Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
Immaginate. È il 1986 e siete degli adulti sensati appassionati di buon cinema – oppure siete lettori dei 4000Calci e avete viaggiato nel tempo dal 3022 perché anche voi avete il completismo addosso e quando leggete Le Basi su Friedkin i films ve li vedete al cinema quando sono usciti – ergo: conoscete William Friedkin, gli volete il bene, avete visto (come si suol dire) tutte cose, e in particolare siete giusto reduci da quella che, in gergo tecnico, André Bazin avrebbe definito una cazzo di figata clamorosa, ovvero Vivere e morire a Los Angeles. Quanto figo è Vivere e morire a Los Angeles? Quanto vorresti che fosse il tuo migliore amico del cuore per sempre? Io un sacco. Passeremmo intere giornate a fumarci le sigarette condite, a giocare a beach volley in shorts di jeans e a negare alle rispettive compagne la nostra patente e sotto sotto fiera omosessualità. Dunque è il 1986 e sono quindici anni che avete le mutande bagnate davanti e croccanti dietro per merito dei film di William Friedkin, avete appena avuto il secondo orgasmo cinematografico più forte della vostra vita (dopo quello regalato da Il braccio violento della legge) e siete stati bannati a vita per atti osceni in luogo pubblico dalla sala in cui avete visto Vivere e morire a Los Angeles; è un martedì mattina di luglio a St. Petersburg, Florida, state facendo colazione sfogliando la vostra guida Tv preferita (il meglio sulla piazza: TV Smiles and Songs) e leggete che domenica, in prima serata su NBC, danno un thriller di spie diretto da Friedkin e scritto da Gerald Petievich. Innanzitutto imboccate un’abbondante cucchiaiata di latte e cereali per avere qualcosa da sputare. Poi sputate tutto e ricontrollate.
Sì sì: domenica alle 9 post meridiane su NBC danno C.A.T. Squad, un thriller di spie scritto e diretto da quei due che quelle stesse cose qui le hanno fatte anche per Vivere e morire a Los Angeles. Cioè, non è che per C.A.T. Squad si siano scambiati il mestiere per fare una simpaticissima burla alla Blur (la celebre Blurla). Hanno proprio fatto un altro film insieme ognuno nel ruolo giusto, ed è sulla tivì. Giubilo! hanno esclamato i più ottimisti, quelli del bicchiere mezzo pieno: un film di Friedkin a gratis, da guardare sul divano ingollando mille birre e ripetendo in rutto i dialoghi più belli. Quelli del bicchiere mezzo vuoto, invece, si sono chiesti: ma perché? Perché un ritorno alla tv proprio ora, dopo 20 anni di cinema (seppur tra bassi e altissimi)? In fondo Vivere e morire a Los Angeles non aveva mica distrutto i botteghini, ma non era nemmeno andato in perdita. Anzi. Ed era pure piaciuto a parte della critica – che anche sticazzi effettivamente, però. E prima che qualcuno lo faccia giustamente notare: dirigere un episodio (I serpenti della notte, 1985) di una roba di gran successo come Ai confini della realtà è una questione un po’ diversa da questa. Quindi, ci si chiedeva: perché? Debiti di gioco? Non credo. Un divorzio? Quello c’è stato (nell’85) ma per Friedkin non era il primo – né sarà l’ultimo – quindi si può presumere fosse attrezzato all’eventualità. La verità è che non lo so il perché. E non lo sa nemmeno la parte di internet che ho scartabellato a tal proposito, o i libri fatti di carta a cui ho chiesto un parere schietto. Forse una risposta precisa non c’è nemmeno. Forse in qualche modo c’entrano Michael Mann e il successo di Miami Vice, abbastanza enormi (sia Mann sia il successo di Miami Vice) da far venire voglia di provare a emularli. E oltretutto – nonostante la semi-resurrezione di Vivere e morire a Los Angeles – i vari Studios probabilmente non avevano ancora staccato dal muro la foto segnaletica di Friedkin usata come bersaglio per le freccette, a imperitura memoria del fallimento della Directors Company, dello schianto di Il salario della paura, e del generale atteggiamento di merda del nostro. Insomma, con l’accoppiata C.A.T. Squad si può ben dire che inizia ufficialmente la fase calante – non tanto fisiologica, quanto auto-indotta – della carriera di Friedkin. Sigla!
