Non esiste né è mai esistito al mondo un film che sia piaciuto unanimemente a tutti. Perfino Paddington 2 non ha più il 100% di recensioni positive su RottenTomatoes, signora mia, dove andremo a finire di questo passo, quali certezze ci rimangono, dov’è il vostro dio adesso? Sembra incredibile prima di tutto a me stessa, ma conosco persone davvero degne di stima che non reputano Mad Max: Fury Road un capolavoro assoluto privo di difetti. Ci sono ovviamente titoli che, una volta storicizzati, compongono un canone abbastanza universalmente accettato della storia del cinema e che si guadagnano l’etichetta di “film imprescindibili”, ma appunto ci vuole tempo, e tutta la distanza del senno di poi: qualsiasi “capolavoro” ritenuto inattaccabile oggi, a cercare bene, ha ricevuto delle critiche all’epoca dell’uscita – così come, viceversa, ci sono film inizialmente portati in trionfo ma dimenticati nel giro di due stagioni, e altri bollati prima come ciofeche puzzolenti e poi, magari dopo molti anni, rivalutati.
La donna alla finestra non è piaciuto quasi a nessuno. Non solo: a quelli a cui non è piaciuto (cioè quasi a tutti) ha fatto proprio schifo. Prima di vederlo ho intercettato per giorni titoli di recensioni o anche solo commenti a caldo in cui si parlava di “disastro”, di “pasticcio irrecuperabile”, di “incidente ferroviario”, della solita fantozziana “cagata pazzesca”, etc. etc. Ero curiosa, mi preparavo – oltre che a scrivere di un Wright che non pensavo sarebbe mai comparso sui 400 Calci – a firmare una feroce e sagace stroncatura, e invece alla fine del film mi sono trovata a pensare ad altro, a interrogarmi sui modi in cui guardiamo i film. Su quello che ci succede mentre lo facciamo. Su quanto c’entriamo noi come spettatori in quello che vediamo e nelle reazioni che quel che vediamo ci innesca, ognuno di noi singolarmente, con i suoi cazzi e i suoi mazzi tutti lì per bene annidati dentro la testa mentre ci mettiamo davanti allo schermo e ci appropinquiamo a premere “play” su Netflix davanti a quest’ennesima prova per cui Amy Adams non vincerà l’Oscar.
Per cui, no, questa non sarà una stroncatura di La donna alla finestra. Non sto dicendo che il film in realtà sia straordinario, che (quasi) tutti hanno preso un abbaglio, che – per scegliere un titolo assolutamente NON a caso – siamo di fronte a un nuovo Vertigo, bersagliato da critici e spettatori ai tempi dell’uscita e poi incoronato decenni dopo miglior film della storia. È che di stroncature di questo film è pieno il web, alcune sono anche molto divertenti, cercatele, leggetele, io non ho molto da aggiungere in quel senso.
Piuttosto, mentre lo vedevo, e ancora di più alla fine, mi chiedevo: cosa ci succede mentre guardiamo un film? Mi sembra che ci siano infinite sfumature comprese tra due approcci agli antipodi: da un lato possiamo guardarlo “da fuori”, come davanti a un quadro in un museo, o come se stessimo leggendo un saggio; riconoscerne l’impalcatura, i meccanismi, gli archetipi, le citazioni, i temi profondi e le scelte operate dal regista per rendere proprio in quel modo quegli specifici argomenti. Oppure possiamo guardarlo “da dentro”: abbandonarci all’esperienza, agganciarci allo svolgimento della trama e alla curiosità di sapere “come va a finire”, alla voglia di scoprire i perché, di empatizzare con i personaggi, riconoscerci nelle loro motivazioni, sentire il brivido della tensione correrci lungo la schiena se si tratta di un thriller, etc. Il più delle volte, è ovvio, facciamo un po’ e un po’, magari ci siamo “dentro” mentre lo guardiamo, e poi lo ripercorriamo da “fuori” una volta finito. Ci sono film che sono fatti per esser visti solo “da fuori” e altri per esser visti solo “da dentro”. I film migliori, per quanto mi riguarda, sono quelli in cui le due cose coincidono miracolosamente, la forma e il contenuto e il senso e l’emozione si sovrappongono e si inseguono e si potenziano a vicenda in una corrispondenza meravigliosa – ma sono inevitabilmente rari.
