Vi ho mai parlato della mia avversione per le serie antologiche? Sapete, quelle in cui ogni episodio racconta una storia a sé, magari legata a un filo tematico generale. La roba alla Black Mirror, per capirci. Ecco, a me quella roba lì mi sta abbastanza sul cazzo perché ogni è episodio è come un film in miniatura e non si riesce mai davvero ad approfondire nulla. Già un’ora e mezza è poca, diamine, già due ore e mezza sono poche delle volte, se non sei bravo a sintetizzare e suggerire con le giuste immagini o i giusti dialoghi. In cinquanta minuti che cazzo vuoi raccontare? Mi rendo conto che sto generalizzando e che sicuramente esistono ottime serie antologiche (non mi riferisco ovviamente ai classici, tipo Ai confini della realtà, ma alle cose contemporanee), o per lo meno ottimi episodi di serie antologiche, ma in generale il feeling mi pare un po’ questo: filmetti troppo lunghi per essere dei corti e troppo brevi per dire qualcosa di profondo.
Ecco, il nuovo adattamento di Firestarter mi ha dato proprio questa impressione, come se fosse l’episodio di una serie antologica basata sui romanzi di Stephen King (Castle Rock non conta, è un antologico stagionale e racconta storie “originali”). Come se il povero regista Keith Thomas (The Vigil) e il povero sceneggiatore Scott Teems (Halloween Kills) si fossero ritrovati in mano l’arduo compito di sintetizzare un libro di 432 pagine nella puntata di una serie TV. Firestarter non dura come un episodio di Black Mirror, ma i suoi 94 minuti sono 20 in meno rispetto ai 114 di Fenomeni paranormali incontrollabili di Mark L. Lester, e si sente. Tutto resta in superficie e persino i personaggi più interessanti del film originale (e del romanzo, a cui era fedelissimo) qui risultano a malapena abbozzati, come quelli del brutto pilot di una serie mai realizzata. Prima di proseguire, sigla!
Parlo della fedeltà al romanzo, ma il romanzo in realtà non l’ho letto. Mi è bastata però un’occhiata alla trama su Wikipedia per capire che il film di Lester aderiva al testo originale in maniera pedissequa, a partire dall’inizio in medias res. Firestarter 2022 invece inizia dall’inizio, se vogliamo; non tanto dagli esperimenti con la droga il Lot Six che hanno donato a Andy McGee (Zac Efron, che lodevolmente ci prova a staccarsi dalla sua immagine di bronzo di Riace semovente) e a sua moglie i poteri del ciavvielle, quanto dalla normalità famigliare (si fa per dire) prima che gli agenti della “Bottega” arrivino a rompere le uova nel paniere per mettere le mani su Charlie (Ryan Kiera Armstrong). Ecco, vedendo il film senza aver letto il libro, ho pensato “Vuoi vedere che questa è la parte che il buon Mark L. Lester non ha avuto il tempo di raccontare?”. Ho pensato che Lester lo avesse fatto iniziare in medias res per risparmiare tempo, riservando la poca esposizione necessaria ai flashback. Mi sbagliavo: King stesso, da filmmaker con le parole quale è sempre stato, iniziava con Andy e Charlie in fuga e raccontava l’antefatto solo in seguito.
Firestarter è dunque il raro caso di adattamento che sceglie un approccio più letterario del libro da cui è tratto. Tutto avviene in linea retta, seguendo fedelmente la struttura a tre atti. Firestarter è, per dirla in parole povere, un film di supereroi. E non è poi così strano, eh? Dopo tutto, Charlie è una mutante nel senso marvelliano del termine: figlia di due individui superumani, è nata già con i poteri. È un essere superiore, il passo successivo dell’evoluzione umana, come il sicario Rainbird (Michael Greyeyes) tiene a spiegare al suo boss Hollister (Gloria Reuben, equivalente gender-swap di Martin Sheen). E infatti, mentre mamma e papà soffrono tantissimo a usare i loro poteri, Charlie non fa per nulla fatica e, anzi, prova persino piacere. A un certo punto, Hollister le dice “Sei un supereroe in carne e ossa”. Se il romanzo di King era una sorta di “What If” che si chiedeva “Cosa succederebbe se un X-Man fosse nato nel mondo reale?”, cercando una risposta tutto sommato plausibile (“Il governo lo rinchiuderebbe in una struttura e lo studierebbe per il resto della sua vita”), Firestarter 2022 si chiede invece “Come possiamo raggiungere il target Marvel?”.

Marvel’s Stephen King.
Il risultato è un film con una trama completamente diversa, che mantiene qualche vaga somiglianza con l’originale ma sceglie da subito di sacrificare il rapporto padre/figlia, la caccia all’uomo, MK-ULTRA e le menate paranoiche post-Watergate in favore di una più canonica origin story, con tanto di training montage e persona cara rapita, e con un finale aperto che preannuncia un possibile sequel. Raga, è già tanto che non c’è la scena post-credits.
