Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
“I tuoi film sono pidocchiosi. A un certo punto rimarrai a corto di film, gli dissi. Non te ne lasceranno fare, a meno che tu non ci metta qualcosa che il pubblico voglia assolutamente vedere… Qualcosa di avvincente! Pare che alla gente piacciano le scene di inseguimenti. Fai un bell’inseguimento, ecco! Fanne uno, ma migliore di qualsiasi altro fatto prima… Questo gli dissi e, in French Connection, lo fece.”
Howard Hawks ricordando una conversazione con William Friedkin, da “Hawks on Hawks”, J. McBride, 1982
Queste parole, che un drastico Howard Hawks rivolgeva a un giovane William Friedkin in procinto di diventare uno dei grandi autori della sua generazione, sanciscono un paio livelli con cui iniziare a capire Il braccio violento della legge.
Il primo livello è quello del contesto che ci fornisce: siamo nel 1970, all’alba di quella stagione che verrà chiamata New Hollywood, il vecchio cinema hollywoodiano stava cambiando per sempre e una nuova generazione lo stava (spesso inconsapevolmente) salvando da un rapido declino e salvando, rivoluzionandoli, anche tutti i suoi generi classici; tra questi ovviamente c’era il Poliziesco.
A quasi ottant’anni di età, il veterano Hawks stava sancendo, non senza una certa crudezza, un passaggio di consegne: da un vecchio Maestro dell’intrattenimento a un giovane regista che si formava, devoto fan della Classic Hollywood, in procinto di fare il film della sua vita.
Il poliziesco poi, alla fine degli anni sessanta, era declinato sotto varie pressioni, principalmente sfiancato dal famigerato Hays Code, vigente dal 1934 al 1968. Non aveva quindi potuto vivere delle contraddizioni, delle tinte forti e delle zone grigie di cui è intriso irrimediabilmente, andandosi a fare via via sempre più blando, generando un progressivo disinteresse di pubblico e produzioni e rimanendo confinato perlopiù negli sceneggiati televisivi e radiofonici à-la Dragnet. Serviva qualcosa di più di una buona storia per renderlo attraente.
Il secondo livello a cui questo ci porta è quindi quello dell’obiettivo, del mestiere: vuoi fare un poliziesco diverso, vuoi riscriverne le regole mentre riprendi il filo interrottosi dagli anni trenta fino al 1968? Devi metterci un’esca, devi metterci il sale, devi metterci qualcosa che cambierà le regole tanto quanto il film stesso; se vuoi riportare la gente al cinema a vedere un film innovativo, devi attrarre il pubblico con qualcosa di attraente e familiare, alla gente non importa sulle prime di quanto è ben scritto il film, devi attirarla con una scena imperdibile, magari un inseguimento! Perché quelli, si sa, funzionano sempre. Questo dice Hawks: pena, l’oblio nel girone dei “film pidocchiosi”. Bell’impresa: nel 1970 c’era già stato Bullitt, l’anno precedente, che aveva imposto a standard aureo una delle scene di inseguimento automobilistiche tutt’ora più importanti della storia del Cinema, aveva sancito un Sex Symbol come Steve McQueen e al contempo rilanciato il genere. Tutto poi con lo stesso produttore, Phillip D’Antoni, che a Friedkin darà meno della metà della metà del budget: 1,8 milioni di dollari contro gli 8 per Bullitt.
Quindi: un film complesso, in un momento storico turbolento e di enormi cambiamenti per il Cinema e la società statunitensi, di un genere in rianimazione dopo lustri di fiacca, con un budget esiguo, per un giovane autore che aveva al suo attivo dei documentari, un neo-noir e due musical, che Hawks definiva “pidocchiosi”. Non male come premesse, no? Cosa potrebbe peggiorarle? Ah, sì: adattarlo da un libro di pura cronaca poliziesca, procedurale, senza azione. Altro? No, dai… Anzi, sì: come protagonista c’è un personaggio con cui è abbastanza difficile empatizzare, uno protagonista sbirro, collerico, un po’ razzista, indolente e violento proprio negli anni caldi del Question Authority di massa e dei tumulti razziali.
A posto, possiamo partire.
Nel 1969 Friedkin incontrò il produttore D’Antoni, che gli sottopose un potenziale film tratto da un libro uscito quell’anno. Il libro raccontava la nascita e lo sviluppo della più grossa operazione di sequestro di narcotici negli Stati Uniti fino ad allora (trentadue milioni di dollari), che era nata in seguito all’inchiesta chiamata appunto The French Connection. I protagonisti sono i veri detective Eddie “Popeye” Egan e Sonny Grosso nella loro caccia fino all’ultimo respiro del trafficante francese Jean Jehan, mese dopo mese, fino al sequestro e all’arresto dei coinvolti.
D’Antoni disse a Friedkin che era ottimo come materiale grezzo per un adattamento cinematografico, gli servivano giusto un po’ di azione e magari qualche inseguimento in macchina… Fu lì che a Friedkin tornò in mente la conversazione con Hawks avuta pochi anni prima, e capì che era l’occasione giusta per seguire il suo consiglio. Hawks di azione se ne intendeva, al di là dei film di genere nello specifico era un regista che veniva dal muto, dove l’azione era letteralmente verbo, dove il movimento, in senso lato, non era accessorio ma era tutto. Il suo consiglio poteva apparire spicciolo ma dietro la brutale onestà c’era non la voglia di sminuire e nemmeno una banale considerazione di mestiere, c’era una regola d’oro che il giovane regista recepì con convinzione. L’adattamento del libro, dopo due stesure non soddisfacenti, venne affidato a Ernest Tidyman, creatore di Shaft e futuro sceneggiatore dell’omonimo film, ai tempi reporter di cronaca nera presso il New York Times. Tidyman iniettò un po’ di turbolenze dell’epoca, cosa nella quale era ferratissimo, in una storia altrimenti fatta principalmente di cronaca e tabulati, appostamenti e sbobinamenti di intercettazioni ambientali, per quattro lunghi mesi. Se l’inseguimento era stato cruciale per l’appetibilità del film, fu l’aspetto d’indagine, d’inchiesta, realistico e puntuale, a essere la chiave di volta che fece trovare la quadra narrativa giusta al regista. Questo taglio cronicistico gli ricordò un film di Costa Gavras: Z- L’orgia del potere. Anche per Friedkin, come per tutti i giovani registi della nuova Hollywood, fu quindi importantissimo l’incontro col nuovo cinema francese della Nouvelle Vague.
“Dopo aver visto Z, capii come avrei potuto girare Il braccio violento della legge. Perché Costa-Gavras ha girato Z come fosse un documentario, anche se era una storia inventata la girò come se fosse successa davvero, lì, mentre veniva girato. Come se l’operatore non sapesse cosa sarebbe successo di lì a poco. E questo è un effetto dato da una tecnica , sembra che avvenga durante la scena e che sia immortalato come in un documentario. I miei primi film erano documentari, quindi da documentarista capii che cosa stesse facendo ma fino ad allora non pensavo si potesse fare in un film per le sale”.
William Friedkin sull’ispirazione del film, nel commento audio per il DVD del film
Il poliziesco americano rivisitato di Friedkin partiva quindi da coordinate cinematografiche insolite per il genere, che sarebbero state integrate con le sapidità dell’adattamento di Tidyman. Adesso che le linee guida gli erano chiare, il budget per quanto esiguo era stanziato e c’era una sceneggiatura più che solida, al regista mancava un protagonista.
Inizialmente l’attore pensato dalla produzione per il ruolo era Paul Newman, probabilmente per via della sua interpretazione del 1966 nel ruolo del detective sciatto e caustico in Harper, ma il budget del film non avrebbe permesso un ingaggio così alto nella A-List.
Si pensò allora a Steve McQueen, per rimanere in scuderia D’Antoni per il quale aveva già girato Bullitt, ma l’attore non voleva tornare sul genere per evitare il typecasting e non bruciare la sua carriera ormai in decollo. Da qui una girandola di nomi, alcuni classici del duro hollywoodiano come Lee Marvin, Charles Bronson, James Caan e addirittura Robert Mitchum, come anche dei nomi più insoliti per la tipologia di personaggio come il corpulento Jackie Gleeson e Peter Boyle. Gene Hackman fu una delle prime scelte di Friedkin ma, sebbene interessato, l’attore fu osteggiato come prima scelta dalla produzione perché non lo reputavano adatto.
