Ma cos’altro vuoi dire di questo film, oltre a quello che ha già vergato con sapienza il profeta Nanni Cobretti nella sua epocale Lettera ai Fabrizi? Non tanto. Americanata, rule of cool, stiamoci e smettiamo di rompere le balle per niente. Che poi, storia buffa, io c’ho una coinquilina – si chiama Sofia Budella ed è abbastanza simpatica nonostante alcuni piccoli problemi di prolasso in pubblico – la quale l’altro giorno ci ha tenuto a dirmi che, secondo lei, Squid Game è proprio un’americanata. Come mai Squid Game è un’americanata, ho chiesto all’altrimenti valida Budella. Non lo so, mi ha risposto lei, credo siano tutti quei colori brillanti. Vedi che c’era proprio bisogno di un testo definitivo per disambiguare quel concetto qui? Red Notice, dunque e comunque, è un’americanata – che, ripetiamolo tutti insieme, è solo un’etichetta vaga e non una categoria critica. Ed è anche, Red Notice, la più costosa americanata nella breve, ma intensa storia di Netflix: 200 milioni di dollari per mettere davanti alla stessa macchina da presa tre pesi massimi, di cui uno anche letterale, del cinema d’intrattenimento. Una delle cose che vorrei dire di questo film è che sono un povero ingenuo perché non mi aspettavo mica, giurin giurello, di vedere Ryan Reynolds che per la centoseiesima volta fa Ryan Reynolds nei panni di Ryan Reynolds che ammicca a Ryan Reynolds. E mi sento abbastanza Ryan Reynolds nell’autoreferenzialità di citare la mia recensione di Hobbs & Shaw. Io comunque ci voglio bene a Ryan Reynolds, e sono molto contento per lui. Non invidio la sua vita priva di carboidrati, per carità; ma l’idea di essere strapagati per recitare sempre lo stesso ruolo – che poi ci viene venduto come parte sostanziale della sua vera personalità – mi manda in brodo di giuggiole. Bella per Ryan Reynolds. La cui parlantina autoironica e metastocazzo riesce nell’impresa di scavallare i deltoidi di Dwayne Johnson e le faccette di Gal Gadot, vincendo non tanto la gara di chi ce l’ha (hollywoodianamente parlando) più lungo o più grosso, ma sicuramente quella di chi ce l’ha più rumoroso. Quindi, si diceva, Red Notice è un film per Ryan Reynolds, da Ryan Reynolds, ma con la gentile partecipazione degli altri due, che si prendono tutto il poco che rimane dell’attenzione del pubblico dopo che è stata prosciugata dall’ennesimo, brillante, ma forse stavo bene anche se ce n’erano giusto due in meno monologo ammiccante di Ryan Reynolds. Per dire, nel rivedere il film mi sono accorto che la cosa più divertente che può fare uno spettatore italiano (che guarda il film in lingua originale) di fronte alla prima scena, quella ambientata a Roma, è di concentrarsi sulle mezze frasi nella nostra lingua messe in bocca alle comparse sullo sfondo, e fare la gara a qual è quella più fessa o quella pronunciata dall’extra evidentemente meno italiano. Secondo me vince il roscio a cui Ryan Reynolds ciula il Ciao, il quale reagisce con un laconico “Ma è noleggiato”. Capite le cose a cui bisogna attaccarsi? Sigla!
