Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Seguiteci nel nostro nuovo, imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
Voce del verbo prendere a male parole. Che è stato fatto suonare come prendere a schiaffi perché bisognava far capire che c’è della voglia di violenza dietro a quelle male parole con cui ti voglio prendere a; che c’ho qui in fianco un cesto di lemmi incattiviti e appallottolati da sputazzarti con la penna BIC, e ne ho abbastanza per andare avanti tutto il giorno. Marrano sciamannato buzzurro e gaglioffo. Regole d’onore, quando è uscito nel 2000, è stato preso a male parole. Non dico del tutto gratuitamente – il film a volte ci mette del suo per farsi sbertucciare –, ma all’epoca è stato attaccato con quella veemenza che viene riservata ai film sbagliati e a quelli nemici. Tipo 500 giorni insieme. Ma Regole d’onore non è un film sbagliato, e neanche nemico. È un film a tratti scritto male, questo sì, con in più un finale che sceglie consapevolmente di sfrociarsi a velocità ragguardevole contro il muro della retorica d’accatto; perché era il modo più semplice e rapido per dirimere il ginepraio di sfumature morali ben imbastito fino a quel momento, ma anche perché è difficile sfuggire a certi checkpoint tassativi quando una major (sempre Paramount) ti dà 60 milioni di dollari per raccontare quanto se la passano male i poveri marines nel momento in cui devono affrontare le paludi della politica.
Ne hanno dette di ogni a Regole d’onore. Un film in cui «Non succede molto, e c’è poca suspence» (New York Times), che è anche «Disonesto fino al midollo» (TV Guide Magazine) ed è stato «Vittima della sua stessa goffaggine narrativa» (Philadelphia Inquirer), tanto da farti pensare che, certe volte, «Alcuni film funzionano meglio se non li vedi» (Daily News), visto che «Quando il film gratta il fondo del suo barile, ci ritroviamo di fronte a una sciocchezza sciovinista di prim’ordine, nonché uno dei racconti più moralmente confusi degli ultimi tempi» (Seattle Post) e insomma, alla fine, «Non funziona proprio. Peggio: è davvero offensivo» (Film.com). Anche se le mie male parole preferite rimangono quelle del Christian Science Monitor («Un film guastato dal ritratto semplicistico dei mediorientali come persone inevitabilmente violente e non degne di fiducia») e quelle del Guardian («Questo nonsense strillato, belligerante e reazionario è scritto pigramente, è grottescamente disonesto e trasuda un’inquietante forma di islamofobia»). L’Osservatore della Scienza Cristiana e il giornale della sinistra liberale inglese che vanno d’accordo, quanta tenerezza. Solo che bisogna essere un po’ stronzi o un po’ in malafede o un po’ entrambi per vedere dell’islamofobia in Regole d’onore, un film che mostra il marcio su tutti i fronti senza appoggiarsi al benaltrismo, che parla di dubbi morali, di corruzione nelle istituzioni, di post-verità ante-litteram e di uomini veri che prendono decisioni e se ne assumono la responsabilità vs. quaquaraquà disposti a tradire per interesse personale. E in cui gli unici a fare una figura barbina sono i terroristi – non credete al Christian Science Monitor: Friedkin fa un buon lavoro nel distinguere tra gli yemeniti che protestano pacificamente e i terroristi che attaccano l’ambasciata –, i politicanti americani che tramano nell’ombra e la pazienza di Samuel L. Jackson. Sigla!
Regole d’onore (e non d’ingaggio. Boh) ha qualche problema di sceneggiatura, si diceva. Quella originale l’aveva scritta Jim Webb – veterano ed ex senatore, riciclatosi come giornalista, sceneggiatore e romanziere – con l’aiuto produttivo di Scott Rudin, l’Harvey Weinstein degli scatti d’ira violenti. Solo che William Friedkin, accomodante e sereno come gli è sempre successo lungo una carriera del tutto priva di litigi e frizioni, scazza in tempo zero con Webb su alcune modifiche al copione, lo caccia senza troppi complimenti e si fa assumere l’esordiente Stephen Gaghan. Uno che sì, quello stesso anno vincerà l’Oscar per la sua seconda sceneggiatura (Traffic); ma che negli anni successivi finirà anche per scrivere e dirigere roba come Syriana (meh) e Dolittle con Robert Downey Jr. (uellaaa, chemmerda). La faccenda davvero esaltante di Regole d’onore, alla fine, è che Friedkin si è ritrovato a lavorare con quello che (a tratti) potremmo ben considerare del pattume narrativo – più incoerente che no nelle sue dinamiche interne – ma nonostante tutto abbia avuto successo nel dargli una forma cinematografica abbastanza spettacolare. Non solo nelle due scene d’azione che riempiono la prima mezz’ora abbondante di film, riuscendo anche a spingere in avanti la narrazione con economia di parole; ma anche in tutta la seconda parte, quella del dibattimento in tribunale, in cui l’espressionismo della messa in scena (con i controcazzi) di Friedkin quasi quasi ti fa dimenticare alcune delle fregnacce scritte da Gaghan.