La scelta di una faccia “normale” come quella di Hackman, così come quelle di tutti gli altri personaggi, veniva vista come poco carismatica dalla produzione ma fu invece una delle idee più intelligenti, la scelta vincente. Se il film voleva essere di rottura per il genere, con una netta impronta realistica, dalla storia alla tecnica di regia, non poteva ricorrere ai casting soliti, ai divi. Non poteva adagiarsi sullo stilema del “cool cop” in voga da tempo, di cui facevano parte anche i coevi McQueen e Eastwood (con L’uomo dalla cravatta di cuoio nel 1969 e Callaghan lo stesso anno di Il braccio violento della legge), men che mai il Frank Sinatra detective di Inchiesta pericolosa, del 1968. A dare un taglio più realistico ci provò sempre nel 1968 Don Siegel, con Richard Widmark e il suo ruvido detective Madigan in Squadra omicidi: sparate a vista!, ma siamo ancora lontano dal poliziesco scostante, street level, di strada, che Friedkin aveva in mente.
“Ho sempre pensato di essere una “faccia di patata” ma adesso, a quarantuno anni, capisco che servono anche quelle! Per tanti anni ho pensato di poter fare soltanto il caratterista o l’attore di supporto, di film in film finché non sarei finito a fare la televisione.”
Gene Hackman sulla sua carriera, intervistato da Bob Thomas per Associated Press nel 1972
Faccia di patata o meno, Hackman, aveva la normalità perfetta per un personaggio obliquo come Doyle: piazzato ma non un energumeno, maturo ma non vecchio, capace di grande violenza ma anche di goffaggine, di indolenza ma anche determinazione, senza soluzione di continuità tra un ghigno e un ringhio, incarnando senza sforzo l’eroe comune o la banalità del male a seconda delle occasioni e degli osservatori. Sulla facilità di incarnare figure spiacevoli dietro l’aspetto assolutamente normale Hackman ha fatto parte della sua fortuna, interpretando nei decenni seguenti potenti corrotti, avvocati disonesti, persone con un senso della morale distorto e così via. Con Doyle incarnava perfettamente il vecchio knickerbocker, il newyorkese, forse irlandese, che si cura poco e beve troppo, un tipo hard as nails come si dice negli USA. Vestito come un Jack Webb che ha dormito con gli indumenti indosso, si muove negli anni settanta con la cravatta allentata e il porkpie sgualcito calato sulla testa, rabbioso e fuori posto, tra un pestaggio di delinquenti comuni e un hangover: è il fantasma sgualcito dei poliziotti tutti d’un pezzo degli show televisivi e radiofonici degli anni cinquanta e sessanta. Principalmente, però, il tenente Jimmy “Popeye” Doyle è un personaggio con cui è difficile empatizzare, è un passo oltre l’antieroe eastwoodiano e molto lontano dai poliziotti maverick alla McQueen. È decisamente un tipo difficile da farsi piacere, se non proprio sgradevole, in primis proprio per Gene Hackman.
“Eddie Egan è un mostro! Dobbiamo cercare di umanizzarlo in qualche modo…”
Gene Hackman intervistato per “Poughkeepsie Shuffle: Tracing the French Connection.” BBC, 2000
Per prepararsi al film ed entrare nel realismo “da documentario” del libro, che Friedkin voleva trasporre, Hackman e il suo coprotagonista, Roy Scheider, andarono per un mese in pattuglia con il vero James “Popeye” Doyle, il massiccio detective del NYPD Eddie Egan, che era ancora in servizio e insieme al collega Russo appare nel film, oltre che come consulente, anche come un superiore dei due protagonisti.
Da subito, standoci a stretto contatto per mesi, Hackman e Friedkin capirono che il vero Doyle era una persona che non sarebbe mai potuta diventare il protagonista di un film hollywoodiano di allora: spiccio, rozzo, violento, pieno di rabbia repressa e cattiveria malcelata, ossessivo nel suo lavoro, zelante fino al persecutorio. Hackman alla fine sviluppò un certo ribrezzo per Egan, dubitando di poter riuscire a rendere un personaggio così antipatico, e arrivò a chiedere a Friedkin di ripensare il personaggio, di renderlo meno sgradevole, di umanizzarlo, incontrando però il fermo rifiuto del regista. Questo portò a una tensione iniziale anche tra Hackman e Friedkin, che generò anche una difficoltà nel girare, perché Hackman non riusciva a entrare nella parte; ad esempio, la famosa scena della retata nel bar all’inizio del film, col pestaggio dell’informatore, venne girata inizialmente molte volte e sempre cestinata perché Hackman/Doyle non aveva la giusta cattiveria, non era abbastanza prepotente e violento. Venne rigirata, in una volta sola, a fine film: il bonario Hackman era finalmente diventato il sordido e violento Doyle/Egan. Inversamente, tra Hackman e Scheider scattò un’amicizia che risultò in un vivido senso di reale cameratismo nel film.
Lo spietato e imprendibile narcotrafficante francese, Alain Charnier, verrà interpretato da un sulfureo Fernando Rey in seguito a un’incomprensione con l’agente del casting. Friedkin voleva per la parte Francisco Rabal, che vide nel 1967 in Bella di giorno di Bunuel: non ricordando il nome chiese “l’attore spagnolo che ha fatto i film di Bunuel”, col risultato di vedere contattato Fernando Rey che aveva recitato in più film di Bunuel rispetto a Rabal. L’errore fu fortuito, alla fine, perché Rey si rivelò perfetto e venne tenuto come protagonista.
Per la fotografia, cruciale per il risultato del film, venne scelto il quasi esordiente Owen Roizman, proveniente dalla pubblicità e destinato a grandi successi nel cinema. Si troverà con l’esposimetro in mano anche per L’Esorcista sempre con Friedkin e per film come I tre giorni del Condor, Provaci ancora Sam, Il colpo della metropolitana, Fuori Orario, Tootsie. Per Il braccio violento della legge, suo secondo film, vincerà l’Oscar per la migliore fotografia nel 1972.
“Un giovane regista di nome Billy Friedkin cercava un direttore della fotografia per Il braccio violento della legge, venni raccomandato da Dick Di Bona (un produttore ndr) e gli feci vedere i miei reel commerciali. Friedkin ne vide quattro poi diede lo stop al proiezionista e mi disse: ”È tutta roba veramente molto buona, ma sono pubblicità e tutto è ben illuminato, brillante, stilizzato… Io voglio che Il braccio violento della legge abbia uno stile da documentario, crudo, realistico, ruvido. Pensi di saperlo fare?”. Io risposi: “Certo, sono un direttore della fotografia., so fare tutto quello che mi chiedi!”. Credo che apprezzò la mia spavalderia, perché mi assunse sulla fiducia.
Owen Roizman in un’intervista del 2008
Roizman, per raggiungere lo scopo, sfruttò per il film un limite tecnico dell’epoca a vantaggio dell’espressività: le pellicole per i film a colori al tempo erano a esposizione lenta, sotto i 100 ASA (lo standard precedente all’ISO), questo si traduceva nel fatto che per avere una fotografia nitida c’era bisogno di esposizioni lente e molta luce, col risultato della tipica fotografia brillante dei film degli anni cinquanta e sessanta. La Kodak stava commercializzando le prime pellicole a colori a esposizione rapida, iper sensibili alla luce e quindi adatte a girare massimizzando ogni illuminazione disponibile, anche in luce naturale. Il “problema” di queste pellicole era la presenza di una vistosa grana, di una certa pastosità delle immagini e di accentuati contrasti. Era molto usata, per via della sua versatilità di utilizzo, guarda caso, nei documentari.
Il film venne interamente girato con una pellicola da presa diretta, che non pettinasse la realtà della New York fredda e sporca dei primi anni settanta ma che anzi ne accentuasse le ombre e che ammantasse tutto di un granuloso realismo, come se fosse ripreso tutto con la luce naturale. Questo accorgimento permise di girare in condizioni estreme di ripresa e creò quella pastosità, quell’effetto “instant”, quella grana appunto, tipica del cinema americano degli anni settanta che verrà.
