Il film si apre su un poliziotto tracagnotto, basso, brutto, grezzo, con baffi e capelli unti, che mangia zozzerie all’interno della sua auto di pattuglia.
È il tipo di personaggio che di solito sta sullo sfondo: è quello che quando Stallone o Mel Gibson entrano in caserma con la loro aria da superstar lui è dietro a intervistare uno spacciatore o una prostituta tanto per fare colore; al limite è la spavalda vittima di un momento buffo/cazzuto, quello che va dal nostro eroe cercando di fare il bulletto, rinfacciandogli una missione andata male o stuzzicandolo con una battuta bruttissima col sorriso illuso di chi ha detto la cosa più geniale della settimana, ma che gli si ritorce immediatamente contro tramite una risposta molto più sagace e/o la fazza spiattellata contro un armadietto.
Oppure, se viene eletto a protagonista, è Il cattivo tenente.
Altrimenti durano poco sullo schermo, questi personaggi.
E infatti anche qua muore subito.
Tranne che stavolta è tutta una messa in scena, perché in realtà a questo turno l’eroe è proprio lui.
Il film è…
POLIZIOTTO TRACAGNOTTO
NO! Scusate, volevo dire:
IL MIO NOME È REMO WILLIAMS.
Sigla:
No sul serio: vedi il poliziotto tracagnotto morire nell’incipit e pensi “questo è il cugino di terzo grado di Schwarzenegger, hanno commesso un madornale errore, e ora inizia la vendetta”.
E invece no, il protagonista è proprio lui: Fred Ward.
Ex-pugile e cadetto dell’aviazione militare, Fred Ward aveva studiato recitazione a Roma ed esordito in due tv movie di Rossellini (L’età di Cosimo de Medici e Cartesius). Tornato negli USA, la sua fazza di pietra aveva immediatamente attratto Don Siegel e Walter Hill che l’avevano infilato rispettivamente in Fuga da Alcatraz e I guerrieri della palude silenziosa: come specie di Charles Bronson più economico e versatile, aveva ottenuto un ruolo da protagonista in Timerider, un progetto ideato da nientemeno che Michael Nesmith dei Monkees che anticipava a suo modo Ritorno al futuro (specie il terzo) ma senza infiammare il botteghino. Ruoli successivi, memorabili, in Fratelli nella notte e Uomini veri, avevano consolidato la sua abilità di carismatico team player: Remo Williams era la sua occasione seria per spiccare il volo.
Il progetto suona banalissimo oggi, ma per l’epoca, in cui non dico interi cineuniversi ma già girare un sequel non era scontatissimo, era di gran lunga più ambizioso della media: lanciare un intero nuovo franchise d’azione che fosse una specie di risposta proletaria a James Bond. Era tratto da una popolare serie di romanzi brevi ideata da Warren Murphy e Richard Sapir, intitolata The Destroyer e pubblicata periodicamente a partire dal 1971, per un totale che oggi si attesta su circa 150 numeri. Lo script era di Christopher Wood (La spia che mi amava, Moonraker) e la regia di Guy Hamilton (Goldfinger, Una cascata di diamanti, Vivi e lascia morire, L’uomo dalla pistola d’oro). Per il ruolo del protagonista avevano provinato anche Ed Harris e un ancora sconosciuto Bruce Willis. Il titolo originale del film, tanto arrogante quanto portasfiga, era “Remo Williams: The Adventure Begins”.
La formula era assolutamente moderna, attualissima ancora oggi: un “uomo medio” dal potenziale inespresso, un affidabile servitore della legge con passato militare, viene reclutato da un’associazione segreta extra-governativa chiamata “CURE” che si propone di “tappare i buchi del sistema legale” decidendo in autonomia chi sono i cattivi e auto-assegnandosi il compito di neutralizzarli. “Noi siamo l’undicesimo comandamento: non rimanere impunito” (“thou shalt not get away with it“).
Reclutato non è esatto: il nostro protagonista viene letteralmente buttato a fiume, spacciato per morto, operato di chirurgia facciale (ovvero sbarbato, spettinato e giusto ritoccato al naso) e fornito di nuovo nome fighissimo: Remo Williams. Il titolo italiano è impeccabile: Il mio nome è Remo Williams. Vi chiamaste Remo Williams, non andreste anche voi in giro a vantarvi con tutti? Io lo farei.
