Che giorno di merda il lunedì.
Il lunedì, a parte quando è festa come questo lunedì 1° novembre in cui io sto scrivendo questa recensione, è per la maggior parte di noi il giorno in cui torni a lavorare dopo un weekend sempre drammaticamente troppo breve. Il lunedì capita a volte che ti chiedi: «Ma ha davvero senso questa cosa di passare gli anni migliori della tua vita lavorando minimo 8 ore al giorno, in attesa di un finesettimana fugace in cui concentrare, oltre a un minimo di vita sociale che prosciuga le tue ultime energie, tutte le cose che non sei riuscito a fare durante la settimana perché poi è quasi sempre andata a finire che hai lavorato più di 8 ore al giorno, e allora rimandi il vero relax e ogni aspettativa di felicità alle uniche due-tre settimane di ferie all’anno che ti sono concesse, e così via fino alla pensione che molto probabilmente non avrai perché comunque il tuo è un contratto precario di merda e in ogni caso nel frattempo l’economia sarà collassata insieme a tutto il resto del pianeta?». Son domande che non è così raro farsi, il lunedì. E son domande a cui da un bel po’ di tempo a questa parte il nostro amico del campetto Steven Soderbergh – che pur facendo tecnicamente il freelance sospetto non abbia gli stessi problemi quantomeno finanziari di molti di noi – si impegna a rispondere, con Mark Fisher sotto il braccio: «Non è il lunedì, zio, è il capitalismo».
È un lunedì di merda anche per Matt Wertz, un contabile della General Motors nella Detroit del 1954 interpretato dallo sceriffo di Stranger Things. Non solo sua moglie ha perfettamente capito che lui ha la più classica delle tresche con la segretaria del capo, ma tre ceffi armati e mascherati si sono appena introdotti in casa sua nel bel mezzo della colazione prendendo in ostaggio la sua idilliaca famigliola da american dream. Per evitare di far saltare le cervella a moglie (Amy Seimetz) e figlioletti (due: un Noah Jupe ormai adolescente e una ragazzina con le trecce bionde) gli chiedono “semplicemente” di andare come ogni lunedì al lavoro, sottrarre un prezioso e misterioso documento dalla cassaforte del capo approfittando per l’appunto del suo rapporto intimo con la di lui segretaria (Frankie Shaw), consegnare il suddetto documento a uno dei tre ceffi mascherati, continuare serenamente con la propria mesta e banale esistenza. Troppo facile? Voi che dite? Sì, vero?
È infatti un lunedì di merda anche per i tre ceffi mascherati e armati, per la precisione: Curt Goynes (Don Cheadle), appena uscito di galera dopo esser stato capace di far incazzare praticamente ogni sezione criminale di Detroit, dalla mafia italiana alla mala afroamericana; Ronald Russo (Benicio Del Toro), un altro che sta avendo una relazione clandestina con una donna del suo capo, solo che in questo caso non è la segretaria ma la moglie (Julia Fox), e il capo è il temibile boss italoamericano Frank Capelli (Ray Liotta); e Charley, che non ha un cognome ma in compenso ha la stessa faccia da cazzo e da schiaffi che Kieran Culkin sfoggia in Succession (voi lo guardate, vero, Succession? Qui, in caso ve lo siate perso, un efficace riassunto). I tre sono stati ingaggiati da un gigantesco (in molti sensi) Brendan Fraser, subito dopo i titoli di testa, con la promessa di soldi facili (la quantità dei quali, scopriamo senza stupirci noi spettatori, è direttamente proporzionale al posto che occupa nella società la loro identità etnico-razziale, cioè: Charley prende più di Ronald che prende più di Curt).
