Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
Buongiorno e benvenuti a quel momento in cui vi spieghiamo William Friedkin.
Per capirlo bisogna partire subito da un’informazione: a William Friedkin piacciono i soldi. Gli piacciono i soldi e gli piace il successo. Per conquistarli è pronto a tutto. Parliamo di una persona che disprezzava il padre perché non aveva avuto ambizioni e che ha girato un film e documentario sugli esorcismi affermando che è tutta roba vera.
Come molti cineasti della sua generazione inizia a lavorare in televisione, ma non nelle serie tv o nei documentari televisivi (cosa che pure farà poi) quanto proprio nella televisione dal vivo americana. Sembra qualcosa che non ha nulla a che vedere nel cinema, ma in realtà il ritmo della tv dal vivo, il continuo stacco da una camera all’altra, avere in testa tutti i punti di vista delle diverse videocamere per poter staccare tra una e l’altra quando serve, è uno dei dettagli che hanno aiutato alcuni di quei cineasti a cambiare il cinema. Almeno quelli formatisi in tv negli anni ‘60.
E a proposito di anni ‘60 ora Jackie Lang e Cicciolina Wertmüller faranno un riassunto, come solo loro nell’infinita maestria che li contraddistingue possono fare, dei quattro film girati da Friedkin prima del grande successo di Il braccio violento della legge. Quattro film non calciabili, anzi: leggenda vuole (ed è leggenda perché lo racconta Friedkin stesso, quindi c’è solo che da dubitare) che all’epoca di uno di questi quattro, Festa per il compleanno del caro amico Harold, Friedkin uscisse con la figlia di Howard Hawks solo per potersi avvicinare ad Howard Hawks. Una sera a cena a casa loro Hawks volle sapere che faceva e lui disse di essere un regista. Hawks, che era regista di western e film duri, chiese che film avesse fatto, e lui rispose Festa per il compleanno del caro amico Harold, di cui si era parlato nell’ambiente perché racconta senza pudori una storia di gay, e Hawks rispose solo: “Non sono quelli i film che devi fare, figliolo”. Quello successivo fu Il braccio violento della legge.
C’è da credergli? Mah… Di certo questi quattro film hanno in comune l’essere stati fatti per avere successo (ma senza ottenere un eccessivo successo) ed essere quattro film di cui non leggereste mai su queste pagine ma che invece trattiamo per quella bestia che va sotto il nome di COMPLETISMO.
A voi.
Good Times (1967)
Se volessimo chiamare questo film con un altro titolo questo potrebbe benissimo essere “Farei qualsiasi cosa pur di girare un primo film”. Chiariamo subito che siamo nel campo della follia anni ‘60, uno di quei film che possiamo spiegare solo con gli anni in cui è stato fatto e che in certo senso racconta anche la crisi del cinema di quegli anni, come non fosse in grado di parlare ad un pubblico davvero ampio.
Ci sono Sonny e Cher in un film sul fatto che Sonny e Cher vengono ingaggiati per un film che ancora non esiste, un film da farsi. In teoria è una parodia di diversi generi perché Sonny va a parlare con questo produttore spietato e gira per gli studios immaginando possibili film, tipo un western (comico), un noir (comico) ecc… ecc… Nella pratica vorrebbe essere un film rivoluzionario, tutto metalinguaggio e Cher che rimane a casa perché a lei i produttori non la convincono.
Dopo averci fatto vedere le varie ipotesi di film che potrebbe girare, tutte terribili, alla fine si rifiuteranno di girarlo al soldo di questo produttore che pensa solo al denaro e non ha la gioia di vivere di noi giovani capelloni e giusti, in una specie di istinto rivoluzionario senza nessuna rivoluzione. Un timido sussurrare di no al capitalismo mentre si torna a casa a godersi i proventi dei dischi.