Ma ecco: è una fantasia classica e ciclica, una frustrazione avvertita molto forte negli anni di Reagan (Stallone il portabandiera) e ancora oggi validissima e tranquillamente bipartisan, tra roba tipo Kingsman, Hunters, Six Underground, e – ovviamente – gli Avengers. Ad esempio, cronologicamente parlando esattamente a metà strada tra oggi e Remo Williams, era precisa precisa la premessa di xXx.
Come dettagliato nei libri, che in questo erano in anticipo sulle mode, come prima cosa Remo impara le arti marziali.
La parentesi sulle arti marziali è importante.
Il libro era stato scritto prima ancora che Bruce Lee “terrorizzasse” l’Occidente, per cui che approccio vi aspettate? Il libro non so, ma il film le tratta allo stregua delle prime volte che avevate sentito parlare dello yoga: una conoscenza pari allo zero, una cognizione che non le distingue sostanzialmente da quei santoni che ti guariscono da un tumore estraendolo dal tuo stomaco a mani nude.
Ma, se non altro, è onesto: inventa uno stile tutto suo, il “Sinanju”, e neanche per un istante pretende di convincerti che sia vero/credibile. Non si vedono neanche vere mosse di arti marziali: è più una roba di diventare tutt’uno con l’Universo, respirazione e concentrazione che se allenate per bene per – non so, in che lasso di tempo è ambientato il film? – tre o sei mesi, ti permettono di fare cose incredibili come saltare ostacoli al buio, correre sulla sabbia senza lasciare impronte, schivare i proiettili. Non si vede un solo calcio in fazza, al massimo un paio di leve e prese al collo, e un bel po’ di ginnastica. Pare sostanzialmente di vedere Matrix con 15 anni di anticipo.
La chiave, nonché il vero centro carismatico del film e contemporaneamente l’aspetto più controverso, è il Maestro Chiun.
Mettetevi seduti.
Il Maestro Chiun è coreano ma, nella grande tradizione consacrata da David Carradine in Kung Fu, è interpretato da Tilda Swinton Joel Grey con gli occhi truccati a mandorla che fa l’accento orientaleggiante.
Joel Grey è uno stimatissimo attore di teatro, una leggenda di Broadway che aveva anche già vinto un Tony nel ’66 per Cabaret, e poi anche un Oscar per lo stesso ruolo nella versione cinematografica del ’72.
È chiaro perché l’abbiano scelto: ha carisma, eleganza, e si muove come un marziano. Deve fare l’80enne: ha 50 anni e la grazia di un ventenne.
L’anno prima, nel 1984, c’era stato Karate Kid: un successo incredibile, specie grazie al personaggio del Maestro Miyagi. Miyagi era stato affidato a Pat Morita, giapponese cresciuto in USA fin da bambino. Pat era l’ultima scelta: era un comico, famoso per il ruolo di Arnold in Happy Days, non sapeva una ceppa di arti marziali e aveva l’accento californiano. Ci mise un po’ a convincere i produttori che sarebbe stato in grado di interpretare un serio e saggio immigrato di Okinawa che ha vissuto tutta la vita praticando karate. Pat si concentrò, rispolverò il nome giapponese “Noriyuki”, fece l’umiliante accento da sbarcato fresco, si fece doppiare nelle scene di lotta dalla vera leggenda Fumio Demura: ne uscì un’interpretazione iconica e persino una nomination agli Oscar. Probabilmente, se lui non avesse convinti, dopo di lui i produttori erano già pronti a chiamare direttamente Mickey Rooney.
Non è dato sapere chi avessero cercato invece prima di Joel Grey, ho solo trovato documentari di 30 anni dopo in cui tutti giurano che “ci abbiamo provato ma non abbiamo trovato nessun coreano vero che fosse adatto/disponibile”. Grey, da parte sua, dice di aver rifiutato più volte ed essersi fatto convincere solo dopo la prova trucco.
Per cui succede questo: al minuto 15 Remo si trova di colpo davanti a un fuscello di anzianotto con la fazza che pare Mantis dei Guardiani della Galassia che, con accento a metà fra la Cina medievale e il Paese dei Puffi, giura di essere un coreano di nome Chiun, e Remo gli risponde “sono sicuro di sì, non vedo alcun motivo per dubitarne”.