Sapete qual è un film che, per quanto mi riguarda, fa esattamente questa cosa qui? Sì, esatto, La finestra sul cortile, di Sir Alfred Hitchcock (“e grazie al cazzo” risponderete, giustamente, voi). Come urla tantissimo già la seconda inquadratura del film di Joe Wright, La donna alla finestra vuole essere un rifacimento-omaggio di La finestra sul cortile – anzi, no, non esattamente: in primo piano c’è un televisore su cui la protagonista sta guardando il film di Hitchcock, si vede James Stewart mentre viene strozzato da Raymond Burr, ma come se fosse bloccato in una sorta di ralenti lentissimo, oppure imprigionato in un brevissimo loop. Quindi, con tutta la sottigliezza di cui NON è capace, Joe Wright ci sta dicendo “guardate che questo non è solo un rifacimento o una citazione di La finestra sul cortile come hanno già fatto in tanti, voglio dire, l’ha fatto perfino Ozpetek, mollatemi, dai! No, questa è una riflessione quasi astratta su quel film, un remix, un gioco di quadri, di riquadri e di specchi, una messa in abisso, anzi, una mise en abyme come la chiamiamo io e i miei amichetti snob dei “Cahiers du cinéma”, li mortacci vostri”. “Ah, una pippa!” dirà qualcun altro, e come dargli torto.
La donna alla finestra è un film un po’ stronzo. Perché inizia come uno di quei film da guardare “da dentro”, con al limite un po’ di consapevolezza di quanto sia hitchcockiana tutta la faccenda. È la storia di una donna, Anna Fox (la non vincitrice dell’Oscar Amy Adams), che di mestiere farebbe la psicologa infantile, ma soffre di agorafobia, non esce di casa da chissà quanto, prende un sacco di psicofarmaci, trangugia bottiglie di vino rosso come fossero Estathé, non pare avere un buon rapporto col proprio psichiatra, ha presumibilmente tentato il suicidio, spia i vicini di casa e, insomma, in sostanza non gli affidereste il vostro bambino problematico neanche per andare solo all’edicola all’angolo a comprare il “Topolino”. Ha una figlia piccola e un marito, da cui però è separata: vivono altrove, ma si sentono tutti i giorni al telefono. La casa in cui vive lei è una magione enorme, a svariati piani, stanze ampie, in cui lei si aggira perennemente in penombra e in vestaglia, tra un sacco di libri accatastati ovunque, e anche di Blu-ray, perché la nostra ovviamente è pure una gran cinefila Nel corso del film vedremo infatti, dal suo televisore, frammenti di Vertigine di Otto Preminger – un film in cui un detective si innamora della donna morta su cui sta indagando –, La fuga di Delmer Daves – un film in cui un uomo deve provare la propria innocenza – e Io ti salverò, di nuovo di Hitchcock – un film pieno di psichiatri che non ce la fanno e di confusione tra realtà e sogni disegnati da Dalì –, e ovviamente il titolo originale The Woman in the Window è lo stesso di La donna del ritratto di Fritz Lang, che non vi dico come finisce perché spoiler, ma CASO MAI VI FOSSE SFUGGITO, Sì, SONO TUTTE CITAZIONI RELATIVA ALLA TRAMA E AI TEMI DEL FILM WINK WINK GOMITINO GOMITINO, HAI VISTO CHE ROBA?
Nell’appartamento di fronte a quello di Anna Fox si è appena trasferita una nuova famiglia, i Russell, formata da Gary Oldman, Julianne Moore e un regazzino contemporaneamente timido e invadente. Sono tutti un po’ invadenti, a dir la verità, okay che Anna li spia tutto il giorno e non si fa mai i fatti suoi, però anche loro, tra una storia e l’altra, le si presentano alla porta a tutte le ore, e poi fanno un po’ come se quella di Anna fosse la casa delle libertà, avete presente, quella dove ognuno fa un po’ quel cazzo che gli pare. Ah, Anna ha pure un inquilino che vive in un appartamento ricavato al piano di sotto e che è interpretato dal figlio di Kurt Russell, quello che è appena stato – per poco – il nuovo Captain America, un tizio belloccio che si comporta via via in maniera sempre più scostante. Anna fa a amicizia sia col regazzino sia con la signora Russell, e capite che ci sono già un sacco di Russell, per di più lei si chiama Jane, Jane Russell, sì, come la celebre diva, e come se non bastasse a un certo punto compare anche il vero nuovo Captain America. Sia il regazzino sia Julianne/Jane le fanno capire che Gary Oldman è un pazzo violento e com’è come non è una sera spiando dalla finestra Anna vede Jane accoltellata male. Chiama la polizia, prova a uscire di casa, sviene. Al risveglio ci sono due sbirri, uno inspiegabilmente gentile e una inspiegabilmente stronza, e anche la signora Russell viva e vegeta, solo che non è più Julianne Moore ma Jennifer Jason Leigh.
