Sigla!
Ciao, Bryan Bertino! Era da un pezzo che non ci sentivamo, da The Monster, quattro anni fa. Passa il tempo, eh! Come va? Ah, tra l’altro buon anno! Come hai passato l’ultimo? Con gli amici? In famiglia? Hahahaha, buona questa, vero? Per una volta che te ne potevi stare tranquillamente a casa a “fare la tua parte”, perché mai avresti dovuto invece sorbirti un’altra riunione famigliare, con la zia squinternata che blatera di cinqueggì, il cugino con le turbe post-traumatiche dopo il suo ultimo turno in Iraq, e mamma e papà che ti chiedono se: a) hai trovato la fidanzata; b) quando la smetterai di fare l’artista e ti troverai un lavoro vero. La famiglia a volte è una bella rottura di maroni, no? Tu ne sai qualcosa, probabilmente.
Come “in che senso”? Dai, ogni volta che fai un film – e non è che tu ne faccia tantissimi, sei a quota quattro dal 2008 – vai sempre a cascare su quello. Non fare il finto tonto, su. The Strangers, Mockingbird, The Monster (che avresti anche potuto tranquillamente intitolare “The Metaforone” e nessuno si sarebbe lamentato). Tutte robe sulla famiglia e su come, invece che un luogo accogliente, sia un posto da cui darsela a gambe in tempi record, e anche quando finalmente ce la fai ti corre dietro tipo Ivan il Terribile XXXII.

Il male che ti insegue.
Poi, a un certo punto, deve essere successo che ti sei visto Hereditary e, nella solitudine della tua saletta cinema casalinga, hai urlato “C’ero prima io, Ari Aster! ADESSO TI FACCIO VEDERE COME SI FA!”. Hai abbandonato ogni tentativo di sottigliezza e hai fatto letteralmente un film su una famiglia disfunzionale che si riunisce in una casa al cui interno letteralmente si aggira il Male, quello letterale, aka il Diavolo o comunque un demonazzo. Hai gettato la spugna dicendo al tuo pubblico: “Vabbè, mi sono rotto il cazzo: se finora non avevate capito la solfa, stavolta vi faccio lo schemino”.
The Dark and the Wicked, l’ultima fatica di Bryan Bertino (e non, come potreste pensare, il nuovo disco dei Dimmu Borgir), è la storia di Louise (Marin Ireland) e Michael (Michael Abbott Jr.), sorella e fratello che tornano alla fattoria di famiglia (dove si allevano pecore, da qualche parte anche qui si aggira una metafora) per aiutare la madre ad assistere il padre morente. Genitori e figli non si parlavano da un pezzo, i due fratelli si sentono in colpa per aver abbandonato mamma e papà al loro destino chiudendo ogni canale di comunicazione, e ora è un po’ troppo tardi per tentare di salvare capra pecora e cavoli. Già così sarebbe una brutta storia, hashtag disagio, ma siccome The Dark and the Wicked è un film dell’orrore, ci si mette di mezzo anche Satana, sotto forma di un dimonio che ha preso residenza nella casa di campagna e non intende mollare.

The Dark and the Esorciccio.
Come in The Strangers, dunque, c’è una sorta di home invasion, anche se è già avvenuta e non si vede. Come in The Strangers, ci sono due protagonisti che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato, e ne soffriranno le conseguenze. Nonostante la madre tenti di convincerli ad andarsene, i due fratelli non la vogliono ascoltare, un po’ per amore e un po’ per senso di colpa. E se mi dite che già qui si intuisce lievemente come, per Bertino, la famiglia sia il vero demonio, che ci ricatta facendo leva sul rimorso e facendoci cadere ogni volta nel suo trappolone, non posso che rispondervi così:
Oltre che di famiglia, ma questo forse me lo sono messo in testa io da italiano, The Dark and the Wicked parla di riflesso anche della società americana, di come il suo individualismo imperante faccia terra bruciata intorno alle persone, cancellando i rapporti stretti, persino quelli famigliari. È un film di solitudini tanto dolorose e agghiaccianti quanto il Male vero che i protagonisti si ritrovano ad affrontare. Che, non a caso, non vediamo mai chiaramente, ma solo a sprazzi, in immagini subliminali come ne L’esorcista. È un film senza speranza, in cui anche la religione non porta sollievo né consiglio, anzi è falsa e distante. Siamo soli, in balia di forze che non possiamo controllare né comprendere. Insomma, tutto benone.
Comunque, diamo a Bryan quel che è di Bryan: per quanto la semplicità dell’impianto sappia di già visto, lui ormai sa il fatto suo in quanto a costruzione dell’atmosfera. Su tutto TDATW aleggia un’angoscia asfissiante che da sola vale il biglietto, aiutata da una direzione degli attori (ottima davvero Marin Ireland) che punta al realismo e non ai soliti trucchetti da film horror. E a proposito di trucchetti: Bertino non ricorre quasi mai ai jump scare gratuiti a cui ormai siamo abituati e che ci tocca dare un po’ per scontati anche negli horror che riteniamo “buoni”. Gli spaventi non sono tantissimi – e, ribadiamolo, TDATW è un film che conta più sull’atmosfera che sulla paura vera – ma sono ben gestiti e rifuggono il concetto di SBRAM. E tutto questo contribuisce a salvare un film che non è troppo originale per quello che racconta, ma che almeno cerca di non raccontarlo con le solite modalità. Mi fa piacere.

“Che succede?”
Premium Video On Demand quote:
“Bryan Bertino vs. Ari Aster, round one: Fight!”
George Rohmer, i400Calci.com
Visto assieme a Fried Barry e The Oak Room al TFF.
Promosso ,certo ,ma con un 6.5.
Per me da Hereditary prende anche il superamente del lutto declinandolo al pre-lutto. Il vero demone è la morte dei genitori che sta arrivando, è li e la devi gestire e ti trascina via, ti fa isolare, solo tu e la loro malattia che ti ossessiona e non hai altro oltre a quello. Il resto non esiste. Ed è uno di quei demoni che rendono le giornate tutte uguali, orrende, e di cui non ti puoi liberare. Che nonostante la lotta prima o poi arriverà. Non è un caso che il film si tronchi quando succede una certa cosa. Tutto questo rende il film una figata? No, lo rende un fanalino di coda degli autori che ha deciso di inseguire. Fatto bene, non male, ma comunque fanalino, di cui ci si dimenticherà presto.
Certo che Hereditary ha fatto proseliti. Ho appena visto The lodge, anche lui condivide quella bella cosa della tragedia familiare che lacera le persone e fa uscire i demoni, con tanto di casa delle bambole a uso metafora.
Ma a nessuno viene da cantare “What Would Brian Bertino Do” ?
Io ti giuro che la volevo citare e poi mi sono dimenticato.
South park <3 ci ho pensato non appena ho visto il nome
Lo guarderò. Non sono ancora allergico agli horror sui drammi famigliari. Che anzi salvo errore sono una minoranza ma con picchi di eccellenza.
a me è piaciuto, anche se sto incominciando ad interrogarmi sul senso del “family trauma as depressing horror” sottogenere.
però mi ha coinvolto fino alla fine.
Nel 2020 hanno scritto due film praticamente per me penso: questo e Relic. Raccontano più o meno la stessa cosa, anche se con stile, forma e atmosfere diverse. Comunque la questiona famiglia-senso di colpa penso che sia talmente universale, che forse i film sono stati scritti per tutti, non solo per me.