“Nessuno pensava che sarebbe diventato un film iconico! Certo, è ancora una delle migliori sceneggiature che abbia mai letto e quando lo stavamo girando tutti sapevamo che stavamo facendo un buon film… Ma quando a metà delle riprese Billy mi disse “sai che vincerai un Oscar con questo film?” io risposi ” tu hai voglia di scherzare!”.
Owen Roizman in un’intervista del 2008
Non solo facce normali e pellicola rapida da documentario: per avere un effetto veramente instant si scelse di fare anche riprese dal vero. Su suggerimento di Roizman, con grande felicità di Friedkin ma anche per tagliare i costi dei permessi per l’uso esclusivo del suolo pubblico, si scelse infatti di girare in strada, con meno ciak possibili; grazie a Egan e Grosso, sul set come consulenti ma comunque agenti in servizio, veniva garantito l’ordine necessario per girare, usando il minimo di comparse pagate necessarie e tenendo i veri newyorkesi come comparse involontarie. Che sia spesso tutto improvvisato in strada è evidente dalla quantità di gente che guarda perplessa in camera, ben visibili soprattutto nelle scene in metropolitana.
Questo poliziesco reinventato con guizzi di Cinema verità e Nouvelle vague aveva adesso bisogno dei suoi inseguimenti, quelli che furono il casus belli del film stesso. Friedkin sapeva che dovevano essere qualcosa di speciale, come gli disse Hawks: sapeva che era il motivo per cui aveva preso in carico il film, ma tragicamente non aveva ancora idea di come sarebbe stato questo momento clou.
“Sentivo che non dovevamo fare un inseguimento macchina con macchina. Dovevamo trovare qualcosa di completamente nuovo; qualcosa che non solo soddisfasse le necessità della storia, ma che definisse anche il carattere dell’uomo alla guida: Popeye Doyle, un uomo ossessivo, ipocrita, motivato, ossessionato.”
“…Alla sceneggiatura mancava ancora la parte dell’inseguimento e non riuscivamo a trovare qualcosa che ci soddisfasse. Un giorno io e D’Antoni ci sforzammo, prendendoci un pomeriggio intero per parlarne e tirare fuori l’idea finale. Facemmo una passeggiata partendo da Lexington Avenue a New York. La passeggiata durò per cinquanta isolati e piano piano l’ispirazione ci venne, è impossibile stabilire a chi venne l’idea, ma uscì di botto a tutti e due “Cosa ne dici se uno dei due è in un’automobile in strada e insegue l’altro che è su un treno della metropolitana sopraelevata?!””
William Friedkin in un memoriale sul film nella rivista ufficiale della Director’s Guild, “Action!”, 19
Roizman e Friedkin, fedeli al codice stabilito delle riprese più dal vero possibile ma soprattutto stretti dal budget come al solito, tentarono l’impossibile e osarono lo scellerato: decisero di girare l’inseguimento dal vero, senza permessi, lanciando la Buick di Doyle veramente in mezzo al traffico di New York. Rimossero i sedili posteriori del veicolo ricavando lo spazio per una postazione di ripresa adatta a una piccola cinepresa e un operatore, fissarono una predella sul lato sinistro dell’automobile per le riprese di Doyle alla guida, fecero il pieno e chiamarono Bill Hickman, il magistrale coordinatore degli stuntman nelle produzioni di D’Amico: stuntman di Bullitt e in seguito anche di Squadra speciale.
“Il motivo per cui nella macchina c’ero io a fare le riprese è che sia Roizman che il suo assistente avevano una famiglia e dei figli, io no (…) Come non siano rimaste ferite delle persone, da come era tutto predisposto per il disastro, deve essere stato un dono del Dio del Cinema, è andato tutto bene, al volo. È una cosa che non rifarei mai e che non dovrebbe essere mai fatta da nessuno”
William Friedkin in un’intervista al New York Times nel 2009
Hickman, con a bordo Friedkin, si lanciò a 90 mph all’inseguimento della metro soprelevata di New York causando panico per le strade e terrore a bordo, causando anche qualche lieve danno prontamente risarcito dalla produzione. L’inseguimento è talmente realistico da sembrare vero, essendolo in parte, ma è la cosa più artificiosa di tutto il film.
Girato in ore differenti, in zone nemmeno attigue, l’inseguimento di Friedkin infrange palesemente il realismo del film una volta sola, fino in fondo, lasciando lo spettatore alla sola sospensione dell’incredulità per un’unica sequenza. Ed è per questo che funziona ed è convincente: è il momento del trucco nel numero del prestigiatore, come spiegherà nel 1972 in una lettera a un fan lo stesso Friedkin, rispondendo alle critiche di varia natura sulla plausibilità di quell’inseguimento.
La chiave alle questioni che sollevi nella tua lettera è quando dici che la prima volta che hai visto il film lo hai amato. Ovviamente io sono consapevole delle discrepanze geografiche e di altra natura della sequenza dell’inseguimento. Se avessi girato il film solo per un newyorkese avrei insistito sull’accuratezza di quei dettagli, ma il film è per un pubblico internazionale, gran parte del quale non ha mai sentito parlare di quei luoghi. La chiave per il successo di una sequenza come quella dell’inseguimento è l’allusione. In quest’ottica, non è differente dalla magia. La ragazza non viene davvero segata in due, il coniglio non appare davvero dal nulla… Così come due treni non possono scontrarsi su quella linea e un’automobile non può correre così veloce sull’ottantaseiesima. Che inseguimento noioso sarebbe stato, però, se avessi basato tutto solo sulla plausibilità.
William Friedkin in una lettera privata a un fan, 1972.
Ecco come si crea qualcosa che il pubblico vuole assolutamente vedere: came for the car chase, stayed for the police drama.
A onor del vero c’è un altro inseguimento nel film, altrettanto magistrale anche se in chiave più ridotta: quello a piedi tra Doyle e Charnier. Un ansiogeno inseguimento uomo su uomo che si conclude con la fuga del francese sulla metropolitana, col beffardo saluto di questi a un furibondo Doyle che è diventato una scena di culto.
Per completare la versione cinematografica Friedkin decide di eliminare rispetto ai fatti reali ogni eroismo, e chiudere piuttosto con un finale cupo: Doyle accecato dalla sua caccia uccide per sbaglio un collega e non sembra provare alcun rimorso; si getta idrofobo di nuovo all’inseguimento di Charnier, che però riesce a sfuggirgli.
Nessun eroe, nessun lieto fine, anche qui un evidente debito col pessimismo del cinema francese dei polar. La storia reale era più hollywoodiana del film: era a lieto fine (gli agenti vennero decorati e i trafficanti tutti arrestati) e questo strideva con la brutalità del film. Anche qui, come per l’inseguimento, Friedkin tradisce la realtà per il realismo. Reali sono invece la sporcizia, il freddo, i senzatetto, le macerie, la miseria della New York di inizio settanta, una città in balìa del crimine, sull’orlo del collasso economico, che vedremo immortalata al suo apice in Taxi Driver qualche anno dopo e che Friedkin lascia sullo sfondo senza toccare nulla, da documentarista quale era stato.
A 50 anni dalla sua uscita Il braccio violento della legge rimane un film incredibile per immagini e contenuto, un vero miracolo di equilibrio tra sostanza e intrattenimento, con un cast in stato di grazia e una ineguagliabile visione di tutti gli autori. Al tempo non ridefinì solamente un genere ma inaugurò un’estetica e una narrativa per il cinema statunitense degli anni settanta. Hackman e Scheider divennero due stelle per il resto della loro lunga carriera, e Friedkin uno dei registi per eccellenza del cinema USA degli anni settanta. Il film vinse ben cinque oscar, praticamente tutti i più importanti, il David come miglior film straniero e un Golden Globe come miglior film drammatico. Ma sopratutto, rivisto oggi, non perde nulla della sua freschezza, della sua tensione e della sua amarezza, e anzi: continua a sfidare lo spettatore con personaggi complessi e a meravigliare con l’inseguimento più a perdifiato di sempre, insidiato (ma non raggiunto) solo dallo stesso Friedkin, molti anni dopo, in Vivere e morire a Los Angeles.