Mandato giù questo, vanno dette tre cose:
- Joel Grey è probabilmente, effettivamente, la miglior scelta diversamente coreana a disposizione. Ha carisma. Passa dal serio, saggio e intensamente zen al comicamente impassibile senza battere ciglio. Deve molto a Miyagi, ma ci mette anche molto del suo. Si muove come se fosse all’interno di una bolla invisibile che risponde a leggi della fisica tutte sue. È impressionante.
- Da bambino me lo bevevo senza problemi, manco mi accorgevo che si trattava di trucco. Però da bambino mi bevevo anche un marocchino pittato da thailandese.
- Fa brutto che Chiun sostenga di essere “coreano”, zero dubbi, però insomma, insegna un’arte marziale inventata di sana pianta grazie alla quale cammini sull’acqua, e poi come dire, non è che passa esattamente il tempo a raccontarti storia usi e costumi della Corea, butta lì qualche gag ogni tanto ma per il resto è uno stereotipo stirato e gonfiato fino a diventare praticamente Mago Merlino da Narnia, e il film monta con successo un’atmosfera autoironica in cui sostanzialmente vale tutto. Avessero rimpiazzato la Corea con uno Stato inventato, che ne so, Shadaloo, o il Molise, non avrebbe fiatato nessuno.
C’è poco da fare: tutto il primo tempo di Il mio nome è Remo Williams è una bomba pazzesca, tra il fascino grezzo e cialtrone di Ward, il ritmo esperto imposto da Hamilton, i duetti con Chiun e una discreta collezione di momenti memorabili che culminano con gli operai che inseguono Remo sulle impalcature del restauro della Statua della Libertà. Quello è il picco. Quella è la scena che non avrebbe sfigurato in un film di Bond. Ma il film commette l’errore di giocarsela in mezzo. Perché a quel punto ti aspetti di più, e il di più non arriva.
Il mio nome è Remo Williams è, nei fatti, un buddy cop.
È un buddy cop molto atipico, perché i due protagonisti non sono colleghi ma hanno un rapporto maestro/studente, ma mantiene la stessa dinamica di iniziale diffidenza, screzi, frecciatine, e progressivo rispetto/affetto. Ward e Grey si rimbalzano l’un l’altro che è una meraviglia e staresti a guardarli per ore.
Quando Remo finisce l’addestramento ed è pronto a entrare in azione, il film non si è ancora giocato tutte le carte, ma il vuoto si sente quasi subito. È il vuoto di un personaggio carismatico che viene a mancare e che Ward, che la storia finirà non a caso per ricordare soprattutto come spalla di lusso, da solo non riesce a riempire.
Un altro problema, a sentire lo sceneggiatore, è che a un certo punto il budget si era rivelato inferiore al previsto, e il finale epico/pirotecnico originale era diventato un inseguimento in un boschetto in cui l’apice spettacolare è Remo aggrappato a un tronco appeso a una cinghia di trasporto che schiva i proiettili dei cattivi e li manda fuori strada provocando una mini-frana. Se pensi che mezzora prima era appeso con una mano a un tubo penzolante in cima alla Statua della Libertà, questa scena – che vede Chiun nei paraggi senza un vero motivo aldilà del rendersi conto che la gente lo vuole vedere – impallidisce.
Ma per carità, questo non significa che il film si impantani, anzi. Rallenta solo un pochettino. E non ha di certo esaurito le scene ormai leggendarie: lo scagnozzo jamesbondiano col diamante sul dente che serve unicamente affinché Remo lo usi per graffiare un vetro antiproiettile; Remo che schiva un intero caricatore a distanza ravvicinata che manco Neo in Matrix; il dobermann che cammina su una corda da funambolo; Chiun che vede una donna con gradi militari e si indigna dicendo che le donne dovrebbero stare a casa a sfornare bambini preferibilmente maschi mentre Remo ride come per dire “eh, classic Chiun, che sagoma irresistibile”.
E il tutto punteggiato dalle musiche di Craig Safan, che aveva azzeccato un tema immediatamente orecchiabile che è praticamente una versione synth e orientaleggiante di quello di Bond.