In buona sostanza c’è Ryan Reynolds che interpreta se stesso nell’universo parallelo in cui non fa l’attore, bensì il pazzeschissimo ladro di opere d’arte; uno che vive su una spiaggia deserta di Bali in una casa extra lusso il cui vialetto oceanico d’ingresso va percorso a bordo di una barchetta ribattezzata “We’re gonna make it, Rose”. Violentemente Ryan Reynolds, quasi quanto l’adorabile product placement del suo gin Aviation. La ballotta dei ladri di opere d’arte è in turbo fermento dal momento che un miliardario egiziano ha offerto 300 milioni di dollari a chiunque riesca a portargli, in tempo per il matrimonio della figlia, le tre fantasmagoriche uova regalate da Marco Antonio a Cleopatra, splendidi gioielli con cui la regina fu sepolta. Il problema è che si conosce l’ubicazione di due sole uova, essendo la terza dispersa da tempo immemore. Ryan Reynolds comincia la sua caccia ai tesori partendo da quello più vista, conservato al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, e a mettergli i bastoni fra le ruote ci pensano l’enorme profiler dell’FBI specializzato in furti d’arte Dwayne Johnson – curiosità buffa, o buffosità: The Rock, per qualche tempo, ha davvero studiato criminologia all’università –, a sua volta imbeccato dalle dritte anonime dell’Alfiere, leggendario babau nell’ambiente dei ladri di cose vecchie. Esiste davvero l’Alfiere? E se esiste, chi è? Boh a entrambe le domande, almeno dal punto di vista del film; dal nostro punto di vista di spettatori, che abbiamo Gal Gadot gigantesca in locandina, la faccenda è un po’ meno misteriosa. Il trenino dell’azione è in partenza e si appresta a fermarsi in tutte (TUTTE) le stazioni, avvolto in un ciuf ciuf di heist movie, inseguimenti, pizze in faccia, fughe in elicottero, sparatorie, evasioni, tori, doppi giochi, nazisti non dell’Illinois, tripli giochi, daddy issues, brutte figure dei russi, gal gadot che gigioneggia male, cinesi stranamente assenti, Indiana Jones e il deus ex machina fesso, colpi di scena, quadrupli giochi e anche la versione seria e femminile dell’ispettore Zenigata.
Questo film qui fa una roba anche coraggiosa se vuoi, lo stesso tipo di coraggio incosciente che hanno ogni giorno gli analfabeti di ritorno che vogliono scrivere una mail da soli: turlupina lo spettatore con il vecchio trucco del “pensi di sapere proprio tutto, ma in realtà fra un po’ ti scherzo con un colpo di scena che mica te l’aspettavi e che ribalta l’intera situazione e ti farà dubitare di ogni aspetto della tua vita al pensiero che ti sei fatto ingannare da Rawson Marshall Thurber, mica da Alfred Hitchcock”. E funzionerebbe anche, probabilmente. Perché per tutto il film ogni tanto ti viene da pensare: ma come mai le motivazioni di quel personaggio qui sono scritte così male e sono così ondivaghe, incoerenti e poco chiare? Come mai quel personaggio qui conosce il sesso assegnato alla nascita all’Alfiere quando fino a un secondo prima ci raccontavano che il suddetto Alfiere è una specie di figura mitologica nel mondo dei furti d’arte, il Bigfoot dei ladri di cariatidi che tutti usano come spiegazione quando non ne hanno un’altra? Perché quell’altro personaggio che ci è stato presentato come impeccabile e imprendibile continua a fare la figura del cioccolataio, come se fosse dentro a una sceneggiatura che è dentro a un’altra sceneggiatura? Te le chiedi queste cose. E dall’alto della tua poca fiducia nell’umanità pensi all’ennesimo film scritto particolarmente con i piedi e poi invece BAM, colpo di scena. Solo che è un po’ tardi, sono passati 100 minuti abbondanti di PEM PEM e di WIIII fatti bene ma senza troppa sostanza, e adesso non sono tanto sicuro di quanto cacchio possa fregarmente dei tuoi colpi di scena. Sono già abbastanza stanco. Nel senso: è ottima questa cosa di giocare con la conoscenza del pubblico, con il dargli in pasto quello che sembra un punto di vista onnisciente e poi togliere il tappeto da sotto i piedi. Ci sto, mi piace, bravi. Ma se tra la premessa e l’attuazione di questo piano birbantello c’è da riempire un intero film, facciamolo un po’ meglio magari.