Su questo sito spendo con parsimonia la parola “capolavoro”, ma per questo film è inevitabile farlo. Con questo capolavoro che incarna e supera il genere poliziesco, la carriera di Friedkin inizierà, lanciata come la Buick di Popeye Doyle velocissima verso il suo film più famoso e di successo: L’esorcista.
DVD-Quote suggerita:
“Capolavoro”
Darth Von Trier, i400calci.com
Applausi. Finalmente! Grazie. Ecco i400calci che adoro.
L’ho visto proprio due giorni fa. Io non posso fare altro che inchinarmi per questa recensione meravigliosa.
Il film è un caposaldo della storia del Cinema, specialmente di quello che piace a noi, e c’è ben poco da dire oltre a quanto raccontato nella recensione e agli aggettivi che chiunque può usare al riguardo.
Purtroppo, per una volta purtroppo, non sono COSI vecchio da averlo visto appena uscito e come molto l’ho recuperato soltanto molti anni dopo, avendo già visto tutta una serie di altri film degli anni ’70, primi tra tutti quelli dell’Ispettore Callaghan, e quindi la mia prima impressione fu che era un gran film ma che per avere quel titolo immaginavo che il poliziotto protagonista fosse parecchio più duro e incazzato, ovviamente non sapendo che era invece stato il capostipite di un certo tipo di personaggio.
E’ la sorte di ogni apripista scoperto qualche anno dopo, quando ormai è stato superato a destra dai suoi epigoni, ricordo mia moglie che guardando una miniserie su “10 piccoli indiani” mi disse: “mi sembra tutto già visto: lo so che il libro da cui è tratta è stato il primo di un certo tipo e sono tutti gli altri ad averlo copiato, ma purtroppo io ho visto prima gli altri.
Rabal da giovane era un tipo Cliff Robertson molto prima del Condor e da vecchio era Lionel Stander ad un provino per un film su Charles Bukowski. Davvero un colpo di fortuna l’equivoco che ha portato a Rey. Il duello nella metropolitana sarebbe stato forse interessante, ma una altra cosa: non il diavolo che gabba il pirla quanto Trinchetto che imbroglia Braccio di Ferro.
Concordo in toto con la rece. Ciao
Signori, grazie. E’ questo che significa scrivere di cinema!
visto con colpevole ritardo pochi anni fa…big love per voi e per il maestro
Ecco, questo pezzone è lo slancio definitivo a recuperarlo una volta per tutte.
Rispetto al fatto che quello che sarebbe stato un gran film nascesse sotto premesse e ingredienti narrativi potenzialmente controproducenti, beh, questa è esattamente la ragione per cui quando un film non funziona tendenzialmente non si dovrebbe criticare “cosa” succede ma “come” e “perché”.
Che goduria leggere una analisi del genere, mi fa sentire stronzo a non averlo ancora visto
Non proprio la mia tazza di tè, ma dopo un pezzo così mi toccherà recuperarlo, come già l’anno scorso con Get Carter (fra l’altro noto ora che anche quello era di Darth, grazie due volte).
Gran bel pezzo su un altrettanto gran bel pezzo di storia del cinema. Pensierino a latere: vedo che è stato nuovamente citato Howard Hawks; ora non è che pretendo un Le Basi su di lui, ma quanto sarebbe carina una seppur piccola selezione di film di Hawks analizzati e recensiti?
C’è un errore nel paragrafo che inizia “Hickman, con a bordo Friedkin,” dovrebbe essere Hackman…
Non era l’attore a bordo, ma lo stuntman, Bill Hickman, come scritto anche nell’articolo.
leggendo questo articolo sono guarito dalla depressione
Anch’io l’ho visto solo di recente (fun fact: su Disney plus!!!). È obiettivamente un noir che regge bene ancora oggi, ma se devo essere sincero l’inseguimento in metropolitana mi ha emozionato molto meno di quello a piedi. In questo c’è davvero un gioco di tensione, di rimandi, di mosse e contro mosse molto più secco e spietato, con quel finale beffardo che giustamente è assunto a meme. Interessante il discorso sullo stile documentario: è stato adottato molte volte in seguito, i miei esempi preferiti sono Battlestar Galactica e The Wire
Questo post è spettacolare quasi quanto il film! uno dei più belli ed esaustivi letti su 400calci, grazie per avercene fatto dono
Grandissimi! Rivisto da poco (è abbastanza strano vedere questo genere di cose sulla piattaforma Disney+, come attraversare l’atrio dell’asilo nido per andare a comprare l’ero). Talmente potente e innovativo da dare benzina anche al seguito, Il braccio violento della legge 2, diretto da John Frankenheimer (scusate il rincalzo), dove ci viene mostrato che si può sempre andare oltre, se si sa cosa si sta facendo. Il successo planetario fece mettere in cantiere anche un numero 3, che però vide il passo indietro di Hackman, allarmato forse dalla curva discendente della qualità dei registi, o forse per timore di rimanere ingabbiato in un ruolo proprio nel momento del decollo della carriera. La sceneggiatura del tre fu riciclata ne I falchi della notte con Stallone.
Come dicevo nel mio commento più sotto, da affezionato al marchio Disney, mi sento di invitarvi a ridimensionare tale costernazione per vedere tale film su tale piattaforma.
Non voglio essere ipocrita: la presenza di certi titoli soprende anche me, per dire nel 2020 non ci speravo che un sito di streaming potesse contenere tutta la saga di Alien e Predator (negli USA dovrebbe essere su Hulu ed è solo una buona notizia se adesso c’è anche in italia)
Però, ecco, il parallelo con l’asilo e l’ero non mi sembra regga tantissimo, sto cercando di dire questo.
Poi, a voler continuare l’OT, è vero che casa Disney fra i 60 e gli 80 ha creato così tante indifendibili vaccate per i live action che andare a prendere il catalogo di un’altra major era una scelta d’obbligo per rimpinguare la scelta di Disney+, ma questo è un altro discorso.
Mel probabilmente mi sono spiegato male, la mia non era costernazione, e anche io sono molto affezionato al marchio Disney (una cosa decisamente fuori moda in questi tempi, mi sembra), del resto sono abbonato alla piattaforma dalla prima settimana della sua comparsa in Italia. L’asilo e l’ero non sono un giudizio ma solo la mia sensazione (in chiave divertita, badabene) nel trovare certe cose in certi posti.
@Mel ma dai, che serietà – si sta solo facendo della facile ironia su una piattaforma che fa cartoni animati per bambini, nessuno seriamente mette in discussione il valore della Disney e di quello che ha fatto. :)
@Bradlice:ah, temevo di fare la figura dell’intransigente sempliciotto (^_^’) E sì che a bazziccare su internet ho scoperto fanboy peggiori di me (su tante cose)
Hai ragione anche tu, troppa animosità ;)
Bella rece, ma secca e tosta come il film, zero cazzate dal titolo alla dvd quote, fin financo alle tag, dunque per me meh; nondimeno il recupero della pellicola è d’obbligo.
Colpisce l’osservazione sui seventies a NY, pensare che ai tempi di Novecento e Taxi Driver (o era Il padrino?) Bob sesonoinunfilmpercaritànonguardatelo De Niro facesse la spola tra un’Italia giovane, frizzante, sana e robusta e una Nuova York marcia e sopratutto stanca pare incredibile e un po’ fa incazzare.
Chiedo poi a voi che siete più esperti di cinematografo se anche in Italia ci sia stata una cesura analoga a quella tra old e new Hollywood tra i ’60 e’ 70s, o (come credo) i cambiamenti siano avvenuto senza soluzione di continuità.
Sembra che oggi sia la giornata degli Off Topic nati dai commenti altrui per me…
Guarda, sul cinema preferisco far rispondere gli espertissimi redattori, ma mi permetto di esercitare un certo scetticismo sulla sanità e robustezza dell’Italia di quegli anni.
Ohè, io non c’ero e quindi forse mi sbaglio, ma ne ho letto e appunto non misembra che sia un caso se quelli venivano chiamati gli anni di piombo.
E ricordo che erano gli anni delle uccisioni di Moro e Pasolini, gli anni in cui se un attore come Donald Sutherland veniva a lavorare in Italia (e questa è una cosa che ha ricordato il diretto interessato quando doveva promuovere “Trust”) gli facevano firmare le polizze assicurative in prevenzione sui rapimenti, tanta era la paranoia dei rapimenti all’epoca.