Regole d’ingaggionore è uno di quei film fallati e falcidiati da svariate cappelle, ma innalzati a livelli di decenza (e oltre) da una regia superiore, e da un senso per la drammaturgia che riesce a tenere insieme una sceneggiatura piena di smagliature. E sai alla fine cosa succede? Che i difetti li percepisci, ma quando la vicenda è in procinto di risolversi sei lì ad aspettare il verdetto finale del processo con una certa trepidazione. Sei rimasto coinvolto dalla tensione drammatica costruita con sputo ed esperienza da Friedkin. Vincerà il colonnello Samuel L. Jackson, eroe di guerra e marine fin lì (più o meno) impeccabile, accusato di omicidio per aver ordinato di aprire il fuoco contro un gruppo di contestatori che stava assediando l’ambasciata americana nello Yemen? O la spunterà il lato brutto della burocrazia democratica, rappresentato dal Consigliere alla sicurezza nazionale che decide di occultare alcune prove pur di fare dell’accusato un capro espiatorio il cui sacrifizio, in nome del bene superiore, contribuirà a oliare i rapporti diplomatici con i paesi del Medio Oriente? Prevarranno lealtà e onore – ah ecco perché il titolo italiano a caso! Mamma che bravi questi adattatori italiani, pazzeschi – o vinceranno i magheggi di una politica sorda alla realtà e disposta a sacrificare il singolo per un supposto interesse collettivo? Tutte cose di cui, ho il sospetto, non me ne sarebbe sbattuto mezzo ciufolo se non c’avesse messo mano Friedkin. E questo credo sia un ottimo complimento da fare a un regista.
Cestone da 0,99 € quote:
«Questo merita di stare quantomeno nello scaffale delle offerte a 4,99 €»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
Un film che a parer mio ha sofferto del paragone col ben piu’ quotato “Codice d’onore”, che ancora oggi e’ il punto fermo per i legal thriller in salsa militaresca.
Altrimenti per quale altro motivo lo avrebbero chiamato così?
Il problema e’ che ha finito per passare come una sorta di brutta copia del film di Reiner (era suo, no?).
Peccato, perche’ lo trovo un’opera bella solida, e con interpreti che sono una garanzia.
Forse piu’ riuscito nelle parti fuori dal tribunale che in quelle dentro, ma tutto sommato valido.
Ancora una cosa: fermo restando che non e’ questo il caso, visto che chi taccia il film in questione di pregiudizi nei confronti di una certa tipologia di gente probabilmente si e’ fermato alla prima impressione.
Sempre ammesso che lo abbia visto.
Su Friedkin tutto si puo’ dire, ma non commette errori cosi’ grossolani come generalizzare.
E comunque, trovo stupido che un personaggio debba per forza seguire un allineamento morale.
Puo’ essere anche prevenuto, pieno di pregiudizi e persino razzista, se la storia lo richiede.
Dove sta il problema?
E’ un film, dopotutto.
Friedkin e’ stato davvero profetico, con lo Yemen.
Guarda caso, da li’ arrivera’ un tizio che da li’ a poco lascera’ un mucchio di bei ricordi sul suolo statunitense.
Ma proprio belli, guarda.
Mi pare che un sacco di gente faccia molta fatica a discernere tra il pensiero del regista, il messaggio del film e il punto di vista di un personaggio (specialmente se protagonista).
Sì, concordo.
La metto giù semplice: il politically correct ha rotto.
Sembra che ormai le uniche linee guida nella creazione di un personaggio sia il non dover offendere nessuno.
Ma un autore dovrebbe avere la libertà di dare vota ad un personaggio volgare, ignorante e persino offensivo, se é ciò di cui ha bisogno.
Anche ottusamente convinto di ciò che pensa e fermo sui propri principi, per quanto discutibili.
visto credo mille anni fa e si, penso di averlo accusato di polpettonaggine..o forse era la stanchezza da classica visione estiva iper notturna…lo ribeccherò
Il commento del Daily News “Alcuni film funzionano meglio se non li vedi” è bellissimo, me lo segno per il futuro. È anche abbastanza zen, tipo la questione dell’albero che cade dove non c’è nessuno e quindi non si sa se fa rumore o no.
Bellissimo in effetti quel commento. Però ha anche un senso, perché tra regia, cast e sinossi il film prometterebbe benissimo…
Il fatto buffo è che qui non mi pare sia stato massacrato come in America. Anzi, noi pubblico ignorante lo apprezzammo. Mi prese bene, come dice Redferne non è certo Codice d’ Onore, ma non è neanche quella boiata di Basic. Nella mia speciale classifica di militari nei cazzi amari finisce al secondo posto, poi ci metto La figlia del generale e ultimo, distaccatissimo, Basic. Al momento in cui scrivo non me ne vengono altri. Magari fra due ore me ne vengono in mente quattordicimila. Come sigla ci sta anche Killing an Arab dei Cure; così, giusto per far incazzare ancora di più i detrattori del film.
