Che dire: è stata un’edizione probabilmente irripetibile.
Di base per la prima volta il FrightFest ha messo in piedi una versione tradizionale fisica, con uno schermo principale (IMAX) e due alternativi, e una versione on line per il weekend seguente con buona parte degli stessi titoli, dando l’occasione a chi non se la sentiva di presenziare di guardarsi comunque una buona selezione di titoli, e a quelli come me finalmente di fare scelte meno dolorose del solito e spararsi veramente una valanga di film.
Il lato positivo: ho visto un sacco di roba poco convincente, ok, ma anche avuto una vera panoramica consistente sull’aria che tira di questi tempi sul genere horror.
Il lato negativo: due weekend lunghi passati interamente, esclusivamente a guardare film d’orrore a ripetizione – ne ho visti un totale di 38 e comunque persi due/tre perché schiantato di sonno – sono una mazzata. I primi anni uscivo dal Frightfest pensando “ne voglio ancora”, quest’anno sono uscito pensando “a posto così, molto gentili, grazie”.
Alcuni temi ricorrenti tra i film che ho visto io:
- film a tema pandemia: 3 (ma ho saltato quello che si pubblicizzava esplicitamente come girato durante il lockdown)
- film in bianco e nero: 3
- film in cui la narrativa è divisa a capitoli: almeno 7
- nazioni non anglofone rappresentate: Belgio, Francia, Canada francese, Messico, Austria, Giappone, Sud Africa afrikaans, Taiwan, Kazakhstan
- film con cantanti metal che recitano: 2
- film con coppie omosessuali femminili: 4 (tutte protagoniste)
- film con coppie omosessuali maschili: 1 (non protagonisti)
- film con neonati zombi: 2
- film con pavoni: 2
- film con ippopotami: zero (ci spero sempre)
Ma scendiamo un po’ più nel dettaglio:
LA MIA TOP 10 PERSONALE
I primi due sono classici istantanei.
Difficile trovarne uno durante un festival, due sono veramente un gran lusso.
Gli altri sono più che buoni ma staccatissimi, e fermarsi a 10 a quel punto è un po’ arbitrario, ma pazienza.
In ordine crescente:
10. MOTHERLY (USA, di Craig David Wallace)
Una madre in piena paranoia post-avvenimento traumatico diventa vittima di home invasion, insieme alla figlia, da parte di due tizi che non l’hanno presa di mira a caso. Un bel thrillerone solido, pieno di tensione e twist ben gestiti, a cui attribuisco un unico strano problema: ci sono gli stessi tre attori di For the Sake of Vicious in una situazione abbastanza simile, e nello specifico Nick Smyth interpreta un ruolo identico – il fragile paranoico in cerca di vendetta – e nello stesso modo, sempre con il labbro tremante e l’aria di chi sta per avere una crisi isterica da un momento all’altro. È sinceramente straniante e non capisco perché si sia prestato. E il pacco è che tra i due For the Sake of Vicious rimane il film migliore, quindi sarà sempre questo a soffrire inutilmente. A meno che non sia la nascita di un CineUniverso basato su Nick Smyth fragile paranoico in cerca di vendetta.
9. GAIA (Sud Africa, di Jaco Bouwer)
Chiaramente il risultato di qualcuno che ha giocato a Last of Us e pensato che gli zombi-fungo si potevano usare in maniera molto più interessante, tipo un pagan horror nella giungla in cui una figura stile Kurtz/Moreau cresce un figlio fuori dalla società e in profondo contatto con i tanti imperscrutabili miracoli dell’unico vero Dio, ovvero Madre Natura. Era effettivamente la pensata giusta.
8. HOTEL POSEIDON (Belgio, di Stefan Lernous)
Trattasi dell’esordio sul lungo di un folle con background teatrale, che si ispira al primo Jeunet, a Lynch e a John Waters e tira fuori una roba surreale pesantissima, macchiata qua e là da eccessi di overacting ma in generale notevole e con una cura del contesto davvero maniacale.
7. COMING HOME IN THE DARK (Nuova Zelanda, di James Ashcroft)
Bello avere conferma che in Nuova Zelanda non crescono solo cloni di Peter Jackson e Taika Waititi. Questa ad esempio è la storia nerissima di una famiglia in gita che incontra due tizi che iniziano da subito a fare brutto a livelli pro, e la serata procede a colpi di disagio, violenza, disagio e disagio. Niente di nuovo, ma solidissimo e parecchio tetro.