Ma è un lunedì di merda, e come sempre in questi casi niente va come dovrebbe andare. Né il recupero del famigerato documento dalla cassaforte della GM né l’operazione di “babysitting” della famiglia dello sceriffo di Stranger Things si rivelano i lavori semplici che appaiono, e il fallimento di entrambi mette in moto un domino di conseguenze, un’irrefrenabile catena di cause-effetti che si allarga, come centri concentrici, dall’epicentro della linda casetta borghese nei sobborghi bianchi di Detroit a tutta la città, lo stato e oltre. La conseguenza più importante di tutti è che No Sudden Move, da gangster movie più o meno “classico” può trasformarsi nel sottofilone preferito dal suo autore, il nostro nemico-amico Soderbergh, e cioè l’heist movie, o caper movie, o colpo grosso movie, chiamatelo un po’ come preferite. Solo che No Sudden Move, in un certo senso, è l’opposto di Ocean’s Eleven e i suoi fratelli: là era il piano, articolato e geniale al punto da apparire onnisciente e onnipotente, a regolare il mondo del film, riportando ogni possibile deviazione, anche quella che a noi spettatori veniva inizialmente presentata come un inciampo o un contrattempo o un problema da risolvere, nei ranghi di un disegno superiore ordito con classe dai nostri fighissimi beniamini; qua i nostri beniamini non sono tanto beniamini e nemmeno tanto fighi, e il piano se lo inventano man mano, trovandosi tra le mani un potentissimo MacGuffin (che poi, vedrete, proprio un MacGuffin non è) e giocando una partita di cui tentano di apprendere regole e contesto man mano. Il “disegno superiore” contro cui andranno inevitabilmente a schiantarsi sarà, con ineluttabile realismo, un ordine ben più grande di loro, e praticamente inscalfibile: «Non è il lunedì, zio, è il capitalismo».
Se vi sembro criptica è perché non voglio spoilerarvi più del necessario: a differenza degli Ocean’s, dove sappiamo già perfettamente che i protagonisti vinceranno, e il nostro piacere di spettatori (se vi piace il genere, eh, e se vi piacciono quei film: a me soprattutto il primo piace molto, già ve l’ho confessato) sta tutto nel vedere come vinceranno, nell’assaporare il prestigio (in senso nolaniano) proprio capendo solo a posteriori il trucco; a differenza degli Ocean’s, dicevo, qui il divertimento sta nel seguire la cascata degli eventi mentre si srotola, imprevedibile e implacabile, davanti ai nostri occhi, senza sapere bene, neppure lei, dove sta andando a parare (salvo poi rivelarsi alla fine frutto di una sceneggiatura solidissima – di Ed Solomon – che chiude svariati cerchi e riesce nell’impresa di mettere insieme parabole gangster/noir, ambientalismo e gentrificazione). Degli Ocean’s ci fidiamo, qua invece – c’è scritto pure nella locandina – nessuno si fida di nessuno, e neppure noi ci fidiamo davvero, cerchiamo di prendere le misure ai personaggi, di capire chi è il nostro protagonista, qual è il nostro punto di vista. Da che parte dovremmo stare, con chi dovremmo idealmente allearci?
Non so se ve lo ricordate, ma meno di un decennio fa, credo attorno al 2012, il nostro amichetto Steven Soderbergh, spossato dai coppini continui presi al campetto e dai non inviti alle partite di lancio di mandarini e alle feste delle medie con la tapparella giù, o magari pure lui in seguito a una crisi esistenziale frutto di un lunedì di merda, aveva annunciato il proprio pensionamento anticipato. «Farò il pittore», aveva detto, se non ricordo male. «Basta con il cinema». Ovviamente era tutta una grande burla, perché tipo il giorno dopo già si era messo a fare The Knick, cioè una (bella) serie tv, di cui non s’è accontentato di girare solo il pilot come un Martin Scorsese o un David Fincher qualunque, no no, lui ha firmato tutti e venti gli episodi su due stagioni. «Eh, è tv, mica è cinema!» si giustificava, o lo giustificavano, e lo stesso ripeteva lui arraffando tutti i premi per Dietro i candelabri, che tecnicamente è un tv movie HBO (anche se in Italia è uscito in sala). Iperattivo e stacanovista come pochi – lo sapete bene che il direttore della fotografia Peter Andrews e la montatrice Mary Ann Bernard, che vedete nei titoli di testa e di coda di tutti i suoi film, non sono altro che pseudonimi di lui medesimo – ha mollato per un po’ il campetto ufficiale del cinema e si è chiuso in casa a fare altro, si è messo a dirigere opere teatrali, a rimontare furiosamente cose altrui (tipo I cancelli del cielo di Cimino e I predatori dell’arca perduta ma con la colonna sonora di The Social Network), a produrre film e show (tipo il sequel di Magic Mike, che ha anche fotografato e montato, o la bella serie tratta da The Girlfriend Experience). Non son passati neanche tre anni, però, e già s’era stufato della farsa, tant’è che sono abbastanza sicura che molti di voi di questa cosa della pensione nemmeno si erano accorti: già nel 2016 si era rimesso sul set di un lungometraggio, per la precisione quello di Logan Lucky – o La truffa dei Logan, detto anche “Ocean’s Seven-Eleven” per gli amici – e ha ripreso a fare il regista più che a tempo pieno, peraltro per quanto mi riguarda sfornando diverse bombette. Fregandosene, mi pare, abbastanza delle annose discussioni su cosa sia oppure no “cinema”, filmando notoriamente spesso con l’iPhone (Unsane, High Flying Bird), sperimentando cose tipo l’integrazione tra serialità tv tradizionale e fruizione interattiva via app (la serie Mosaic), rompendo finzioni e quarte pareti (The Laundromat), mandando grandi attrici in crociera con gente normale e filmando l’effetto che fa (Let Them All Talk), tornando ai grandi festival del Cinema e stringendo accordi con le piattaforme streaming, prima Netflix e ora HBO Max.