Gli si vuole un mondo di bene a Remo Williams, ma in qualche modo bisogna capire cosa non abbia funzionato al botteghino. Oggi diremmo: “facile, il backlash su Twitter per la yellowface”: macché, il film strappò una nomination agli Oscar per il Miglior Trucco, e Joel Grey una come Miglior Attore ai Golden Globes. Storia vera: fu letteralmente l’unico aspetto di successo. A me viene da pensare piuttosto che al pubblico non piaccia sentirsi pubblicizzare un film che non hanno mai visto con l’arroganza di chi è sicuro di potervi propinare un’intera saga, e quel “The Adventure Begins” magari puzzava anche un po’ di storia che non finisce. Come La pazza storia del mondo – Parte 1, o come Il signore degli anelli di Ralph Bakshi. Non si fa: Casablanca mica era intitolato “Casablanca: The Friendship Begins”.
Ma tant’è: Remo registra a budget 40 milioni, ne incassa 14.
Fred torna a fare la spalla di lusso, sorregge Kevin Bacon in un altro classico come Tremors, sfonda nel cinema d’autore e torna protagonista nei panni di Henry Miller in Henry & June, lavora due volte con Robert Altman, infila un’altra collezione di ruoli memorabili di ogni tipo, persino comici come La pallottola spuntata 33 e 1/3. Ci ha tristemente lasciati la settimana scorsa, a 79 anni.
Joel Grey tornerà a fare le sue cose a teatro, con occasionale film ogni tanto, godendosi un paio d’anni dopo la figlia Jennifer diventare famosa nel ruolo di “Baby” in Dirty Dancing.
Guy Hamilton dirigerà quattro anni dopo un film con la yellowface marziale originale, David Carradine, e poi si ritirerà dalle scene.
Patrick Kilpatrick, lo sgherro col dente di diamante, farà il cattivo principale in Colpi proibiti con Van Damme e diventerà uno dei caratteristi preferiti di Nanni Cobretti.
Nanni Cobretti continuerà a scrivere su I 400 Calci finché non gli vengono a pignorare la tastiera dalle mani.
Fine.
VHS-quote:
“Ciao Fred, insegna agli angeli a schivare i proiettili”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: non fu mai girato un sequel, ma fu girato il pilot di una serie tv mai realizzata in cui al posto di Joel Grey c’era… un coreano vero? Macché. Roddy McDowall del Pianeta delle Simmie.
Lo vidi al cinema quando uscì.
Mi sento vecchio.
Non sei l’unico 😉😩🤪
Lo vidi da ragazzino e lo adorai, non capii mai come mai non ebbe un successo strepitoso.
In realtà non lo capisco nemmeno ora. L’eroe in grado di schivare i proiettili era iconico, per un periodo (almeno nel nostro giro di amici) divenne pure proverbiale. “chi ti credi di essere, Remo Williams?”
Opporca paletta… non riesco a credere che esistano ben due comitive di amici che usavano quella espressione! Va a finire che è un momento alla Carramba che sorpresa!
Ahahahah! Fantastico se fosse…cmq per cominciare a chiarire io sono di Roma… :D
Però ovviamente la cosa più probabile è che il modo di dire, magari sotto forme leggermente diverse, fosse diffuso. Il che mi riporta il discorso principale: da ragazzino ovviamente non vedevo le classifiche degli incassi nè tantomeno cercavo di scoprire quelle americane, ma da simili effetti avevo avuto la percezione che fosse stato un successo, tant’è che poi rimasi sorpreso dal fatto che non arrivassero sequel. E’ possibile che sia stato uno di quei casi rari ma non inusitati di film americano che ha più successo da noi che in patria?
In Italia fu 86esimo incasso dell’anno. Si trova però in compagnia ravvicinata di altri titoli cult, quindi secondo me è invece un classico caso di film per ragazzi a cui giovarono i passaggi televisivi.
A dire il vero a me capita ancora raramente di pensare frasi del tipo “Ma chi sei Remo Williams”.. ma per paura di risultare un 45enne ormai vetusto, me la tengo per me
Allora probabilmente è stato quello, un film ignorato al cinema ma diventato conosciuto grazie alla televisione. Forse ci fossero state le piattaforme streaming negli anni ottanta i sequel li avrebbero prodottti.