Un film che appare davvero senza sceneggiatura e che racconta di un film da farsi del quale non c’è una sceneggiatura. Sarebbe tutto molto sagace se non fosse cosi poco sagace. Impossibile rintracciare qualcosa di Friedkin perché nemmeno il lavoro sugli attori è il suo, niente di niente. Ma tant’è. William Friedkin era riuscito a esordire e anche sfruttando la popolarità altrui! Punti opportunismo oltre le stelle.
Quella notte inventarono lo spogliarello (The Night They Raided Minsky’s, 1968)
Qui già siamo più in zona Friedkin, nella voglia sperimentare cose strane, dare fastidio, raccontare storie che attirino l’attenzione e manipolare il pubblico. Se Good Times non sembra un suo film, questo che esce solo un anno dopo si apre con un cartello che sembra proprio scritto di suo pugno. Uno che spiega già tutto il film che vedremo, cioè che è la storia di una donna religiosa che negli anni ‘20 involontariamente inventò lo spogliarello. E poi ripete di nuovo, scrivendolo un’altra volta, “religiosa” e “1925”. È Friedkin che si compiace di un pitch che nel 1968 faceva la felicità di qualsiasi produttore, con promesse di spogliarelli e pudicizia alternata a pruderie. Il film però non ha la stessa audacia, anzi, è un po’ un tipico film americano di fine anni ‘60 sul varietà, in cui vediamo la storia portata avanti in alternanza alle performance sul palco (con un fare più sperimentale di quello che 4 anni dopo avrebbe fatto il successo di Cabaret), che ingarbuglia le acque del racconto che si svolge in una sola giornata tra produzione dello spettacolo, lo spettacolo effettivo, le donne scosciate del burlesque anni ‘20 (non proprio avvenenti) e un continuo controcampo degli uomini allupati in platea che ridono e si divertono. Quei film di cui qualcuno ad un certo punto scrive che sono “una lettera d’amore all’avanspettacolo”. Invece è solo Friedkin che prende mano con la provocazione.
Tanto che alla fine poi un paio di tette ci sono (tiè! “E non dite che poi non faccio quel che prometto!”). Nel complesso è un film in cui quell’approccio molto duro da Friedkin è ancora timido: vuole rompere schemi e andare oltre a quanto fatto ma non ne ha davvero modo. Sperimenta moltissimo con il materiale di repertorio alternando immagini vere degli anni ‘20 con quelle girate in studio in bianco e nero che poi diventano a colori, per dare l’illusione che sia tutta una carrellata di immagini degli anni ‘20 che poi diventano il film, come se l’ambientazione fasulla potesse confondersi con quella vera del repertorio. Ci sono insomma tutta una serie di modi di fare e di sgomitare che sognano un cinema molto più audace di così. Uno che non si limiti a mettere in scena una ragazza amish, bellissima, in un luogo di lupi, ma che vuole farlo per sconvolgere il pubblico.
Alla fine questo è un film convenzionale in cui la ragazza smarrita si rivela figura eroica. Sballottata nelle mani di diversi uomini per tutto il tempo alla fine avrà modo di vincere l’incontro finale, cioè di mettere a segno la performance che zittisce tutti e affermare la propria supremazia e indipendenza. Che è l’esatto contrario di quel che sarà Il braccio violento della legge, che questo schema lo distrugge.
Di nuovo però c’è la maniera in cui Friedkin legge il suo tempo, all’insegna del cambio, del mutamento e della rivoluzione antisistema. Con una compagnia che è felice alla fine di essere arrestata tra gli applausi, e un establishment bacchettone che noi possiamo disprezzare nella sua stupidità. Erano gli anni dei film da controcultura e quindi faremo controcultura. E poi c’è la passione per fare davvero le cose, per filmare qualcosa che avviene sul serio e le vere maestrie, come quella dei veri performer e del vero pubblico.
