C’è un tizio che ha creato questa linea di t-shirt in cui i loghi di celebri band metal si sovrappongono ai nomi di altrettanto celebri registi. È una cosa che fa molto i400Calci, se vogliamo, in cui ciò che viene percepito dalla massa come “molto basso” (i gruppi metal tamarri e rumorosi, signora mia) viene associato a ciò che invece è percepito come “molto alto” (gli Autori). È post-moderno e tutta quella roba là. È anche incredibilmente datato, ora come ora, perché questa cazzo di società 2K dominata dalla cultura pop ogni giorno ci regala nuove sorprese e cortocircuiti imprevedibili, tipo quella volta in cui lo zio di Toshiro Gifuni ha improvvisamente deciso di immolarsi per il cinema giusto ed è stato di conseguenza candidato a un premio del cinema con gli occhiali.
Ma sto divagando, come al solito: arriviamo al punto. Perché la maglietta di Herzog con il font di Danzig “non fa più ridere”? Perché ora Danzig è un regista, ha diretto un film e, pensa un po’, sta persino pensando di dirigerne un altro! E uno dice vabbè, oh, abbiamo un precedente che, al netto di qualche cazzata, è di tutto rispetto: il buon Rob Zombie è passato dal vomitare cattiverie su un palco a dirigere degli horror con una loro visione molto particolare. Per cui ben vengano i registi metallari, no? Voglio dire, e non mi piace generalizzare perché molte volte non è vero, ma il metal e l’horror sono due immaginari che spesso vanno a braccetto.
Soprattutto nel caso di Glenn Allen Anzalone, aka Glenn Danzig, aka l’uomo che avrebbe potuto essere Wolverine, che sulla sua passione per il cinema e soprattutto il cinema horror in tutte le sue sfumature più di culto, da Mario Bava a Ed Wood, ci ha costruito una carriera, dai Misfits fino ai suoi dischi solisti. E Verotika, il suo esordio alla regia tratto dalla sua stessa linea di fumetti horror per adulti, è indubbiamente figlio della sua passione per il cinema dell’orrore. È anche indubbiamente figlio della sua passione per la figa. Sigla!
D’altro canto lo era anche il materiale d’origine. Tanto è vero che, nel 2006, da uno dei titoli della casa editrice Verotik, Grub Girl, è stato tratto un porno-horror diretto da tale Craven Moorhead, poi regista di un videoclip di Danzig. In quel caso si trattava di un porno vero, mentre Danzig sceglie di muoversi al confine tra pornografia e mainstream, una passerella sottile che il regista percorre con la stessa grazia del proverbiale elefante in una cristalleria.
Non credo serva specificarlo, a questo punto, ma nel cast di Verotika si sprecano le pornostar, a partire dalla “hostess” Morella interpretata da Kayden Kross. Il che non sarebbe assolutamente il problema, di attori e attrici porno che si cimentano con il cinema “vero” è pieno il mondo. Il problema qui non è chi sta davanti alla macchina da presa – anche se c’è una collezione di cani infernali non da scherzo – ma chi sta dietro. Il buon Glenn, per farla breve, non ha la più pallida idea di come si faccia un film: regia, montaggio e direzione degli attori sono concetti alieni per lui.
Ultimamente mi è capitato di vedere molti film brutti, o considerati tali, e ho capito che ne esistono diverse categorie. C’è il film che sulla carta avrebbe potuto spaccare e che, per una serie di sfighe, è invece venuto male (pensate a L’isola perduta). C’è il film nato male a causa del sempreverde Sbaglio. E poi ci sono i non-film, che nascono quando un totale incapace, cinematograficamente parlando, si mette in testa che per fare un film è sufficiente avere una videocamera e degli amici “attori”. Non sono davvero dei film, perché manca quel minimo di grammatica filmica e conoscenza base del mezzo che li renda tali. Anche questi si dividono in due categorie: da una parte quelli tipo The Room, in cui l’incapacità del regista viene controbilanciata da una squadra di professionisti che ci mettono una pezza e fanno assomigliare il non-film a un film. Dall’altra quelli come Birdemic, in cui non si salva nessuno.
Verotika cade circa nella prima categoria. Si vede che Danzig si è circondato di almeno un paio di collaboratori che sanno come imbastire un set – per quanto orrendo – o realizzare dei trucchi prostetici decenti. Poi però ha affidato il montaggio, giusto una cosetta trascurabile, a certo Brian Cox (non QUESTO), che ha come solo altro credito un videoclip degli Hollywood Undead da regista e montatore (poi ci torniamo). E, altro particolare non da poco, Danzig si è scritto tutto il film da solo, dimostrando di non avere proprio idea di come si racconta una storia. Anzi proprio di non sapere cosa significhi la parola “storia”, nel senso scolastico di inizio/parte centrale/fine. Quella volta che al corso base di cinematografia lo hanno spiegato, lui era in tour.
Cominciate a farvi un’idea del film di cui sto parlando? Ricapitoliamo: è scritto e diretto da una persona che, pur avendo il cuore al posto giusto e una passione smodata per tutto ciò che fa horror e “trasgressione”, quella da diario di terza liceo, non sa scrivere né dirigere. È montato da un tizio che non aveva mai montato un film prima. È interpretato da un cast di attori incapaci, incluse svariate attrici che di solito recitano con altre tecniche, per giunta diretti male o non diretti affatto.
