Stavo pensando a come si potesse restituire l’effetto di un piano sequenza per iscritto, e probabilmente l’idea è quella di una frase che non stacca mai, niente punti, niente a capo, solo virgole, le virgole necessarie per un minimo di pausa, e poi un periodo un po’ più lungo per dare l’idea di un’azione travolgente che lascia tutti col fiato sospeso e aumenta l’adrenalina, ha il suo perché se fatto bene, trasmette un senso di immersione che le frasi normali non ti danno, però bisogna essere bravi per farlo, bisogna mettersi lì, fare una cosa strutturata a modo che fili via liscia e fluida senza sembrare forzata, per cui non vi preoccupate, mi son già rotto il cazzo. Il remake dell’Ulisse di Joyce lo faccio un’altra volta. Anzi, faccio il requel.
Conoscete il vecchio sketch del Saturday Night Live in cui Patrick Swayze e Chris Farley fanno il provino per entrare nei Chippendales?
È uno sketch controverso, sostanzialmente incentrato sul fatto che Patrick Swayze è una delle creature più belle, eleganti e angeliche che abbiano mai calcato questo indegno pianeta, mentre Chris Farley è grasso. E Farley è decisamente bello grosso, ma anche incredibilmente energico e agile, una cosa insospettabile, non a livello Sammo Hung ma sicuramente sopra la media, e probabilmente nella testa degli autori il “perdono” stava nel fatto che non avrebbero sfottuto uno ridicolo, ma uno che avrebbe dato il 110% e performato molto meglio di quanto fosse lecito aspettarsi (anche se ovviamente calcando sul lato comico). La gag poi stava nel fatto che la giuria avrebbe osservato entrambi molto attentamente e seriamente ed espresso estrema indecisione, suggerendo un ribaltamento dei ruoli, ma poi alla fine avrebbero scelto Swayze spiegando che tutto sommato ha un fisico più consono ai loro standard. Ma sto divagando.
Il succo è: fingiamo di essere la giuria dei Chippendales dei piani sequenza d’azione.
Da una parte abbiamo 1917 di Sam Mendes, il Patrick Swayze della situazione.
È perfetto. È bello, elegante, pieno di soldi con cui limare allo sfinimento ogni singolo dettaglio o azzardare, grazie agli effetti speciali, scene senza senso tipo un aereo che si schianta a mezzo metro dal protagonista.
È di lusso.
È talmente di lusso che può permettersi di pensare ogni scena che più gli aggrada, che tanto un modo per girarla lo si trova. Deve preoccuparsi di poco, e neanche per un secondo ha pensato di girare il film davvero in un’unica ripresa senza stacchi, tanto oggi gli agganci digitali per simularla sono semi-invisibili.
E in tutto questo lusso può permettersi di raccontare quello che vuole, può riprendere i protagonisti con la cinepresa che va su e giù a piacere dove meglio preferisce, può farli correre in mezzo ai proiettili che schizzano e le bombe che esplodono, può far crollare loro soffitti in testa, e poi fermarsi per un momento più intimo, poetico, equilibrare tensione e riflessioni, spettacolo e sentimenti, interno ed esterno… Davvero, quello che vuole. Può concentrarsi puramente sul racconto, e pure chiedere qualche extra. Vuoi Benedict Cumberbatch per due minuti? Eccotelo. Quante nomination agli Oscar vuoi? Una decina? No problem, mettiamo a budget una decina di nomination agli Oscar.
Probabilmente qui finisce la similitudine, perché 1917 sta iniziando a starvi comprensibilmente sul cazzo, mentre il Patrick Swayze non ha mai corso questo rischio in tutta la sua incontestabile, ineccepibile, troppo breve vita.
Dall’altra parte abbiamo One Shot, il Chris Farley della situazione.
Il budget è scarso, e non c’è modo di rimediare.
Tocca quindi girarci attorno, essere furbi, essere strategici, metterci un sacco di energia.
Cioè, diciamola tutta: c’è a malapena il budget per fare un action normale che non faccia venire il latte alle ginocchia, figuriamoci uno che aspira a sembrare un unico piano sequenza in tempo reale. Perché ecco, come prima cosa lo sai che è finto: è finto per forza, perché avrà un numero decoroso di stunt e sparatorie e di certo non puoi permetterti di sbagliare all’ultimo secondo, uno stunt che va fuori misura, uno sparo che va fuori tempo, un’esplosione che fa cilecca, un attore che a forza di correre finisce il fiato e scazza le battute, e dover rifare tutto da capo. Quindi come prima cosa deve ingegnarsi a organizzare ogni scena in modo da staccare al momento giusto, nel modo meno vistoso possibile.
Bisogna poi pensare bene alla geografia degli eventi: bisogna evitare di annoiare seguendo sempre le stesse persone, e allora bisogna tenere i cattivi abbastanza vicini in modo che si possa passare a riprendere loro senza fare movimenti di camera troppo innaturali.
E le sparatorie?
Madonna che macello le sparatorie. Quante cose possono andar male.