Anzi, potrebbe essere il tema di una nuova discussione, quali sono i film del passato che sarebbero stati perfetti per lo streaming? :D
Al trend “la blackface che mi bevevo senza colpo ferire da bambino” ci aggiungerei per quanto mi riguarda Fisher Stevens in “Corto Circuito”, ulteriormente impreziosita dal deligatissimo doppiaggio italiano che sostituiva le C con le G in una cantilena da milanese che imita male un africano.
Grazie, grazie Nanni! Un articolo a sorpresa che mi fa davvero tornare indietro nel tempo.
Mi sa che faccio due commenti se no esce un papiro.
Per me Remo Williams è un grandissimo momento nostalgia del periodo quando, ragazzino, andato al cinema con mio padre 1-2 volte alla settimana bevendoci tutti i possibili film polizieschi/avventura/mostri, beccando perle sole clamorose insieme.
Remo Williams mi era piaciuto tantissimo nel suo essere “Bond proletario+arti marziali”, pur vedendone i difetti… appunto la scena migliore piazzata a metà e poi il ritmo che cala un po’. E ci credevamo pure io e il babbo che ci sarebbero stati seguiti.
Grazie Fred, grazie Nanni.
Boss, mi hai sbloccato delle scene che erano nascoste tra l’ ammasso di neuroni di riserva (8 in tutto) che quasi mi scende la lagrima a pensare a Remo e lo dovrò rivedere di sicuro. Quella dei casting con i cintura nera di arte che non esiste mi mancava tra le cose lollissime. Aneddotino: avevo un compagno di classe, cintura bianca di judo, che ci diceva “Metti il piede lì, l’ altro lì, adesso fermo” e ci proiettava a terra. Ne eravamo spaventati. Ad un certo punto abbiamo iniziato a chiamarlo Scemo Williams, quando abbiamo capito che se non mettevi i piedi proprio così, mica ce la faceva a proiettarti. Grande rece. Grande omaggio.
Allora andiamo avanti un bel po’ di anni: lavoro in editoria da tempo, parlo con i colleghi degli action anni ’80… Remo Williams grandissimo, peccato si sia fermato, Karate Kid gli fa due seghe etc.
Mi guardo Wiki e scopro all’improvviso che è tutto tratto da una lunghissima serie di Romanzi, The Destroyer (circa 150!) scritti da Warren Murphy and Richard Sapir, con il primo uscito nel 197.
Mi butto e compro i primi, gli altri li leggo scaricandoli un po’ a macchia, ricostruisco un po’ l serie (ma a un certo punto mollo).
Trovo molto curiosa la durata enorme della serie cartacea rispetto al potenziale inespresso dei progetti cinematografici. I libri si fanno leggere, sono molto divertenti, non grande letteratura (e non vogliono esserlo) ma ho letto di molto peggio tra scrittori contemporanei quotati.
Leggendo la serie è gradevole vedere come si evolve un po’ su una serie di canovacci standard:
Nel primo libro non si parla proprio di Sinanju e Remo viene afdestrato come un agente segreto “normale” con più arti marziali e meditazione zen da Chiun.
Il rapporto tra lui e Chiun passa da maestro-allievo a un mix molto divertente tra buddy cops e padre-figlio, con remo che cerca un po’ di rimanere il tizio concreto di Newark nonostante le trame pazze. Il corpo di Remo poi cambia praticando per anni il Sinanju: non può più fumare, mangiare carne, fa una vita un po’ monastica (ma dura un botto a letto senza venire per mantenere integra l’energia vitale…)
L’ultima parentesi è per dirvi che le trame sono moderne ma molto pulp, fin troppo per gli anni settanta e per i potenziali film: ok belle donne da sedurre, ok intrighi internazionali ma tra i nemici ci sono scienziati pazzi, robot, oltre agli immancabili praticanti del Sinanju passati al lato oscuro.
Poi verso il libro 70 circa la botta. Vien rivelato che il Sinanju ha modificato tanto il corpo di Remo che si appresta a diventare l’incarnazione terrena di Shiva, il dio della distruzione dell’induismo. Respirate. Si tratta di un maccosa enorme ma gestito con una tale arroganza e (e una certa raffinatezza) che il lettore ci sta tutto.
