Marco Bocci. Assaporate questo nome, così rotondo. Fatelo rotolare sulla lingua. Marco. Bocci. Mandatelo a memoria, questo nome, perché evidentemente qualcuno ha deciso che l’action italiano doveva ripartire da lui. Chi è stato? Forse Marco Bocci. Sigla!
Il mondo è un postaccio. Per ogni passo avanti, purtroppo se ne fanno tre indietro. Per ogni nuova legge sulla parità di genere, o contro l’omofobia, taac!, arriva un congresso delle famiglie, un medico obiettore, Salvini. Per ogni Stefano Sollima, arriva un Toni D’Angelo.
Non solo: ti distrai un attimo e taac! Marco Bocci ti gira due poliziotteschi back-to-back. Cioè, mi volete dire che cazzo sta succedendo? Mi spiegate perché è di nuovo il 1976, solo che al posto di Fabio Testi c’è Marco Bocci? Devo fare scorta di carta igienica e mezze penne rigate? Qualcosa è andato storto nell’algoritmo della matrice?
E, per carità, lungi da me lamentarmi che qualcuno, da qualche parte, ha deciso di pagare pegno a quegli anni incredibili in cui Maurizio Merli girava per Roma in elegante completo a mettere le mani in faccia a tutti, dagli stupratori pariolini al rapinatore di mezza tacca. Ma, insomma, non è che basti citare le cose giuste per fare una cosa giusta, ce lo insegnano tutti gli emuli di Tarantino che sono usciti negli ultimi vent’anni al solo scopo di rovinarci la giornata.
Comunque, dato che mi sto già dilungando troppo, arriviamo al sodo: sono qui per parlarvi di due film. I due film in questione sono Calibro 9 di Toni D’Angelo, che rinverdisce la rinomata tradizione dei sequel di capolavori che forse era meglio non tentare, e Bastardi a mano armata di Gabriele Albanesi, che rinverdisce la rinomata tradizione di mettere la parola “bastardi” nel titolo pensando che sia cool. Perché li abbiamo messi insieme? Perché hanno diverse cose in comune – e non è assolutamente un caso.
Non è un caso perché, innanzitutto, sono entrambi prodotti da Minerva Pictures – dei regaz che hanno un’evidente passione per il cinema di genere italiano d’epoca, e per questo respect. In secondo luogo, sono entrambi interpretati da Marco Bocci, che fa due personaggi molto diversi: con e senza le tempie rasate. E ancora: tutti e due si concludono con una citazione da Milano Calibro 9 (c’entrano dei cappelli e l’azione del levarseli). Il primo per ovvie ragioni: ne è il sequel. Il secondo perché, come il primo, è un enorme omaggio al cinema di genere di quegli anni là. Infine, in tutti e due i film c’è una scena in cui un personaggio si prende numero due cartoni in faccia e un altro urla “Basta! Così lo ammazzi!”, il che mi ha fatto molto ridere perché chiaramente no, non si muore per due cartoni in faccia, ma mi ha fatto molto riflettere anche, come dicono le persone più intelligenti di me.
Perché in quella battuta del cazzo, pronunciata così fuori contesto, sta l’essenza di queste due operazioni: in un’epoca in cui gente come Stefano Sollima e Matteo Rovere ci hanno dimostrato che un nuovo cinema di genere italiano, al passo coi tempi e scritto bene, è possibile, ecco spuntare due film che invece sono scritti con in testa altri film, che a loro volta erano scritti con in testa altri film (americani). Ma se quelli là erano giustificati perché quella era un’epoca più naif, se vogliamo, in cui per altro anche i film italiani erano doppiati e dunque potevi permetterti di scrivere dei dialoghi in doppiaggese senza che stonasse troppo, sentire oggi gente che urla frasi da film americano suona purtroppo ridicolo.
Calibro 9 e Bastardi a mano armata rinverdiscono ANCHE la rinomata tradizione di doppiare gli attori stranieri, come nelle fiction di Rai Uno. Barbara Bouchet, ad esempio, che torna nei panni di Nelly in Calibro 9. Nello stesso film, per dire, c’è Ksenia Rappoport che fa la parte della rampolla di un clan della ‘ndrangheta calabrese e non è doppiata, c’ha proprio il suo accento naturale. E ok che ci siamo sorbiti decenni di Arnold Schwarzenegger che faceva la parte di personaggi americani, ma boh, era così difficile prendere qualcun altro, se proprio non la volevi doppiare?