6. WHEN THE SCREAMING STARTS (UK, di Conor Boru)
Una specie di What We Do in the Shadows inglese a tema serial killer, forse un po’ da sgrezzare ma pieno di idee che mi hanno fatto molto ridere. Opera di un collettivo che ho intenzione di tenere d’occhio, spero che ne valga la pena.
5. WOODLANDS DARK AND DAYS BEWITCHED (USA, di Kier-La Janisse)
Un documentario coi controfiocchi sul folk horror. Spende un’ora sulla scena inglese, un’ora sulla scena americana, e gli ultimi 45 minuti sul resto del mondo. Esci che hai un’infarinatura generica di tutto, sia a livello di filmografia che di contesto, ma soprattutto che hai una lista lunga così di film da recuperare. Imprescindibile per ogni appassionato serio.
4. ULTRASOUND (USA, di Rob Schroeder)
Il mindfuck fantascientifico dell’anno. I primi 5 minuti sembrano una curiosa variante su un sottogenere di thriller ben codificato, poi mescola immediatamente le carte con la spazzatrice, e da lì ti costringe a riannodare le fila del discorso insieme ai protagonisti. Più una costruzione complessa comunque che una trama complessa – un esercizio in narrazione a puzzle che chiede piena concentrazione, ma con l’intenzione di premiarla e non frustrarla. Io sono uscito rincoglionito duro, ma anche molto soddisfatto e con la voglia di dare un’altra chance a Primer anche se non c’entra niente.
3. OFFSEASON (USA, di Mickey Keating)
Che succede a Gabicce Mare quando l’estate è finita? Io non lo so perché un plot semplice e inquietante come questo suoni ancora fresco. Mi dimentico qualcosa, o è la bravura di Mickey Keating? Ci sono Jocelyn Donahue e Joe Swanberg che fanno subito revival mumblecore, ma il film è tutt’altro: di Mickey Keating finora non mi era piaciuto niente, ma è maturato tutto di un colpo e sa che Jocelyn regge un film anche senza fare niente, e che Joe rende al meglio quando viscido/ambiguo. E non dimentichiamo Richard Brake, forse il buzzurro incazzato più terrorizzante che puoi assumere oggi. Per amanti di di southern gothic, Twilight Zone e Lovecraft (non è realmente ambientato a Gabicce Mare, era solo per dare l’idea).
2. BEYOND THE INFINITE TWO MINUTES (Giapponia, di Junta Yamaguchi)
Incredibile, i giapponesi l’hanno fatto di nuovo. Due anni fa hanno ribaltato le classifiche di film di zombi con il loro nuovo classico imprescindibile One Cut of the Dead, quest’anno gli è riuscito di nuovo il trucco ma coi film sui paradossi temporali. Ve lo diranno tutti, ma non è un’iperbole. E non sono nemmeno gli stessi giapponesi! Ed è anche questo in piano sequenza unico, ma è solo una coincidenza, sono di nuovo scrittura, energia e un’azzeccatissima banda di disperati ad essere determinanti.
1. THE SADNESS (Taiwan, di Rob Jabbaz)
Da un esordiente canadese esportato a Taiwan, un film violento e nichilista, dal ritmo stranissimo e dal senso dell’umorismo nerissimo, che da un lato è forse la cosa meno 2021 che potete immaginarvi, ma dall’altro è contemporaneamente il film che un giorno userò per descrivere il 2021 in soli 99 minuti. Capolavoro.
I GRANDI NOMI
DEMONIC (Canada, di Neill Blomkamp)
Se questo fosse stato il primo film di uno sconosciuto, difficilmente qualcuno si sarebbe segnato il suo nome. È la solita storia alla Blumhouse/James Wan, con un approccio più tecnologico e poco altro. È competente ma insipido, con zero senso della suspense e giusto una scena buona (l’amica della protagonista che diventa contorsionista). Non esattamente quello che ti aspetti quindi da un tizio che ha sfiorato l’Oscar all’esordio, che sarebbe dovuto diventare uno dei nomi più grandi della fantascienza contemporanea, a cui stavano per appioppare un Alien e un Robocop, e per cui questo progetto sarebbe dovuto essere in teoria un ritorno alle piccole cose in totale autonomia creativa per rifarsi del tempo perso. L’unica buona notizia (?) è che questo sarà probabilmente un flop talmente silenzioso che se a Neill Blomkamp viene un’idea migliore secondo me può far finta che non sia mai successo.