È, tirando le somme, un film amatoriale, fotografato come un porno (e se non mi credete guardate l’immagine qui sotto), maldestro e ridicolo. Involontariamente, aggiungerei, anche se è chiaro che Danzig mira a un’autoironia consapevole, minata, però, dalla sua totale ignoranza delle più basilari regole della messa in scena. Ad esempio: Verotika è lento. Lentissimo, anzi. Le inquadrature durano sempre un po’ troppo, gli stacchi arrivano sempre in ritardo. I tempi morti si sprecano, e questo nonostante sia montato da un tizio che ha diretto e montato un videoclip, e diretto da uno che la sua umile gavetta nel mondo della musica se l’è fatta. Non vorrei scadere in battute tipo “questi bianchi non hanno il senso del ritmo”, ma siamo lì.
La cosa è particolarmente evidente nel terzo episodio (si è capito che Verotika è un horror antologico, vero?), Drukija Contessa of Blood. La storia, con grandissima originalità, si ispira a quella della contessa Bathory. All’inizio dell’episodio, vediamo la Contessa che, scesa dal suo castello medievello, attraversa a cavello il paesello per cercare nuove vergini da utilizzare come sali da bagno. Ecco, la sequenza non finisce mai: Drukija attraversa il campo da sinistra a destra, poi da destra a sinistra, poi ancora da sinistra a destra. L’idea sarebbe: la Contessa attraversa il paese e tutti la osservano, silenziosi e atterriti. Un po’ tipo l’arrivo di Clint Eastwood in Per un pugno di dollari, no? Ma Glenn e Brian non sanno letteralmente come si fa, e allora girano la scena da diverse angolazioni, tutte rigorosamente ravvicinate, e poi montano tutto il girato sperando che funzioni. Avete presente l’applauso interminabile di Birdemic? Ecco, qua è la stessa cosa, ma col clop clop dei cavalli.
Più avanti, nello stesso episodio, la Contessa si ammira allo specchio dopo essersi immersa nel sangue di vergine. La scena dura due minuti abbondanti, l’attrice (Alice Tate) rifà tre volte la stessa routine, chiaramente non diretta da un Danzig che deve averle detto solo “Mo’ guardati allo specchio per due minuti, è una scena ipnotica!”, e gridato “Buonaaa!” alla fine. E poi ha montato TUTTO, crepi l’avarizia.
E già che ci siamo, parliamo degli attori. La citata Alice Tate è un’attrice vera, ma sono dovuto andarlo a scoprire su IMDb perché recita esattamente come le pornostar. Mettiamoci pure che non sarà certo Charlize Theron, però c’è un forte concorso di colpa di Danzig, che non saprebbe dirigere un attore neanche per dargli indicazioni stradali. In più, e qui c’è del sadomasochismo, Glenn sceglie di ambientare il primo e il terzo segmento in paesi “esotici”. Così The Albino Spider of Dajette si svolge a Parigi, e tutti recitano in inglese con posticci accenti francesi. In Drukija Contessa of Blood fanno tutti dei generi accenti da est Europa. È veramente la scelta peggiore possibile.
Novanta su cento, poi, non si capisce nemmeno cosa Danzig volesse dire con queste storie. Perché state sicuri che qualcosa voleva dire: Danzig è AUTORE, ha una VISIONE e ce la vuole comunicare. Sono sicuro che la tizia con gli occhi al posto dei capezzoli in The Albino Spider of Dajette sia portatrice di qualche metafora nascosta nelle sue protesi al silicone, ma non saprei dire quale. Soprattutto quel dettaglio così “visionario” non ha ALCUN peso nella trama, che per il resto racconta di questo ragno albino ossessionato da lei che a un certo punto prende sembianze umanoidi e inizia a uccidere mentre lei dorme e… lo so, vi ho persi. Ma giuro che questo è l’unico episodio con la trama un po’ ragionata e un finale di senso compiuto. Il secondo, Change of Face, parla di una spogliarellista che colleziona le facce delle persone che uccide, anche qui un concetto mai visto prima al cinema. Ma non è importante cosa racconti, quanto come lo racconti. Glenn Danzig lo racconta male.
E stiamo parlando fondamentalmente di tre cortometraggi! Voglio proprio vedere cosa ne verrà fuori quando si misurerà con il suo prossimo film, Death Rider in the House of Vampires, da lui descritto come “uno Spaghetti Western con i vampiri” interpretato da gente tipo Devon Sawa, Danny Trejo e Julian Sands. I miei migliori auguri.
PornHub quote:
“Stay dark!”
George Rohmer, i400Calci.com
La cosa assurda e’ che se lo avesse diretto Kayden Kross, una che sa dirigere, anche se nel suo ambito, il film sarebbe venuto molto, ma molto, meglio.
Però oggi i porno (almeno a livello mainstream) hanno un comparto tecnico di gran lunga migliore.
Normalmente si dice “questo film ha meno trama di un film porno”.
Normalmente si dice “sti attori sono talmente cani che li vedrei solo a recitare nel porno”.
Normalmente si dice “santo cielo, ma cosa è sta regia da film porno.”
Poi arriva un film che usa attori porno, regia porno e trama da porno E riesce ad essere peggio di un film porno.
Siamo totalmente su un nuovo livello. Chapeau.
forse perché nei porno l’attenzione del pubblico è tutta rivolta all’azione più che alla trama :D
a “scesa dal suo castello medievello, attraversa a cavello il paesello” (pronunciata nella mia testa con accento da Lino Banfi vintage, ça va sans dire) la recensione ha fatto il balzo da “ottima tagliata in ristorante toscano dignitoso” a “filetto di manzo Kobe dello chef 3 stelle Michelin”.
cinque alti!