Benvenuti a un nuovo eccitante episodio di “Recensioni di Film che comunque non guarderete, ma abbiamo preso un impegno con voi lettori per uscire con tre pezzi alla settimana e un altro col Codacons per parlare solo di film che sono facilmente reperibili in Italia. Cosa volete, che ci mettiamo contro il Codacons? Siete pazzi, non abbiamo mica gli avvocati di Fedez!” (è un po’ lungo, vero? il reparto Marketing & Comunicazione di Valverde sta lavorando a qualcosa di più catchy, consideratelo un titolo provvisorio).
Io sono il vostro host, Quantum Tarantino, e anche se non sembra dagli ultimi 40 film che ho recensito, mi piace il cinema. Oggi vi voglio parlare del primo film horror di una giovane promessa della comicità canadese, ma, prima di cominciare, permettetemi di intrattenervi con una piccola riflessione.
Si dice che sia molto sottile il confine tra l’arte e la masturbazione, eppure, al giorno d’oggi, anche la produzione cinematografica più scalcinata per uscirsene fuori con qualcosa di appena appena presentabile costa almeno qualche decina di migliaia di dollari, mentre la masturbazione (ho controllato) è gratis.
Cosa spinge allora chi fa un film brutto a fare un film brutto invece che masturbarsi?
Vorrei dire qualcosa sul capitalismo, il consumismo, la società occidentale e quel riflesso pavloviano per cui ci sentiamo realizzati solo quando spendiamo soldi, ma credo che la verità sia molto più semplice. La masturbazione è un esercizio solitario che dà grande soddisfazione nell’immediato ma nessun risultato tangibile sul lungo periodo. L’arte, al contrario, e il cinema nello specifico, non solo è un’attività collettiva, che si fa insieme, ma anche qualcosa che dura nel tempo e che permette di raggiungere un pubblico molto vasto. In pratica, è come se un intero gruppo di persone (attori, troupe, sceneggiatori, produttori, costumisti, parrucchieri…) ti masturbassero tutte insieme, risultando in una spettacolare uber-sega, così potente da innaffiare un numero vastissimo di persone! Rispetto alla masturbazione, insomma, il cinema ha l’evidente vantaggio che ti permette di lasciare un segno e in cuor mio, anche quando non sono d’accordo con quello che dice un film, raramente riesco a biasimarlo per aver cercato di dirlo.
Questo non cambia il fatto che, spesso, la gente non abbia da dire cose poi così interessanti, originali o pregne di significato, e che se anche sceglieva di tenersele per sé — masturbandosi in solitudine come tutte le persone normali — non era, come dire, gravissimo.
Random Acts of Violence è il secondo film da regista di Jay Baruchel. Magari il suo nome non vi dice molto, ma se lo vedete in faccia capite immediatamente chi è. Non è il ragazzino che sogna Il Cinema e realizza tra mille sacrifici il suo primo film nel garage con gli amici e coi soldi di Kickstarter: Baruchel è un comico e un attore affermato che va per i 40 e lavora da quando aveva 12 anni, è amico di Seth Rogen e fa parte della cricca di Judd Apatow, ha lavorato con Clint Eastwood e con Cronenberg, doppia da 10 anni il protagonista di How to Train Your Dragon, è comparso in tipo 50 film e prima di questo ha diretto una commedia sportiva con Seann William Scott. Se è vero che il cinema si impara a farlo facendolo, vado sul sicuro se dico che Baruchel parte almeno un po’ avvantaggiato rispetto a un anonimo esordiente che monta il suo filmino con Window Movie Maker.
E poiché l’horror è tradizionalmente il rifugio degli esordienti incapaci, Baruchel sceglie di fare un horror ma sorprende tutti con un’idea che urla “capacità”, “esperienza” e soprattutto “sicurezza nei propri mezzi” e “originalità”.
Siete pronti?
Eccolo che arriva…
L’horror che riflette sull’horror.
Random Acts of Violence è tratto da un fumetto (strano, non succede mai) della Image Comics e parla di una coppia di artisti — nel film diventano l’autore e il suo agente, rispettivamente Jesse Williams e lo stesso Baruchel — che fanno un fumetto torture porn di grandissimo successo e tutto è una figata finché, gasp!, non iniziano a capitare una serie di morti brutte sospettosamente identiche a quelle raccontate nelle loro storie.
Lo so cosa state pensando, anche io sento odore di Pulitzer, ma non finisce qui! L’incipit, corredato di teste mozzate e corpi sviscerati, diventa presto il gancio per una riflessione sulle responsabilità dell’arte e dell’artista nei confronti del suo pubblico — nella fattispecie di un artista che sceglie di mettere in scena la violenza estrema (sulle donne) e del tipo di pubblico che questo genere finisce per attrarre.
Esiste spazio per l’etica o per la morale, nell’arte? La libertà di espressione è una carta esci gratis di prigione che ti autorizza a rappresentare qualsiasi cosa? E soprattutto, che si fa quando una stessa opera è sublimazione di certe fantasie inconfessabili per alcuni e incoraggiamento a metterle in pratica per altri? Chi decide cosa è sano e cosa no? Cosa è giusto e cosa è sbagliato? Cosa è arte e cosa è masturbazione?
Baruchel non dà risposte, non assolve né condanna e, anzi, ora che ci penso non fa assolutamente niente, dice “questa cosa dovrebbe farci riflettere” e poi si dilegua soddisfatto, convinto di averci fatto riflettere.
L’intento non è sbagliato a prescindere, e ben venga il cinema che si mette in discussione, ma da questo punto di vista il film si ferma prima ancora di iniziare. Baruchel grida la sua “tesi”, mettendola in bocca senza tanti giri di parole ai suoi (insopportabili) personaggi, la ripete un tot di volte, ammazza un tot di gente nel processo, e manda tutti a casa dopo appena un’ora e sedici minuti senza essersi mai preso veramente il disturbo di elaborarla. E sono temi, questi, che il cinema — anche quello più popolare e di genere, senza scomodare gli autori che ci hanno costruito sopra una carriera — ha già affrontato, approfondito, a cui si è dato delle risposte, ha superato ed è passato ad altro. Arrivare adesso e dire “problematica la violenza nell’arte, eh?” e aspettarsi pure l’applauso è come un comico che nel 2021 esordisce con “avete mai notato che gli uomini pisciano in piedi e le donne sedute?”. Non solo è un punto di vista banale e datato, ma ormai non è praticamente neanche più vero.
A monte di tutto, fa mega ridere che l’intera faccenda ruoti attorno a un fumetto e Baruchel palesemente non abbia la minima dimestichezza con il medium. Il mondo interiore del protagonista, che nelle intenzioni probabilmente doveva risultare una sorta di “fumetto animato”, ricorda più le cutscene di un gioco per PlayStation. Il fumetto al centro della trama — quello che ha reso celebre il protagonista, ma anche pieno di dubbi e di sensi di colpa — le poche volte che viene mostrato è una roba grezzissima, disegnata malissimo da qualcuno che o un fumetto non l’ha mai preso in mano, o se l’ha fatto non ha comunque capito come funzionano balloon, didascalie e vignette.

