Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
Anche i migliori possono sbagliare, e il motivo per cui sono i migliori è che lo rimangono anche dopo un passo falso.
William Friedkin ha ripetuto più volte, parlando dei suoi film, che ce ne sono due dei quali il risultato finale coincide quasi al 100% con la sua visione iniziale: Il salario della paura e Vivere e morire a L.A.. Di fronte alla domanda “quali sono quelli che invece la riflettono di meno?”, qualche anno fa Friedkin ha invece risposto “L’albero del male e Assassino senza colpa?”, riconoscendo per lo meno che il secondo è piaciuto a un sacco di persone che non sono lui e limitandosi a citare il titolo del primo, come se volesse chiudere il discorso il prima possibile.
Di L’albero del male Friedkin ha sempre parlato pochissimo: è una cosa che ha fatto e della quale non ha piacere a discutere. E questo nonostante il film al tempo fosse stato caricato tantissimo prima dell’uscita, o almeno tanto quanto poteva permettersi di venire caricato un film costato una quindicina di milioni di dollari e senza star di richiamo. Venne caricato in quanto teorico ritorno alla forma per Friedkin, il suo primo horror dai tempi di L’esorcista, una nuova ora e mezza di brividi e blasfemie per tutte le età! Ma con L’esorcista Friedkin sapeva di cosa stava parlando: era un film che aveva fortemente voluto e usato come veicolo per discutere di una serie di temi che gli stavano personalmente a cuore, uno su tutti Il Male, nelle modalità che vi abbiamo già raccontato qui.
Con L’albero del male, invece, a Friedkin succede una cosa che non gli era mai successa prima in carriera: si ritrova in mano del materiale con il quale non ha confidenza e neanche particolari legami emotivi, e ne tira fuori un lavoro goffo, rabberciato e fin troppo meccanico. Un horror pagano, non cristiano, il cui potenziale da fiaba nera a tinte folk cozza irrimediabilmente con lo stile friedkiniano, con il suo amore per l’analisi e i dettagli, per le motivazioni dietro le azioni che mostra nei suoi film. Date a William Friedkin una bambina posseduta che bestemmia e si masturba con un crocifisso e lui ci sguazzerà; dategli una creatura dei boschi dalle motivazioni ancestrali e semi-incomprensibili e lo vedrete smarrirsi, perdere la concentrazione, mostrare un minimo di attenzione solo quando il film lo porta in territori più classicamente thriller e lontano da rami senzienti e branchi di coyote feroci.
Leggetevi poi qualche intervista al cast e qualche aneddoto di lavorazione e avrete il quadro ancora più chiaro. Se non avete voglia vi faccio io un riassunto dopo la SIGLA!
Credo che il dettaglio principale per capire L’albero del male e dove le cose siano andate storte sia che in origine l’avrebbe dovuto dirigere Sam Raimi, che abbandonò il progetto per dedicarsi a Darkman. Detto progetto prevedeva l’adattamento cinematografico del romanzo The Nanny di Dan Greenburg, un horrorino da spiaggia su una tata che si nutre dell’amore parentale come i vampiri si nutrono di sangue. Raimi avrebbe dovuto girarne una versione sottilmente satirica, o pesantemente parodistica, o forse impercettibilmente irrispettosa; fatto sta che vedere il film, e certe sequenze in particolare, e pensare a cosa sarebbe potuto essere con qualche bella soggettiva radente al suolo in più, fa venire una certa nostalgia.
L’albero del male sembra davvero un film scritto per la mano di Sam Raimi. È la storia di una giovane e affascinante coppia con neonato appena arrivato; i due ingaggiano una tata per prendersene cura e scoprono con loro orrore che la persona che si sono messi in casa è in realtà una driade dei boschi che rapisce i bambini e li mura vivi nella corteccia della pianta che dà il titolo al film – e questo lo scopriamo grazie alla più classica delle “scene iniziali di un horror”, quella dove si vede il mostro in azione su un’altra coppia (che ovviamente tornerà utile più avanti per motivi narrativi) prima che la narrazione si concentri su quella effettivamente protagonista.
