Lo so, non si fa, altrimenti sembri uno di quelli che spiega le barzellette, ma il titolo del pezzo che state leggendo ammicca a una famosa sequenza de La Pazza Storia del Mondo di Mel Brooks. Ve lo ricordate? Nell’ultima parte del film, Mel interpreta Luigi XVI, l’ultimo sovrano assoluto per diritto divino. Il Re passa le sue giornate facendo tutto quello che più gli aggrada: si circonda di nani, bara al gioco, lo appoggia da tergo alle donzelle che incontra nel suo giardino. Poi, con quella faccia un po così che abbiamo noi che di nome facciamo Mel Brooks, guarda in camera, parla col pubblico e gli rivela: “È bello essere Re”. Ecco, penso sia più o meno questa la vita che fa il nostro amico Donnie Yen. O almeno io me la immagino così dopo la visione di questo Raging Fire.
Quest’impressione la si respira un po’ per tutto il film, ma c’è un momento preciso che mi ha fatto venire in mente la sequenza di cui sopra. Donnie è impegnato in un lungo e spettacolare inseguimento/sparatoria col cattivo del film, un carismaticissimo Nicholas Tse. I due si odiano tantissimo, dietro ci sono motivi personali di cui adesso non mi sembra il caso di discutere, e non vedono l’ora di vedere l’altro morto schiantato male. Ma Donnie Yen è anche un poliziotto. Certo, i vertici della polizia di Hong Kong non lo possono vedere, gli mettono i bastoni tra le ruote, lo screziano a più non posso, ma lui va dritto per la sua strada. Perché egli è un integerrimo uomo di legge, un cavaliere senza macchia che ha votato la sua vita alla Verità e alla Giustizia. Per cui, mentre il suo avversario, l’altra faccia della medaglia, è reso cieco dal suo desiderio di vendetta, Donnie tiene sempre gli occhi aperti perché, che ne sai, magari in quel momento c’è un piccolo bambino innocente da salvare, no? E infatti così è!
Donnie ha appena tirato una sportellata della sua macchina al cattivo che lo stava inseguendo in motoretta, questo è uscito di strada e adesso Donnie sta per sfrociarsi contro un camion… Ma in traiettoria – rigorosamente sulle strisce pedonali – c’è una mamma che sta accompagnando il suo piccolo frugoletto a casa dopo una lunga giornata di studio a scuola. C’è pochissimo tempo per evitare il peggio. Donnie tira il freno a mano: la macchina lanciata alla massima velocità, derapa e si gira di 90°. Donnie, con velocità e precisione, apre lo sportello e si getta fuori, giusto in tempo per acchiappare il frugoletto al volo. A questo punto è in mezzo tra il muso del camion e la sua macchina che sta per travolgerlo. Istintivamente il nostro eroe zompa sul camion e con un’abilissima mossa di “Extreme! Parkour!” atterra di schiena sul tetto della sua auto, salvando in questo modo il ragazzino. Sono pochi secondi di film, con un montaggio serratissimo e una sospensione dell’incredulità altissima, ma sono quelli che forse custodirò di più nel mio cuore di spettatore.
Perché in un film come Raging Fire, che potremmo raccontare come il tentativo di rinverdire il poliziesco hongkonghese, l’heroic bloodshed degli anni Ottanta e Novanta (da John Woo a Johnny To passando per Ringo Lam), questa sembra una sequenza rubata a un action indiano degli ultimi anni. Un gesto di totale eroismo che travalica la storia raccontata in quel momento dal film, che supera la finzione per diventare un monumento all’attore. Donnie Yen in questa sequenza non è semplicemente il Buono del film ma è anche se stesso, l’attore più famoso del cinema cinese contemporaneo, un Divo. Donnie, che in questo film non solo recita ma produce e soprattutto coreografa, giustamente, s’è ritagliato questo piccolo momento di chiamata alla Santità. Però questo è anche il classico momento in cui l’amico che siete finalmente riusciti a convincere a vedere “un bellissimo poliziesco cinese, vedrai, molto meglio dei film che ti vedi tu con Ryan Reynolds che fa il simpa“, si gira verso di voi e vi dice: “Maccosa, dai”.
Vabbè, ma è inutile che ve lo stia a spiegare a voi fancalcisti della prima ora: spesso nei film di HK c’è un momento così, no? Un piccolo sorpasso a destra delle classiche coordinate del genere per come è inteso da questa parte del mondo. Una scheggia impazzita che, per chi non è avvezzo, può mettere in crisi il gradimento generale del film. Ma noi ci siamo abituati, alziamo le mani, invochiamo la carta della “distanza culturale” e con la memoria corriamo al momento in cui per la prima volta abbiamo sentito Chow Yun-fat e Danny Lee chiamarsi Dumbo e Topolino nel finale di The Killer.
Però la sequenza di cui vi ho parlato è solo la punta dell’iceberg di un film interessantissimo. Raging Fire è l’ultimo lavoro del povero Benny Chan, regista che ha cominciato la sua carriera nel 1990 con A Moment of Romance, un action romantico interpretato da Andy Lau e prodotto dal già citato To, e che ha poi proseguito la sua carriera tra alti e bassi, tra un Big Bullet e un Rob-B-Hood, il confuso periodo di inizio secolo di Jackie Chan. Benny Chan s’è ammalto durante la lavorazione di questo film, ha comunque portato a termine le riprese per poi lasciare la post produzione in mani fidate. Poi, il 23 agosto del 2020 ha lasciato questo piano astrale. A noi regala però un bellissimo testamento, la sua versione di Heat di Michael Mann (ogni volta che link la rece di Darth Von Trier di questo film, sono contento), titolo che viene più volte evocato durante questo Raging Fire.