È una nuova fase di iperattività in cui accumula titoli che sembrano sulla carta molto diversi l’uno dall’altro – detective story, storie vere, commedie parlatissime, horror, heist movie, film sportivi… – ma che in realtà ci tengono soprattutto a ribadire, ancora una volta, ormai lo sapete, che non è il lunedì, è il capitalismo. Rifuggendo però, per lo più, da una banale semplificazione demagogica, e anzi utilizzando la sua passione per i mosaici, per le trame a domino o a macchina di Rube Goldberg, per i piani stratificati, per le strutture a matrioska (scegliete pure l’immagine che vi sembra più calzante) al fine di rappresentare – e, rappresentandolo, svelarlo – un sistema iper complesso e oppressivo per chiunque non stia sulla vetta della piramide (come, in questo film, il personaggio-cameo di cui accenno sotto). E a cercare anche uno sguardo, in un certo senso, “non umano”: gli iPhone, certo, oppure come in No Sudden Move una sovrapposizione tra camere d’epoca e grandangoli esasperati, che schiaccia i margini delle inquadrature e nello stesso tempo imprigiona i personaggi dentro un apparato che, per quanto ci provino, non possono battere. Gli si è rimproverato spesso, fin dall’inizio, di essere un regista freddo, furbo, laccato e stiloso fine a se stesso, ma se forse una volta era vero, ora mi pare che le sue scelte siano deliberate, e pensate per tenere un punto: è come se l’unico modo per essere vicini a questi poveri umani, per stare dalla loro parte, sia cercare di staccarsi da loro, guardarli da fuori il più possibile per provare ad afferrare nell’inquadratura globale la macchina che li condiziona e li imprigiona e che volutamente sfugge allo sguardo e alla comprensione totale. Forse – mi viene da pensare, ma magari solo perché l’ho riguardato da poco – è stato Contagion il punto di svolta: un film che nel giro di un decennio si è trasformato da catastrofico a feel good movie (non so se ve lo ricordate, ma non solo trovano il vaccino in pochi mesi: tutto il mondo si immunizza in quattro e quattr’otto e la pandemia viene sconfitta abbastanza in fretta), da metafora del crollo del capitalismo finanziario a iperrealistica previsione della contemporaneità.
No Sudden Move è uscito in Usa su HBO Max (così come il precedente Let Them All Talk con Meryl Streep, e come il prossimo KIMI con Zoe Kravitz, previsto per l’anno prossimo), motivo per cui da noi è andato diretto e quatto quatto su Sky in questi giorni, senza fanfare né promozione nonostante il cast eccellente (e c’è anche un notevole cameo non accreditato che non vi spoilero ma che secondo me se vi impegnate un attimo lo indovinate facile, forse un filino didascalico nella sua spiegazione del sistema, ma che mi pare ci stia comunque, sia per l’ottima interpretazione dell’attore-cameo sia per illuminare un po’ un intreccio comunque abbastanza complesso). Che sia uscito abbastanza silenziosamente su Sky è un peccato, perché oltre a tutte le pippe anticapitaliste che vi ho tirato io in questo pezzo (sì, si dà il caso che io sia d’accordo politicamente con Soderbergh, però il punto qui non è se Soderbergh abbia ragione oppure no sul capitalismo: il punto è che ha una visione del mondo precisa e che riesce a darle una precisa forma di cinema) No Sudden Move è anche un bel gangster movie e un bel heist movie, con un cast in pallissima, un evidente amore (e nessuna spocchia) per il genere e la capacità di reggere una tensione che non cede mai, così come l’ironia che ogni tanto sfocia in momenti di puro e genuino divertimento. E c’è anche Jon Hamm. Secondo me un’occhiata la merita, in qualsiasi giorno della settimana.
Poster di Sky quote:
«Amo il mio lavoro»
lo sceriffo di Stranger Things messo in una situazione spiacevole
Mi accodo alla recensione ,non è affatto tempo perso.