Le trame si complicano con culti che vogliono ammazzare Remo, altre incarnazioni e Chiun abbastanza preoccupato dal fatto ch fil suo amico-figli adottivo venga posseduto completamente dal dio…
Scusate il papiro e vi lascio con la frase pre combattimento di Remo posseduto da Shiva quando è molto incazzato con qualcuno. Per me una delle più memorabili della letteratura:
«I’m created Shiva the Destroyer, Death, the shatterer of worlds. I’m the dead night tiger, made whole by the Master of Sinanju.
Who is this dog meat that challenges me?”
Ma che meraviglia la svolta ultraterrena!
Sai anche come finisce la storia (se finisce)?
Gran commento, grazie. Madame Cobretti, che di queste cose se ne intende, non a caso ogni tanto buttava l’occhio e diceva “questa i maestri di yoga la sanno fare davvero”. C’è da chiedersi davvero perché si buttarono sulla Corea quando quello che fa Remo in effetti ha molto più in comune con la spiritualità indiana, a partire dall’indizio che avrei dovuto cogliere prima che “The Destroyer” è appunto letteralmente il soprannome/mestiere ufficiale di Shiva.
Grazie Nanni.
Per rispondere a Lucas: ti direi boh? anche perché dopo un po’ ho letto a caso e mollato la serie.
La vicenda editoriale è abbastanza complessa con i due attori che scazzano, uno continua con l’aiuto di ghost writer, entra un terzo autore ufficiale, cambia l’editore, per un certo periodo lo scrivono persone diverse etc. Ovviamente la qualità diventa altalenante e non sempre si mantiene la trama orizzontale (in genere sono libri da una botta e via che possono essere letti singolarmente). Poi passati i 100 libri è matematico che scazzi o salti lo squalo…
Guardavo ora il riassunto di Destroyer: Final Cut e sembra già la parodia della parodia:
un ricchissimo sceicco integralista di un paese inventato del Golfo Persico vuole colpire l’america dove conta (Hollywood). Compra una casa di produzione sfigata, la pompa di soldi per produrre negli Stati Uniti un blockbuster su un’invasione araba tipo Alba rossa; solo che è una “vera” invasione di militanti e non comparse. Remo deve salvare Hollywood anche perché Chiun deve proporre la sua sceneggiatura di un film…
Ma vi ricordate nel 1985 cosa uscì al cinema? Tra i tanti: Rambo 2, Rocky 4, Commando, Invasioni USA, Ritorno al futuro, Silverado, Target scuola omicidi, Vivere e morire a LA, Toccato, L’anno del dragone, e altri ancora. Oggi se escono 3 film belli in un anno siamo fortunati… Ricordo ancora i trailer di Remo insieme a quelli di Commando e Invasioni e l’attesa di andare al cinema a vederli.
Scusate la mia ignoranza finora, ma che cavolo di nome uberfancalcista è “Patrick Kilpatrick”?
Come miglior nome di sempre se la gioca con Olivier Megaton e Rob Bottin.
È anche palindromo suicida.
Patrick kill patrick
Non è palindromo, bestia.
Certo che è palindromo! Non è palindromo se guardi alla lettera, è palindromo se guardi alle parole.
Poi le bestie non parlano e hanno il buon gusto di far sparare le cazzate agli umani.
“Ma chi cazzo ti credi di essere… Remo Williams???”
A 10 anni intuivo che il maestro era truccatissimo.
Mi bevvi invece alla grande Tong Po, ma credo che fosse perché non riuscivo a fissarlo, troppo il terrore.
Anche io vorrei tantissimo chiamarmi Remo Williams, ma solo per poter chiamare mia figlia Pear.
Eh beh, col fatto che il buon Fred ci ha lasciato di recente direi che era quantomeno doveroso.
Una pietra miliare, che nonostante le evidenti ingenuità e grossolanità (ma col senno di moolto poi, va aggiunto. Che da pischello ti bevi tutto) ha marchiato a fuoco la mente e l’immaginario collettivo di tutti noi ragazzini dell’epoca.
Perché é un filmone, diretto da un signor regista e con interpreti che funzionano alla grande. E con scene, dialoghi e battute memorabili.
Il connubio perfetto tra il film d’azione spaccatutto e quello di arti marziali, con una spruzzatina di Karate Kid che non a caso citate.