Il primo C.A.T. Squad non é brutto! Lo dice persino una delle poche recensioni dell’epoca, che lo mette nello stesso mazzo degli altri film che sarebbero andati in onda quella fatidica domenica 27 luglio 1986: Apology, film per la tv diretto dallo stesso tizio di Stress da vampiro, e il cult fantasy di primi anni 80 Il drago del lago di fuoco. In C.A.T. Squad c’è un tizio di nome Joe Cortese, nella vita vera nettamente un allibratore e/o macellaio a cui Friedkin ha fatto Face/Off con Michael Douglas. Egli, Joe Cortese, presta la mascella cesellata al personaggio di Doc Burkholder: agente segreto eclettico, duro e impassibile, mastro bluffatore che quando ha un compito lo porta a termine senza trovare scuse, senza troppi fronzoli e senza cambiare espressione nemmeno una volta e neanche per sbaglio. È l’uomo delle operazioni speciali, pericolose e pure un po’ impossibili. È talmente perfetto da avere anche un matrimonio fallito alle spalle – troppo lavoro, troppi Stati Uniti da tenere al sicuro – che lo rende sensibile il giusto. Lo conosciamo mentre fa una magata incredibile: si finge carcerato al confine con il Messico, riesce a fuggire dalla clinica dove stanno visitando i galeotti, si porta con sé il cattivone che vuole estradare con l’inganno, e una volta superato il confine gli fa «Bravo pirla: io sono uno sbirro e tu sei su Punk’d» e lo arresta. Grande Doc. Nel mondo di Doc, USA e NATO stanno architettando il più classico sistema di laser spaziali (la cosa preferita delle spie esagerate a cavallo fra anni 70 e 80) che metterà una volta per tutte la parola fine a quella storiaccia della Guerra fredda. Si chiama Grass Valley Project, e c’è qualcuno di non meglio specificato a cui la faccenda non piace per nulla. Questo qualcuno, quindi, assume il miglior killer prezzolato sulla piazza, Carlos (non lo Sciacallo) e lo sguinzaglia appresso a tutti gli scienziati che stanno lavorando al progetto. Gli Stati Uniti non ci stanno, convocano Doc in ufficio e gli ordinano di mettere insieme una squadra di pronto intervento per dare la caccia ai cattivi, senza farsi rallentare da tutte le burocrazie e le scartoffie del caso. Nasce la C.(ounter) A.(ssault) T.(actical) Squad, un nome brutto da mettere sui biglietti da visita ma eccellente nel caso in cui il film si dovesse rivelare l’episodio pilota di una serie tv anni 80.
C.A.T. Squad è, probabilmente, il massimo risultato raggiungibile da un matto che si mette in testa di realizzare un film di spie dalla trama ambiziosa con a disposizione 17 dollari di budget, catering escluso. C.A.T. Squad è serrato. Povero, ma serrato. È scritto con continenza e furbizia (mai lasciar parlare troppo a lungo attori imbarazzanti), ed è girato con estrema competenza (ci mancherebbe). Friedkin porta il thriller (tra lo spionistico e il poliziesco) dalle strade delle metropoli a un orizzonte internazionale e molto più fantasioso, ma non cambia troppo il suo approccio. Lo stabilizza, quello sì. Ma l’asciuttezza è quella. Sembra di vedere una versione americana di un film di Bond, ma vagamente ispirato alle atmosfere di le Carrè – le stupende trasposizioni tv (con protagonista Alec Guinness) di La talpa e Tutti gli uomini di Smiley sono andate in onda rispettivamente nel ’79 e nell’82. La parte più intrigante del film sta nel dualismo fra Doc e il sicario dei cattivi. Friedkin e Petievich esplorano e approfondiscono la figura della nemesi, fornendogli una storia, un set di motivazioni e, soprattutto, un allure da super professionista che lo rende temibile e contribuisce a mantenere alta la tensione fino alla fine. Carlos è un turbo agente simil Bond, che per amore dei soldi si è lasciato alle spalle un passato da guerrigliero vendicativo. Egli è in grado di sedurre chiunque, usare lanciarazzi e/o fucili di precisione, giocare a scacchi, e persino contraffare passaporti; anche se purtroppo riesce a fare solo una di queste cose alla volta. Il fatto che il cattivo sia caricato di fomento, rende abbastanza sensato un finale in cui i due vigliacchissimi cani co-protagonisti tassano la visione con uno scambio di one-liner senza carisma. L’altra faccenda che eleva C.A.T. Squad sopra la media dei film tv poveretti, è la colonna sonora di Ennio Morricone. Non una composizione originale, bensì il riciclo di un tema minore preso da Il mio nome è nessuno, western di Tonino Valerii con Terence Hill e Henry Fonda – che in colonna sonora ha anche un’esaltante campionamento per organetto de La cavalcata delle valchirie. È un tappeto musicale costante e onnipresente, tra lo stressante, l’ansiogeno e il paranoico. Dopo mezz’ora di film pare di essersi calati una di quelle strane paste che adesso sei abbastanza sicuro che c’è qualcuno che ti sta spiando.
