Oggi c’è da fare una recensione che però è già stata scritta. Un po’ se l’è auto-compilata il regista, nu buono picciotto molto appassionato di cinemi e di generis che si fa chiamare Adam Egypt Mortimer (account Instagram: adamegypt666, non si scherza) e io non ho ancora capito se quel nome qui è farina del suo sacco, errore dell’anagrafe o scarsezza dei genitori (nel qual caso, la soluzione). Adam Egypt Mortimer (d’ora in avanti ci riferiremo a lui come AEM, che è anche un po’ il verso che ti viene da fare alla fine di Archenemy) è un logorroico entusiasta e pieno di energie più o meno mal riposte, che passa metà della vita a fare film prodotti da Elijah Wood – gliene ha steccati due su tre, noi invece glieli abbiamo recensiti tutti (il terzo è L’odio che uccide). Puppa fava Frodo – e l’altra metà a parlarne LUNGAMENTE a chiunque gliene chieda conto. Tra le dichiarazioni che ha rilasciato negli ultimi anni, le mie tre prefe sono: quando definisce lo stile visivo del suo film precedente, Daniel Isn’t Real, come “massimalismo cinetico”; quando s’allarga un po’ e cita fra le sue fonti d’ispirazione per Archenemy roba enorme e che devi stare attento a toccare, tipo Ashes of Time, 1997: Fuga da New York, Pink Floyd: The Wall, l’Elektra di Frank Miller, il nichilismo di Nieztsche e anche The Wrestler; e quando ha confessato di aver votato un’unica volta in vita sua, nel 1987, concedendo la preferenza a Gerry Scotti e contribuendo a eleggerlo in parlamento. Una delle tre è falsa e non saprete mai quale. Quindi, si diceva, la rece di Archenemy un po’ ha provato a scriversela da solo il torbido AEM; un po’ ci aveva già pensato il sapido king delle barbe alla Mel Gibson, George Rohmer, che scrivendo di Daniel Isn’t Real diceva con tutta la giustezza del mondo e pure qualcosa in più: “AEM ha questa bella intuizione, che mi ha fatto pensare anche a Stephen King, di associare a una patologia molto reale, la schizofrenia, un elemento horror, la possessione demoniaca. Come in King, però, il Male non è una metafora della malattia, è proprio una roba esterna alla sfera umana, che si fa i comodacci suoi indisturbata perché viene scambiata per una cosa molto più prosaica, come una malattia mentale appunto”. Ecco, bisogna solo togliere la parte che dice “un elemento horror, la possessione demoniaca”, sostituirla con “un elemento supereroistico, il tizio in tutina che viene da un’altra dimensione e salva i mondi” e taaac: ecco a voi Joe Manganiello gioca all’espansione “supereroi” di D&D dopo aver pippato anfetamine: Il film. Sigla!

Uguale uguale a babbo Gifuni <3
C’è una dimensione parallela alla nostra, solo che è un cartone animato e non è Space Jam. In questa dimensione parallela c’è una città di nome Chromium che è difesa dal supereroe Max Fist, i cui poteri derivano da una misteriosa sostanza chiamata Sangue cosmico. Max Fist ha un’arcinemica che ci spiega subito il titolo del film e quindi ci tranquillizza: è la cattivissima quanto geniale scienziata Cleo Ventrik, il cui piano malefico è quello di attivare un aggeggio di sua invenzione che farà evaporare ogni traccia del Sangue cosmico e riporterà Chromium ai bei tempi andati, quelli di quando i Galaxy Express 999 partivano in orario e Max Fist non rompeva le palle. Il nostro eroe la prende sul personale e, per evitare la fatidica esplosione, apre un varco quantico spaziotemporale inter-dimensionale mumbo-jumbo pseudo scientifico in cui fa detonare l’ordigno, esplosione che però finisce anche con il trascinarlo in una realtà parallela che assomiglia alla nostra. Nel passaggio, Max perde in un colpo solo i poteri, la volontà di vivere e il rasoio per farsi la barba, trasformandosi nello Zu Gifuni di La belva. Nella nuova realtà non animata, Max passa il tempo a fare il matto senzatetto che racconta storie assurde in cambio di una brenta di whisky. Almeno finché non incontra Hamster, ragazzo orfano del ghetto che nella vita sogna di fare quello che crea contenuti socialz per una pubblicazione che si chiama Trendible ed è a metà fra Mashable e Vice, quindi oggettivamente il male. Hamster scova Max per strada e si prende benissimo, un po’ perché la storia del matto che crede di essere un supereroe alieno è una miniera d’oro virale; e un po’ perché il giovane, alla fine, è uno di quei sognatori dal cuore d’oro che sotto sotto credono all’omeopatia. Hamster ha anche una sorella maggiore di nome Indigo, che lavora per il boss della mala di quartiere (il Manager) e ha la scaltra idea di rubare un tot di soldi dal capo e di farsi scoprire in tempo zero. Le due storie, Max che vuole tornare a essere il supereroe che era un tempo e Indigo che viene braccata dai cattivi in cerca di vendetta, collidono in un terzo atto che dovrebbe raccogliere e finalizzare tutto ciò che di buono è stato seminato nei due atti precedenti, ma che alla fine proprio non ce la fa, accartocciandosi in un finale un po’ arruffato, confusionario e tirato via. Probabilmente perché è un film diretto da AEM.