Ti consiglierei “Nella valle di Elah”, che parte da presupposti simili anche se lì si bada più sulla ricerca e sull’investigazione che sul processo.
E c’é sempre il buon vecchio Tommy Lee, guarda caso.
Visto. Bellino. Bella la parte delle indagini, figo il personaggio di Tommy Lee, mi ha un po’ deluso solamente il motivo dell’ omicidio. Ecco il primo dei quindicimila che pian pianino verranno fuori.
Ecco, ecco: High Crimes! Jim Caviezel accusato di cose che ha fatto o forse no ( dvd quote: “È solo un ragazzo, non è che lo si può sempre crocifiggere”) e Ashley Judd quando ancora la gente la guardava e diceva “la Jolie!?” e si beccava un giro di schiaffo del soldato sul coppino. Credo sia tutto.
Nel 2003 uscì poi Basic, di McTiernan con J. Travolta e di nuovo Samuel Jackson, che mi pareva avesse la stessa premessa: marine duro e cazzuto fa una cosa strana, e un altro militare lo deve scagionare, MA NULLA È COME SEMBRA. Io intanto sono settimane che cerco di ricordarmi quale dei due film avessi visto all’epoca.
Insomma, per indorare la pillola sostieni che il regista è stato bravo a guarnire magistralmente una merda fumante. Ma il problema è che la responsabilità di aver servito uno stronzo infiocchettato è tutta sua, è lui che ha scelto di metterlo in menù, non si può solo prendere gli applausi per averlo ben impiattato.
Dvd quote tra le mie prefe ever
1) “…potremmo ben considerare del pattume narrativo…” Ho un dubbio, intendevi piattume o proprio pattume?
2) Ma Pam e Tommy (che non ho visto, ma lo odio solo per quanto hanno rotto le scatole, c’era la pubblicità dappertutto, ormai pure su Topolino) alla fine come era? (non sono off topic, c’è nei tag)
Ai tempi non era male. Tieni conto che Pam era al top della fama e della forma e chi aveva la videoteca lo esponeva in vetrina come a dire “siamo gente seria”. Per quelli come me che salutavano la sigla di Baywatch con la mano libera fu manna dal cielo. 2 scene memorabilissime, il resto il solito filmino matrimoniale che fai se sei strafatto di coca.
Della serie non so nulla. Forse a te interessava sapere di quella…Chiedo scusa, mi scanso e mi taccio.
Non è male, un bel mix tra commedia, tragedia, ricostruzione di un epoca e eventi troppo assurdi per non essere veri, tipo il ladro che si traveste da cane mettendosi un tappeto addosso per entrare in villa ingannando le telecamere. Menzione d’onore a Lily James che è efficace in un ruolo che il più lontano possibile da quelli che ha interpretato sinora. È bravo anche Sebastian Stan,ma il dubbio che lui sia così anche nella vita reale c’è.
La serie Pam & Tommy parte bene (prime due puntate molto belle) ma poi si perde e ammoscia, non sa più dove andare a parare e si rifugia in un generico “oh poverina Pamela Andersson che ha tanto sofferto”. I due attori protagonisti sono fenomenali.
Tommy Lee è DAVVERO così. Guardatevi le interviste, vecchie e nuove, è sempre stato un cazzone con un ego ipertrofico
Si’, ti do’ ragione.
La metto giu’ semplice: il politically correct ha rotto.
Soprattutto il concetto che un personaggio fittizio debba per forza tener conto di non offendere nessuno.
Se occorre, devo essere libero di dare vita a un personaggio volgare, ignorante e pure ottusamente fermo sui propri principi. Al punto che non sente la minima necessita’ di cambiarli.
Visto. Bellino. Bella la parte delle indagini, figo il personaggio di Tommy Lee, mi ha un po’ deluso solamente il motivo dell’ omicidio. Ecco il primo dei quindicimila che pian pianino verranno fuori.
Caspiterina che spietatezza da parte degli admin. Severi ma giusti, sì, ma anche un po’ stronzi, seppur capisca che sia anche un po’ per il suo bene (han segato un ennesimo commento di P., uno dei suoi soliti)
…insieme a Pier non ci sto più / sego i commenti di lassù…
Ci tengo solo a ribadire una cosa, a scanso di equivoci, per chi è relativamente nuovo. Noi non siamo come quei siti che si vantano di applicare la democrazia e poi al primo momento di difficoltà cedono e censurano. Noi abbiamo dichiarato la dittatura subito, fin dal giorno uno. E poi abbiamo passato gli anni a descrivervela apertamente con dovizia di particolari, e a rendervi partecipi il più possibile di tutte le cose – belle e brutte – che ha da offrire la gloriosa Repubblica di Val Verde, i suoi pittoreschi e nervosi abitanti e la rinomata giungla circostante. Quindi insomma: niente di insolito.
…e io adesso come faccio senza pier a sacramentarmi una volta sì e l’altra pure?!
celie a lato, per essere dispotici confessi avete pazientato anche troppo.
Pier confonde spesso la libertà d’espressione con la libertà di disturbare tutti