THE SHOW (UK, di Mitch Jenkins)
Avevo le aspettative molto basse dopo aver visto il precedente lavoro che Alan Moore (sì, quell’Alan Moore) si era scritto e autoprodotto, quel Show Pieces che era composto da una serie di episodi criptici a tasso di simbolismo altissimo e budget borderline casalingo. Ma erano solo le prove generali. Qua siamo sul low budget più standard, che è più che sufficiente stavolta per rendere una storia unica e molto più lineare, un noir magico retto da Tom Burke (l’Orson Welles di Mank) in cui spicca la creatività, lo strano senso dell’umorismo ma soprattutto la surreale Northampton di Moore.
NO MAN OF GOD (USA, di Amber Sealey)
È come se qualcuno avesse proposto un episodio apocrifo di Mindhunters a tema Ted Bundy come se fosse un incrocio tra Il silenzio degli innocenti e Dead Man Walking, provocando un’ingiustificata sovraeccitazione. Non lo scambiereste neanche da lontano per qualcosa di Fincher: pare piuttosto la parodia involontaria di quei film che trionfavano agli Oscar negli anni ‘90. Peccato perché dei momenti buoni ne ha, con un Luke Kirby concentratissimo e un Elijah “Brodo” Wood che per la prima volta sembra quasi un adulto.
PRISONERS OF THE GHOSTLAND (USA/Giappone, di Sion Sono)
Decisamente il più atteso di tutti. Si tratta del primo film di Sion Sono in lingua inglese, e va anche sottolineato che si tratta di un lavoro su commissione su idea e sceneggiatura non sue, che peraltro ha girato in Giappone solo dopo che un infarto l’ha costretto a stare vicino a casa e non spostarsi in Messico dove era ambientata la storia originale. E com’è? Immaginate se 1997 Fuga da New York fosse stato ripensato da Terry Gilliam dopo una serie di acidi andati a male, ma pieno di giapponesi e con Nicolas Cage. Secondo me non siete pronti. Manco Cage pare pronto, che è dir tanto. È caos totale immaginifico e menefreghista sia nel bene che nel male, e specialmente indigesto se siete a digiuno da Sion Sono. Decisamente non è la migliore introduzione alla sua filmografia, per cui consiglio caldamente di organizzare un ripasso dei suoi capolavori prima di spararvi questo (iniziate da Why Don’t You Play in Hell). Non piacerà a tutti, ma va visto.
L’ITALIA
COME IN CIELO COSÌ IN TERRA (di Francesco Erba)
Folk horror ambizioso metà mockumentary/found footage e metà animato in stop motion. La parte live action è piuttosto media, con in più questo problema per noi stridente che metà attori recitano naturali e l’altra metà impostati, ma la storia è interessante e la parte stop motion è una bomba – fluida, espressiva, dettagliata. Il film merita anche solo per quello, spero trovi distribuzione adeguata.
Fine.
Trovate le mie note complete scorrendo con molta pazienza la mia timeline su Facebook, oppure in inglese sulla mia apposita lista su Letterboxd.
Dei titoli migliori parleremo comunque più approfonditamente quando saranno più facili da recuperare anche per voi.
Rimanete sintonizzati! Non cambiate tab! (funziona “non cambiate tab” come equivalente internet di “non cambiate canale”? boh io lo lascio)
Mancanza di ippopotami ma surplus di pavoni
Con tutto che Bud Spenser ci aveva pure provato a lanciare il genere…
E io che pensavo che passassero Limbo
https://m.imdb.com/title/tt14032696/
Comunque segnati , grazie
P.s. Gaia sub ita si trova in giro già da un po’.
Madonna che film de cristo Limbo, super calciabile e non vedo l’ora che ci finisca qui.
Comunque era stato passato al FEFF di quest’anno (ha anche vinto il premio my movies), speriamo ottenga una distribuzione in Italia.
