Chiedo immediatamente perdono, perché sto per iniziare un pezzo su i400Calci citando Paolo Sorrentino, ma vedendo Reminiscence mi è tornata in mente una frase che aveva pronunciato credo a Venezia, in occasione della presentazione di The Young Pope. Sorrentino stava cercando di spiegare il suo approccio alla serialità, usando la vecchia argomentazione de “la mia non è una serie, ma un film lungo”, in pratica. Detta così sembra la solita cazzata, eppure Sorry sollevava un buon punto: mentre le serie (televisive, streaming, come le volete chiamare) si poggiano molto sulla parola per raccontare, il cinema deve essere più sintetico e dunque ricorrere ai simboli, alle associazioni visive. In sostanza, le serie sono più lunghe e hanno più tempo per esporre i loro temi, e dunque lo possono fare con un mix di dialoghi e comparto visivo. Il cinema in genere deve fare le stesse cose in due ore, e deve quindi essere più immediato, ricorrendo più alle immagini che alla parola.
Ecco, trovo che questo paragone si applichi perfettamente a Reminiscence, esordio alla regia cinematografica di una delle autrici televisive più quotate del momento nonché, come direbbero su Rai Uno, “la moglie di Jonathan Nolan”, Lisa Joy. Insieme a Nolan Jr., Lisa Joy ha creato quel mindfuck che è Westworld, di cui io onestamente ho visto solo le prime due stagioni e sono sicuro che qualcuno di voi dirà “Ma sei pazzo? La terza è la migliore!”, ma le cose sono andate così e purtroppo non possiamo farci niente. Già la seconda stagione, per quanto contenesse cose molto belle, era più farraginosa della prima, alla terza ho ceduto dopo una puntata. Mi sono promesso di riprovarci, ma per ora niente.
La sostanza cambia poco, comunque: Lisa Joy è emersa con una serie fantascientifica ambiziosa, che ha espanso le premesse del film di Michael Crichton portando tutto sui binari di domande ancestrali come “Cosa vuol dire essere umano?”, “Possiamo fidarci della memoria?” e “C’è ancora speranza che Aaron Paul si rifaccia una carriera?”. Era inevitabile che tentasse la strada del cinema, e lo fa con un esordio da lei scritto e diretto, che si muove su temi simili e ha giustamente attirato attori importanti come Hugh Jackman e Rebecca Ferguson, nonché metà cast di Westworld (ok, Thandiwe Newton e Angela Sarafyan e basta).
Come non zompare a bordo del primo film di un’autrice che sta spopolando sul piccolo schermo? Soprattutto di un film come Reminiscence, che promette di essere quel genere di sci-fi di alto bordo, con ruoli succosi per star che vogliono provare di essere anche capaci di recitare, una trama abbastanza ingarbugliata da sembrare intelligente e qualche bel rimando al global warming giusto pe’ no fasse manca’ gnente. Jackman ha poi il vantaggio di aver lavorato col nume tutelare di un’operazione come questa, Christopher Nolan, e dunque per associazione imprime subito il marchio di garanzia su un film che mira ad attirare quello stesso target.
E sono sicuro che, durante la lavorazione di Reminiscence (aka Frammenti dal passato, che pare il titolo di un generico Dylan Dog anni ’90), sulla parete dietro la scrivania, Lisa Joy tenesse appesi due santini. Da un lato quello di Chris Nolan, che Jonathan fissava in cagnesco stile Andy Bernard di The Office quando guarda suo padre e Walter Jr. duettare. Dall’altro quello di Philip K. Dick, che mi piace immaginare vestito come Padre Pio e con la stessa espressione salvifica.