Ed è incredibile come Firestarter riesca a raccontare meno della metà delle cose che raccontava Fenomeni paranormali incontrollabili in un tempo più o meno equivalente. Alla fine del primo, per quanto pedante e pieno di esposizioni, si restava un po’ con l’impressione di conoscere quei personaggi, le loro contraddizioni e motivazioni. Qua, come detto, sono quasi tutti dei bozzetti, compresi Charlie, Andy e Hollister, che appare sì e no in due scene e ha pochissimi dialoghi. L’unico che forse ne esce relativamente bene è Rainbird, che riacquista il suo background Cherokee (nell’originale era interpretato da George C. Scott in un clamoroso caso di whitewashing) e mantiene un minimo di ossessione per Charlie, anche se molto meno inquietante che nel primo. Qui si inventano che anche lui è stato una cavia della Bottega, cosa che mi pare nel romanzo non ci fosse (come del resto nel film di Lester). È uno spunto interessante (le prime cavie non erano dei bianchi ma delle minoranze) che, però, ancora una volta non viene debitamente sviluppato. Qualcuno prima o poi dovrebbe mettere a confronto queste due sceneggiature e farci una tesi di laurea sull’economia della narrazione o roba del genere.

“Papà, ma è vero che hai fatto High School Musical?”. “Sono cose di cui non parliamo, in questa famiglia.”
Ma il vero crimine del film arriva nel finale: quando Charlie dà fuoco come da programma alla Bottega, la distruzione è lasciata praticamente del tutto fuori scena. Con tutto il bene che si può volere a Jason Blum, una delle principali ragioni per realizzare un nuovo Firestarter era mostrare i poteri di Charlie in azione con effetti visivi moderni e un po’ più convincenti delle palle di fuoco lanciate da Drew Barrymore nel primo film. E invece, purtroppo, è proprio qui che le limitazioni del budget Blumhouse vengono a galla nel peggiore dei modi, privandoci addirittura di una meritata catarsi.
Mi stavo dimenticando di parlare della cosa migliore del film, ovvero la colonna sonora composta da John Carpenter, Cody Carpenter e Daniel A. Davies. Ed ecco un trivia che è più interessante del film: Carpenter avrebbe dovuto dirigere Fenomeni paranormali incontrollabili, ma fu cassato dalla Universal dopo il fallimento de La cosa. Al suo posto vennero chiamati Lester alla regia e alle musiche i Tangerine Dream. Gli stessi che avevano realizzato la colonna sonora de Il salario della paura, della cui vicinanza allo stile di Carpenter abbiamo già parlato. Fa piacere vedere come, quarant’anni dopo, zio John sia riuscito a rientrare dalla finestra tramite l’accordo tra Blumhouse e Universal (che ha già partorito i due Halloween di David Gordon Green). A parte questo, se cercate un bell’adattamento di Stephen King andate piuttosto a rivedervi Christine.
Noleggio in un pomeriggio uggioso quote:
“Incendierà tutto, tranne il vostro cuore”
George Rohmer, i400Calci.com
E’ incredibile come film assolutamente mediocri come Cujo, Grano rosso sangue, Firestarter, Unico indizio la luna piena con gli anni abbiano guadagnato una patina carpenterian/spielberg-iana che li ha incredibilmente migliorati invecchiandoli. Lo stesso Christine di Carpenter, che e’ di un altro livello ma non e’ certo mai stato il miglior Carpenter (e banalizzava il romanzo piu’ fintamente “rozzo” di King, uno dei suoi piu’ profondi e neri invece), oggi ha acquistato una luce di classico semi-perfetto che non sfigura con il resto della filmografia del nostro.
La stessa cosa, almeno ai miei occhi, non funziona con le robe 90s. Cimitero vivente mi ha stupito in negativo rivedendolo in anni recenti: fedelissimo al piu’ terrificante romanzo di King, ma privo di atmosfera e davvero tagliato con l’accetta, la miniserie di It peggio ancora della merda senz’anima che ricordavo: davvero non riesco a concepire il semi-culto che la circonda. E no, Tim Curry fa tanto ma non basta, e non dovrebe essere cosi’ essenziale il dato che molti possano averlo visto da bambini. Cioe’, a me da bambino terrorizzo’ l’episodio di Starsky e Hutch con John Saxon che faceva il vampiro, ma non e’ che oggi vado a dire in giro che e’ un “cult” dell’audiovisivo del horror (anche se era 10 volte meglio dell’It di Tommy Lee Wallace).
Concordo su tutta la linea, soprattutto sul terribile “It”…
L’ Acchiappasogni non è stato brutto. Lungo, ma ricalca bene il romanzo.
Infatti L’acchiappasogni non è 90s (è del 2003).