Come avete intuito, questa è una storia di vendetta. Sì, è anche un poliziesco, un sfrenato action movie che mette insieme ottime sequenze di mazzate, qualche sparatoria e un inseguimento strepitoso, ma è un film in cui alla fine ci sono semplicemente due uomini uno contro l’altro. Un film che si prende il suo tempo per raccontarci le motivazioni, i retroscena, le back stories che hanno portato questi due alla resa dei conti. Una storia che ci hanno raccontato più volte in mille modi diversi, e che non ci siamo mai stancati di sentire. Al compianto Benny Chan va il merito di aver avuto il coraggio di essersi confronato con un’eredità pesante come questa e di aver realizzato un film che cita volontariamente la golden age del poliziesco di HK – un po’ nostalgico, se vogliamo – ma che al tempo stesso ha il coraggio di guardare al futuro con una sua precisa spinta propulsiva. Forse sono proprio i momenti di ammirazione quasi religiosa nei confronti di Donnie Yen ad appesantirlo un po’, a renderlo – mi si perdoni l’espressione – “vecchiotto”. Al contrario Nicholas Tse, nel tratteggiare il suo cattivo, sembra muoversi molto più agilmente nel film, libero dalle catene di un personaggio ciecamente monodimensionale. Certo, magari ogni tanto esagera in faccette buffe da pazzo, ma è semplicemente un vortice di attenzione. Rendiamo grazie a Pier Maria Bocchi per averlo selezionato per le sue Le Stanze di Rol all’ultimo Torino Film Festival.
DVD-quote:
“Reinventing the Heroic Bloodshed”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
La citazione di “The Killer” mi ha fatto sudare dagli occhi. Conscio di sembrare Nonno Simpson, non posso non pensare ‘che tempi erano quelli!’
Complimentoni per la rece, e soprattutto per le tag finali…. ho cliccato per curiosità “appoggiarlo da tergo alle donzelle” ma non c’erano altri film linkati, peccato :-D
Comunque dai a Donnie Yen gli si vuole bene a prescindere ma ormai è un po’ una caricatura di se stesso, “il The Rock cinese” se vogliamo… capisco l’ego ma forse qualche personaggio meno monodimensionale potrebbe cercare di interpretarlo.
Detto questo…. la solita domanda: si trova su Netflix / Prime / Disney / ecc… ?
no vabbé la scena del calcio alla cabina telefonica é clamorosa rigá :D
“Toh, la stessa cabina di Piedone l’ Africano e Fantozzi subisce ancora, appena restaurata! E allora calcio volanteee!”. C’ è troppo irrispettosismo in questo film.
Piedone a HK.
Finisco la 3a stagione di narcos mexico e lo vedo.
“…e con la memoria corriamo al momento in cui per la prima volta abbiamo sentito Chow Yun-fat e Danny Lee chiamarsi Dumbo e Topolino nel finale di The Killer…”
Mi hai fatto letteralmente piangere, io c’ero e me la sono goduta tutta quella fantastica cinematografia.
Grazie per la bella recensione, ho proprio voglia di vederlo.
E io che pensavo che il titolo fosse un omaggio ai Club Dogo
Consigli sui film di Donnie da recuperare assolutamente? Ammetto di aver visto solo i suoi Ip-man e qualche video sul tubo. Dalla recensione mi pare di capire che è ora di colmare il mio vuoto.
Ciao,
intanto mi permetto di consigliarti i seguenti 3 capolavori più una tavanata simpatica ma tutti NON doppiati ITA:
SPL
Flashpoint
Iron Monkey
Sono i 3 capolavori
Dragon Tiger Gate è la tavanata simpatica
Ovviamente IMHO
Off Topic. Vista l’uscita di Diabolik, non ci starebbe una rece del Diabolik del 1968 di Bava? I nostri cinecomic.
Seconda richiesta: film di menare italian style. Bud & Terence. Un trinità? Lo so è banale..o altro. :)
E mi commento da solo. John Phillip Law e Marisa Mell avevano il phisique du role. Marinelli e Leone no, dal trailer. Ma spero fortissimamente di sbagliarmi. Mastandera ci sta.
Vez sei sempre un grande. Ti voglio bene.
Visto. Personalmente, ho riscontrato molti omaggi verso “Heat”, ma anche qualche scena che si rifà ad “American History X” e anche verso “Mission Impossible II” (il cattivo in Ducati). La monodimensionalità di Donnie Yen, e del suo quasi ottuso personaggio, mi ha fatto tifare apertamente per il cattivo, Nicholas Tse, che ha la giusta fazza a schiaffi per quel ruolo lì.
Mi è piaciuto tantissimo com’è stata fotografata Hong Kong, specie in certe panoramiche. Va da sé che la sospensione dell’incredulità c’è e volentieri, specie negli inseguimenti in auto, ma non è però sfacciata. Visto in lingua originale (cinese), è curiosa l’alternanza, ogni tanto, con termini squisitamente inglesi: location, thank you, ecc…. Ma forse mi stavo dimenticando che siamo a Hong Kong.
e come risponderà il calore di una persona, nel film https://altadefinizione1.onl/ e nello sviluppo della persona stessa?