Ma insomma, hai una cinepresa sola e non puoi staccare: puoi però fare il furbo, piazzarti in mezzo e riprendere prima un mucchio di gente che spara a caso per un minuto o due, e poi girarti a 180 e riprendere un mucchio di gente che cade a caso per un altro minuto o due, e in entrambe le situazioni non dovrai preoccuparti di nessuna sincronia, quella la farai in post-produzione con gli effetti sonori. Non è esattamente il top, ma tocca fare così.
Bisogna fare acrobazie.
Bisogna evitare i tempi morti, e quindi avere a mano una storia che crei tensione/interesse mentre non si sparano, attori con sufficiente carisma da tenere tutti svegli.
E chi abbiamo?
Scott Adkins è indispensabile, perché se c’è da menare e coordinare gente che si mena possiamo contare su qualcuno che sappia farlo a occhi chiusi. Non deve fare acrobazie, deve fare il sergente militare e non il virtuoso di tae kwon do, ma gli si può traquillamente chiedere di sostenere lunghe coreografie di pesanti, credibili mazzate senza perdere troppo tempo e senza bisogno di controfigure.
Ashley Greene ha in curriculum la saga di Twilight e probabilmente ha ancora fans che la seguono ovunque, troverà lavoro per sempre, ma aldilà di quello non ha avuto chissà quale carriera, è decorosa, presentabilissima, economica, senza infamia e senza lode.
Ryan Phillippe… Una volta era un nome. Una volta era il classico belloccio a cui Hollywood apriva tutte le porte. So cos’hai fatto, Cruel Intentions, Crash di Haggis, Flags of Our Fathers di Eastwood, Gosford Park di Altman, un film a testa sia con Tony che con Ridley Scott e altre piccole chicche. Oggi ha 48 anni, è ancora un bell’uomo ma recita impostatissimo e fa scappar da ridere, sfigura persino davanti a Scott Adkins.
In compenso Waleed Elgadi nei panni del prigioniero da salvare è una rivelazione, l’unico intenso e disperato al punto giusto, e se lo scheletro di trama coinvolge fino alla fine è in buona parte merito suo.
James Nunn, alla regia, è un ex-talento promettente del cinema d’azione inglese che aveva esordito dieci anni fa con quella chicca niente male di Tower Block. La scena inglese però non aveva posto per uno come lui, per cui finì immediatamente nel circuito dei DTV con Scott Adkins, girando due fra i più interessanti/divertenti al di fuori dei classici, ovvero Green Street 3 e Eliminators (in mezzo, lo scopro colpevolmente solo adesso, anche The Marine 5 e 6 con The Miz e altri wrestlers). Non è insomma l’ultimo degli scemi, e sapevo di poter contare su uno come lui per prendere la sfida seriamente e con cognizione.
Non so se ho fatto bene a lanciarmi in questa metafora con lo sketch dei Chippendales, è rischiosa e non esattamente chirurgica.
Ma il punto è questo: One Shot è strutturato bene, ha senso, tiene un ritmo solido. È pensato meglio di tanti film alimentari che il povero Scott Adkins è costretto a girare per campare e mantenersi in forma e in vista. Funziona, non ci sono errori plateali. E va oltre le proprie possibilità. E in confronto a Crazy Samurai Musashi pare Salvate il soldato Ryan.
Per cui ti ritrovi a tifare per One Shot contro 1917 come tifi immediatamente per Chris Farley contro Patrick Swayze.
Sei lì che guardi un film che si lancia in un’impresa platealmente al di fuori dei suoi mezzi – un’impresa che tra l’altro nessuno gli aveva chiesto, perché il target principale di questa roba rimane vostro padre in pensione che si è stufato di aspettare i film di Charles Bronson su Rete 4 e non distingue Scott Adkins da un Kellan Lutz qualsiasi, mica per forza dei fini apprezzatori di virtuosismi che giocano col linguaggio cinematografico – e speri con tutte le tue forze che ci riesca. Lo vedi che ha dei momenti goffi, ma che per la maggior parte se la cava in modo più che dignitoso. E lo fa con lo spirito giusto: quello del film d’azione dritto e intenso. Mica come quell’altro che si prende le pause poetiche.
Poi finisce.
Ti rendi conto che… sì, ce l’hanno fatta, ma cosa ti è rimasto?
Cosa ti è rimasto, a parte l’indubbia curiosità per l’esperimento e i complimenti per essere arrivati al traguardo illesi?
Non molto. Uscendo dal giochino di dover elogiare qualcosa solo perché gli è riuscito un virtuosismo tecnico in modo tutt’altro che scontato, si ha per le mani un film competente e professionale, ma assolutamente medio, senza un vero momento da ricordare.
E sinceramente non ho voglia di cedere al ricatto morale di dire che qualcosa è meglio solo perché più difficile, realizzato in circostanze peggiori.
Per cui, parafrasando la giuria dei Chippendales:
James Nunn, siamo tutti d’accordo che il tuo film è ottimo… Davvero coinvolgente. Ma immagino che alla fine, nella nostra decisione, abbia influito il fatto che il budget di 1917 fosse molto, molto più alto del tuo.