Nulla toglie che è uno dei pochi adattamenti kinghiani del periodo a meritare veramente
Cioè hai parlato male di Black Mirror ..?
Non necessariamente, ho visto qualche episodio ma non posso giudicare. Dico solo che a me non piace quel tipo di serie in generale, trovo che gettino buoni spunti senza svilupparli. Problema mio, evidentemente.
I’m the trouble starter, punkin’ instigator /
I’m the fear addicted, a danger illustrated /
I’m a firestarter, twisted firestarter
In effetti mi aspettavo questa come sigla…
Domanda: mi sono accorto che non avete mai recensito questo, che ho trovato un gran film e ha molti punti in comune con le situazioni da te descritte
https://www.imdb.com/title/tt8781414/
Com’é potuto succedere?
Filmone ,era su prime video ma solo doppiato. Visto in v.o.
Consiglio per consiglio dovresti vedere
A record of sweet Murder , mai uscito in Italia ,fra i migliori found footage mai fatti.
Se guardi il trailer te lo rovini completamente.
L’ho visto, è carino. È successo che quando l’ho suggerito in redazione non ho trasmesso abbastanza entusiasmo da far sì che qualcuno se lo accollasse. Colpa mia. In effetti oggi varrebbe la pena parlarne anche solo per dire “è una versione migliorativa del nuovo Firestarter”.
In realtà, a parte pochissime eccezioni le trasposizioni filmiche delle opere di King stazionano tutte sul mediocre.
Salvo solo Christine, Shining , Le Notti di Salem e la prima parte del vecchio IT. E sì, anche Fenomeni Paranormali Incontrollabili.
Sui film tv peggio ancora.
Sulla parte horror, perché su quelle drammatiche va decisamente meglio.
Il Miglio Verde, Stand By Me, Le Ali della Libertà, Misery non Deve Morire o L’Ultima Eclissi sono decisamente più riusciti.
Da questo punto di vista, giusto per tirare in ballo una vecchia quanto inesistente faida letteraria (sulla quale gli stessi scrittori ci hanno a più riprese scherzato su), Barker al cinema ha senz’altro dimostrato di capirne di più.
Io salverei anche Carrie, neh
Si’, concordo.
In effetti me l’ero dimenticato, e dovevo aggiungerlo.
Thanks.
Ho rimembranza di un solo King fatto bene.
Shining?
Con King è sempre un terno al lotto; sono più i film, e le serie, mediocri o bruttini che quelli veramente riusciti. Uno dei migliori registi kingiani, per me, è Mike Flanagan. Più kingiano nei suoi lavori ispirati a tematiche e suggestioni kingiane che negli adattamenti veri e propri (“Il gioco di Gerald” molto carino; “Doctor Sleep” non è uno dei suoi film più riusciti, ma era un’operazione molto difficile). Esempio: “The Haunting of Hill House”, con il suo continuo dialogare tra passato e presente, ha più vicino ad “It” che al romanzo di Shirley Jackson (libro, oltretutto, molto amato da King, che ha omaggiato in “Rose Red”). Anche “Midnight Mass” ha molte cose in comune con diversi lavori di King: “La tempesta del secolo” (una piccola comunità di un’isola del New England che si trova ad affrontare una minaccia sovrannaturale e i suoi peccati), “Le notti di Salem” e “Unico indizio la luna piena”.
ogni volta che leggo Midnight Mass ho l’impulso incontrollabile di scrivere “CHE CAZZO DI CAPOLAVORO CHE E’ MIDNIGHT MASS!”
Ahahah! Onesto.
Ehi ehi non dimentichiamoci di The mist.
Io ho letto un solo libro di King (manco mi ricordo il nome) quindi non dovrei parlare, ma è impossibile non constatare come un autore così amato sia stato raramente adattato in modo decente al cinema.
Però The Mist è una bella eccezione
Concordo! Darabont, con “Le ali della libertà”, “Il miglio verde” e appunto “The Mist”, è il regista che meglio ha adattato King al cinema, seguito da Rob Reiner con “Stand by Me” e “Misery”.
the Mist gioiellino..e anche l’Acchiappasogni non era male
Per me la questione sta lì: The Mist è tratto da una novella, non da un romanzo, come anche altri tra gli adattamenti migliori di King (Stand by Me, ad esempio). Il problema con King è che i suoi romanzi sono lunghi, molto densi, strapieni di personaggi, ciascuno con il suo arco, le sue motivazioni e i suoi tratti peculiari. Adattare questo in due ore è impossibile. Le novelle di King, che spesso sono quasi romanzi brevi, sono sulle 100 pagine, la lunghezza perfetta per una sceneggiatura e la quantità di info giuste per un film. Per quello The Mist è venuto bene: è identico alla novella, la sviluppa da cima a fondo e ne mantiene tutte le cose belle. Sono convinto che per adattare i romanzi di King la cosa migliore sarebbe sempre trasporli in miniserie di lusso. Vedi Midnight Mass, che è super-kinghiana e sembra davvero di leggere un suo romanzo.