Più o meno tutta la scrittura di Red Notice – non solo il grande colpo di scena pre-finale ma anche la natura dei personaggi, le loro motivazioni, le loro interazioni, ovviamente il loro mestiere – si basa sul comunicare allo spettatore che non deve fidarsi, mai, di quello che viene detto o mostrato. Succede fin dal primo minuto, con una fuga lunga e spettacolare resa inutile il secondo successivo da una cattura così, d’emblée che io nella mia testa ho sempre scritto d’amblè. Non dico che tutti i film con un colpo di scena finale, che ribalta tutto ciò che abbiamo visto sino a quel momento, abbiano questa stessa dinamica di rendere inutile quello che è stato fatto prima. Ma Red Notice ha la rara caratteristica di farti percepire come accessorio e totalmente vuoto quello che si svolge fino al momento in cui qualcosa o qualcuno ribalta i paradigmi. Succede in grande nel finale, quando dici aaaaaah, ok; ma è soprattutto un’atmosfera costruita dalle piccole cose. Ogni cambio di scena, ogni risoluzione che avviene con la stessa dinamica di “Fino ad ora abbiamo detto e fatto questo per tutta la scena e ci siamo pure impegnati – per dire, l’abbiamo riempita di dialoghi spumeggianti e di convoluti piani criminali piuccheperfetti – ma adesso fammi stravolgere la faccenda in venti secondi netti con una soluzione molto conveniente, che tanto poi posso giustificare tutto con il barbatrucco finale e intanto passiamo alla sequenza d’azione che ci facciamo vedere a questi pezzenti dove l’abbiamo spesa la nostra barca di soldi”, ogni volta che succede questo (e succede sempre) si accumula qualcosa che assomiglia a una sfiducia nei confronti del punto di vista narrativo. Allora, logicamente, ti metti comodo appoggiandoti allo schienale e l’esperienza diventa quella di un intrattenimento vuoto, a calorie zero, esteticamente magari appagante (progettato con la giusta intelligenza per catturare la tua attenzione e tenerla sempre lì lì) ma proprio poco nutriente. I film d’avventura e d’azione possono essere cinematograficamente nutrienti. Dovrebbero esserlo. Fotte sega se sono nutrienti come un panino unto, di quelli così violenti che se vai a farti le analisi il giorno dopo rischi di trasformare l’ematologo in obiettore di coscienza. Continuo a preferire la sincerità, anche goffa, a un panino che si vende come hamburger sozzo ma poi è stampato in 3D con il pane fatto di sedano, il formaggio fatto di cetrioli, la carne fatta di cavolfiore e la salsa fatta di aria fritta. Il tutto scondito, neanche un po’ di burro o di carboidrati. Calorie zero. L’action salutista scritto con un generatore automatico di scene da blockbuster. E già pronto a sfornare – se il pubblico dovesse rispondere positivamente. Succederà – una lunga serie di sequel.
Ryan Reynolds quote:
«Indiana Deadpool e la sceneggiatura degli algoritmi»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
c’è da dire che attori tanto cani quanto sfruttati non se ne vedevano da tempo…l’impressione è che possano esprimersi solo in queste poverate milionarie o in film su misura del tipo uomo grosso eroe – bello e scemo – bella e coraggiosa…ma vabbè al cestone netflix si perdona tutto.
anche io sconcertato per l’assenza di cinesi
Invece la cosa che mi ha colpito di più di questo film è che le dinamiche tra DJ e RR mi ricordano tanto quelle di bud spencer e terence hill: per dire, anche se non facessero in seguito diretto a red notice, guarderei volentieri altri 3-4 film con loro due come protagonisti.
Anzi meglio se cambiano contesto e personaggi, come facevano bud e terence!
Nathan
è quello che pensato anche io.
Ed ho anche fantasticato su dei possibili remake…
Non odiatemi!