Lo so, sono problemi minori, ma il diavolo è nei dettagli, ragazzi. Saranno anche minuzie, ma sono sintomi di una sciatteria generale che si poteva tranquillamente evitare. Anche perché, se proprio devo trovare qualcosa di positivo in questi film, bisogna ammettere che sono confezionati con una professionalità che dieci anni fa ci saremmo sognati. Dalla fotografia al sonoro, è tutto al posto giusto. Non fosse perché a un certo punto arrivano Marco Bocci e Alessio Boni a rovinare tutto, sembrerebbe di vedere dei film prodotti all’estero.
Bastardi a mano armata è anche girato piuttosto bene, tutto sommato. Albanesi Gabriele si farà, ne sono certo, ma serve cura anche nella scrittura e nei dettagli che dicevamo. Ad esempio, il film non inizia nemmeno troppo male. Si parte con un attentato mafioso (che verrà contestualizzato solo in seguito) e poi ci ritroviamo in un carcere algerino dove Marco Bocci entra in scena menando gente e stando zitto. Poi la storia prende una svolta interessante: il Bocci, pur di tornare in libertà per rivedere la figlia, fa il classico patto col diavolo. Accetta cioè di fare un lavoro per un committente misterioso, che consiste nel fare irruzione in una villa sfitta e cercare dei documenti nella serra. L’imprevisto è che la villa non è affatto abbandonata e Bocci dovrà fare i conti con i padroni di casa, una famiglia molto disfunzionale, e con il suo stesso committente.
Peccato che il film si accartocci un po’ su se stesso quando invece dovrebbe darci dentro con l’azione. Albanesi punta al trasformarlo in un thriller psicologico, una home invasion con elementi exploitation anni ’70 e annesso colpo di scena che ribalta la prospettiva, ma la noia si impossessa di tutto quanto sotto forma di Marco Bocci con i suoi lineamenti cesellati e una pettinatura già candidata ai Sylvester 2022, e di un Fortunato Cerlino (carriera da criminale nei film ormai scolpita nel marmo) che si è evidentemente rotto il cazzo della sua misurata performance in Gomorra e ha girato l’interruttore dell’overacting. A un certo punto c’è una scena in cui degli amici di famiglia suonano il campanello e, anziché costringere gli ostaggi a trovare una scusa per mandarli via, Cerlino li lascia entrare e chiede educatamente “Dove posso nascondermi?”. Maccosa.
Eppure, se mi puntassero una pistola alla tempia dicendomi che dovrò vivere il resto della mia vita su un’isola deserta con un solo film a scelta tra Bastardi a mano armata e Calibro 9, avrei ben pochi dubbi su quale scegliere.
Vi ricordate quando dicevo che, tutto sommato, nonostante i limiti i due film sono confezionati con professionalità? Ecco, nel caso di Calibro 9 questo vale solo fino a quando non inizia l’azione. Il che, se come Toni D’angelo ti scegli la carriera del regista d’azione, potrebbe essere un problema. Le scene d’azione di Calibro 9 non sono semplicemente brutte. Sono imbarazzanti. Quel tipo di imbarazzo che vi sarà capitato di provare quando state guardando il Festival di Sanremo per farvi quattro risate e, all’improvviso, parte una canzone così brutta che correte ad abbassare il volume, per paura che vi sentano i vicini. Ecco, io mi sentivo seriamente in imbarazzo per tutte le persone coinvolte, gli attori, i tecnici, quelli del catering, tutti. A un certo punto, parte la sparatoria più brutta che abbia mai visto in vita mia, una scena senza senso in cui Marcobocci e Ksenia Rappoport sono asserragliati dentro un edificio mentre, fuori, dei mafiosi gli sparano addosso. Da una parte, dunque, ci sono questi tizi che sparano dritto, tutti in direzioni diverse, a tre metri dall’edificio, con pistole che non si scaricano mai e senza fare un passo in avanti o tentare di fare irruzione.