In v.o. s’intende.
Ma quindi David Harbour non finisce in prigione in Siberia? Strano….
A parte questo, vendutissimo: odio il lunedì, amo gli heist movie (anche a me Ocean’s 11 piacque molto e trovo La truffa dei Logan altrettanto divertente), amo le trame incasinate con “l’eroe” che cerca di uscire dai casini come meglio può , odio il capitalismo e amo i personaggi non banali.
Devo solo capire se lo trovo su NowTv visto che è su Skype…
Contento che stiano riscoprendo Brendan Fraser, se lo merita
come minchia si è ridotto Brendan Fraser??
Ha avuto grossi problemi di salute e non solo
A quanto pare nei primi 2000 subì molestie sessuali da un produttore, il che gli causò problemi di carriera e depressione, una storiaccia. Per chi è cresciuto con La Mummia al cinema e Scrubs su Mtv è bello rivederlo in giro.
Sono
1) “Mondays are fine. It’s your life that sucks.” – Ricky Gervais
2) Che poi secondo me la domenica sera prima di addormentarsi è peggio, ma credo siano gusti.
3) Ocean 11-12-13 ok, ma Logan Lucky che bomba era?
4) Solo per me l’heist movie è stato irrimediabilmente rotto (o perlomeno incrinato) da Rick and Morty S04E03?
cinque alto sul punto 4 (anche il 3, bel film)
La tesi di Xena è “Mondays are fine. It’s capitalism that sucks!” e che quella sia anche la tesi di Soderbergh. Io mi trovo completamente d’accordo e probabilmente, se leggesse questo pezzo, lo sarebbe anche Gervais.
Rick & Morty ha distrutto per sempre la visione degli heist movie a chiunque, ma non vederlo come un limite. L’S04E03 da solo vale più di qualunque film.
Soderbergh è uno di quelli che si studierà nelle scuole di cinema. Uno dei pochi a sperimentare pur intrattenendo.
Mark Fisther qote <3
Era da tempo che nn vi trovavo e finalmente siete tornati . Grandi
Sono
Soderbergh è uno di quei (pochi) registi di cui vedo i film sempre molto volentieri, da Sex, Lies & Vedeotapes in poi (a mio avviso su quel livello non è più tornato)
Però per assurdo, non c’è un singolo film dei suoi che mi sia rimasto impresso. 2 ore di ottimo intrattenimento, cast, atmosfere, dialoghi, ma dopo due minuti ho già staccato la spina emotiva. Niente a che vedere con un Tarantino, ad esempio, i cui film mi ronzano in testa per settimane (ok, sto parlando del top)
Negli ultimi anni in America hanno “riscoperto” gli Heist o Caper movie, tanti bei titoli, Logan Lucky, The Town, No Sudden Move, American Hustle, volendo anche Hell or High Water, i primi che mi vengono in mente. Tutti piacevoli, però, a mio avviso, con uno schema (ovvero cercare di sorprendere lo spettatore con 1000 deviazioni e colpi di scena) che spesso sfocia nella maniera, tanto che, a parte un paio di titoli, te li dimentichi dopo 5′
Per carità, ottimo intrattenimento, però alla lunga un po’ ripetitivo e fine a se stesso. E sinceramente, nei film di Soderbergh faccio fatica a scorgere critiche sociali, se ci sono, sono davvero all’acqua di rose
La tesi di Xena è “Mondays are fine. It’s capitalism that sucks!” e che quella sia anche la tesi di Soderbergh. Io mi trovo completamente d’accordo e probabilmente, se leggesse questo pezzo, lo sarebbe anche Gervais.
Gentile Xena,
possiamo darci del “tu”?
ho apprezzato da subito il tuo stile di scrittura e la profondità critica, ma qui sono come sconfitto: il taglio critico è stratosferico e ricollega facilmente tutti i ‘segni’ del film in un insieme coerente.
In più condivido le idee politiche di Soderberg, e ultimamente questo mi da molto conforto: corro a vedermi il film!
Magari
Non male ma le vicende dei vari personaggi sembrano andare un pò per i fatti loro senza un vero perchè. Siamo lontani dal coinvolgimento narrativo i Knockout.
Lughetto e un po’ contorto…l’ho finito con un occhio addormentato
Gran recensione, grazie!
Recensione straordinaria per un film ottimo a cui sarebbe bastato qualche oscurità e cripticità in meno per risultare eccezionale. Soderbergh davvero bravo a questo giro.