Io c’ avrei una domanda che mi percuote l’ encefalo da un anno a cui nessuno dei ragaz della cumpa mi ha saputo dare una risposta okappa. La sparo: ma Amazon e Netflix , per tutti i film “esclusiva Amazon Prime” o “Produzione Netflix” da milioni e milioni di dollari, come ci rientrano nelle spese? Non ho Netflix quindi non ne conosco le dinamiche precise, ma Prime Video , voglio dire, tu paghi 40 euro scarsi all’ anno e ti puoi vedere diversi film da tot milioni di dollari senza sborsare un euro. Loro come rientrano nelle spese? So che non c’entra una fava con la rece, ma prima o poi sta domanda la dovevo fare. Ho visto RR e ho detto “la faccio ora che almeno siamo in due a sembrare scemi”. Grazie per eventuali risposte/delucidazioni/ma anche sfanculamenti.
@Chuck Sigirah
Risposta semplice: Netflix ha (fonte: Statista) oltre 200 milioni di iscritti, ad un costo medio di 12 Euro / mese. Dati del 2020. Do the math.
Risposta più complicata: Netflix è stata mediamente in perdita fino al lockdown causa Covid. Secondo Investopedia (fonte) è nel 2020 che ha finalmente visto qualche straccio di guadagno.
Negli anni precedenti ha investito in produzioni esclusive o acquisto diritti di film di terzi e, soprattutto, in marketing per conquistare fette di mercato in Europa e Asia.
Su Amazon il discorso è (leggermente) diverso. Prime Video nasce come traino per il servizio Prime, che ha consentito ad Amazon di essere la prima scelta che fai quando cerchi qualcosa da acquistare online. Una sorta di cavallo di troia, insomma, per conquistare il mercato dell’e-commerce. Sempre secondo Statista (fonte) nel 2020 Amazon ha registrato quasi 400 miliardi di dollari di net revenue.
Inoltre Amazon ha anche Amazon Music (non incluso in Prime), Noleggio Film, e altri servizi.
Semplicemente con i guadagni ottenuti dagli abbonamenti. Sembra banale e semplicistico ma è proprio così. Ovviamente devi considerare che sono più di 40 euro all’anno ormai e moltiplicalo per tutti i milioni di abbonati. Ovviamente la questione rimane quella di far rimanere gli abbonati sulla piattaforma con tante novità in modo che questi 40 euro entrino regolarmente, ed ecco perché c’è turnover pazzesco sulle produzioni originali e sono particolarmente sensibili sulle visualizzazioni di ognuno di loro. E comunque non ti credere, Netflix se la fa sempre più grossa ma è in perdita costante. Amazon si salva solo perché i guadagni dall’attività principale si spostano sulle produzioni.
@Chuck
Ti aveva risposto Pitch, con fonti e tutto. Ma è stato bannato perché sì.
Comunque la risposta di Francesco Renna è grosso modo corretta.
Grazie. Mi cercheró per benino i link, allora, anche se finora ho trovato poco.
Chuck:
Parlo di Amazon. Tempo fa avevo letto (mi pare su Il Sole 24 Ore… Ma potrei sbagliarmi) che il vero business, il grano pesante, Amazon non lo fa con l’e-commerce, ma lo fa coi servizi in cloud che vanno dallo stoccaggio di foto e file, ai servizi di analisi e di calcolo, fino al noleggio dei propri server (super-potenti e super-sicuri) alle attività che lo richiedono (su tutti vari gruppi bancari). Se non ricordo male, col servizio di vendita online Amazon è addirittura in perdita mentre con la vendita fisica (hanno svariate catene di market concrete, sopratutto in America, nel proprio pacchetto) e con il cloud service hanno attivi record.
Grande recensione, grandissimi tag, ma lamento l’assenza del sintetico, efficace ed eufonico “gal gadot che gigioneggia male”.
(non frega a nessuno, ma mi era bastato un poster in metropolitana per avere un flash-forward snyderiano [ovviamente seppiato] dell’insipienza devastante di tutta l’operazione)
@quantum magari ora che Joe e Xi sono in questa nuova fase *confrontational* il governo sta cacciando qualche soldo sottobanco agli studios purché “basta co’ sto pandering senza vergogna”?
(oppure hanno rinunciato in partenza a vendere Meta Reynolds e Power Gal al pubblico cinese?)
Una super cazzatona divertente, molto stupida ma puro intrattenimento da divano. Non ci vedo niente di male, a parte l’ego irritante dei divi coinvolti.