Tutta roba che sotto un certo punto di vista ha gettato le basi per la seconda parte della filmografia di Van Damme, quando si era stufato di fare il “semplice” campione del ring per diventare di volta in volta ex – sbirro, ex – militare oppure ex – agente dei servizi segreti.
Ma anche per personaggi come Bourne o Jack Reacher, direi. O John Wick.
Quanto bastava per farmelo piacere, ed infatti mi ha conquistato sin dal trailer. Che ai tempi dei famosi “Andiamo al Cinema” di allora, duravano quasi quanto il primo tempo di un film!
Non vedevo l’ora che arrivasse in tv. Perché sul grande schermo…oh, a quell’età potevi giusto andarti a vedere i cartoni.
E riguardo alla arti marziali, ha anche un approccio non convenzionale.
Il famigerato Sinan – Ju non é propriamente un’arte marziale, quanto una sorta di dottrina mistica che sviluppa il potenziale latente dell’individuo, in modo che esso possa attingervi per ottenere risorse illimitate paragonabili a veri e propri superpoteri.
E ha pure i punti di pressione! No, perché già stavo bello sotto con Ken il Guerriero.
Il praticante, oltre all’addestramento, deve osservare una rigorosa disciplina e un adeguato stile di vita (pure in campo alimentare, come si vede).
La cosa che forse gli si avvicina di più é l’arte dei Ninja. Ed infatti é paragonabile ad una vera e propria arte mortale, il cui scopo é l’uccisione nel modo più rapido e con qualsiasi mezzo.
Ok, di tecniche vere e proprie se ne vedono pochine. Ma gli vengono le dita d’acciaio, al punto che fracassa una maschera ad ossigeno con un sol colpo!
Ripenso alla primissima parte di Dragonball, quando Goku e Crilin si allenano da Muten.
Alla fine, il piccolo bonzo fa notare che il vecchio maestro li ha rinforzati e basta, senza insegnargli nessuna mossa.
Ma scusa. Quando diventi talmente forte che se a uno con una pedata nel culo lo spedisci nell’emisfero opposto…CHE CAZZO TE NE FREGA DELLE MOSSE?!
Sì, avevo sentito parlare dell’aneddoto dei maestri farlocchi. Scommetto che uno di loro era Frank Dux.
Ovviamente la parte del leone la fa Chiun. Al punto che la scena memorabile la riservano a lui (anche se tutti noi aspettavamo il momento in cui Remo avrebbe schivato i proiettili a sua volta).
Joel Grey era anche un ballerino, che voi sappiate? No, perché spiegherebbe la sua performance.
Quando arrivi a certi livelli la danza diventa un training a dir poco massacrante. Devi possedere la forza di un ginnasta e muscoli paragonabili a quelli di un culturista, su cui devi saper esercitare un controllo TOTALE.
Ha tutti gli ingredienti giusti, più un pizzico di sano machismo innocuo quanto ignorante.
Ripley e Sarah Connor già esistevano, ma qui il personaggio femminile fa la tipica parte della donzella in pericolo mischiata con la tappezzeria.
Del resto la battuta di Chiun sulle donne riassume tutto. E oggi scatenerebbe un putiferio.
Però in bocca sua ci sta benissimo. Perché vive davvero in una bolla, e non solo per via delle capacità sovrumane.
Vive fuori dal tempo, sembra di un”altra epoca. Non si sa nemmeno da dove provenga.
Posso ipotizzare che sia un prigioniero di guerra. Forse catturato dai giapponesi (che odia, tra l’altro. Se non fosse che tutto il sud – est asiatico odia i giappo. E forse a ragion veduta, dato che durante il secondo conflitto mondiale ne fecero di cotte e di crude) durante l’invasione della Corea.
Dovettero scomodare un intero villaggio di ninja, mi sa tanto.
Finirono tutti uccisi, ma riuscirono a prenderlo.
Poi immagino che gli americani lo trovarono durante la ritirata dei giappo, lo portarono negli Usa e lo misero nell’area 51 insieme agli alieni, ai dischi volanti e all’arca dell’alleanza.
Poi un bel giorno i tizi che hanno reclutato Remo scoprono della sua esistenza, lo trafugano e lo tengono al loro servizio, costringendolo a vivere in clandestinità e ad addestrare agenti in cambio di un’amnistia che non gli daranno mai.