Dentro, nel frattempo, si svolge una scena scritta dagli sceneggiatori di Boris e basata sul vecchio adagio “famoli scopà”: scatta un limone selvaggio tra Marco e Ksenia, evidentemente arrapati dal pericolo che stanno correndo. A quel punto vetri in CGI iniziano a danzare nell’aere come in una scena di Matrix. Siccome so che non mi credete, agevolo altra foto.
E neanche sono arrivato a parlarvi di quanto sia forzata l’inclusione dei personaggi e dei motivi di Milano Calibro 9. Marcobocci fa il figlio di Ugo Piazza, cosa che viene costantemente ribadita da ogni. Singolo. Personaggio che lui incontra sulla sua strada. Michele Placido appare in due scene, tempo totale credo 117,8 secondi, nella parte di Rocco Musco che fu del grande Mario Adorf. Ora, io vi giuro, e non per portargli sfiga, che ero certo che Adorf fosse morto. E invece è vivo, ha 90 anni e fa ancora film. Se, in un film che riporta in scena Barbara Bouchet e si sbraccia in continuazione per ricordare a tutti di essere il sequel di Milano Calibro 9, è stata scritta una parte per Rocco Musco, ci potete scommettere che D’Angelo ha contattato Adorf. Il quale, essendo l’unico attore serio del mazzo, ha odorato la puzza di stronzata dalla Svizzera, o per lo meno ha letto il copione ed esclamato un sonoro LOL e l’ha usato per accendere il caminetto in una frigida notte di Zurigo or whatever.
Altre cose che D’Angelo si è premurato di citare: il famoso incipit del film di Fernando Di Leo, quello del furto dei dollari sul tema di Luis Bacalov/Osanna. Siccome però Calibro 9 è un intelligente thriller moderno con un occhio alle giovani generazioni, i soldi stavolta non sono di carta ma digitali, e il passaggio e furto di denaro non avvengono intorno a Piazza Duomo, ma nell’interwebs tra freddi algoritmi. C’è bisogno che me lo chiediate? Ovvio che il tema di Bacalov è riarrangiato in versione elettronica! It’s the future!
Tutta questa ambizione, però, apre la strada a una trama genericissima, in cui Piazza/Bocci scatena una guerra tra bande della ‘ndrangheta PERCHÉ È STRONZO, e la sua ex (Rappoport) decide di aiutarlo a fuggire. Alla fine approdano ad Anversa, dove si svolgerà la resa dei conti sia con i mafiosi che con lo sbirro interpretato da Alessio Boni (l’agente “Di Leo”), che capiamo essere ossessionato dal caso perché è divorziato, trascura le partite di calcetto del figlio e in casa ha una lavagna dove ha attaccato le foto dei mafiosi e scritto sotto i nomi coi pennarelli. Per qualche ragione, anche “Di Leo” è ad Anversa nel preciso istante in cui Bocci/Rappoport entrano al porto con il motoscafo, e li spia con un binocolo da un attico non meglio identificato. Entrambe le trame, giusto perché non vi facciate venire strane idee, si concludono con gente che parla.
In mezzo a tutto questo, l’idea di realizzare un road movie a tinte noir/action non era nemmeno male. Peccato che D’Angelo si dia la proverbiale zappa sui piedi con una serie di caratterizzazioni e svolte telefonatissime (finale compreso; se avete visto Milano Calibro 9 sapete di cosa sto parlando), e qualunque ambizione crolli di fronte all’inadeguatezza, l’ho già detto ma lo ripeto, dell’azione.
Perciò, mi domando: ce n’era bisogno? Non tanto e non solo di scomodare un capolavoro come Milano Calibro 9 e un nome, quello di Fernando Di Leo, con cui non è il caso di andare a confrontarsi. Ma proprio, in generale, di tornare indietro di cinquant’anni per rifarsi a stilemi che sono inevitabilmente invecchiati. Specialmente visto che negli ultimi tempi qualche passo avanti verso un genere action italiano credibile sono stati fatti, dalle serie e dai film di Stefano Sollima a La belva. Non è il caso di smettere di menarsela con “l’epoca d’oro” e guardarsi avanti per crearne una nuova? Perché dobbiamo sempre cercare legittimazione in un passato idealizzato? È perché ci vergogniamo ancora oggi di volerci semplicemente divertire e dobbiamo giustificarci dicendo che è tutta una roba “post-moderna”? Ha davvero fatto così tanti danni Tarantino? La risposta è sempre “Marco Bocci”.