È curioso vedere Friedkin alle prese con la grammatica di base dell’horror moderno, alle prese con fantasmi e creature maligne e case che sembrano infestate. Curioso e un po’ imbarazzante, perché è chiaro che al Nostro l’idea di fare un film dell’orrore con tutti i crismi (alcuni dei quali lui stesso aveva contribuito involontariamente a creare, ovviamente) ma senza troppi guizzi non piace; che questa storia della driade lo convince il giusto, probabilmente perché la tipologia di Male che incarna gli sembra troppo ultraterrena e assurda per interessarlo davvero.
Lo dimostra la quantità di riscritture che il film ha subito, sia prima sia durante le riprese: le storie parlano di una prima versione di L’albero del male nella quale la tata Camilla è in realtà Lilith, la demonessa della Mesopotamia, e di una prima riscrittura che trasformò il film in un thriller su una baby sitter fuori di zucca e senza un’oncia di soprannaturale. Jenny Seagrove ha raccontato di essersi ritrovata, da un giorno all’altro e già nel bel mezzo delle riprese, con un personaggio completamente nuovo, non più una tata ma una creatura legata alla cultura druidica. Idea di Friedkin, quest’ultima, che a quanto pare si era innamorato di questa storia e aveva deciso che voleva a tutti i costi un albero del male nel suo film L’albero del male.
Non vorrei fare lo psicologo da divano ma, visto anche il risultato finale, tutti questi bruschi cambi di direzione mi fanno pensare che Friedkin avesse un grande problema di fondo con L’albero del male, e cioè che lui per primo non riuscisse a capire di che male avrebbe dovuto parlare il film. Non ci sono dubbi che Camilla sia tradizionalmente “cattiva”, voglio dire, rapisce i neonati e li corteccizza, le persone buone non lo fanno. Ma dove Pazuzu incarnava il Male nel senso più assoluto e irredimibile del termine, al punto che la sua missione non era altro che “portare alla disperazione un po’ di gente”, Camilla incarna… un’entità soprannaturale presumibilmente antichissima e costretta a nascondere la sua vera natura (e trasformare i pupi in rami, d’accordo)?
Ci sarebbe spazio da un lato per un discorso più ampio, complesso e sfumato su forma e significato del Male e sull’incomunicabilità tra uomo e natura che è una delle radici di questo Male, ma Friedkin non sembra troppo interessato, forse perché non gliene frega nulla del paganesimo, forse perché è un uomo di città e queste storie da abbracciaalberi non lo convincono fino in fondo. Ci sarebbe in alternativa spazio per il buttarla più decisamente in caciara, ma per quello sarebbe servito Raimi, per l’appunto: nonostante un certo evidente distacco dal materiale, Friedkin è comunque una persona troppo seria per cedere alla risata, alla parodia o anche solo all’esagerazione.
Ci sono un paio di momenti dove si lascia un po’ andare, uno in particolare che comprende un quadruplice omicidio radicale che è sanguinolento ed esagerato il giusto (quindi un po’ oltre, ma non troppo, la soglia del buon gusto), ma che viene immediatamente soffocato dall’ennesima scena nella quale Friedkin si rifugia dove si sente più a suo agio: nella testa dei suoi protagonisti, inseguendoli per le scale di casa, girando loro attorno mentre guardano attoniti il figlio in coma per motivi inspiegabili, non mollandoli neanche quando portano il povero Jake in ospedale in una scena che vorrebbe fare il verso a quelle analoghe di L’esorcista ma che viene risolta troppo rapidamente e in modo indolore per lasciare un qualche segno.
È un po’ questo il problema di tutto L’albero del male, dalle radici alla chioma: è un film che scorre placido e senza troppo intoppi, e quando dovrebbe spaventare, angosciare, tirarci sberle si rivela timido e frettoloso, come se Friedkin non vedesse l’ora di finirla con queste scenette di paura delle quali un po’ si vergogna. Non voglio arrivare a dire che tratti l’elemento horror con sufficienza e superiorità, ma di certo non è mai stato così poco a suo agio come quella volta che si è trovato a dirigere una tizia nuda mezza vestita da albero che svolazza per la foresta. Non voglio neanche arrivare a dire che certe sequenze sono girate e montate male, ma ahimè lo sono – in particolare il primo finale, con una precipitosa fuga da casa girata con la stessa urgenza del meteo delle 20.