Adesso, ma sono meno sicuro su questo, qualcuno mi dirà anche che erano gli anni della speculazione edilizia.
Oh, se mi sbaglio pazienza, figuraccia, nondimeno inviterei ad una maggiore cautela nel ricordare idecenni passati come un’epoca d’oro dalle esiodee caratteristiche
Bugo, sono d’accordo con Mel.
L’Italia dei 70 e 80 faceva cagare sotto molti aspetti. Il film di Friedkin sarebbe potuto benissimo ambientare a Milano. Nella mia infanzia delle elementari trovavo (non a Milano) siringhe dappertutto uscendo da scuola. I morti di eroina si trovavano per le strade.
E i comunisti e fascisti del cazzo (perchè questo erano) hanno rovinato questo paese. Oggi sono tutti liberi quei figli di puttana.
E il polizziottesco alla Callaghan (che a me callaghan è sempre stato sul cazzo, un figlio poverissimo di questo film. Anche se Eastwood mi piace) imperava anche qui. Ecco che i Popey, che nel cinema, gli antieroi, erano merde spietate. Pagati un cazzo, messi malissimo, con un odio dentro per la loro vita di merda che levati.
Un titolo di polizziotesco per tutti: “La polizia incrimina, la legge assolve” 1973
Poi però era anche vero, sporco. Non edulcorato. Che un gay lo si chiamava frocio. Però gi volevi bene.
Seeeeee…raddoppiamo le z, Pier. Bravo!
Bella Pier, sto apprezzando i tuoi interventi, e grazie di aver cagato il mio. Ti rispondo appena vedo il film, così cerchiamo di star sul Topic.
@Mel, però dai, se consideri anche questo o l’altro su Disney (sempre sia maledetta) degli OT, la possibilità di chiacchierare e discutere si riduce praticamente a niente. Anche perché questo non è un forum, qui siamo nella sezione commenti, no?
Oddio, non volevo dare fastidio a nessuno nè sembrare molesto. E sì che quando ho iniziato a commentare sui 400 Calci (era il post su “Licenza di Uccidere”: i film di 007 sono un altro caposaldo del mio immaginario che mi porto dietro dalla pubertà) mi ero ripromesso di apparire ed essere sempre equilibrato.
A questo giro ti dò pienamente ragione , Bugo: la facoltà di discutere civilmente non dovrebbe mai venire meno, su tutto. Anzi, mi faccio audace e mi permetto di dire che se dalla recensione di un film nascono tali diramazioni, ciò potrebbe essere indizio della grandezza di tale film.
Detto questo, non te la prendere, ma mi sentivo solo di esprimere quello scetticismo che ho sempre quando leggo di un passato roseo o quanto meno di un passato su un’Italia migliore di quella di oggi. Magari sarà pure vero (di nuovo: io non c’ero) però mi sento sempre di metterlo in dubbio, sopratutto dopo un decennio di celebrazione acritica degli anni 80 che non ho mai sopportato.
Faccio un foreshadowing: mi sa che al prossimo film solleverò qualche discussione.
Perché una cosa è stare qui a parlare di un film che mi è piaciuto molto quando l’ho visto
Un’altra è parlare di un film che mi è piaciuto decisamente meno. Sempre con la spero ovvia intenzione di non essere molesto.
Ma appunto è materia per la settimana prossima.
@Mel. Mel: stai tranquillo. Se sapessi cosa ha scritto Bugo :) Se sapessi cosa ho scritto io! :) Ma siamo in famiglia. Tranqui.
E non ho capito perchè te la meni. :) Però foreshadowiing no. NO. Sappiamo l’inglese. Non farmi gli inglesisimi a cazzo dei Milanesi! Previsione. ;)
@mel gli anni 70 sono stati anche gli anni dello statuto dei lavoratori, della legge sul divorzio, dell’aborto, delle conquiste sociali, dell’istituzione del servizio sanitario nazionale, della libertà sessuale e della sperimentazione nelle arti. Certo c’è stata la violenza politica. È normale in un decennio in cui la società ha visto dei grandi cambiamenti che questo generi dei contraccolpi. Non a caso anche negli altri paesi democratici ci sono stati analoghi episodi sia in Europa che in altri continenti. L’espressione anni di piombo è una brutalizzazione giornalistica che dovrebbe essere abolita perché riduce un intero decennio solo agli eventi più tragici. Non è che negli anni 60 non ci fossero attentati o stragi. E manco negli anni 80 ci siamo risparmiati in questo eppure pare che nei 60 fossimo tutti ascoltatori dei Beatles. Non era così. Basta purtroppo leggere le cronache dell’epoca.
@pier sui comunisti e i fascisti io eviterei generalizzazioni perché almeno i comunisti hanno scritto la nostra costituzione, hanno contribuito a liberarci dal fascismo e il PCI era un partito con milioni di iscritti. Con i suoi difetti per carità, come tutti, ma ha contribuito allo sviluppo della nostra società. Poi ci sono stati pochi singoli che hanno deciso di prendere una strada eversiva. Ma questa è un’altra discussione che meriterebbe anche tanti distinguo
Letto solo ora
@ Robert: detto con sincerità, grazie per riequilibrare le prospettive. Hai ragione anche tu. Ovviamente un po’ di sano scetticismo sul valore del passato non deve scadere in una aprioristica demonizzazione di esso. Le cose che citi sono giuste e hai fatto bene a ricordarle.
Anzi, per la verità, che quella dicitura abbia un valore puramente a livello giornalistico e che per alcuni vada cambiata mi mancava, abituato come sono a sentirla usare sempre con la massima serietà, quindi grazie due volte
Gran pezzo e grande analisi, quando vogliono I Calci sanno salire in cattedra e comandare l’internet tutto. Aspetto con ansia la rece de Il salario della paura, una specie di Mad Max Fury Road girato a 15 kmh
Monumentale. Il film e il pezzo.
Applausi. Cinema cinema cinema!
Ecco, ci siamo.
Il film con cui Friedkin entra a gamba tesa e di prepotenza dritto dritto nella storia del cinema, nello stesso dirompente modo in cui “Papà” Doyle si butta in mezzo al traffico della Grande Mela come una scheggia impazzita.
La scena é a dir poco magistrale.
Cos’altro dire poi, se non che ha praticamente gettato i semi per almeno quarant’anni buoni di polizieschi?
E il bello é che non porta quasi a niente, come tutte le altre scene in cui Doyle insegue, pedina o indaga su qualcuno.
Ed é proprio quel suo essere perennemente in bilico che ti cattura.
“Papà” (ok, é Popeye. Ma una volta tanto il nomignolo é azzeccatissimo, visto che si spupazza delle sventole che per la differenza anagrafica potrebbero essere benissimo le sue figlie!) Doyle rischia e mette in gioco davvero tutto, in quella che ad un certo punto diventa una vera e propria questione personale.
Quasi una crociata, tra appostamenti e interrogatori che il più delle volte portano solo a sbattere in un vicolo cieco.
Il tutto tra colleghi e superiori che non si interessano e che non lo aiutano minimamente, che la polizia non ha né uomini né mezzi da sprecare in qualcosa che sembra non avere sbocchi.
D’altra parte i poliziotti sono pochi, mal pagati e demotivati. E in più, con lo stipendio da fame che si portano a casa in cambio di rischiare la pelle, dovrebbero pure dare la caccia a narcotrafficanti pieni di solidi fino a scoppiare.
Tipo la scena in cui i criminali se ne stanno in un ristorante di lusso mentre Doyle e collega si devono arrangiare con una fetida pizza al trancio.
Ma mi spiegate chi cazzo glielo fa fare?
Ad un certo punto Dyle, oltre alla credibilità e alla reputazione, rischia di giocarsi pure l’equilibrio mentale e psichico.
Come nella clamorosa scena della perquisizione dell’auto, dove rivoltano il mezzo da capo a piedi senza trovare nulla. Eppure, lui insiste.
E alla fine si scopre che aveva ragione.
Aveva ragione lui, cazzo.
Ed é per questo che io da spettatore continuo a parteggiare e a fare il tifo per Doyle, nonostante sia un tizio sordido e dalla condotta morale più che discutibile.