È un fumetto o un opuscolo?

Alcune scene dal primo mitico Clock Tower
Non che sia questo a compromettere irrimediabilmente la pellicola, ma a volte vedi qualcosa che è stupido come la merda ma ha una personalità così forte, uno stile così particolare che pensi vabbè, chi se ne frega del contenuto quando questa è la forma. Ecco: non è questo il caso.
L’idea di “stile” di Baruchel è che si è divertito un casino con i filtrini colorati. Forse anche questo voleva in qualche distorto modo ricordare l’estrema stilizzazione dei fumetti, o forse è solo un’altra hipsterata, ma il risultato è che non c’è una sola inquadratura che abbia lo stesso colore della precedente. Il che è un peccato perché ero così contento di rivedere Jordana Brewster e mi sono dovuto accontentare di vederla GIALLA.

In questo film se ne vedono di tutti i colori!
Piattaforma di noleggio legale quote:
“Non sono “solo fumetti”, papà! È Arte! Arteeeeeee”
Quantum Tarantino, appassionato di fumetti
Tre pensierini:
– Jordana Brewster va bene anche gialla, dai…
– Se i film distribuiti in Italia sono tutti come questo, si faccia un bel segone anche Rienzi e torniamo a Psycho Goreman;
– Il tema della violenza nell’arte lo trattò meglio in quattro pagine quattro Apollinaire nell’Eresiarca, libercolo che ormai ha più di cento anni. Mai che nessuno impari qualcosa dall’autore delle “Undicimila verghe”. E poi ti spacci pure per apprendista stregone al fianco di Nick Cage, va’ là…
Chi è Rienzi ?
Il presidente del Codacons, nonché principale villain di Fedez
La prima parte della recensione si può copia incollare pari pari per Cosmic Sin, nel caso vogliate recensirlo.
Non è il caso, davvero, non sentitevi in obbligo.
Quantum, parlando di responsabilità nei confronti del pubblico, potresti avere sulla coscienza la morte di svariati grafici corsi a sucidarsi dopo aver visto la prima immagine. Ci hai pensato?
“La libertà di espressione è una carta esci gratis di prigione che ti autorizza a rappresentare qualsiasi cosa?”
“…quando una stessa opera è sublimazione di certe fantasie inconfessabili per alcuni e incoraggiamento a metterle in pratica per altri? Chi decide cosa è sano e cosa no?”
O questa è una meta-recensione che riflette sul ruolo del recensore?
taci! mediaset me l’ha comprato per smontarlo e farne il logo di tre diversi reality show
Leggi che Baruchel è il protagonista della serie Man seeking woman ,solo per questo va perdonato di tutto.
Dateci un’occhiata e capirete poi c’è Eric Andre,che volete di più?
“il consumismo, la società occidentale e quel riflesso pavloviano per cui ci sentiamo realizzati solo quando spendiamo soldi,” io volevo uscire a fare due compere in libreria+fumetteria ma mo mi sento male al pensiero
Devo dire che pur negativa la rece un po’ di curiosita’ per il film me l’ha messa, ma non credo di poter superare la mia idiosincrasia per i film che mettono in scena un altro media senza capirne e saperne un cazzo. E il fumetto fa sempre la parte del leone in questo.
(Poi il trailer mi ha tolto definitivamente ogni curiosita’.)
Trovo abbastanza singolare che questa cosa ancora non abbia trovato una distribuzione in Italia, è il genere di cafonata che sbietta un sacco di soldi a fronte di una spesa di poche lire.