Okay. Avete capito dove si va a parare, no? C’è evidentemente una donna che visse due volte, ma anche in La finestra sul cortile a un certo punto, mentre James Stewart cercava di convincere il suo amico poliziotto (stupido come quasi tutti i poliziotti di Hitchock) che il suo dirimpettaio Raymond Burr avesse ucciso la moglie, compariva una donna che veniva identificata come la presunta morta, ma viva e vegeta. Però James Stewart era solo un fotoreporter annoiato da troppe settimane in sedia a rotelle a causa di una gamba rotta, mentre Amy Adams è una persona evidentemente instabile, sotto psicofarmaci che potrebbero causare allucinazioni anche se lei non li trangugiasse con ettolitri di vino, come per l’appunto invece fa. Più o meno mentre cerchiamo di capire fino a quanto sia inaffidabile la nostra narratrice inaffidabile, La donna alla finestra fa la mossa da stronzo di cui dicevo: pur senza picchi di originalità nel contenuto, per quanto mi riguarda il suo lavoro di thriller lo stava facendo bene, la tensione era palpabile, la sensazione di tragedia incombente e di mistero perturbante pure, insomma, era uno di quei film da guardare “da dentro”, magari provando ad anticiparne le mosse non esattamente imprevedibili. Poi lui – il film, dico – prende e diventa una cosa da guardare “da fuori”: ma proprio letteralmente, perché il BIG REVEAL (che i più sgamati avevano a quel punto già intuito) è messo in scena, proprio a livello formale, in modo artificioso, teatrale, con i personaggi che guardano praticamente in macchina, e poi rimarcato con un espediente visivo insieme esagerato e ridicolo.
Una mia cara amica, che è pure una bravissima critica cinematografica, mi ha detto: “Joe Wright è un tamarro”. Anche se fa di base drammi in costume e non Fast and Furious. Ha ambientato tutta un’Anna Karenina fisicamente dentro un teatro, utilizzandone palco, quinte, camerini e platea, con sfrontata hybris; ha messo la Seconda guerra mondiale tutta dentro la performance di un Gary Oldman con un sacco di trucco prostetico, in un parlamento inglese che era evidentemente un palcoscenico. Ha raccontato la disfatta di Dunkerque in pianosequenza prima che lo facesse Nolan e che Mendes pensasse 1917. Vabbè, mi avete sgamato, a me piace questo Wright, anche se non si chiama Edgar (tranquilli: mi piace anche Edgar). Comunque, da questo momento così sfacciatamente teatrale da sfidare qualsiasi tipo di senso del ridicolo, La donna alla finestra sbarella. Impazzisce. Prende e se ne va, imbizzarrito, comincia a fare e dire cose assurde, e a farle e dirle urlando, accumula svolte improbabili, scelte inconcepibili, fatti che ucciderebbero la sospensione dell’incredulità pure al più credulone tra noi. Anche esteticamente abbandona l’autocontrollo con cui aveva costruito finora la tensione (citazioni evidenziate e frammenti onirici a parte) e si lascia andare a nuovi eccessi, sembra più un B movie che un thriller medio. Se eravate “dentro” al film vi butta fuori a calci.
Potremmo interrogarci su quanto tutto questo sia camp volontario o ridicolo involontario – e non è cosa da poco, perché sostanzialmente dalla risposta dipende il gradimento o meno del film. Se riusciamo a seguire il film mentre se ne va “fuori” da se stesso, per provare a capire quali discorsi vuole fare, oppure se ci rimaniamo “dentro” ma non ci crediamo più e quindi ci sembra un castello di carte che finalmente, rumorosamente, goffamente si sgretola, cadendo nella tromba di una scala a spirale, proprio come la povera Judy/Madeleine che visse due volte in Vertigo. C’è anche da dire che questo film ha avuto una lavorazione lunga e sfigatissima, essendosi trovato proprio nel bel mezzo della fusione tra Disney e Fox, con Tony Gilroy chiamato come al solito a occuparsi di ulteriori reshoot perché alle proiezioni di prova nessuno sembrava capirci niente, l’uscita in sala rimandata molte volte non solo a causa pandemia, lo scrittore del romanzo di partenza smascherato come un bugiardo patologico e forse sociopatico da un’inchiesta del “New Yorker”, il produttore Scott Rudin che cade in disgrazia perché improvvisamente tutti si ricordano che è sempre stato una merda, e infine l’arrivo del film su Netflix, neanche troppo in pompa magna, com’è capitato a diversi altri film degli ultimi due anni.