Perché sa di avere ragione. E pure noi sappiamo che é così. E lo accompagnamo nella sua personale discesa agli inferi, con l’ossessione divorante di voler risolvere il caso ad ogni costo.
Almeno fino al gran finale.
Ecco, questa diverrà una costante, nel cinema di Friedkin.
Il finale sbagliato, l’anti-climax per eccellenza, dove fingi di accontentare e coccolare il pubblico per poi non dargli assolutamente ciò che vuole.
L’ultima scena é da choc. E chi sta seduto davanti allo schermo per un attimo assume la medesima, attonita espressione del grandissimo Roy Scheider.
Perché ti rendi conto di aver fatto il tifo per un autentico figlio di puttana.
D’altra parte…cosa faresti se vedessi che ti stanno per soffiare la preda che hai inseguito per mesi, col rischio di venire derubato del giusto quanto legittimo merito?
Fai quello cha ha fatto Doyle, mi sa. Che tanto il bastardo lo posso sempre riacciuffare in seguito.
Comprensibile. Ma inaccettabile, per un eroe.
Ed infatti, col seguito, si é cercato di trasformare Doyle in una sorta di Callaghan.
Ma Doyle NON E’ CALLAGHAN. Perché quello che fa qui lo rende di fatto indifendibile.
Capolavoro. E da qui in poi Friedkin non si ferma più.
Concordo in pieno su DisneyPiù (con latte e cereali).
Fa specie anche a me vedere sulla schermata principale certi titoli (come American Horror Stories. ma anche Commando, Alien e Predator), ma devo ammettere che ha uno tra i cataloghi più ricchi ed interessanti.
E da quanto ho capito in futuro metteranno pure gli anime.
Cartoni giapponesi sul canale di Topolino. Impensabile, vent’anni fa.
I tempi cambiano, davvero.
Ma soprattutto non ti levano quel che stai vedendo da sotto al naso quando meno te l’aspetti.
Se mi concedete il termine, comincio a capire dove sta l’inculata delle piattaforme streaming.
Alle volte mi sembra di avere un tizio che mi sussurra all’orecchio DAI, FORZA! VEDITELA, CHE SE NO TE LA LEVO! DAI, SBRIGATI! VA’ CHE TE LA LEVO, EH? TE LA LEVO, CAPITO?!
Concordo con te su quasi tutto, tranne la faccenda di Callaghan. Io ho visto cose diverse nel n. 2, Doyle che brancola in una città non sua, che non parla la sua lingua, se possibile ancora più sporca, in tutti i sensi, della New York di quegli anni. E poi l’eroina e la tossicodipendenza mostrata con una chiarezza sgranata impensata fino ad allora. Il film sull’eroina per eccellenza di quell’epoca, Christiana F. allo zoo, con tutti i suoi (enormi) difetti e col suo (altrettanto enorme) successo è di 10 anni dopo esatti. E poi il finale, quel finale, dove Doyle conferma tutte le brutte cose che hai pensato su di lui nel corso dei due film, ma che ti fa scattare in piedi con l’applauso, subito smorzato dalla vergogna.
Eh, ma Marsiglia è Marsiglia. E in quanto a sudiciume non ha nulla da invidiare a NY.
Scherzi a parte, concordo in pieno con te.
Bello anche il sequel, anche se decisamente piu’ convenzionale.
Il fatto e’ che Doyle ha avuto un successone. Che non vuoi provare a farne il protagonista di una saga cinematografica?
Ma ripeto, e’ molto difficile pareggiare per Doyle, dopo quel che combina al termine del primo film.
Il 2 fa la classica scelta di ripartire dove era finito il precedente, fischiettando e facendo finta di nulla. Anche se il particolare su cui sorvola e’ grosso come una casa.
Mi e’ sempre piaciuto pensare che Russo
(anche se molto meno prosaicamente Schneider non era interessato) non ci sia perche’ abbia mollato il partner, schifato da quel che aveva fatto.
Per il resto abbiamo tutti gli ingredienti per il classico eroe in trasferta.
Il protagonista alle prese con un posto alieno, con gli sbirri diffidenti perche’ non
vogliono lo straniero a ficcanasare sul loro territorio.
A parte uno che, pur non condividendo il suo modo di fare, lo aiuta perche’ capisce che e’ il solo con cui puo’ risolvere la faccenda. Dato che deve avere pure lui dei conti in sospeso coi ricercati.
Poi c’e’ la caduta
con successiva risalita prima della resa dei conti definitiva tra Doyle e la sua nemesi storica.
E li’ non puoi non esultare, anche se ripeto che non e’ un antieroe come Callaghan, che rimane un duro e puro nonostante i metodi discutibili. Ma che alle volte sono gli unici che funzionano.
Oh, ad avercene di seguiti cosi’, comunque.
E guarda caso, parlando di Michael Douglas è del suo Nick…anche lui rimase ad unicum, e per gli stessi motivi.
Scusa, ma mi e’ saltato un pezzo.
Parlavo di Douglas perche’ ritengo che il suo Nick Conklin di “Black Rain” sia stato modellato proprio sul Doyle de “Il Braccio Violento N. 2”, con l’unica differenza che li’ si era in Giappone (a Osaka, se non ricordo male).
E anche Nick era bello torbido e impelagato
mica male pure lui in mille traffici e magheggi, come sbirro.
Grande Red. Sì a tutto quel che hai scritto.
Eh, qui è quando Chuck porge seriosamente minuti di applausi a un pezzo del genere. Tra l’ altro non conoscevo l’ Hays Code, me lo sono wikediato e mi sto chiedendo con che audacia abbiano girato “Indovina chi viene a cena”. Non si finisce mai d’ imparare e Voi siete ottimi insegnanti. Chapeau.
Il figlio di questo film e’ the wire Jimmy McNulty
e’ il nipote di Doyle
Un film che cerco e ricerco ma su cui mi soffermo a tratti, in TV ogni tanto dopo un elezione viene dato OVVIAMENTE in tarda serata. Mi interessa anche perchè ha dato vita al sequel di Frankheimer che ne è debitore. Bisogna comunque usarla più di frequente la parola CAPOLAVORO. Questi non sono i film che il pubblico vuole ma quelli che BISOGNA fare e che DEVONO essere visti, perchè ne valgono veramente la pena.
Non son degno, non son degno, non son degno! Quante volte l’avrò visto, 10, 15 chissà. Ogni volta una festa, commozione, tripudio. Quanti giganti in un unico film. Vabbè, me lo rivedo per la 16ma volta, son già passati tre anni.
wow Darth, wow.
Sempre molto belli questi articoli. Grazie per distribuirli gratuitamente.
Peccato che la carriera di Roy Scheider, dopo i ’70 stratosferici, non sia stata esattamente parallela a quella di Hackman, morto immeritoriamente dimenticato!
Effettivamente dopo dei favolosi anni ’70, ha fatto solo Blue Thunder e The Rainmaker decenti, per il resto solo scandalosa mondezza
Roy attendeva – e lo disse in una intervista credo tradotta dal Corsera – un film di Antonioni su quattro naufraghidi mezza età. Progetto che non andò mai in porto e che avrebbe potuto riportarlo alla attenzione della critica. Peccato.
segnalo questa chicca, Friedkin e D’Antoni che raccontano la scena dell’insegumento e il film quasi 30 anni dopo, nelle stesse location: https://www.youtube.com/watch?v=dhiQKt6R-TE
Grazie.
Suggerisco a tutti questo corto storico. C’etait un Rendezs Vous. Un corto di Claude Lelouch del 1976. Girato illegalmente con una macchina da presa piazzata su una Ferrari. In prima persona. Una mattina a Parigi. 8 minuti da brivido. Nello spirito della scena di Friedkin.
https://www.youtube.com/watch?v=qQSHT1LDYiE
Oops: ERRATA CORRIGE
Questa versione è migliore. Non guardate l’altra.
https://www.youtube.com/watch?v=2-GqZIR0HUw
E poi non riesco a togliermi dalla testa l’inseguimento di Frankenheimer in Ronin. Per me forse L’inseguimento. Debitore ovviamente di Friedkin.
Ce ne sarebbe anche un altro nostrano, pane e salame. Questo:
https://www.youtube.com/watch?v=qPmnArBkxy0
A proposito del corto di Lelouch, al filmato accessibile al secondo link mancano gli ultimi 30 secondi, che non aiutano ad apprezzare appieno il senso profondo dell’opera, sintetizzabile comunque con le parole “tira più un pelo di ecc.ecc.”