Allo stesso modo però, se fosse onesto, anche 1917 dovrebbe parafrasare le riflessioni di Patrick Swayze alla fine dello sketch:
Non ho mai più rivisto One Shot… Ma non dimenticherò mai come, per un attimo, tirò fuori il meglio in me.
Rete 4-quote:
“Non per fare budget-shaming, ma preferisco 1917.”
Nanni Cobretti, i400calci.com
Esistono 6 “the marine”? E in più di uno c’è The Miz?
Sconvolgenti rivelazioni 😱 con cui iniziare la giornata!
Comunque non so se beccherò in tempi brevi questo film (o 1917, che non ho visto neanche quello) ma devo dire di apprezzare molto questa recensione per come è scritta e per l’interessante parallelismo con lo sketch di Seayze e Farley, che adesso ho una gran voglia di vedermi
E pensa che quelli di The Miz sono i migliori!
Voglio dire, a citare Maxisawesome92 dovrebbero essere i migliori, io non li ho visti
Ahah, infatti uno non può chiedersi perché? dato il pubblico di riferimento per ‘sti prodotti. Se non altro ha consentito al Nanni C. di confezionare uno dei suoi pezzi migliori senza spoilerare il benché minimo pezzo di trama.
Quindi la gimmick non apporta niente dal lato tensione/capacità di coinvolgere dell’ azione?
Poi confesso che questa faccenda del taglia è cuci ex post nei piano sequenza degli amari giorni odierni non l’avevo capita. Allora è per questo che non fate più Arca Rissa?
O Il bellissimo Victoria o il dolorosissimo Utøya.
Grazie! La tensione tiene, ma è un po’ come il Blair Witch Project: hai il fiato sospeso in attesa della scena action definitiva, tranne che ne arrivano tante onestissime e quella mai.
Che stile il capo. Onorato della esauriente risposta dalla consueta classe. Arrossisco e sorrido.
Luxury B-Movie.
Con qualche euro in più poteva essere una bomba.
Regole di ingaggio per goderselo:
1. Attendere, inermi, circa 15/20 minuti. Come una sequenza introduttiva di Call of Duty (non skippabile). Poi inizia oltre 1 ora di carneficina.
2. Dimenticarsi che il piano sequenza è -ovviamente!- finto. Questo eviterà di concentrarsi sui inutili dettagli di montaggio (fottesega).
3. Soprassedere che in una circostanza come questa venga mandata una della CIA che ha le fattezze di… ZOE ANDERSON! Che mi ha riportato alla mente quanto fosse naïf Emily Blunt in “Sicario”.
Per il resto, recensione onesta: sparatorie (in primis) e botte (qualcuna) non-stop, ma è come se mancasse qualcosa, una scena memorabile, uno stunt definitivo, a volte sembra più un esercizio di stile che un film anima-dotato.
ps: il trailer è fuorviante.
Ovviamente: ZOE ANDERSON è il personaggio… interpretato da Ashley Greene.
Bellissima recensione, scritta divinamente, che ha il merito di ricordarmi quando Ryan Philippe era un nome di serie A ad Hollywood :D
Dove lo trovo (legalmente) il film?
Grazie mille. C’è un bluray USA, e da oggi è su Sky UK marchiato come “Sky Original”. In Italia non so ma immagino che prima o poi arrivi, magari sempre su Sky.
Ma lo sai che io ho apprezzato la serie Shooter (ancora su netflix credo) con il buon Ryan Philippe. Niente di chè, magari chiusa un poco in fretta, ma non male.
@Nanni: grazie mille a te! Aspetterò che appaia su Sky allora, magari non ci vorrà troppo
Incredibile pensare che 20 anni fa Phillippe era considerato di prima. Evidentemente passata l’avvenenza dei vent’anni si è notata la cagnaggine (un po’ come per Chris O’Donnel e Hayden Christensen).
Comunque facevo caso che aveva più o meno la stessa faccia, talento, carisma ed età di Paul Walker ai tempi. Che sliding door era se finiva lui nella FAMIGLIA?
Vabbè, nella mia testa rimarrà il sieropositivo coi capelli blu che si limona Angelina Jolie e alla fine si scopre che ha Sean Connery come suocero (Scherzi del cuore – Playing by Heart – 1999).
Questo articolo è scritto divinamente
Voglio Adkins e Butler nel remake di Heat diretto da McQuarrie
… remember Chris Farley??…
minchiate a parte, pescato a caso dalla “lista” perché aveva Scott in locandina, ed avuto esattamente la stessa impressione alla fine: nulla di male, qualche momento godibile, ma completamente “milquetoast”.
Uno capisce di essere un vecchio T-800 da rottamare circondato da T-3000 quando, per ricordarsi bene chi fosse Ashley Greene ,si trova orde di fans di T-wilight che hanno trasformato la prima voce di ricerca google in “ashley greene oggi”. Bel pezzo Nanni, figo l’ accostamento.
Porgo pregiati nonhofuturo
Ricordo Ryan Philippe nell’ottimo Way of the Gun in coppia con Benicio del Toro.
Grandissimo pezzo. Questo e’ il Nanni che fa sognare grandi e piccini!