Se posso dire la mia, il film è migliore della novella. Uno dei problemi che ha sempre avuto King, a parte l’essere eccessivamente prolisso, è quello di non sapere spesso scrivere i finali. Nel racconto The Mist il finale di King gira un po’ a vuoto, mentre Darabont nel film tira fuori uno dei finali più cinici e cattivi che ricordi negli ultimi anni.
E se ricordo bene anche il finale del film le Ali della libertà è migliore di quello scritto da King, con gli aguzzini del carcere che fanno una brutta fine.
ogni volta che leggo Midnight Mass ho l’impulso incontrollabile di scrivere “CHE CAZZO DI CAPOLAVORO CHE E’ MIDNIGHT MASS!”
Concordo totalmente con Maybe, anche io ho sempre trovato il principale difetto di King nei finali, ecco perché i film migliori sono quelli che hanno rimaneggiato il finale, cosa che regolarmente ha scontentato King (spingendolo a fare il regista con risultati meno che mediocri). Ma trovo validissima anche l’affermazione di George, i racconti sono più adatti alla trasposizione e per questo hanno dato i risultati migliori.
Per quanto riguarda Le ali della libertà, sinceramente non trovo troppo significativi i ritocchi del finale, tantomeno li preferisco (l’abitudine americana di far morire i cattivi è il segno distintivo di quel moralismo intriso di ipocrisia che non me li rende particolarmente simpatici). Le modifiche che ricordo sono il personaggio di Red, che nel libro è irlandese (ma Morgan Freeman ci dà l’interpretazione della vita, per cui altamente chissene) e soprattutto il modo con cui il direttore neutralizza il testimone che potrebbe dimostrare l’innocenza di Andy. Nel film viene ucciso, nel libro tradisce Andy per un trasferimento in un carcere più comodo. Molto più amaro, l’avrei anche in questo caso preferito.
King ha sempre detto che scrivere i racconti gli costava un’enorme fatica, e che preferisce scrivere i romanzi, anche perché se vieni pagato per numero di parole guadagni molto ma molto di più in questa maniera.
Mi piacciono le novelle e le raccolte di racconti di King che ho letto (non tutte), tranne Tutto è fatidico, che mi sembra di ricordare fosse piuttosto brutta.
Essenzialmente un racconto si basa su un’idea forte, deve aver un buon finale, il regista può colmare le parti mancanti senza gridare al sacrilegio della pagina scritta, ed è di conseguenza più semplice da rappresentare sullo schermo.
Sul finale originale di King Le ali della libertà non so, sarà la mia educazione cattolica, ma non credo ci possa essere una vera redenzione senza la punizione del cattivo. Magari sono anche le mie aspettative di spettatore facilone.
Con mio cugino un giorno ci eravamo messi a dipanare la questione della novella. Pare che in inglese usino il termine novella proprio per indicare il romanzo breve, mentre per noi è il racconto. Il termine nasce col Decamerone di Boccaccio, che contiene 100 novelle appunto, e si tratta ormai di un falso amico in tutto e per tutto. Quindi The Mist è un romanzo breve di Stephen King (inizialmente pubblicato nella antologia Dark Forces che infatti scrive in copertina “A short novel by Stephen King”). In inglese il racconto si chiama short story, ma la loro novella è più lunga (e più corta di un romanzo). Comunque se qualcuno conosce l’inglese meglio di me, confermi o smentisca.
Mi devo essere addormentato un attimo… da quand’è che un’ora e mezza non basta per raccontare una storia come si deve?
Siamo nei 2000, se non fai almeno 140′ non sei nessuno…
Peccato perchè confermi quello già detto in altri luoghi, in altre recensioni. A questo punto la tua rece fa sentenza. Terrò i soldini del cinema per prendermi del Lactoflorene che col clima a manetta in macchina ho il pancino delicato. Come miglior trasposizione opto per Ossessione, libro di King fuori catalogo, ma che in America mediamente due volte all’ anno viene riproposto live nelle scuole. Lo fanno quasi pari pari al libro…
Libro peraltro fuori catalogo per volere di King stesso.
Già. Uno degli studenti della strage di Columbine, se non erro, lo aveva nello zainetto. Effettivamente, se sei sull’ orlo, una spintarella quel libro te la può dare. Lo custodisco gelosamente come pezzo da collezione, ma se avessi un figlio adolescente un po’ incasinato, lo brucerei. Il dialogo in cui Charlie mette a nudo le debolezze del preside, entrandogli nella testa e sputtanandone l’ autorità, è un piccolo capolavoro letterario.
Sarebbe stata la colonna sonora ideale.