Aspetta però. Perché tutta la pappardella di cui sopra è buona per il primo film. Il quale, al di là del budget ridicolo, di necessità televisive (a volte sembra di intuire gli stacchi pensati per la pubblicità, come nelle sitcom pre-streaming) e di attori in parte raccattati dal secchio dell’umido, se la cava alla grande e fa quel che deve: 100 minuti di thrillerismo compatto, senza troppi ghirigori inutili, con una trama solida e semplice da seguire, per quanto intricata. Il secondo invece, che si chiama Python Wolf e recupera quasi tutto il cast dei buoni dal primo – specialmente Steve James, visto in Vivere e morire a Los Angeles e poi in Delta Force e nei 3 American Ninja – sbraca del tutto ed è scritto abbastanza con i piedi. Qui il tentativo è quello di fare l’incastro a matriosca: c’è una grande storia di traffico internazionale di plutonio e annessa minaccia di disastro nucleare, e una piccola storia (infilata a forza e unita a doppio filo posticcio) di uno della squadra C.A.T. che finisce prigioniero di un gruppo di terroristi suprematisti bianchi sudafricani. Anche qui, ogni tanto Friedkin riesce a metterci del suo – ci sono delle torture mezze mostrate, seguite da una scena in cui Doc fa colazione con Steve James e lo spremiagrumi fa un rumore che richiama le grida di dolore dei prigionieri di cui sopra – ma nel complesso è una visione che provoca sofferenza acuta. E così come nel caso del primo film, il meglio di sé Bill lo dà nelle scene di appostamento e inseguimento: niente di clamorosamente spettacolare e forse nemmeno di memorabile – oltre ai soldi e ai mezzi, forse mancava proprio il tempo materiale per pensare di girare qualcosa di particolarmente elaborato o difficoltoso – ma tutta roba ben fatta, si vede che c’è la passione per certe faccende. Della forza cattiva, rivoluzionaria e anti-sistema di Friedkin, invece, rimane giusto la sagoma dell’idea di un protagonista ribelle (qui all’acqua di rose) che lavora per l’ordine costituito ma è talmente bravo da potersi permettere di stare al di sopra delle regole e tutti lo accettano e gli vogliono bene e lo incitano e lo ammirano (vedi il finale del primo film). La spinta anarchica si è già trasformata nel topos action del protagonista stipendiato dal sistema, ma appena appena fuori dai binari – in maniera comunque del tutto innocua per l’establishment. Anche i lieti fine convenzionali – nel senso che c’è sempre qualche caduto in missione ma il bene alla fine trionfa nettamente e senza ambiguità – non sono propriamente una roba da Friedkin.
Archivi NBC quote:
«Viste le premesse poteva andare peggio, ma non è una grande consolazione»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
>> IMDb C.A.T. Squad | IMDb C.A.T. Squad: Python Wolf
Per fan di Friedkin all’ultimo stadio e/o completisti. Apprezzo lo sforzo divulgativo, e il tono leggero (qui ci sta) dell’approfondimento. Anche perchè credo ci siano rari approfondimenti sull’argomento. :)
Però il Drago del Lago di Fuoco è un filmone.
@Toshiro.
Con tutto il rispetto per il problema dell’orecchio a cavolfiore, quando leggo il tuo motto non posso che pensare a quest’uomo:
https://www.youtube.com/watch?v=3PB2IZoVg3s
La moria di commenti è indicativa di quanti in Italia abbiano visto sti film. Mi sa che era pure roba che da noi non passava mai in TV.
Ti si vuol bene Redazione per essere andata ben oltre Le Basi. Qui siamo a Diagonale e Ipotenusa. Mi sto guardando il primo dei due osservando come in quegli anni il cinema proponesse brutti ciuffi anche tra i brutti ceffi. Oggi c’è molta più calvizie. Ora vi saluto che mi devo fare un fucile con la scopa, una lente d’ ingrandinento, il grilletto di mia moglie e una supposta.
Be’, al netto della cagnaggine degli attori , del faceoffismo e di tante altre cosine ( “il boom di 10 grammi di C4 può causare un’ esplosione nucleare dall’ altra parte del ristorante”) , la trama non è malvagia. Nomination al soldato piangente come miglior pianto di tutto il cinema tutto.