Poi naturalmente rimane un film di William Friedkin, non di Marcus Nispel. E quindi per esempio il secondo finale – tagliato nella versione televisiva, scelta per la quale lo stesso Friedkin chiese di non venire accreditato ma di usare il classico “Alan Von Smithee” – è un montaggio alternato grondante sangue e corteccia che da solo rende giustizia a tutto il film. Dwier Brown e Carey Lowell funzionano alla grande come coppia sacrificale e potrebbero tranquillamente stare in un film migliore di questo – probabilmente perché sono gli unici personaggi la cui natura non è mai cambiata con il susseguirsi delle riscritture. Quei momenti in cui Friedkin sembra intravedere qualcosa di più in Camilla che un semplice “è una tizia che ruba i bambini”, in particolare quelli dove viene fuori il suo lato più Lilith, più seduttore/sensuale e meno “non vedo l’ora di ficcare questo pupo in quella radice là”, fanno vedere sprazzi di intesa tra autore e opera, troppo rari e per questo particolarmente frustranti.
Sto dicendo che L’albero del male non è “un film brutto” e se lo si guarda distrattamente concentrandosi solo su quelle due/tre scene madre posso anche capire come si possa considerarlo “un film di culto”. È però un film svogliato, mediocre e fuori fuoco per ammissione del suo stesso autore, una cosa che è successa a William Friedkin nel 1990 e della quale da allora si parla il meno possibile, in generale. Poi magari lo si guarda anche, ma pensando che sarebbe potuta andare molto meglio.
Quote da incidere sull’albero del male
«L’albero del mehle»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Proprio di recente ho letto un articolo/saggio dello sceneggiatore, Stephen Volk, che racconta come questa esperienza lo abbia portato alla soglia dell’esaurimento nervoso e al quasi abbandono della professione. Lavorare con Friedkin lo ha segnato male, e le difficoltà relazionali sono state palesi fin da subito.
Me lo ricordo bene e per qualche scena ben fatta e tesa il giusto (l’attacco dei lupi), ce ne sono altre che fanno cascare le palle (la tizia verde è kitsch e ridicola abbastanza, ma non così tanto da fare il giro). Il finale con tanto di motosega e sangue a fiumi fa capire definitivamente che era tutta roba fatta apposta per Raimi.
A me piacque. Se si fa un parallelo con L’ Esorcista, in entrambi il male tocca quello che per noi umani è sacro, ossia i bambini. Solo che L’ Esorcista ti dava più la sensazione di un male “possibile” , e il pubblico lo collegò più facilmente al più famoso Satana Satana Satana. In questo il male ha un volto, un corpo e fa cose strane perchè è una tangibilissima sacerdotessa antica di un culto europeo. Possibilità di parallelismi con Satana Satana Satana: zero.
Sì, ai fini del risultato finale credo che il punto sia un altro però: Friedkin a Satana ci credeva (nell’accezione più ampia del termine), ai druidi e alle driadi no. Per una volta sarei curioso di vedere un remake di questo film fatto da chi invece bazzica di più in certi ambienti, tipo Eggers o magari Wheatley.
Tra l’altro The Ash Tree era stato portato sullo schermo (molto bene, direi) negli anni 70 dalla BBC, in una serie di corti per la tv chiamata Ghost Stories for Christmas.
Esatto, Stanlio, è quello che sottintendevo io (non sono stato didascalico, lo ammetto) : a Satana per un americano è più facile credere, ad un druido in gonnella no. Friedkin doveva aspettarselo. È un film che andrebbe rifatto: paradossalmente la gente oggi Crede poco, quindi può credere a tutto. Con poco budget e un po’ più di jump scare, ti finirebbe tra i più visti di Netflix.
Sì quello chiaro, io dico che secondo me è lo stesso Friedkin che non ci credeva mentre lo girava e questo un po’ si vede: è tutto molto scolastico e “da manuale”, in termini di ritmo, di struttura, pure di regia, ci sono scene che potrebbero uscire da un qualsiasi horror degli anni Ottanta/Novanta e altre dove Friedkin si rifugia nel “rifacciamo L’esorcista che almeno so come si fa” (è un film PIENO di carrelli lentissimi su porte chiuse dietro le quali si consumano cose turpi).
