigiamone addosso
P.S.: Chiedo scusa alla mia maestra delle elementari per quell'”a me mi” uscito dalla fretta :D
Sicuramente OT ma ci provo: finita la quarta ed ultima stagione iniziata da poco anche in Italia, recensirete L’Attacco dei Giganti?
Temi, narrazione, colpi di scena ed action mi sembrano più consoni a i400calci di buona parte delle “produzioni” che avete scelto di recensire (non per colpa vostra, s’intende). Compresa quella paraculata di The Mandalorian (ebbene sì, io l’hype per tutto quelle che è brandizzato Star Wars non lo capisco proprio, e sì che c’ho una certà età…).
@zeavits, oh come ti capisco, la mia posizione a riguardo è ben riassunta dal meme che dice “STAR ESAGERANDO” con la font di starwars…
E’ esattamente come dice la recensione.
Tanti spunti, poi alla fine nessuno viene sviluppato davvero e si conclude da mezzi paraculi.
Ma qualcuno di voi ha capito perché
0
0
0
===========SPOILER===========
0
0
0
La tipa ucraina lascia andare il tizio che così giustamente va a fermare Mackie dal pigiare il pulsante di fine-di-mondo?
Comunque riderissimo i missili nucleari che si attivano uno per volta “a mano” col chiavone.
0
0
0
0
Film con qualche buona idea, ma alla fine della fiera abbastanza mediocre
Il “fattore attualità” dei vaccini è una clamorosa coincidenza perché il film è stato girato nell’estate del 2019. Lo so, perché la scena della banca è stata girata letteralmente davanti casa mia
Fun Fact: il palazzo della banca non esiste. La parte bassa della facciata è stata costruita tra due palazzi bloccando la strada e la parte alta è tutta CGI
Ogni secondo passato a guardare il film Netflix “Outside the Wire” è un secondo di vita due volte sprecato…
Un film che da solo riesce nel difficile compito di giustificare la pirateria digitale. Anche considerando la fame dovuta al difficile momento non riesco ad immaginare cosa possa aver indotto Mackie, che con gli Avengers un minimo di credibilità artistica l’aveva faticosamente guadagnata, a smerdarsi con una simile porcata.
Riguardarsi il film con la situazione politica attuale fa impressione