Festa di compleanno (The Birthday Party, 1968)
Dopo aver imparato dove piazzare la macchina da presa, il giovane Friedkin deve imparare a raccontare una storia; ovvero, dominare una sceneggiatura e dirigere gli attori. Per cui si lancia in un “love project” di cui tuttora serba un buon ricordo: The Birthday Party, tratto da una pièce mai pubblicata (ai tempi) di Harold Pinter. Chiama lo stesso Pinter per adattare il copione allo schermo, assolda i cinque attori che vuole lui (fra cui Robert Shaw pre-Squalo e Patrick Magee pre-Arancia Meccanica) e si esercita a fare una cosa che scopre riuscirgli benissimo: creare tensione.
Stanley è una sorta di Titta di Girolamo costretto all’esilio presso un anonimo affittacamere in una anonima cottadina costiera inglese (forse Brighton? Citano un “palace” e un “pier”…); racconta alla padrona di casa, Meg, di essere un pianista fallito; Meg riporta la storia al marito Petey, che forse intuisce che forse c’è qualcos’altro sotto. Un giorno arrivano altri due clienti: il distinto, gioviale signor Goldberg e il truce McCann; e Stanley cade in preda al terrore. Perché? Ovviamente Pinter non ce lo dice. Ma i due nuovi arrivati hanno chiaramente una missione da svolgere, cioè piegare Stanley al loro volere fino a fargli perdere la ragione e ridurlo alla catatonia. Friedkin concentra tutta l’azione in spazi angusti e manovra la macchina da presa in modo febrile mentre i personaggi mitragliano le loro battute con un ritmo da slapstick comedy (da cui si deduce l’ammirazione del regista per Howard Hawks) ma con un effetto straniante e minaccioso.
Il nucleo del “secondo atto” del film è la festa per il compleanno del caro amico Stanley (che protesta: non è il suo compleanno! Ma nessuno lo ascolta) e improvvisamente questa commedia dell’assurdo diventa un film horror. Patrick Magee che gioca a mosca cieca e distrugge il tinello è un concentrato di malvagità e sadismo; mentre la sottosequenza seguente, illuminata solo da una torcia che trema e corre impazzita, non lascia alcun dubbio sulla strada che Friedkin prenderà in futuro: a ben vedere, il nocciolo de L’Esorcista è tutto qua. Allucinato, allucinante, The Birthday Party segue con precisione entomologica due criminali demoniaci che “fanno la festa” a un poveraccio; se McCann è una furia con la museruola, Goldberg è soave, istrionico, controllato, ma spietato all’occorrenza, come lo sarà anni dopo il suo degno erede: Killer Joe Cooper.
Festa per il Compleanno del Caro Amico Harold (The Boys in the Band, 1970)
Mart Crowley è un autore teatrale gay newyorkese; ha scritto una pièce molto intensa e di successo, The Boys in the Band, e ora gli propongono di trarne una versione cinematografica. D’accordo, risponde Crowley, ma a due condizioni: prima di tutto vuole lo stesso cast della versione di Broadway, nessuno escluso; e poi vuole che a dirigere il film venga quel tizio che ha fatto il film di Pinter tutto in una stanza.
Friedkin accetta con piacere, non tanto per affinità col mondo gay (ma questo è un tema complesso su cui tornerò), quanto perché il copione gli permette di affinare due dei temi che lo affascinano di più: i demoni interiori e i corpi maschili tesi allo spasimo, a un passo dall’esplodere – come dimostrerà, solo due anni dopo, il lavoro titanico compiuto da Gene Hackman ne Il Braccio Violento della Legge, una delle migliori performance della storia del cinema.
Pur nel contesto di un melodramma collettivo in cui i protagonisti portano a galla rimpianti, insicurezze, sensi di colpa legati alla loro sessualità e alla società repressiva in cui vivono (la pièce originale risale ad appena prima della rivolta dello Stonewall), Friedkin trova un linguaggio fisico preciso per ognuno dei corpi attoriali in scena e li fa muovere velocemente, nervosamente, ancora una volta nei confini angusti di un appartamento – l’entrata in scena di Harold è emblematica e inquietante. Chiaramente non siamo di fronte a un film calcista, ma è la dimostrazione che il regista è ormai in grado di padroneggiare un cast numeroso, di orchestrarne le azioni e i movimenti, e di far risaltare tutta la tensione presente nel copione con sincerità e senza compromessi.