Reminiscence si pone in effetti molti quesiti che Dick aveva messo al centro della sua opera, e in particolare mette in discussione l’accuratezza della memoria e offusca i confini tra ricordi e realtà oggettiva. La trama, in breve: siamo in un futuro non troppo distante, Greta aveva ragione e il livello dei mari si è alzato inghiottendo le coste. Miami è così mezza sommersa: i ricchi “baroni” stanno nelle zone asciutte, i poveracci vivono tra quartieri mezzi sommersi (con l’acqua alta veneziana) e una costa letteralmente sommersa fatta di case galleggianti. In questo mondo distopico si muove Nick Bannister, veterano di una non meglio specificata guerra col Messico che di lavoro fa quello che ti sdraia in una piscina con in testa uno squid e ti fa ricordare le robe belle di una volta. Perché il mondo, privato di un futuro a causa di global warming guerre cazzi e anche mazzi, ha smesso di guardarsi avanti e deciso collettivamente che è meglio venerare il passato, e qui c’è anche una riflessione su come la società di oggi sia alla mercé della nostalgia perché la sci-fi non parla del futuro ma del nostro presente e Reminiscence non è da meno. *Tira il fiato.*
E insomma capita che un giorno (anzi una notte, perché il caldo del global warming ha costretto la società di Miami a diventare notturna) quella figa spaziale di Rebecca Ferguson arriva nell’umile bottega del memoraro Hugh Jackman (e della collega Thandiwe Newton) e je dice “Ho perso le chiavi, mi aiutate con le vostre diavolerie tecnologiche a rivivere le ultime 24 ore per ritrovarle?”. E il Hugh si innamora seduta stante come accade #soloalcinema. Poi, dopo un breve idillio, Rebecca sparisce nel nulla e Hugh diventa ossessionato al punto da passare ore e ore nella vasca per tentare di rimettere insieme i pezzi della memoria (con una tecnologia che, per altro, è magica e mostra il ricordo a 360°, compresi dettagli che la persona che sta ricordando non può aver visto. Ma vabbè) e capire dove sia andata a finire. Segue un giallo/noir che mescola suggestioni di Chinatown con pesanti riferimenti estetici e narrativi a Blade Runner.
Ci siamo tutti fino a qui? Bene. E finora uno potrebbe anche dire “Beh, figata, no?”. Ecco, no. Gli ingredienti in sé non sono originalissimi, ma questo non sarebbe un problema. Il guaio è che Lisa Joy non li sa miscelare. O per lo meno non lo sa fare sulla breve distanza. Forse, se Reminiscence fosse stato una miniserie, avrebbe potuto avere quel respiro necessario per affascinare; come film risulta invece frettoloso e diseguale. Prendiamo ad esempio tutta la faccenda del Grande Amore, che dovrebbe essere il motore della vicenda. Lo spettatore dovrebbe investire in questo rapporto tra Hugh e Rebecca, al punto che, quando lei sparisce, anche noi dovremmo sentire il crepacuore come Hugh e berci tutta questa ricerca ossessiva che lo porta a rischiare la vita ogni due per tre. Peccato che tutta la loro storia d’amore sia raccontata con un montaggio rapido che non riesce assolutamente a comunicare la forza del loro legame, arriva troppo presto e dura troppo poco. Non resta che fidarsi di quello che dice Hugh – lui l’amava veramente un casino, ma davvero davvero tanto eh? Stacce.
Ed è un po’ questo il problema grosso del film: è scritto chiaramente da una persona che finora ha scritto solo serie TV. È molto “scritto”, proprio. È tutto parlatissimo, spiegatissimo fino ai minimi dettagli. Lisa Joy non si fida che lo spettatore sappia fare le giuste connessioni e le deve enucleare, annunciare, illuminare. Reminiscence è meno un film e più una presentazione in Power Point di Grandi Temi, una slide ciascuno.
Leggendo la recensione di Gunpowder Milkshake scritta da Toshiro, sono incappato in un paio di concetti che possono essere tranquillamente applicati a Reminiscence. Toshiro sostiene, a proposito del film di Navot Papushado, che “è una serie tv lunga due ore”. È esattamente quello che ho pensato vedendo Reminiscence: Lisa Joy lo ha scritto come avrebbe scritto una stagione di una serie TV e poi ha compresso questa in due ore. Non so se sia andata realmente così, ma l’impressione che dà è questa.
