Pensavo l’altro giorno, mentre recuperavo Crawl preparandomi a vedere Oxygen (li trovate entrambi su Netflix), che Alexandre Aja è stato una costante nelle nostre vite, non è mai andato via, non ci ha mai lasciato soli. Ridendo e scherzando, Alta Tensione è del 2003, cioè 18 (diciotto) anni fa, ed è addirittura il suo secondo film, girato a 25 (venticinque) anni, causando poi quel revival gore francese che tutti abbiamo imparato ad amare e rispettare. Insomma, Aja è veramente un regista importante, un piccolo tesoro nelle nostre vite tese, uno che non ha mai girato un capolavoro che sia uno e il cui picco artistico si è definito con Piranha 3D, ma che è sempra stato fedele a se stesso e che ultimamente, proprio partendo da Crawl, sembra aver trovato la propria cifra stilistica per eccellenza: non raccontare storie ricche di tensione, ma raccontare la tensione più pura, farcendola di storia, e limitandola a pochi attori e attrici e un paio di location. Oppure un’attrice, e una location, e nient’altro intorno.
Oxygen è anche il suo ritorno al francese da appunto il 2003, che sembra anche un po’ strano, ma è indicativo di quando abbia fatto strada immediatamente, nel bene e nel male. In realtà inizialmente doveva essere un film americano, diretto da Franck Khalfoun (Maniac) e interpretato prima da Anne Hathaway e poi da Noomi Rapace. Grazie al cielo poi è finito nelle mani di Aja (che prima era solo produttore) e soprattutto di Mélanie Laurent che, ci tengo a precisare, è un’attrice che sa anche recitare, ed è importante, perché questo film non è solo un film: è un duetto, il Simon & Garfunkel dei film di tensione, non tanto per bellezza quanto per efficacia, ed è l’unico motivo per cui siamo qui a parlarne. Bastava che solo uno dei due fosse stato un pelo più scarso e bon, era finita, tutti a casa, perché Oxygen è un altro film con una persona chiusa in una bara che parla da sola per 100 minuti, e come vuoi che funzioni se chi ci lavora non è un manico nel lavoro e nella vita?
Scusate, faccio ordine: Elizabeth si risveglia all’interno di una capsula criogenica tutta matta e fantascientifica, non si ricorda chi sia, dove sia, perché sia; sa solo che l’ossigeno sta finendo e che il computer di bordo, MILO (voce di Mathieu Amalric), ha una gran voglia di rimetterla a dormire. Questa è la premessa, e anche tutto quello che è possibile raccontare senza fare spoiler. È chiaramente Buried in un futuro prossimo, ma è anche Locke che parla con la macchina, dunque Supercar, ma forse più precisamente la versione per claustrofobici di Moon.
S’è capito, dunque, che la storia non è niente di pazzesco. È un gran minestrone di cose già viste in cui tutto è abbastanza prevedibile ma non troppo telefonato, tranne le telefonate, che sono telefonate. La sceneggiatrice, la debuttante Christie LeBlanc, probabilmente ce l’ha messa tutta per mettere insieme più idee possibili per creare una realtà quantomeno coerente, e forse un pochino ci riesce pure, ma il problema con una storia del genere, raccontata tra flashback e spiegoni, è che di quello che si dice importa veramente poco. Sono pronto a scommetterci una macchina parlante che non c’è stato un momento che fosse uno in cui Alexandre e Mélanie si siano guardati negli occhi e abbiano detto: AH, CHE BELLO QUESTO DIALOGO. È più facile che abbiano abbassato lo sguardo e quatti quatti abbiano deciso “vabbè questa, magari, dilla diversa”.