Io di Sion Sono ho visto Love Exposure e The Forest Of Love, spero di essere pronto.
Per the forest of love spero la deep cut , ve ne sarebbero , almeno , dieci altri da vedere.
Ad esempio : cold fish,himizu,#tag,
Se si dovesse iniziare Sono con Why don’t you play in hell ? A sto punto meglio iniziarlo con Red post on Escher Street ( bellissimo ))
O suicide club col seguito Noriko’s dinner table.
in realtà non esiste “il film tipico di sion sono”, nel senso che ce ne sono vari e in cui inoltre spesso compaiono dei temi ricorrenti.ma io questo me lo aspetto un po’ diverso dagli altri
Diobono temevo (me lo aspettavo) che Neil Blomkamp sarebbe imploso. Ho paura abbia avuto 1 idea bomba atomica e per il resto tanto mestiere che col tempo mi sembra speso sempre peggio.
Comunque grazie capo per il resoconto. È materiale prezioso e mi ha ricordato di quando leggevo i reportage del Far East di Udine su Notturno, eoni fa.
Grazie come sempre, annoto.
Piccola correzione Ultrosound linka a Woodlands Dark…
Corretto, grazie.
Dopo anni e anni che seguo da vorace appassionato i400calci, da regista di “Come in cielo, così in terra”, vi voglio dire: GRAZIE. Non ho mai scritto un solo commetto sul sito, ma credo di aver letto ogni pezzo da voi scritto… Oggi avete menzionato il mio microscopico film e quindi mi sembra giunto il momento di interagire, sverginarmi e scrivere il mio primo commento! Siete dei grandi! Da fan del sito ho sempre sognato di vedere anche solo la menzione di un mio film… oggi l’ho trovata e mi sento orgoglioso. Figata! Grazie per non aver blastato totalmente il film e averlo consegnato alla memoria immortale dei 400calci!
Grazie a te Francesco, in bocca al lupo!
Quando pensi che sia un altro geniale nickname, e invece…
E’ voluto che nel bullet point sulle nazioni non anglofone non citi l’italia e poi (post twist!) c’è stato il film italiano?
…in effetti no, correggo. A meno che non hai apprezzato il twist finale.
lasciamo così che un pochetto mi emoziono immaginando che Francesco Erba (aka il regista) leggendo speranzoso l’articolo arrivato al bullet point ha pensato con un pizzico di amarezza “e ti pareva che mi citavano…” e poi …
SBEM!
arriva la citazione e lui, rinfrancato e soddisfatto, lascia un post stiloso come quello che ha fatto sopra
Grande Nanni, ho seguito day by day le tue storie real time su FB, e come promesso è arrivato il pezzone! Sempre numero uno, grazie , ho un sacco di roba da vedere! Il film di Sono mi tira abbestia, ma se sarà disponibile voglio omaggiare il film italiano, bello leggere un commento dal regista, e in bocca al lupo per il Film! Si preannuncia un discreto autunno
in realtà non esiste “il film tipico di sion sono”, nel senso che ce ne sono vari e in cui inoltre spesso compaiono dei temi ricorrenti.ma io questo me lo aspetto un po’ diverso dagli altri
oops, ho sbagliato a rispondere. sorry
Grazie delle segnalazioni! Ammetto di essermi completamente fumato Why don’t you play in hell che mi pare una discreta figata.
In bocca al lupo al regista amico dei Calci!
stavo pensando che nuova zelanda ci aveva dato The Loved Ones…
e invece era australiano
PRISONERS OF THE GHOSTLAND non piacerà a tutti. Io sono tra i tutti. Nemmeno Nic é riuscito a tirarlo su, mi é apparso stanco, sfavato, annoiato. Preferisco sia quello e non la vecchiaia malamente nascosta dalla barba e capelli tinti. Il film mi é sembrato uno spin off fatto male di un sacco di cose. Non credo il regista sia uno sprovveduto, ma mi ha dato l’idea di un film fatto da un regista che non si presenta sul set perché é al bar ubriaco di spritz. é anche vero che forse il regista vuole dirci qualcosa, ma biascica.
Visto Beyond the infinite two minutes. Ammazza che cavi lunghi che hanno in Giappone.