È quello che dicevo all’inizio: la differenza tra Chris Nolan e questa roba qua è che Nolan, che di difetti nella scrittura ne ha comunque un bel po’, quando mette in scena qualcosa è un qualcosa che nessuno ha mai visto prima messo in scena così. Nolan punta all’immagine maestosa prima di tutto, e in secondo luogo si interessa dell’intreccio e dei personaggi. Non è anche questo un estremo? Certamente. Può esserci una via di mezzo? Probabile. Ma se devo scegliere tra i due estremi, preferisco quello che mi fa ribaltare sulla poltrona.
Nella sua foga di parlare di nostalgia e passatismo, Reminiscence finisce per diventare parte del problema: un film di fantascienza che venera i classici e fatica a dire qualcosa di nuovo. Anche questo, se ci pensiamo, è un bel mindfuck.
#soloalcinema quote:
“Provaci ancora Lisa”
George Rohmer, i400Calci.com
Commento inutile (dato che non ho nemmeno visto il film):
da quando ho intravisto il trailer di questo film, non sono riuscito a smettere di ripensare al videogioco Transistor dei mai troppo celebrati Supergiant Games.
sarà stata colpa delle atmosfere futuretrò
sarà stata colpa delle componente musicale
o forse il mio cervello è molto più banale e me lo ricorda solo perché la protagonista è rossa
va un po’ a sapere…
Morale della storia: vado a rigiocare Transistor che è un maledetto capolavoro
sembra un film anni ’90
Ma la povera Thandie Newton, che tra l’altro per me è pure più figa della Ferguson, che ha fatto di male per meritare il ruolo della partner petulante? A parte la scena della sparatoria, sprecatissima.
Facciamo che per il futuro se c’è il GrandeAmore™ si passa direttamente dritti senza salutare?
Avrebbero anche un po’ trifolato i coglioni in famiglia con sta cosa che l’impianto narrativo di ogni loro lavoro è Biancaneve con le lampadine fulminate.
Che è un supermegafloppone non cielo avete scritto ?
Ottima citazione nel titolo.
In un futuro non distopico, chi avrà reminescenza di Reminescence? Piuttosto:
ieri ho visto RIDERS OF JUSTICE e ancora non mi capacito che nei 400calci ve lo siate dormito tutti. Non ci credo che semplicemente abbiate deciso di non parlarne, non ha senso. Ve lo siete dormito. Peccato.
Nessuno può davvero pensare che la terza stagione di Westworld sia la migliore.
Non è malaccio ma manco sto capolavoro
Diciamo che evolve la storia in un senso diverso da quello che poteva essere atteso, diventa un’altra cosa rispetto a com’era partita.
Poi, come il pesce ratto, può piacere o non piacere
Un po’ come Pig.
Ciao Hugo! Ti dirò invece che l’ho visto qualche mese fa al Glasgow Festival e secondo me non è roba nostra, per cui non ne parleremo. E nemmeno di Pig. Sorry.
Madonna che roba strana Riders of Justice. Non mi stupisce che non sia passato sui Calci, capisco il Boss cosa intende.
Mi è sembrato “Smetto quando voglio” meets “la belva”, tutto talmente filtrato dalla cultura del paese di origine al punto che in alcuni momenti proprio non sapevo se la scena voleva essere divertente, drammatica, ironica, catartica, citazionista, pop, o che altro… (per capirci, una su tutte… Il tizio che per non farsi picchiare si cala le braghe… Forse solo un danese la può capire…).
Fortuna che c’è Mikkelsen che è un attorone e a suon di microespressioni e di fucilate salva un po’ la baracca. Non avevo visto trailer, il revenge movie mi piace (che poi a vedere bene questo non lo è), la scena del treno lasciava ben sperare, ma poi tanti tanti “meh”. Stranissimo davvero.
La terza stagione di Westworld lasciala dove stà: il sottotitolo è “prendi una cosa buona e mandala in vacca”.
non ho odiato questo film, ma sicuramente va candidato al premio mulino bianco per il peggior voiceover.