Al netto delle miopi accuse di omofobia (un film scritto da un gay partendo da esperienze personali, interpretato quasi interamente da un cast gay di cui la metà morirà di AIDS pochi anni dopo: ma di che cosa stiamo parlando? Suvvia), il risultato è un film tuttora considerato importante e fondante per il suo pubblico d’elezione, cioè la comunità omosessuale, la cui grande maggioranza lo considera “il film che mi ha aiutato a fare coming out”. Merito del materiale incandescente di partenza, certo, ma anche di Friedkin; il quale tornerà a parlare di mondo gay dieci anni dopo, con Cruising, da una prospettiva diversa e con risultati stupefacenti.
Il migliore. French Connection e Live and Die in LA sono tuttora tra i miei film preferiti di sempre. Non ho ancora letto il vostro articolo, ho visto il titolo e mi e’ bastato. Grazie!
La rece è un pò criptica per chi come me non ha visto questi film. La rileggerò. con calma. Comunque , come dissi in una delle mie prime uscite, mi piacete quando fate queste cose: Eccezioni meritevoli.
Proprio l’altro giorno mi stavo dicendo: “Ma i regaz dei 400 Calci faranno un nuovo Le Basi?”.
Grazie ragazzi (detto a mo di coro da stadio)!
Fantastico. Un uomo che da solo ha cambiato per tre almeno tre volte la storia del cinema.
Grazie per questa retrospettiva sui film di inizio carriera, recupererò almeno gli ultimi due.
Grazie
Bene bene, aspetto con ansia che parliate de “Il salario della paura” e di “Vivere e morire a Los Angeles”!
Che dire, questi 4 film non li conosco ma, anche se penso che in realtà non li vedrò mai, un pò di curiosità me l’avete fatta venire.
Ed ora aspettiamo i capolavori della storia del cinema girati da questo titanico autore.
Mah, la mia domanda è semplice o forse no: come può un film tacciato di omofobia ( e non lo dite solo voi, ma praticamente tutti ) , diventare ispirazione per trovare il coraggio per fare coming out? Mi aspetterei una cosa del genere da (cito pellicole che ho visto) Boys don’t cry, Philadelphia, Milk, etc . Il trucco qui dove sta?
Eccomi, eccomi, arrivo a rispondere! Chuck, ti ha in parte già risposto Pier: questo non è un film omofobo, è un film che descrive un gruppo di persone e il loro rapporto con l’omosessualità. C’è chi la ostenta sfrontatamente, chi la nasconde, chi la vive male perché si sente in colpa di fronte alla religione, chi la vive tranquillamente e positivamente, chi deve prendere una decisione e confessarlo alla famiglia… E’ un campionario di problemi reali e dannatamente attuali, persino al giorno d’oggi. Il film (la pièce) non dà giudizi o risposte su “come fare” a essere omosessuali, perché sarebbe ipocrita e semplicistico; però se uno spettatore si sente toccato personalmente dai personaggi, questo “come fare” lo risolve da sé, a modo suo. In questo senso si può dire che sia un film “terapeutico”, nel senso che ti mette di fronte a uno specchio di fronte a cui, se sei gay, non puoi restare indifferente. Avevo pensato di scrivere queste cose nel corpo della recensione ma poi ho pensato che fossero fuori posto, dal momento che non è un film calcistico – parlerò più a fondo della questione della rappresentazione dell’omosessualità e del “negativo” nella recensione di Cruising, quando arriverà.
Quando dici “terapeutico” penso a Woody Allen. Il mio terapeuta.