È strano perché il risultato finale sembra un film che gli è stato consegnato già pronto e solo da girare, quando poi in realtà l’aveva voluto e se l’era mezzo scritto lui.
Concordo. Ha voluto rifare L’ Esorcista, girandoci attorno, cercando di far capire a tutti che “non è uguale all’ altro, non vedete che ci ho messo delle differenze?”. Però è vero che è difficile fare il bis di scene capolavoro senza finire di conseguenza nel dimenticabile. Aveva finito le idee geniali.
Estiquatsi di William Friedkin, dei suoi film minori, dei suoi film nel cassetto… dice che… è regista bravo, ha fatto belli film.
Sinceramente: con ‘sto Friedkin ci avete un pochino abbottato. Ma proprio un pochino, eh. Un tantinello, via.
Riformulare tutto in un italiano comprensibile, grazie
Traduco io và, che non studiate le lingue.
E sticazzi ( ma cosa ce ne interessa) di William Friedkin, dei suoi film minori, dei suoi film nel cassetto…
Se devo proprio dire la mia ci avete un pò stufato (abbottato=riempito).
P.S. Ma il Veneto lo capite e il romano no?
@Militello. Fattene una ragione perchè ne avrai ancora per 6 settimane.
Noooooo dai?! Giura che la traduzione corretta è quella, non l’avrei mai detto! grazie del contributo non richiesto
@Dembo. Allora non capisci un cazzo due volte. Allora le cose dette con eleganza non le capisci. Allora bisogna dirtele chiare le cose.
Fai battute di merda, non divertenti, inutili e cretine. Sparisci.
Adesso hai capito, “cuiò”?
Dai fai il bravo che sei comparso da una manciata di mesi, torna a leggere ciak e vai a cuccia bobby
E tre. No ma continua. Fatti conoscere bene, cosicchè associato al tuo nome rimarrà il ricordo della tua antipatia e vuoto mentale.
@Dembo. E ricordati che se “cupo, nichilista, reazionario, incazzato” (parole tue, furbone), cioè un pò stronzo come te, è il tuo mantra, avrai pane per i tuoi denti.
Fa meno il figo.
Wow, pane per i tuoi denti non lo sentivo dal ’98
A me e’ piaciuto, tutto sommato.
Ha delle buone scene splatter, anticipa in un certo senso le tematiche de “La mano sulla culla” (anche se quello e’ decisamente piu’ riuscito) ma soprattutto un gran bel finalone alla motosega con rallenty e fiumi di sangue quasi alla Peckinpah, e che per noi appassionati del genere diventati poi genitori rappresenta il massimo.
Un mosto gigantesco minaccia la nostra famiglia?
Si mettono i cari al sicuro e poi gli si dice “…Ci pensa papa’.”
Con lo sguardo alla Bruce Campbell, ovviamente.
Un film sicuramente poco ispirato, Friedkin è capacissimo di usare la tensione a suo piacimento, ma in questo caso è come se non sapesse dove andare a parare. La violenza c’è ma a tratti arriva quasi senza avvertimento. L’omicidio dei quattro uomini nel bosco da parte degli alberi malvagi è un florilegio di sangue, teste schiacciate, arti staccati e chi più ne ha più ne metta. Però poi finisce tutto di botto, soprattutto non si capisce ai fini della trama a cosa serviva tutto ciò. Nel finale almeno l’uso della motosega ha senso nella distruzione dell’albero del male appunto, ma è proprio vero che in mano a Sam Raimi sarebbe stato un horror sopra le righe ma anche con una struttura folle ma certa.
Esce nello stesso anno di Troll 2: in quel periodo trasformare le persone in piante andava di moda
Credo che “svogliato a tratti, a troppi tratti per essere un Friedkin” possa essere un possibile riassunto. Da non critico, ma da guardatore presuntuoso mi permetto di dire che troppe cose che potevano essere fatte meglio senza troppo sforzo. Comunque si un remake secondo me potrebbe avere molto successo
Onestamente a me questo film piace, certo non è un capolavoro. Ricordo il periodo quando veniva trasmesso durante notte horror su Italia 1 durante gli anni 90, e sinceramente venivano trasmesse film peggiori rispetto a questo.