Se questo fosse un servizio per un programma di Barbara d’Urso – ohssì, quanto bello sarebbe passare la vita a microdosare LSD e fare l’autore per la d’Urso, bruciare i cervelli delle vecchie inserendo bestemmie subliminali nei recap del Grande fratello cugini di secondo grado dei VIP, che meraviglia. Ma sto divagando – ebbene se questo fosse un reportage sul campo per conto della dottoressa Giò, senza dubbio avrebbe un titolo appropriatamente misurato e delicato, qualcosa di sussurrato come “Martin Campbell: salvatore della settima arte o regista di merda?” Si può usare la merda dalla d’Urso? Domanda retorica. Era solo per dire che in un mondo ideale – quello dove i palinsesti della tv generalista nei pomeriggi infrasettimanali ospitano ancora i rotocalchi nazionalpopolari della d’Urso, ma in una versione in cui Gigi&Andrea, Anselma Dell’Olio, Alvaro Vitali, Federico Frusciante, Barbie Xanax e Yotobi discutono di cinema pigliandosi a pesci in faccia – la questione Martin Campbell sarebbe abbastanza pressante. Chi sei tu Martin Campbell? Perché ogni tanto fai schifo, ma così schifo che potresti dirigere un film con Barbara d’Urso, e poi subito dopo fai delle cose impossibili e sublimi? Sei davvero neozelandese o ci dici così per una questione di tasse difficile da spiegare? E come cacchio hai fatto a raccogliere dal secchio dell’umido la saga di James Bond e a ridarle dignità – per ben due volte! E in decadi successive. E con due protagonisti diversi – con lo stesso cervello e le stesse mani che hanno fatto anche Lanterna verde e The Legend of Zorro? Io dico che Martin Campbell non è né un fenomeno, né un brocco. Io dico che Martin Campbell è uno dei rari casi di regista di Schrödinger. Espressione che non ha niente a che vedere con il celebre gatto dentro alla scatola torturato con la minaccia di un innesco al cianuro totalmente casuale, ma si riferisce al famigerato Ignazio Schrödinger: cineasta degli albori mezzo altoatesino mezzo calabrese, completamente matto, che al mattino appena sveglio, prima di andare sul set, lanciava una monetina per decidere se in tal dì sarebbe stato un buon regista o un cattivo regista. Campbell è così, solo che non lo fa apposta. Un giorno dirige GoldenEye o Casino Royale, il giorno dopo (o quello prima) fa Vertical Limit o Amore senza confini – una di quelle robe cesse in cui cercano di far recitare Angelina Jolie. E The Protégé? Com’è The Protégé? Innanzitutto è un film il cui titolo ha sin troppi accenti, pare di stare in Francia porcodisel. Secondo poi è nettamente il miglior esemplare nella recente infornata di film di donne di menare (Kate, Gunpowder Milkshake, Jolt), ma ci voleva ben poco e soprattutto c’è un barbatrucco di mezzo abbastanza fastidioso (= il patriarcato, sempre lui). Terzamente, io dico che Martin Campbell ha cominciato ad assumere stabilizzatori dell’umore abbastanza potenti da togliergli l’istinto suicida di fare film con la Jolie, ma anche da inibirgli l’entusiasmo necessario per far fare a Pierce Brosnan un ottimo Bond. Rimane tutta la fascia che va dal cinque e mezzo al 6+. Evviva? Sigla!