Tutto giusto, ma il tizio che dice “era noleggiato” si riferiva al motorino che Ryan gli ruba, quindi aveva tipo senso
Tutto giusto, ma il tizio che dice “era noleggiato” si riferiva al motorino che Ryan gli ruba, quindi aveva tipo senso
Boh, per me Deadpool ha fatto malissimo a Ryan Reynolds, che prima mi stava pure simpatico.
Cioè, ormai è rimasto imprigionato in quel ruolo sempre uguale, è condannato a recitare Deadpool praticamente in ogni suo film.
Ovviamente intendo che gli ha fatto malissimo a livello artistico, non di portafoglio, buon per lui, meno per noi
Madò si, quoto durissimo, sta cominciandoa starmi sul piffero (o qualsiasi altro meteforico strumento musicale) in una maniera incredbile
Quindi non è un’Americanata ma un’Algoritmata?
[Non ringraziatemi, Fabrizi di tutto il mondo, “così vuolsi colà ove si puote”]
Grazie.
Mi hai convinto Toshiro, stasera vedo se hanno il bok choy alla Pam del mio paese.
Lo guarderò, ma mi attrae quanto un piatto di rave.
Penso si capisse già dal trailer che sarebbe stato il solito film fatto con l’algoritmo. Aspettarsi sincerità da questi film è impensabile, sono il frutto di vari focus group del reparto marketing, nulla di più. Ne ho le palle piene di questo grigiore insipido.
Ma Netflix vi paga? Cioè, per non dire che guardare questa roba NON è come scopare un catino pieno d’acqua. Sono al minuto 40.56 e al cospetto del nulla cosmico. Se le cose migliorano più avanti mi riservo di chiedere scusa, ma finora…
Era: “…NON dire che guardare sta roba E’ come scopare un catino pien d’acqua”. La doppia negazione mi e’ scappata. Tra poco mi scapperà ben altro.
Come fanno? Hai mai visto “the producer” o “per favore non toccate le vecchiette” ?
Ecco…piu’ o meno ip concetto e’ lo stesso, pervle grandi aziende anche una perdita e’ un guadagno, o perlomeno una detrazione fiscale. .)
Sono arrivato in fondo facendo una fatica immane.
Ora la domanda non è più SE Netflix vi paga, ma QUANTO vi paga per non dire che sto film è merda pura, inguardabile, inqualificabile, buona per decerebrati col quoziente intellettivo dei mutanti di Wrong Turn. Non fa ridere, non fa piangere, non fa emozionare, non fa un cazzo. Io vi lovvo come sempre, ma suvvia: da calcisti cazzuti a camomillari cui va bene tutto. In attesa che ritroviate le palle che vi sono rotolate sotto il tavolo, un virile abbraccio.
Ah, sì. A The Rock ho scritto di peggio…
Lo sapevo che non avrei dovuto fare l’amore con tua mamma
Almeno non ho preso da te, che come si evince dal nick sei palesemente una testa di cazzo. ;)
Almeno.non.ho.preso da te, che come si evince dal nick sei palesemente una testa di cazzo.
Comunque vi faccio notare che sta cosa di fare film blandi schematici col pilota automatico e divi in cartellone solo per fare botteghino non è che l’ha inventata proprio Netflix eh …
Assolutamente. Però ultimamente (e non solo su Netflix) si stanno producendo ciofeche beyond thunderdome. Basti pensare che una manciata di anni fa The Rock è stato potagonista di un film insensato ma divertentissimo come Il Tesoro dell’Amazzonia e oggi di RN, altrettanto insensato ma nopioso, svogliato, caratterizzato da umorismo acefalo, e girato peggio di molti spot pubblicitari.
Amen! Mio stesso pensiero. Questo RN è veramente la sagra del vuoto pneumatico e dell’occhiolino, che però alla 20sima volta diventa stucchevole.
Però magari è il modo di fare i film oggi, oppure sono io che sono diventato vecchio e continuo a paragonare ciò che ho visto in passato con i prodotti attuali.