Adoro WestWorld ma questo qua lo salto, pareva una palla al cazzo già dalla sinossi e se poi mi dite che è anche confusionario e spiegone non faccio nemmeno la fatica di mostrarmi interessato.
Comunque ho qualche prevenzione: WW su di me ha ancora un certo ascendente perché amo molto quelle suggestioni sci-fi, ma bisogna anche ammettere che la prima stagione aveva un gruppo creativo che oltre al Nolan (che poi: minore un cazzo, Jonny ha scritto Memento e solo per questo è già GENIO per direttissima) c’era anche JJ Abrams a renderla frizzantina. Nella seconda e nella terza stagione Nolan si è defilato sempre di più (non parlo di retroscena, solo il suo nome è scomparso dai credit written/directed by) e il grosso del lavoro è passato alla Joy. Trovo non casuale che il progressivamente maggior peso creativo della Joy coincida con le stagioni più fiacche della serie, e la recensione quassù sembra un bigino di tutti i difetti della terza stagione di WestWorld: citazionismo spinto, chiacchiere fino a morirne, generale sensazione di credersela intelligentissima mentre il povero spettatore inerme russa sul divano.
Su Chris Nolan secondo me il processo creativo è un po’ diverso da quello che leggo quassù. Nolan parte da un concetto teorico (come sarebbe un film se fosse una serie di scatole cinesi? E se fosse fatto al contrario? E se volessi rendere in immagini una scala Shepard, come potrei fare?), poi trova una storia adattabile e poi ancora, sulla trama, ci appiccica i personaggi. Infatti non c’è un solo personaggio memorabile in tutta la filmografia di Nolan (almeno, parlo del Nolan autore, quello che si fa i film da sé: altrimenti devo indicare il suo Joker come fenomenale eccezione): quello che ti ricordi sono i trucchi, le trovate, le suggestioni mentali. E secondo me è perfettamente consapevole anche lui di questa cosa, tanto che in Tenet ormai non ha nemmeno dato un nome ai suoi personaggi. D’altra parte quando ha voluto fare il film de core gli è venuto Interstellar…
Su Chris Nolan secondo me il processo creativo è un po’ diverso da quello che leggo quassù. Nolan parte da un concetto teorico (come sarebbe un film se fosse una serie di scatole cinesi? E se fosse fatto al contrario? E se volessi rendere in immagini una scala Shepard, come potrei fare?), poi trova una storia adattabile e poi ancora, sulla trama, ci appiccica i personaggi. Infatti non c’è un solo personaggio memorabile in tutta la filmografia di Nolan (almeno, parlo del Nolan autore, quello che si fa i film da sé: altrimenti devo indicare il suo Joker come fenomenale eccezione): quello che ti ricordi sono i trucchi, le trovate, le suggestioni mentali. E secondo me è perfettamente consapevole anche lui di questa cosa, tanto che in Tenet ormai non ha nemmeno dato un nome ai suoi personaggi. D’altra parte quando ha voluto fare il film de core gli è venuto Interstellar…
Un po’ come alla Pixar che si fanno delle domande e ci creano un film attorno: e se i giocattoli avessero le emozioni? Toy Story. E se i cani avessero le emozioni? Up. E se i pesci avessero le emozioni? Nemo. E se le emozioni stesse avessero delle emozioni? Inside Out.
Comunque non riesco proprio a voler male a Interstellar… Sarà che sono un puro di cuore ma per me se ci metti l’amore come soluzione, sono contento.
Per arrivare alla domanda del più recente Soul: e se anche i neri avessero delle emozioni?
(Non scaldatevi, la battuta non è nemmeno mia)
Ma infatti anche alla Pixar hanno rotto da circa una decina di anni con questa formula… sono bravissimi a fare i film, niente da dire eh, solo che da Toy Story fanno sempre lo stesso (eccezione meritevole per Brad Bird).