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“Il cappello te lo levi tu”
George Rohmer, i400Calci.com
Calibro 9: IMDb | Trailer
Bastardi a mano armata: IMDb | Trailer
mi state dicendo che tutto sommato era meglio: Non ci resta che il crimine?
https://youtu.be/7mckqWKK2HM
Post bellissimo, ho riso in eccesso e sono al lavor, non si fa, non si fa. Ma tanto lavoro da casa e non ero su zoom, quindi anche sticazzi.
Ti dirò, l’idea di riesumare e aggiornare vecchi film poliziotteschi non sarebbe neanche male. Roba dura, violenta e nerissima. Dove le trame sono lotte tra cattivi e ancora più cattivi con sgherri che muoiono male, pupe bellissime, toste ma fragili e poliziotti incazzati che agiscono ben al di là della legge.
Se vuoi solo approcciarti al materiale originale non puoi trasformare tutto in una fiction Rai col belloccio di turno che piace alle mamme come protagonista. E tirare dentro qualche vecchia gloria che quei film li ha fatti davvero giusto per farti le seghe e dire che “Oh, c’avevamo anche la Bouchet! E Mario Adorf aveva detto di sì ma poi quel giorno non è venuto perché c’aveva judo”.
Eddai cazzo! Ma roba come “Romanzo Criminale” non ha insegnato niente?
E comunque sì, Tarantino ha fatto più danni della grandine.
Io avrei preso la Marghe Buy, l’avrei rapata a zero, tattoo paura sul collo, e le avrei fatto fare la capomafia russa violenta dal passato di baby-sicaria che uccideva sussurrando nei tinelli.
VENDUTO!
Quando esce? Ecco i miei soldi
Io di Toni D’Angelo vidi Falchi al cinema. Interminabile nonostante se ben ricordo la durata era intorno alle 2 ore scarse.
Ci volli credere fortissimo all’uscita, nel panorama italiano di qualche anno fa (ma probabilmente pure oggi nonostante i passetti avanti) sentite un regista che parlava di ispirarsi a Johnnie To, Mann e Di Leo comunque mi aveva fatto ben sperare (mi rendo conto che sono motivi inesistenti per cui gasarsi ma tant’è).
Ne avessi letto bene sui calci FORSE avrei dato una seconda possibilità ma visto che mi fido di Stanlio lascio passare convinto sia la scelta giusta
A margine Bocci invece mi fa una certa simpatia. Nonostante come attore cinematografico sia un mezzo cagnaccio.
“gabriele albanesi si farà” però c’è da dire che sta al terzo film, ed il primo è di 15 anni fa. gli altri due li ho visti ma stavolta non ci casco.
C’è una (piccola) parte tollerante di me che pensa “è giusto che dei giovani registi seguano i loro sogni, si facciano le ossa, trovino le loro modalità di espressione”
C’è una parte di me però molto più voluminosa vorrebbe veder sparire questa merda, perchè quasi sempre sono operazioni di sciacallaggio (il che è ben diverso dalla citazione) al grido di “non sarei capace neanche a scrivere una recita scolastica, quindi prendiamo trame/idee/nomi/animali/città/marche di automobili da qualche film che ha fatto la storia e dal titolo famoso”
Un po’ come fatto con “Amici miei – Come tutto ebbe inizio” (scusate il titolo poco calciabile), per cui neanche la garrota sarebbe punizione sufficiente
Ed intanto soldi e risorse sono drenati per questa monnezza, abbassando ulteriormente il nostro livello culturale, mentre registi, sceneggiatori, autori ed attori che potrebbero dare davvero rendere il nostro cinema presentabile rimangono a secco o debbono a loro volta snaturarsi a produrre merda
Propongo delle recensioni di cult polizieschi italiani, per chi come me non li ha vissuti ma vorrebbe recuperare i migliori, o cmq farsi un po di cultura a riguardo
ho visto bastardi a mano armata. come dice correttamente la recensione, la premessa è buona ma a un certo punto si incarta e nella seconda metà cola a picco. peccato