Americanata ok, algoritmo ok, il problema è la noia mortale del risultato finale… Per dire, stessa categoria filmica e con Reynolds che gigioneggia, ma “Come ti ammazzo il bodyguard” mi aveva divertito un sacco…
Poi, io personalmente trovo The rock veramente carismoleso, ma magari è un problema mio…
PS guardare le scene a Roma in lingua originale per vedere cosa mettono in bocca agli italiani: presente! Tuttavia continuo a non capire perchè non si possano pagare 3 comparse italiane per dire le poche battute in lingua… Non credo costino molto di più delle equivalenti rumene palesemente usate…
Ad un certo punto ho letto PFM PFM e invece no, mi ero sballiato
sono a 3/4 ed è tra l’innocuo e l’orribile…ma nel colpo di scena finale davvero finale si scopre che gal godot è un uomo o wonder woman in disguise? perché ha menato The Rock e un uomo comunque grosso tirando calci come Leslie Nielsen quando gli si vedevano solo le gambe mulinare sotto ai menti altrui…. sinceramente sembra anche girato coi piedi oltre a tutto il resto..bah
– Mamma andiamo al cinema?
– abbiamo già il cinema a casa
Il cinema a casa: NETFLIX (du-dumm)
Incredibile la capacità di questa piattaforma (e dell’altra) di spendere milioni per fare delle imitazioni (cinesi?) di film belli. É stato fatto il paragone con l’hamburger, io questo non l’ho visto ma calzava anche a quella vomitata di Charlize Theron quasi immortale, non solo é pane di sedano ma c’è un ingrediente di troppo, o che manca e dici vabbeh moo magno uguale, invece no, ti tolgono gli ultimi due tre bocconi, così non sai se restare contento che non devi più sentire l’ingrediente sbagliato o triste perché avevi ancora fame.
Contento che siano in caduta libera.
visto piaciuto e dimenticato
duole dirlo anche se io adoro michale bay alla fine questo è più scorrevole di six underground forse i 10 minuti di differenza in meno non so
in sto film plagiano qualsiasi cosa ma si autocitano da soli e così non pagano pegno
i veri protagonisti di sto film paraculissimo ma alla fine riuscito soprattutto se hai meno di 15 anni ( io ne ho 50 ) sono ritu arya e ed shiran
io non avrei mai conosciuto quel nano di ed shiran se non fosse per il trono di spade e sto film e secondo me lui lo sa e ci gioca alla perfezione
che gal gadat ha un complice lo avevo capito subito ma fino all’ultimo ho sperato che fosse ritu arya
una doccia finale a bocce nude fra gal gadot e ritu arya e al film davo 5 stelline
fottuto psg 13!!!
bob
e poi se Gal e Ritu fossero state complici si sarebbe capito anche perchè Ritu era alla festa di Sottovoce ma non fa nulla nè fa intervenire la polizia / l’Interpol. Ah, la doccia ci sarebbe stata benissimo alla fine, all’inizio o in qualunque altro momento del film!!
finito con tanta fatica… sinceramente l’accoppiata The rock / gal godot la trovo una delle meno arrapanti della storia del cinema, sembrano ken e barbie che vengono fatti limonare da una ottenne…in ogni caso il film è tanto brutto quanto noioso e, per fortuna , dimenticabile.
mi associo in toto alla tua opinione.
Mamma mia che blanderia. Mi sono annoiato in un buddy movie con Ryan Reynolds e The Rock.
Netflix cos’altro cazzo deve capitare per farti capire che sceneggiatura e regia qualcosina ina ina contano?
The Rock è la delusione action del secolo secondo solo a Van Damme ma in realtà no se si pensa al budget a cui Dwayne riesce ad accedere per le porcherie in cui mette la faccia. I film che si salvano sono il Re scorpione e Faster, il resto è di una pochezza imbarazzante. Doveva essere il nuovo Schwarzenegger ma se restava alla WWE era meglio. Ma i film incassano e quindi ha ragione lui.