Thanks Cicciolina e anche Pier per osmosi, Diciamo che , se ho capito bene, non è un film in cui c’è una rivincita dell’ omosessualità sul resto del mondo, ma un film in cui c’ è una rappresentazione a 360 gradi e uno ci si può immedesimare e magari capire che non è solo. Spero di aver centrato il vostro sunto.
Porgo distinti speriamo.
Un nuovo Le Basi? E su Friedkin? Natale è in larghissimo anticipo quest’anno!
“…Patrick Magee post-Arancia Meccanica”
Ma Arancia Meccanica non è successivo?
Azz! Lo è. Grazie per averlo notato e scusa per la distrazione, ora correggo.
Che bella introduzione, complimenti
Sto guardando ora The Boys in the Band, di cui avevo spesso sentito parlare ma che non avevo mai iniziato: notevolissimo. Grazie mille.
Ho visto di recente Sorcerer, e mi sono chiesto, ma i400 faranno mai un Le Basi su Friedkin?
GRAZIE
Grazie di cuore. Spero sia l’inizio di un ciclo che porterà ad allargare il giro delle Basi, dopo Friedkin mi aspetto Walter Hill e John Carpenter, come tanti di noi chiedono da anni
Ce lo chiede l’Europa
https://www.youtube.com/watch?v=aNUonUzo3Lg
Buon pomeriggio. A tutti.
Grandissima idea, complimenti.
Dunque, qui siamo davvero agli inizi degli inizi.
Qualcosa già si intravede, soprattutto in FESTA DI COMPLEANNO (chissà perché mi viene in mente MADRE!, pensando ad una situazione inizialmente tranquilla che via via sbrocca man mano che arrivano tizi sempre più strani).
Il film con Sonny e Cher lo definirei indecifrabile.
La classica situazione in cui hai una montagna di girato e riesci a malapena a cavarci fuori qualcosa di utile.
Sono troppo vecchio per questa merda
Spazio al maestro Friedkin e parte la hola!
Però non credo di aver capito la frase “The Birthday Party, tratto da una pièce mai pubblicata di Harold Pinter”. Cioè, è LA pièce di Pinter, la più conosciuta, la più rappresentata, la più letta.
Uh, giusta osservazione! Bravo a notarlo, mi era sfuggito l’anacronismo.
Modestamente il ragazzo lavorò con me.
Ho fatto la comparsa nell’Aida al Regio di Torino con lui regista. Non mi rivolse mai una parola, ma mi strinse la mano e mi firmò il dvd de l’esorcista e di Killer Joe.
Son soddisfazioni.
Ah. Ho visto il remake di “the boys in the band” del 2020 ( regia di Joe Mantello). Non quello di Friedkin. Mi è piaciuto ( e non sono gay, e non bisogna essere gay per apprezzare la piece di Crowley).
really???
@Halal. Really. Lunga vita e prosperità. :)
Per me questa rubrica è fondamentale perché mi mancano LE BASI.
Il GRAZIE di apprezzamento è d’obbligo!
La fusione tra sacro e profano, serio e faceto, presente e passato, è quello che vi rende il miglior sito di cinema di sempre.
Ragazzi, grande ritorno delle Basi con un mostro sacro come Friedkin ma non si potrebbe rispolverare lo special Ricercati ufficialmente morti con un film calciabilissimo e dimenticato come Ricochet (Verdetto Finale)??
Sono arrivata fendendo il chaptcha con il petto solo per dirvi grazie
Peccato che questi quattro film di William siano introvabili, anche se non demordo, essendo un convinto estimatore del regista di Chicago ho recuperato anni fà Bug sottovalutato horror paranoico esistenziale e anche Hunted. Spero di redimermi nei confronti del maestro e di recuperare TUTTO il salario della paura è inarrivabile. Buona visione a tutti.