ma anche
La storia è un po’ (tanto) da bigino del thriller, e l’ha scritta quel guercio di Richard Wenk. Uno che nella vita era partito convintissimo come sceneggiatore e regista di commedie – sottogenere horror, come Vamp, o sottogenere con Andy Garcia, come Biglietti… d’amore – e poi ha incontrato Richard Donner che gli ha fatto scrivere il suo ultimo film (Solo 2 ore) e da lì è stato un profluvio grafomane di cose che sparano o esplodono o entrambe: i due Equalizer , I mercenari 2, Professione assassino, I magnifici 7, il secondo Jack Reacher e via discorrendo. Qua c’è Maggie Q, donna a cui volere del bene se ce n’è una, che fa la bambina vietnamita salvata in extremis dall’assassino prezzolato con baffoni posticci (sempre meglio del de-aging Marvel) Samuel L. Jackson, il quale se la piazza sotto la sua ala protettiva e le impara il mestiere fino a trasformarla, trent’anni dopo, in Anna: killer provetta di gente cattiva e impossibile da scovare, la cui copertura è quella di libraia di lusso nel centro di Londra. E un po’ si capisce che Campbell, in questa storia, ha cercato di ritrovare un tot di quel suo turgore bondiano, con tanto di cold open, di Maggie Q nei panni di una 007 non governativa, e di Jackson nei panni di un M leggermente più tenero di Judi Dench. Succede che Samuel L. ha un nuovo incarico per Maggie: scovare questo imprenditore molto losco che dovrebbe essere morto trent’anni prima in Vietnam, ma forse no. Succede anche che questa ricerca scateni una rappresaglia mortale, e che la nostra si trovi costretta a fare del corretto baccano a scopo rivalsa. In tutto questo, a un certo punto compare anche Michael Keaton vestito bene e con la faccia da schiaffi di chi prova a metterti incinta con un occhiolino, ed è comunque un bel vedere. Il resto non si dice, ma volete veramente fare quelli che fingono di non sapere come andrà a finire? Orsù.
The Protégé è un film realizzato indubbiamente bene. Ma è anche la classica roba fatta, nella sostanza, con un pilota talmente automatico che non gli riesce proprio di reggere, neanche lontanamente, una seconda visione. La prima – che poi è la sola che (forse) sperimenterete e quindi l’unica che interessa – scorre via a temperatura ambiente e a sorsate belle piene e lisce per una serie di motivi più che validi: Campbell, al netto della sindrome di Ignazio Schrödinger e degli psicofarmaci, rimarrà sempre un professionista artigiano con i contro testicoli, e qui la faccenda la si può ben apprezzare grazie a una messa in scena limpida e ordinata, che fa sembrare facili cose che facili non sono; Wenk, al netto di un’ottima carriera da battaglia che gli ha già assicurato una lauta pensione, queste robe qui le scribacchia in un mercoledì pomeriggio di febbraio, mentre fa l’aerosol guardando la d’Urso, e se gli gira torna pure al lavoro giovedì mattina e guardando la Palombelli ti scrive pure un finale aperto per l’eventuale sequel; Maggie Q è bravissima e carica come una mina antiuomo per la sua prima occasione da protagonista (quasi) assoluta di una produzione importante dell’unico cinema che conta, quello di menare; Jackson e Keaton dove li metti stanno, e dove stanno sono bravi e carismatici anche se fanno i fermaporte. Le scene d’azione sono spesse e volentieri, con un saluto particolare agli straordinari di aprile della controfigura di Keaton, e ci stanno dentro soprattutto per la convinzione e la preparazione di Maggie Q che, ricordiamolo ancora, è donna da sposare ieri e poi da divorziare all’istante solo per poterla sposare di nuovo subito dopo. L’unica cosa che puoi veramente contestare a The Protégé – lasciando perdere tutte le punte al cazzo varie ed eventuali sulla trama fin troppo canonica, un tratteggio dei personaggi persino sotto la soglia sindacale del genere e la pigrizia di ricorrere a deus ex machina davvero fessi – è la seguente: cazzo, pensi a un thriller action al femminile perché i produttori t’han detto che i soldi e la reputazione adesso si fanno così, crei una protagonista turbo tosta e trovi pure un’attrice che te la interpreta in maniera credibile, molto più che adeguata e convinta, e poi le caghi in testa accerchiandola di 70enni – metteteci pure Robert Patrick, anche se di anni ne ha 60 e spicci, nei panni di un vecchio a capo di una gang di bikers in Thailandia MACCOSA – che fanno le stesse cose che fa lei o (quasi) meglio, e che la vengono a salvare quando ce n’è di bisogno. Ma insomma. Dai. Siate bravi.