Me ne sono accorto poi. Pardon.
Mi chiedo perchè certa gente carichi sul tubo cose tronche così rovinando tutto.
@Pier. Cazzo, Ronin. Cazzo. CAZZO! Se solo quegli imbecilli di sceneggiatori di Fast & Furious avessero perso qualche ora del loro inutile tempo a documentarsi come si trasmettono adrenalina e senso della velocità da chi le cose le sa fare…
Appena visto, complimenti per la rece. Sono una persona orribile se non capisco cosa abbia di orribile popeye?
Bello bello anche se l’inseguimento mi pare la scena invecchiata di piu’ del film.
Ti dico la mia sul perchè Popeye è orribile. Hai presente il superpigiamino Spiderman? Lo adoriamo. Perchè? Per lui non sono giustificabili le “casualties”, i morti lungo la strada per perseguire i suoi nemici. Se deve scegliere fra seguire gobiln e salvare i bambini…sceglie i bambini.
E noi lo amiamo per questo. ( Tra l’altro questi superpigiamini ultimamente si fanno i cazzi loro e noi moriamo nelle loro battaglie. Che va bene anzi è bello quando vedi i Mostri Grossi che ci ricordano che siamo delle merde. Ma i supereroi dovrebbero prima essere eroi , ma sto divagando).
Doyle, no. E’ un tossico. Persegue i cattivi ma per ragioni sue, per un ossessione. Se ne fotte dei danni lungo la strada. E’ uno stronzo egoista del cazzo. Non è migliore dei suoi nemici.
Capolavoro non a sproposito per un film che rivedo volentieri e regolarmente, oltre a essere uno dei miei preferiti del genere action/poliziesco (un altro che ripasso regolarmente e’ Live and Die in LA per dire…). Fondamentale, innovativo, coraggioso e importante, grazie per la giustissima e ottima recensione.
Io vorrei esprimere una critica costruttiva al sito ( stavolta pacatamente) a partire proprio dalla BELLEZZA di questa recensione.
Questo recensore sa evidentemente scrivere bene. Un linguaggio piano, avvolgente. Semplice. comprensibile da tutti senza essere povero. Non usa parole “comicamente supponenti” per darsi un tono. Le conosce quelle parole. Ma non le usa. Perchè sa scrivere. Una recensione informativa. Ha studiato la materia. Ci informa. Non ha speso UNA parola a caso.
Fare recensioni di film belli è molto più difficile che fare recensioni di film brutti.
Una recensione di film belli ci fa capire perchè ci è piaciuto quel film. L’abbiamo visto, ne abbiamo percepito la bellezza ma non sappiamo bene dove mettere il dito. O perlomeno scriverlo. E se non l’abbiamo visto ci provoca curiosità, ci provoca a studiare. Cosa che anche i bravi professori sanno fare.
Questo sito purtroppo è ondivago, va a caso. Da un lato questo, dall’altro film mediocri (nel migliore dei casi) spacciati male. Esaltati come mezzi capolavori ma che non valgono un solo secondo di un’inquadratura di un film come questo. Film brutti che chiunque è capace di insultare con battute volte a sucscitare ilarità. Ma così è voler vincere facile.
Certo, tutti guardiamo tutto: dall’alto al basso. Dal (grande) Bombolo a Friedkin. Certo fateci anche ridere ( ma con classe) su film mediocri. Eviterei iperboli quando palesi cantonate. Perchè una cosa è un opinione una cosa è dire che Brunetta è Alto.
Questa rece (al di là del valore del film, proprio la recensione essa stessa) è ciò cui dovreste tendere.
Grazie.
Nella mia esperienza di recupero di film noti con nomea di capolavori o quantomeno filmoni, ho avute parecchie delusioni.
Ho visto tanti film con una certa fama che mi hanno lasciato l’amaro in bocca per quanto non mi avessero detto niente, per l’ineffettività emotiva che mi hanno trasmesso.
Non è il caso de “il braccio violento della legge” (dovremo anche parlare di come i titolisti italiani chiamavano i film all’epoca, che se chiedete a me questo titolo è anche più d’effetto dell’originale)
No, assolutamente.
Una sorpresa.
Un capolavoro.
Mi lasciò a bocca aperta e occhi sgranati.
Per vari motivi:il piatto forte è ovviamente l’inseguimento in macchina, che vidi scevro da qualsiasi informazione pregressa, non ne avevo sentito parlare e non me lo aspettavo. E’ forse il miglior inseguimento in macchina che abbia mai visto in un film. Una delle scene migliori di sempre. Totalmente inaspettato e incredibilmente bello. Degno di essere menzionato, secondo me, è il fatto che la donna con il passeggino è stata l’unica cosa coreografata dell’inseguimento.
Un altro grande punto di forza che mi colpì, ben spiegato e documentato in tale articolo, è l’impianto visivo realistico, con la luce naturale appunto, adattissimo a quanto raccontato, che ti fa credere di essere veramente lì. Elemento che raggiunge il suo apice nella scena della metropolitana, con tutta la folla nel vagone che separa pedinatore e pedinato, folla resa benissimo proprio da questa visuale, che ci regala il beffardo e incredibilmente d’impatto saluto sardonico del francese al poliziotto.
Un impianto visivo modernissimo per una narrazione modernissima: mi dette l’impressione di un film realizzato ieri, non oltre 50 anni fa.
E appunto il finale.
In tantissimi altri film mi avrebbe lasciato l’amaro in bocca.
Qui è giocato benissimo.
Quello sparo nel buio era il modo migliore di concludere questa cronaca. Il fatto che qui funzioni è un segno di quanto sia costruito bene il film, di quanto sia raccontato bene tanto da giustificare tale finale. Il che mi fa pensare che forse anche chi ha curato il montaggio di questo film ha tanti meriti per la sua riuscita.
A tal proposito, segnalo la nota nel libro dei 1001 film di S.J. Schneider: sono pochi i film con un finale così povero di speranza ad avere vinto un Oscar come miglior film. Probabilmente quest’opera aveva colto dei sentimenti che giravano per l’aria all’epoca.
Altre note a margine:
visto che anche questo è evidentemente un sentimento che gira per l’aria, mi unisco anche io alle ovazioni per Darth Von Trier. L’articolo èscritto benissimo, e non solo questo: anche io apprezzai di primo acchito e torno a rileggermi i suoi pezzi su Goldfinger, Heath e Carter. E recentemente ho anche recuperato il suo pezzo su Fantasia. apprezzando tantissimo anch’esso.
Il che porta alla seconda nota: allora, è vero che certe cose su Disney+ sorprendono anche me, però non condivido tanta sorpresa per certi prodotti sulla piattaforma. Sarà che il marchio Disney è una costante della mia vita, sarà che già da bambino sapevo che non lo avrei abbandonato da adulto, sarà appunto per questo che mi dico che una certa costernazione, che pure ho anche io (non voglio essere ipocrita), dovrebbe essere a livelli contenuti.
“Sparo nel buio” è un titolo di un film di Clouseau, me ne sono accorto dopo averlo scritto XD. Non proprio azzeccatissimo
Avrei dovuto mettere “sparo nel nulla” , rende meglio
Mi sono letto adesso il pezzo su Fantasia. Non sono molto in topic, ma sempre di Darth si parla. Un darth più personale, intimo. Diretto. Schietto e veloce. Voleva comunicare un’emozione, non analizzare.
Fantasia e l’Animazione fatta mano meriterebbe tutto un discorso a parte. Ormai solo i Giapponesi e qualche artista anima A MANO. Ma anche in questo caso c’è il computer. Quella era un arte perduta. Quell’era d’oro è purtroppo finita per sempre. Non rinascerà mai più. Incastonata in quell’arco di tempo.
Fantasia è un capolavoro incompreso. Ma ancora più incompreso è Make Mine Music. Un Fantasia 2, via.
Scusate l’off topic.
Un capolavoro che ho visto e rivisto mille volte. Imperdibile (e anche “Sorcerer” è allo stesso livello).
Ecco, oddio… un piccolo appunto ce l’avrei.