Mah, la mia domanda è semplice o forse no: come può un film tacciato di omofobia ( e non lo dite solo voi, ma praticamente tutti ) , diventare ispirazione per trovare il coraggio per fare coming out? Mi aspetterei una cosa del genere da (cito pellicole che ho visto) Boys don’t cry, Philadelphia, Milk, etc . Il trucco qui dove sta?
(scusate il commento fotocopia più sù. Mouse di merda )
Porgo gaiose questioni.
La prima reazione a questa domanda è: maddechè? macchi? maqquandomai?
Alfonso, da sinistra verso destra, dall’ alto verso il basso, ci si può aiutare con un righello, ma così hanno scritto.
Porgo cordiale girogirotondo.
Che poi cito Boys Don’T Cry , ma vedere una massacrata di botte magari la voglia di comingouttare te la fa passare…Tengo Latte e Formaggiospalmabile, ma la domanda su I ragazzi del gruppo , quella resta.
Porgo cordiali dubbicuriosità.
Non avendo visto il film di Friedkin non posso rispondere. Leggo su wikipedia che “il film è stato oggetto di polemiche per aver tracciato un ritratto molto negativo e pessimistico degli omosessuali”. La versione del 2020 fa vedere un gruppo di persone, qualcuno più stronzo dell’altro. Non è che sono gli omosessuali a essere stronzi. Alcune PERSONE lo sono. Sono persone diverse, amici accomunati da un’unica cosa: la propria omosessualità. Alcuni detestabili altri no. Credo che un film così possa in effetti aiutare qualcuno a fare coming out.
Ciacco, mi spiace per il leggero sarcasmo immotivato. È vero che ci sono state alcune polemiche ma solo nel passato (una volta ho anche letto che Apocalypse Now era un film militarista).
L’accusa è ormai tanto ridicola che più nessuno ne fa accenno se non per dirsi “ah il tempo che passa” .
Poi comparare un film (e, ricordiamo soprattutto un’opera teatrale a cui la pellicola è fedelissima) uscito nel 1970, pre-Stonewall (e che anzi sembra aver partecipato a creare una coscienza comune della condizione omosessuale che è alla base della rivolta) ad altri film usciti venti/trent’anni dopo, è un po’ pretestuoso. Boys don’t cry ha una storia e un tessuto sociale lontano anni luce da I ragazzi del gruppo – Manhattan vs White Trash del Nebraska, gruppo di amici da una parte, transgender biologicamente femmina che vive nel terrore di essere scoperta dall’altra, e si potrebbe continuare.
Per tornare al Maestro, le vere polemiche arriveranno più tardi con Cruising, e lì il malinteso sarà ancora quasi inevitabile visti tema, storia e ambientazione.
Ma infatti Boys Don’t Cry come esempio l’ ho scazzato. La mia teoria era che un film che ti dà il coraggio di fare coming out debba avere un didascalico PRIDE sopra a ogni dialogo, con tanto di vittoria finale. Mi hanno spiegato che qui invece siamo più sul non sentirsi mai più un’ unità, ma una comunità.
Porgo saluti da amici comuni.
Strana teoria, spero che quell'”era” sia definitivo. I film che lanciano teorie e messaggi in genere sono una ciofeca. L’idea di film con la didascalia Pride è un incubo. Ormai la necessità di storicizzare, ossia di leggere un’opera nel contesto in cui è stata creata, non è più un’evidenza. Nel 1970 gli omosessuali non erano nemmeno percepiti come essere umani, non solo dai montanari del Wisconsin, ma dalla stragrande maggioranza della gente. I ragazzi del gruppo racconta le storie di esseri umani, interessanti, simpatici o stronzi come sono gli esseri umani, con un vissuto mai visto prima solo schermo, fino a un punto di massima tensione drammatica (che è quello che a Friedkin interessa per il film).