Interstellar lo vidi due volte al cinema con grande ammirazione, ma da allora mai più cercato. Probabilmente è uno dei meno rivedibili di Nolan, nonostante tutti i trucchi e le meraviglie.
Che cos’è una testuggine?
Avrei qualcosa da ridire sul fatto che nel cinema si ricorra più alle immagini che alla parola…anzi, a volte ho l’impressione opposta, ovvero che avendo meno tempo che in TV, un film sia spesso verboso e didascalico, in modo che tutti capiscano tutto
Il cinema asiatico, quello si che spesso usa immagini e colonna sonora lasciando spesso da parte i dialoghi in senso stretto: banalmente direi Kitano come esempio più classico, ma anche Kim Ki-Duk, alcuni registi iraniani come Kiarostami o Farhadi, il turco Ceylan
Tutti film zero calciabili e da sputo in faccia su questo forum, ma dato che si è citato, in via del tutto eccezionale, Sorrentino, oggi ci possono stare
>…Lisa Joy ha creato quel mindfuck che è Westworld, di cui io onestamente ho >visto solo le prime due stagioni e sono sicuro che qualcuno di voi dirà “Ma sei >pazzo? La terza è la migliore!”, ma le cose sono andate così e purtroppo non >possiamo farci niente.
Per certi versi hai fatto bene a lasciare alla seconda stagione, visto che la serie avrebbe potuto (dovuto?) finire li’.
> Già la seconda stagione, per quanto contenesse cose molto belle, era più >farraginosa della prima…
Westworld stagione 2 forse tra le piu’ complicate serie tv ad oggi, superata solo dall’ultima stagione di Dark, il vero erede di Lost e, contemporaneamente, quello meno celebrato.
La prima stagione di westworld se, come è successo a me, la vedi dopo esserti fatto decine e decine di ore su red dead redemption 2, non può non farti esplodere il cervello.
Ma gia aveva delle sciatterie di sceneggiatura che levati, ma che nelle serie tv pare che vengano accettate senza battere ciglio ( a meno che non si parli dell’ultima stagione di GOT, dove lí non veniva fatto passare manco un cavallo bianco sopravvissuto dopo una battaglia).
La seconda stagione invece era un’interminabile melina, gonfiata e attorcigliata in modo artefatto per arrivare al minutaggio necessario, anche qui in pieno stile serie tv.
La terza l’ho cannata al cold open appena capito l’andazzo.
L’ho visto ora perché Netflix me l’ha sventolato davanti, ci saranno sicuramente SPOILER
Non che ci siano molte sorprese, quando la tipa si palesa vestita come Jessica Rabbit ma si spoglia subito per far capire quant’è dark lady. No, noi non vediamo niente mentre Jackman ha l’aria di uno che crepa per l’imbarazzo, rovinando l’effetto del primo sguardo ammaliato, tipo, caspita, ma questa non è la mamma di timotè chalamalè in Dune? Sì, Hugh, è proprio lei, quel ciocco calzato e vestito – molto bene, va detto. In seguito assistiamo alla trasformazione di Lisa Joy in Serena Joy: siamo in un’elegante e nostalgica sci-fi per signore? Allora ti spiego cosa hai appena visto, o donna, che si sa che arrivi fino a un certo punto. Delle personagge una si rode per la figlia lontana, soffre perché ha rinnegato la radice del suo femminile, l’altra diventa buona grazie ai magici poteri trasformativi del membro virile del protagonista, attivati alla vista di un bambino in pericolo – tra l’altro il cattivo lo dice anche: non crederai che quella zoccola immonda sia diventata un angelo grazie alla tua nerchia… poi scopriamo che è andata proprio così! Grande Hugh! Ricapitolando:mansplaining come se non ci fosse un domani, estetica da videoclip anni ’90, vieti luoghi comuni a palate, sessismo di rimbalzo, noia. Irritante finale con ulteriore spiegone. Ah, a un certo punto la dark lady parla del suo passato con la tirapiedi al solo scopo di passare il Bechdel test.