Si chiama Indigo, che vuole dire indaco, e ha i capelli indaco, che si traduce indigo. Chiaro? Grazie AEM
Cose di questo film non tanto apprezzabili: si è appena parlato del finale un tantino loffio, giusto? Mi sembra plausibile pensare che sia venuto fuori così anche perché gli è stato dedicato ben poco tempo, dal momento che la ciccia importante del minutaggio se la prendono da una parte il worldbuilding (benone) e dall’altra lo strenuo tentativo che fa AEM per crearsi la street cred da AUTORE DI GENERE (malino). Chiaramente – grazie AEM – è un pensiero che mi è venuto leggendo una delle centodiciottomila dichiarazioni del regista: “Amo il cinema di genere. Credo anche ci sia una parte di me che la pensa tipo ‘Oh, mi piacerebbe essere in grado di scrivere piccoli drammi domestici come Ingmar Bergman’. Non saprei proprio come fare qualcosa del genere, però so come trattare vere emozioni umane per cercare di trasferirle in storie assurde e non reali, in cui però possiamo riconoscere noi stessi”.
Cose di questo film che invece ho trovato apprezzabili: Joe Manganiello über alles. Bravo Joe, che dimostra una volta per tutte di meritarsi sul serio l’ambito titolo di Unico Nerd Fotonico degno di Sofia Vergara. MangaManzo sputazza i suoi nonsense pseudo scientifici e fantastici con l’agile sicumera di uno che nella vita, principalmente, fa il master in sessioni di D&D con Tom Morello, Vince Vaughn e The Big Show. Bella faccia da matto con occhio vitreo, intenzità ragguardevole dal primo all’ultimo secondo, fisicità devastante anche prima di mettersi ufficialmente in azione: Joe Pene a Manganello è proprio pronto per fare il protagonista negli action seri – senza magari fare troppo affidamento sul Deathstroke dell’universo cinematografico DC – ed è certamente una delle due colonne portanti di questo film; che sarà pure costato la metà di quello che Manganiello & Friends spendono in alcol e salatini quando giocano a D&D, oltre ad averci qualche problemino qua e là, ma funziona anche e soprattutto perché Joe è arrivato sul set motivatissimo dopo aver castato un Dominio dell’ambizione e aver lanciato un 20 [Grosso Disclaimer: non so cosa ho appena scritto, né perché l’ho scritto. Me l’hanno suggerito le voci. Abbiate pazienza]. L’altro motivo per cui Archenemy funziona è lo stesso che dà il minimo sindacale di cazzimma a Daniel Isn’t Real – ah! A quanto dice AEM, si tratta dei due terzi di una trilogia (la Vortex Trilogy) che si concluderà con il suo prossimo film – e di cui si è già parlato in apertura. Un ragionamento realistico (chiamiamolo così) sugli archetipi di genere che, applicato alla mitopoiesi dei supereroi, pare (in senso buono) la sezione staccata della seghe a due mani che sull’argomento si è sparato ultimamente l’amico M. Night Sciambola. Max Fist ce li ha veramente i poteri alieni del Sangue cosmico? O è solo, come gli ricorda ogni tanto la voce nella sua testa, uno schizofrenico alcolizzato che vive sotto un ponte? O, attenzione, è entrambe le cose? Chissà. Poi AEM c’ha di buono che alle sue storie e ai suoi personaggi ci vuol un gran bene, lasciando che anche le figure più secondarie abbiano un minimo di respiro e caratterizzazione. Insomma, e ormai lo diciamo da tre film abbondanti: Adam Egypt Mortimer ha del buon potenziale nascosto da qualche parte, e quando uscirà dalla fase della masturbazione fine a se stessa forse riusciremo a vedere il suo primo film compiuto. Fino a quel momento: AEM.
Bagni dell’autogrill quote:
«Un Manganiello che si erge turgido e birbantello»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
“Bagno dell’autogrill quote” vince qualsiasi cosa.
Per il resto, dopo tre film, mi pare che qui ci sia tanto bisogno di quella figura tanto odiata del PRODUTTORE nella sua forma più laida e schifosa che mentre pippa una striscia di coca lunga un attico facendosi spingere naso a terra da una segretaria/camerierina francese gli urla “Ragazzino, me lo hai ammosciato! Il terzo atto lo riscrivi con botti, sangue e tette! Ora fuori di qui!”.
Il film verrà fuori una schifezza, eh?
Ma niente aiuta a crescere come sopravvivere alle cattive amicizie.
quando un Manganiello contro Cannavacciuolo che si danno le “pizze”?
In riferimento agli Arch Enemy della sigla, anche la cantante di adesso ha i capelli blu. Dev’esserci dietro tutta una cospirazione alla Adam Kadmon.
Joe Manganiello è la risposta alla domanda di un nerd di una dimensione parallela “chissà se in una dimensione parallela esiste un nerd bello come un dio greco che si bomba la donna più sexy del suo pianeta tra una sessione di D&D e l’altra?”
Date un ruolo ad Angela Gossow, vi prego! Anche un voice over disneyano andrebbe bene…
Non c’entra niente, ma a leggere di supereroi da un mondo parallelo, mi hai fatto tornare in mente Masters of the Universe, con il nostro amico Dolph.
Ora non so se cedere alla tentazione di rivederlo (dopo 20 anni!) o se lasciar perdere e tenermi i bei ricordi senza rischiare di rovinarmeli
Sull’ultimo tuo commento… fino a quel momento aem (che fa la rima ad amen) sono d’accordo. Mah…. a me è piaciuto! Schizzofrenico come film, per me Aem, ha la stoffa paragonabile a quel pazzo di Tarantino ancora in erba… ma ci arriverà eccome se ci arriverà!