La finestra sul cortile, come vi dirà qualsiasi bravo studente del DAMS, è un film sul cinema. Il protagonista siamo noi, precipitati in una condizione d’immobilità come quando andiamo a vedere un film in sala. Fuori dalla sua finestra, le finestre degli altri sono altrettanti schermi, spesso muti ma sempre eloquenti, e in ognuno di esso è “proiettato” un diverso genere: il melodramma, la commedia, l’erotico, il musical, e ovviamente il giallo-thriller, quello che poi ci appassiona e diventa lo schermo principale. È anche uno studio rigorosissimo sulla soggettiva: tutto ciò che Jimmy Stewart vede fuori dalla finestra, noi lo vediamo esattamente dal suo punto di vista, che però non è propriamente quello di un narratore inaffidabile, ma di qualcuno che cerca di mettere insieme i pezzi di ciò che vede per dargli un senso – quello che facciamo noi guardando un film. È innegabile che sia un’opera – occhio che arriva la parolaccia – “teorica”. Ma è anche un film su altre cose, per esempio è un film sull’amore e sul matrimonio, ed è una commedia spesso molto divertente. È un film che a guardarlo “da fuori” si potrebbero versare jalissiani fiumi di parole disboscando ettari di foresta, ma che allo stesso tempo, mentre lo guardi, ti tiene sempre “dentro”. E non perché sia così totalizzante da farti dimenticare il “fuori”, anzi, è che le due cose si corrispondono, come dicevo sopra, e il piacere della visione non fa che aumentare, invece che distrarti, o confonderti, o farti incazzare.
A me sembra che anche La donna alla finestra voglia fare un discorso su cosa significhi essere uno spettatore, però oggi, e gli va pure di culo che esce in questo secondo anno pandemico, in cui l’esperienza di reclusione allietata/tormentata da visioni compulsive ci è ben familiare, e ci ha pure rotto un po’ il cazzo. Anna non è fisicamente immobilizzata come Jimmy Stewart, ma emotivamente e psicologicamente è molto più imprigionata di lui; si muove di continuo dentro questa casa enorme, e che a tratti sembra quasi viva, perché in fondo questa è anche una storia di fantasmi, in fondo anche la casa e la sua mente sono un po’ lo stesso posto. Gli schermi da guardare non sono più solo quelli, grandi, posti davanti, a una certa distanza, ma si moltiplicano, si sdoppiano, si disperdono, stanno ovunque. E l’esperienza di visione della protagonista non può che essere paranoica, megalomane, egocentrica, impermeabile all’esterno. A un certo punto, per non sbagliare, lo dice pure lei: “Avevo bisogno di credermi al centro di un inganno”, o qualcosa del genere. È l’esperienza di visione di qualcuno che non è più in grado di distinguere il “dentro” dal “fuori”, e il film, in qualche modo, prova a fare lo stesso. Solo che ci tradisce, e probabilmente fallisce, non rispetta i patti e le sue promesse, impazzisce, e credergli, stare dalla sua parte diventa, per quasi tutti, impossibile. È un disastro, d’accordo, però non mi sembra un disastro del tutto “vuoto” – almeno a guardarlo “da fuori”.
O forse anche io, come Amy Adams/Anna, sono rimasta chiusa in casa troppo a lungo, ho bevuto troppo, ho visto troppi film. Nel caso, perdonatemi.
Netflix quote:
“Perdonatemi”
Xena Rowlands, www.i400calci.com
Netflix quote extended edition director’s cut:
“Perdonatemi soprattutto per aver detto Ozpetek”
Xena Rowlands, i400calci.com
Mi basta, lo compro
<3 però non mi assumo responsabilità eh se poi ti fa vomitare sangue dagli occhi!
Visto: secondo me ci hai preso in tutto. Io e mia moglie ne siamo usciti soddisfatti (e lei non vi legge).
Secondo me la maggiorparte delle critiche feroci sono ingiustissime e Rotten Tomatoes é una m***a come sempre.
Mo lo faccio vedere pure a mia mamma che pasteggia coi thriller
sta lì che mi guarda ogni volta che accendo netflix, gli darò una chance
Ho riso molto e non lo guarderò, grazie.