Be’, ci sono film e film. Alcuni lanciano messaggi e sono ciofeche, come dici tu, altri sono capolavori o almeno salvabili. Io quando vidi da adolescente brufoloso Formaggiospalmabile in vuaccaesse piratata, cominciai a capire quanto fosse osceno far battute sull’ aids. E tieni conto che ero un fascistello omofobo in una città fascistella e omofoba. Oggi per fortuna sono l’ opposto, un po’ perchè si cresce, un po’ perchè la città è diventata meno fascistella e meno omofoba, ma soprattutto perchè ho visto, ho letto, ho conosciuto (dove per conosciuto intendo persone che per il loro essere hanno subito le peggiori cose). La teoria resta valida, imho, se una pellicola è fatta bene e riesce a smuovere qualcosa nello spettatore. La smossa può anche venire per pellicole orrende. Per colpa del film di Hokuto No Ken, per dire, ho smesso (per un po’) di credere di poter far esplodere le persone. ;-)
Porgo cordiali seigiàmorto.
Ok, non è (ancora) il Le Basi di Carpenter ma anche questa rassegna promette di essere tantissima roba. Tempo fa mi sono concesso un #400primer in solitaria su Twitter scoprendo Sorcerer e Vivere e morire a L. A. e mi sono reso conto di quanto il buon Friedkin sia così centrale per la formazione del cinema che piace a noi. Aspetto con ansia e un certo fomento le prossime puntate.
P. S., perché sono bastardo: ma sto demone dompletismo non è che potrebbe ma
Ehm. Dicevo: sto demone del Completismo potrebbe essere così gentile da farvi scrivere due righe anche su Alí, l’unico film di menare (non accetto obiezioni che non sia di menare un film su Muhammad Alí) che ai tempi rimase scoperto nella gloriosa rassegna Le Basi su Michael Mann?
Ehm. Dicevo: sto demone del Completismo potrebbe essere così gentile da farvi scrivere due righe anche su Alí, l’unico film di menare (non accetto obiezioni che non sia di menare un film su Muhammad Alí) che ai tempi rimase scoperto nella gloriosa rassegna Le Basi su Michael Mann?
Il miglior film sulla boxe mai fatto. Le migliori scene. Will Smith da Oscar, il dramma dei neri d’ America negli anni 60-70 rappresentato alla grande… e Hollywood cosa fece? Oscarificò uno dei due unici bianchi del cast.
Porgo distinte bastardate.
Mi permetto di citare “Rocco e i suoi fratelli” come film sulla boxe, anche se non è intuitivo. In una Milano del dopoguerra, in una sgangherata palestra, con Paolo Stoppa allenatore, due fratelli cercano di trovare riscatto dalla miseria. Non lo troveranno. Le poche scene di combattimento forse non possono competere con altri film del genere (Toro Scatenato ad esempio). Ma lo spirito della boxe, quella storia di poveri dei bassifondi, C’è tutta.
Siamo in o.t. quindi sarò rapido e la chiudiamo qui. Con “migliori scene” non intendo “cose attorno al ring”. Alì per inquadrature, movenze, riproposizione di scene reali e sensazione di vedere un vero incontro, sta sopra a tutti. Un lavoro pazzesco. Tutto il resto è spanne sotto. Grazie per la risposta sul film nuovo dei ragazzi della banda, ma mi resta la curiosità (non avendolo visto se non a spezzoni sul tubo) , per quello vecchio e la correlazione col coming out, viste le accuse. Non è una provocazione, è solo voglia di sapere.
Porgo destri d’ incontro.
Praticamente Natale in anticipo di un anno. Grazie ragazzi, il maestro Friedkin meritava un “le basi”.
Chiaramente subito dopo aspettiamo Carpenter, come ho già letto .
Grazie ci vorrebbero più approfondimenti di questo tipo.
Non vedo l’ora di leggere il seguito, la parte su ‘cruising’ potrebbe essere la versione in negativo della ‘festa di compleanno per ilc aro amico harold’, quasi un prenderne le distanze per certi versi.