Psichiatra di Martin Campbell quote:
“Dai Martin. Fai il bravo”
Toshiro Gifuni, i400calci.com
Ma poi, se è lei la protetta, non dovrebbe essere the protégée ? Cero Campbell, se vuoi mettere gli accenti, devi pure mettere tutte le E. I francesi non perdonano.
visto poco tempo fa dopo averlo snobbato per giorni comvinto fosse una vaccata..per ricredermi alla prima.visione..sputando il caffè ogni volta che appariva un attore noto in un ruolo improbabile (il biker n 1 ovviamente)… film gradevole, lei gnagnissima, ma confermo il non rivedibile. (Kate molto meglio).
Dopo la sbornia di film fatti col copia&incolla (Jolt, Milkshake,…) non ce la potevo fare di vederne un altro e l’ho saltato. Vuoi vedere che ho scartato il migliore del mazzo?
Visto anche io qualche giorno fa ormai è apprezzato abbastanza. I comprimari sono di lusso, la trama è al livello di una puntata di una serie TV a caso, però si lascia guardare con piacere.
Chiedo umilmente lumi sul perché Maggie Q venga usata spesso in ruoli di donna “che mena” , nel senso che non mi pare minimamente “carrozzata” non dico come Rhonda Rousey ma neppure come una Charlize Theron o Gal Gadot…. mi sembra magrettina e poco credibile quando mena gente pesante il triplo di lei. Seguivo anche Designated Survivor e anche lì fa l’agente FBI cazzutissima… insomma i suoi ruoli mi piacciono ma non mi sembra abbia il phisique du role. Non mi dite che faccio body shaming eh.. non è il mio tipo ma non dico certo che sia brutta, la mia è pura curiosità, magari è appassionata di arti marziali e io non lo so…
Io sulla salute mentale di Martin Campbell non ci scherzerei troppo, ho scoperto recentemente che, a causa di ingerenze dei produttori, tra tutti gli aborti che punteggiano la sua schizofrenicca filmografia a lui pare piaccia disconoscere solo quella bomba di “Fuga da Absolom”, cioe’ il miglior film di Mad Max non di Mad Max (e che personalmente preferisco anche ai due Bond).
Comunque di Campbell mi piace sempre citare un mio misconosciutissimo cult, il (joe)dantesco “Cast a Deadly Spell”, con Fred “Remo Williams” Ward che interpreta il detective privato… Harry Philip Lovecraft. Parodia lovecraftiana migliore di tante trasposizioni serie lovecraftiane.
Potresti avermi regalato una gioia con ‘sta storia di Cast a deadly spell.
Ti ringrazio sulla fiducia! (per poi farti telefonare da Liam Neeson nel caso il film sia deludente).
“omicidi e incantesimi”, cosa mi hai riportato alla mente, visto al cinema, non mi ricordo più un cazzo ma qualcosa mi dice che era bello.
Frusciante v. D’Urso sarebbe persino meglio di Bellofigo v. Mussolini. Period.
Ah e Gifuni, complimenti per i tag.
Ma perché 9 donne killer letali su 10 si devono chiamare (H)Anna?
È anche lì parte del metaforone sottile sottile che se lo guardi di lato non lo vedi. È come Norman Reedus in Death Stranding che consegna pacchi e crea strade e si chiama Sam Porter Bridges.
Qui sarebbe “(h)anna cazzimma tanta”.
Mind blowing, eh?
L’ho visto ma l’ho quasi dimenticato, anche se non mi era dispiaciuto. Maggie Q per me una bella scoperta, meglio Keaton di Jackson che ormai fa sempre quei due o tre personaggi e arriva ad autocitarsi in maniera spudorata nel finale (il suo monologo ricorda troppo “quel monologo”). I dialoghi non sono banali, solo che non aggiunge né toglie niente al genere. Del lotto citato, forse “Jolt” nel suo essere più “cazzone”, l’ho preferito.
BASTA FEMMINE IN RUOLI D’AZIONEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!
Devono iniziare a dosare questi film di menare della serie ” Tutta colpa di Harwey” , perché sto iniziando a guardare con paura la mia signora Chuck Sistirah.