1) Come mai ero convintissimo che Adams avesse vinto un Oscar? Se me lo avessero chiesto avrei anche risposto con una certa sicumera che era per The Fighter. Effetto Mandela?
2) La Finestra di Fronte di Özpetek non l’ho visto e neanche ci tengo (e se anche ci tenessi non verrei certo a dirlo ai fancalcisti, che poi mi scherzano) epperò Gocce di Memoria cantata da Mia Cuggina la Todrara sarà un poco kitsch ma ci ha il suo bel perché.
3) La Casa delle Libertà… molto bene Xena.
L’ho visto “dentro” una stanza rivestita da 3mm di piombo nel reparto di medicina nucleare senza possibilità di uscire per 2 giorni e 2 notti.
Quindi mi sono detto “Ah ah! Guardiamoci l’agorafobica che non VUOLE uscire, mentre io non POSSO” e vediamo l’effetto che fa.
Un po’ come quella volta che sono salito su un pullman sostitutivo di un treno ed hanno proiettato Speed da un televisorino…
Ma non mi ha fatto nessun effetto perché é semplicemente un film mediocre e raffazzonato, con un ottimo cast per lo più inutilizzato ed una trama prevedibile al netto di un unico twist.
E secondo me finisce tutto lì. Nel dimenticatoio delle emozioni piatte.
Aspettavi primavera?
Chiedendo alla polvere :-)
Amy Adams è quasi sempre bravissima – tranne quando fa l’Inutile Lois (cit.) nei film di Superman – quindi l’avevo messo in lista….Però voto decisamente per i film da vedere ‘dentro’ (e al più ragionarci dopo…) Se mi tocca l’ennesima deriva meta- mi sa che passo…
PS bellissima rece come sempre!
PS ma vogliamo aggiungere anche due etti de La ragazza del treno? L’alcolismo ‘ che poi te lo sei sognato’ andava forte pure li…
E’ uno di quei film in cui fanno sembrare Amy Adams bruttina?
E’ “toroscatenatamente” gonfia e in sovrappeso per quasi tutto il film (e anche cosi’ avercene, eh). Un paio di scene ci rassicurano trattasi di esigenze di copione.
Sí dorco pio
Brava Xena, bellissima recensione.
Stessa reazione tue. Visto sulla scorta di commenti e recensioni tremendi, non dico mi abbia stupito in positivo, ma mi e’ sembrato un film passabilissimo, quello che un tempo si sarebbe detto un buon giallone da prima serata buono per tutta la famiglia. Joe Wright per me e’ una mezza sòla e qui dirige con una compostezza formale che sfiora la spocchia, ma gli va datto atto di aver saputo nobilitare almeno visivamente un materiale molto convenzionale se non persino dozzinale.
Curiose le molte affinita’ con il di molto migliore “The Wolf Hour” con Naomi Watts.
Non centra nulla, ma a me Amy Adams ha sempre fatto un sacco sangue.
Nei film appartenenti al genere “protagonista – possibilmente donna – da tutti ritenuta matta e che combatte contro tutto e tutti nell’incredulità generale” è difficile mantenere alta la tensione fino alla fine: prima o poi si parte per la tangente, o i colpi di scena risultano telefonati, come accade anche qui. Per il resto, oltre ai classici citati nella recensione, ho visto delle similitudini con Le verità nascoste e Shutter island: tutti film che si avvalevano di un ottimo cast, ma che alla fine mi hanno lasciato l’impressione di un’occasione mancata. Al solito Amy Adams è brava, anche se in Sharp objects interpreta un ruolo analogo con risultati migliori. A proposito di attrici protagoniste: se tra i Sylvester esistesse il premio Bitch of the year, la Rosamund Pike di I care a lot dovrebbe cominciare a fare spazio per la statuetta sulla mensola del salotto…vedere per credere.
C’é da dire che su sharp objects ha avuto molto più tempo per mostrare la sua bravura, e oltretutto senza lei probabilmente questo film sarebbe nemmeno sufficiente…
Vero, Amy Adams si impegna molto per tenere in piedi la baracca, mentre il resto del cast potrebbe tranquillamente essere intercambiabile, ad esclusione forse di Julianne Moore, che in pochi minuti lascia il segno…e tra l’altro l’ho vista particolarmente in forma.
film visto solo perché recensito qua…niente di memorabile ma cast femminile sugli scudi…quello maschile rivedibile (personaggio della detective poliziotta premio ottusa dell’anno)