Scemenze a parte, lì per lì ho avuto l’impressione di aver assistito alla nascita di una nuova icona del genere action. Come Rambo, John Matrix, Braddock e così via.
E dovevano pensarlo pure gli autori, perché dimostrano di crederci tantissimo.
Se vivessimo in un mondo non dico perfetto ma un pò meno ingiusto, avremmo avuto almeno tredici seguiti, più una mezza dozzina di spin – off su Chiun. E oggi si parlerebbe già di un remake o addirittura di un reboot.
E ci vedrei benissimo Jeremy Renner col suo muso rincagnato.
Peccato.
Oddio, mi accorgo ora che la “donna con i gradi militari” è Kate Mulgrew, il comandante Janeway di Star Trek Voyager…
Spazio…ultima frontiera…
Vista la quantità di materiale di partenza, i cento e passa romanzi brevi, se ne potrebbe fare una serie da paura. Ma i racconti erano altrettanto autoironici? Ho rivisto il film qualche mese fa e concordo, purtroppo la seconda parte per me è deludente, sono quei film che restano cult ma vorresti lo fossero per più persone. Non avendolo visto al cinema non mi ci sono affezionato abbastanza, credo di ricordare di averlo visto all’inizio degli anni 90 in tv. Anche la scena in cui Remo corre leggiadro sul cemento fresco facendo fare una fine bruttissima al suo inseguitore mi impressionò parecchio. Restando in tema di boomerate, ma qualcuno si ricorda di una serie che si chiamava “Troppo forte (tit. or. Sledge Hammer)”? Era praticamente una sit-cop, una sit-com poliziesca, con questo biondone stupidissimo parodia per altro scontata del Callaghan di Eastwood, che è fidanzato con la sua pistola e ne combina di ogni. Ah, noi che negli anni 80 si andava a far merende col Pacciani…
Scherzi? Sledge Hammer a casa Cobretti è ancora in rotazione fissa. Lo finiamo e poi lo ricominciamo.
Hammeeeeeer!!!!!!! (grido del capo all’ennesima c****ta del protagonista)
Pilastro della mia fanciullezza.
Credo di averlo già scritto altrove, ma nella versione che mandavano su Rete 4 / Italia 1, alla fine della mitica scena di Liberty Island, veniva tagliato il dettaglio del tizio penzola a testa in giù lamentandosi.
Per tutta la mia gioventù ho pensato che fosse morto impiccato (Remo gli avvolge la corda di sicurezza attorno al collo dopotutto e c’è un leggero “sbramm” drammatico quando la corda si tende).
Che pugno nello stomaco quando vidi la scena integrale pochi anni fa. Sono triste. Però mi consolo col tizio che affoga nel cemento fresco senza che gli operai muovano un dito.
Grande viaggio sul viale dei ricordi per noi ultra 40enni. Grazie come sempre Boss.
Affoga, ma prima di finire sotto guarda in camera come a chiedere aiuto a noi spettatori o per salutare la mamma per l’ ultima volta.
Sbaglio o rispetto ad altri cult non lo passano praticamente mai in TV?
Ma nessuno menziona da dove esce il nome Remo Williams ? O me lo sono perso tra i commenti ?
Nei romanzi il protagonista si chiama proprio così.
Se non ricordo male nel film ha un’altro nome e dopo la sua “rinascita” affibbiano il nome Remo Williams inventato un po’ a caso (tipo la marca del letto d’ospedale)
È il nome del costruttore della padella (Williams) e la città dove ha sede (Remo)
È il nome del costruttore della padella (Williams) e la città dove ha sede (Remo)
Vi prego facciamo una raccolta fondi, compriamo i diritti della serie di romanzi e facciamo una serie reboot/remake.
Tanto qualcuno ce lo compra…Netflix compra tutto, hanno fatto pure il remake di Papillon!
Scritturiamo Jon Bernthal che è praticamente la reincarnazione di Fred Ward (anche se era già vivo prima che Fred Ward ci lasciasse, ma Fred Ward è Remo Williams, e Remo Williams fa un po’ il cazzo che vuole.)
A me l’incipit ha ricordato quello di Supercar, ma magari il morto che ritorna con una nuova identità per sconfiggere i cattivi non è una idea originalissima.