Un dettaglio nella recensione: svelare quel finale. E’ tamente importante nell’economia del film che dirlo, rovina il piacere all’occhio vergine che non l’ha mai visto. Si poteva girarci attorno scrivendo “Doyle accecato dalla sua caccia commette un’azione scellerata e non sembra provare alcun rimorso”.
Anche REdferne nella sua rece-commento ( bella) gira attorno al fatto.
Ma sono inezie.
Mi ricordo che ne accennai già una volta qui sopra, se non erro nella recensione delle Tartarughe Ninja: la New York di una volta, quella sporca, livida, col fumo che usciva dai tombini, coi vicoli dove le gang ti aspettavano per derubarti, con le signorine che adescavano davanti ai cinema a luci rosse, beh quella New York lì non solo era lo scenario perfetto per un certo tipo di film, era proprio essa stessa un personaggio.
Quando ha smesso di esserlo? Credo sia stato un processo graduale: prima Rudy Giuliani con la tolleranza zero, poi l’11 Settembre ed infine la gentrificazione/hipsterizzazione
Se vuoi vedere quella vecchia, sordida New York, ma prima ancora, devi guardare anche “Sweet smell of Success” (Piombo rovente), 1957. In quegli splendidi bianco e nero. O, ancora più vecchio “Angels with dirty faces” ( Angeli con la faccia sporca), 1938.
La Vecchia Hollywood ma mostruosamente buona.
Fu Giuliani sì a ripurirla. Ma New York , come spesso accade nelle città ghetto, fu in quegli anni la casa della musica. Il CBGB fu il trampolino di lancio per artisti che fecero la storia della new wave. In Europa l’ orrenda Manchester diventò Madchester, con altri artisti new wave e il mitico locale Hacienda. Storie parallele di due città simili: povertà, delinquenza, gangs.
Non so perchè ho scritto sta cosa. Stavo bello fatto. Scusate.
Porgo quel che mi hanno porto
Recensione/approfondimento della Madonna!!!
La prima volta lo vidi intorno ai 12 anni grazie alla passione di mio nonno per il genere poliziesco, si guardava di tutto…compreso il tenente pelato da cui ho preso parte del mio nick.
All’epoca non capii la portata del film che guardai, ma ho il ricordo ancora vivo della sensazione di pericolo che mi lasciò addosso quella NY lurida, trasandata, lontana da come me l’ero sempre figurata.
Crescendo mi è tornato sotto mano tante volte, in uno dei pomeriggi in videoteca fu anche il casus belli di un’accesa discussione fra le fazioni di “papà Doyle” e di “Callaghan”, io ero nella seconda.
Rivisto ieri dopo aver letto il pezzo e, nonostante gli anni, resta ancora una spanna sopra a monnezze contemporanee girate con budget spropositati…ma “Dirty” Harry Callaghan resta sempre il prefe.
Ahah, bella faida.
Quindi forse Gli spietati è da intendersi come l’ego trippin di Clintone che se la sbulleggia ai danni del povero Gene: puoi essere bravo e di classe quanto vuoi, puoi avere tante sfumature e registri quanto ti pare, l’estensione più ampia di tutti, ma io con ‘sto carisma e’ sta faccia ti faccio il culo pure se mi viene una paresi.
Beh Bugo, Gene Hackman è un gran bravo attore senza la minima ombra di dubbio, ma la fazza (o forse meglio, la possanza) da badass proprio no; ha più del “viscido” che del “picchiatore”, più dell’autoritario che dell’autorevole.
Clint, come dici anche tu, ha un carisma fuori dal comune, infatti non ha mai interpretato personaggi eccessivamente verbosi e da vecchio incute pure più timore di quando era giovane. Con buona pace di Sergio Leone, ha dimostrato anche in tempi recenti la sua caratura sia da attore che da regista…altroché “ha solo due espressioni, una col cappello e una senza cappello”.
Darth, complimenti! Cosa ogni del sequel? Sono assai curioso di leggere il pezzo su Il salario della paura, che amo molto.
Un aspetto del carattere di Friedkin che dice molto di lui, e che ti fa quasi incazzare, è la sua incrollabile umiltà. In un’intervista a Paris Match di qualche anno fa, Friedkin contesta all’intervistatore l’opinione che Sorcerer sia un capolavoro. Per lui, i film di Ophüls, Welles, Fellini, Antonioni, Rossellini possono definirsi capolavori, non certo i suoi.
Appaio brevemente nei commenti, cosa che non faccio mai, per delle considerazion generali in merito a varie vostre interazioni.
Innanzitutto grazie per l’apprezzamento, non è scontato che oggi si arrivi in fondo a quasi 4000 parole, per un film di cinquant’anni fa, e trovare la cosa piacevole. Premia un lavoro molto intenso e che faccio per dare su questo sito i pezzi più esaustivi possibile, in lingua italiana, che potete trovare online.
Ci metto tempo a raccogliere più materiale possibile (leggo libri, sbobino interviste, recensioni, articoli, interventi televisivi, conferenze, audio-commenti)e poi a raccoglierlo in una forma agile, per dare una panoramica più possibile articolata di un film, che non è mai solo un film ma il prodotto di tanti contesti diversi che si sovrappongono.
Soprattutto per Le Basi ho trovato doveroso darvi questo genere di approccio, dato lo scopo della rassegna, che poi ho in generale tenuto come mio modus.
Io sono quello che non fa ridere, sui Calci. Ma è giusto che ce ne sia uno, così come è giusto che gli altri redattori abbiano una cifra più frizzante o vogliano scherzare come si è fatto su questo sito dal primo giorno.
Io non lo so fare, o almeno ho visto che forzarmi a essere divertente per mantenere un “codice di conformità dei Calci”, che non è mai esistito, era controproducente e ho deciso di non impormelo. Così come non è giusto pensare che i Calci debbano essere come me.
Ho deciso anche di non parlare di film che non mi piacciono o di farlo parlando di cosa, in quei film che non mi piacciono, trovo ben fatto e/o interessante.
Perché di ferocia e meme contro chi non può difendersi o parte svantaggiato (un film a basso costo, per dire) ce ne è già troppa e un tot al chilo e di critica costruttiva ce ne è sempre troppo poca.
Oltre a una vita diversa da quando ho inzizato a scrivere qui sopra (quasi quindici anni fa) ormai, scrivo poco anche per questo e non ho problemi a farlo per assumere il ruolo dell’archivista.
Riguardo poi al rivelare lo spoiler dei film è stata una scelta consapevole.
Negli anni ho deciso che salvo film che sono freschi freschi, la paranoia del “rovinare la sorpresa” non deve interessarmi. Per un film ormai musealizzato non mi pongo il problema perché è plausibile lo abbia visto il grosso dei lettori e perché il finale può essere oggetto di considerazioni tecniche, nel dettaglio, come in questo caso e mi avvalgo della facoltà di privilegiare l’aspetto analitico su quello suggestivo. Non vogliatemene ma se comperate un saggio sull’Iliade la morte di Ettore viene analizzata senza problemi, non possiamo applicare questa ratio soltanto a opera che hanno almeno mille anni, direi che dopo i trenta allento via via la presa sul proteggervi dallo spoiler.
Detto ciò colgo l’occasione per salutarvi e per ringraziarvi di nuovo per il gradimento del mio lavoro
Buon proseguimento a voi e a presto.
PS
Il sequel di Frankenheimer per me è un bellissimo film, più classico in tutto ma con una sua verve e ferocia che lo rendono un complemento valido a quello di Friedkin.
Darth, aspetto con ansia il tuo prossimo pezzo.
Maybe
Grazie Darth, così come è godurioso conoscere i retroscena dei movies, allo stesso modo dà gusto venire a sapere che ricerche ci sono dietro un pezzo come questo.
Sono stato io a far l’appunto che non c’era manco una battuta (peraltro sbagliando, se ne trovano nelle dida delle immagini) e in effetti sono stato un po’ stronzo. Diciamo che mi sono permesso di farlo sapendo che avresti strappato applausi a scena aperta, cui in effetti mi unisco. Poi debbo confessare che non sono un cinefilo, vi seguo più che altro per il lavoro che fate sulla lingua e sulla forma articolo/recensione, quindi le mei critiche lasciano il tempo che trovano. Big respect.
Ho tutto molto aprezzato compreso il PS.