Non entrerò poi nel dettaglio, ma quando le cose iniziano a diventare un po’ più teniche succedono quel paio di cazzate che immediatamente buttano lo spettatore giù dal ponte sospeso dell’incredulità, ma vabbè, torniamo al punto di prima: questa cosa esiste solo grazie ad Alexandre Aja e Mélanie Laurent, che ce la mettono tutta e fanno tutto ciò che è umanamente possibile fare con un set e una premessa del genere, lei soprattutto, con una camera puntata in faccia per il 95% del film e la necessità di sfruttare tutto lo spettro emotivo a disposizione e circa ogni muscolo della sua faccia. Fallo un film così, senza sembrare un cretino. E Aja, mi ripeto, ha ormai deciso che il cinema è tutta tensione, come aveva già deciso nel 2003 perdendosi però in una trama assurda, e non ha bisogno di fare altro, gira tutte le sequenze narrative come fossero filler senza valore e non vede l’ora di tornare con la merda fino al collo: non penso gli interessi fare Kubrick, non penso gli interessi fare la storia, però ha voglia di far schiattare tutti d’angoscia, vuole essere quel braccio 3D che esce dallo schermo e ti strangola ma solo un pochino, e quindi magari un giorno ci riuscirà veramente.
E allora insomma, ci sono due modi per affrontare Oxygen: arrabbiarsi per alcune scelte narrative, che non sono poi così malvage ma soltato un po’ ritrite, o stare al gioco e farsi venire un po’ di sana ansietta, divertendosi. Sta a voi decidere se perderci del tempo. Per me, alla fine della fiera, ne è valsa la pena.
DVD-quote:
“Sembra che tu l’abbia già visto, ma non è vero, te lo giuro”
Jean-Claude Van Gogh, i400calci.com
ps. Questo è l’Instagram della sceneggiatrice:
Ciao.
10-15 minuti in meno e una roba meno scema di quel “magraziealcazzo” con cui si risolve il problema dell’ossigeno e sarebbe stato il degno seguito sci-fi di Buried. Così com’è gli è un po inferiore.
Concordo al 100%.
Comunque un filmettino più che dignitoso.
Ottimo. L’avevo saltato perche’ leggendone avevo capito fosse la solita odiosa solfa di mettere in scena una situazione estrema/claustrofobica ma spezzandola con continui flashback stile ora-anche-se-non-frega-nessuno-vi-raccontiamo-la-rava-e-la-fava-del-protagonista-perche’-c’abbiamo-da-riempire-un’ora-e-mezza-di-film. Invece mi confermate che e’ una roba che resta concentrata sulla situazione di base?
Purtroppo no. C’è anche la rava. E pure la fava
L’idea è ottima per un corto o un mediometraggio da al massimo 40 minuti. Superata una certa soglia tutto svacca e si vede che ci sono passaggi attaccati con lo sputo per arrivare alla lunghezza minima.
Lei è brava, il film si lascia tutto sommato guardare ma appena ti fai la doccia te lo sei dimenticato. Peccato.
Came for the review, stayed for the instagram della sceneggiatrice : )
Grazie!
Ma l’incipit è “Pandorum” (sci-fi/horror con Dennis Quaid godibile e da ripescare)
Per essere un film di netflix, direi più che bene.
Io mi sono divertito e ringrazio in il franzoso e la franzosa
Cordialità
Attila
Parlando di Instagram:
1) Ogni volta che qualcuno si iscrive all’account della sceneggiatrice un social media manager nel mondo muore.
2) L’account migliore che ho scoperto di recente è The Hard Times (il migliore in assoluto rimane No Eloquence, sempre e per sempre).
a me è piaciuto abbastanza, temevo che le parti di ripieno fossero eccessive dai commenti ma tutto sommato si lascia vedere bene. carina l’idea di far coincidere il tempo di vita della protagonista con quello del film.
grazie 400c per il consiglio!
l’instagram della sceneggiatrice vale tutto
Chissà se vale come SPOILER.
Lucine e pseudoscienza a parte, Oxygen è la trasposizione filmica di: “HURT” dei Nine Inch Nails.
“I focus on the pain
The only thing that’s real”
[…]
“The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything”
[…]
“If I could start again
A million miles away
I will keep myself
I would find a way”
[…]
Chi ha visto il film capirà.