È inutile, gli anni ’80 sono come il rock’n’roll.
Ogni tanto li dai per morti, ma resuscitano sempre.
Quest’anno cade il 24esimo anniversario dal primo film pensato, pubblicizzato e accolto al box office (americano) con incredibile successo grazie al ruolo centrale che dava alla nostalgia anni ’80 (Prima o poi me lo sposo, con Adam Sandler e Drew Barrymore) e siamo ancora qua.
Ogni tanto sembra che ci rompiamo il cazzo, che il filone – specie quello alla Stranger Things – abbia prodotto fin troppi cloni, che qualcuno inizi timidamente a iniziare a recuperare i ’90s, e invece oplà: si va di nuovo indietro e si trova un altro aspetto che ancora non era stato sfruttato a dovere.
Immagino siano stati scritti numerosi libri di sociologia sull’argomento: non ne ho letto neanche uno, per cui ora mi lancio spericolatamente in una tesi personale che ovviamente esclude discorsi di qualità (non abbiamo mai finito di recuperare tutte le cose belle dei 70s, per dire, sto ancora aspettando i piffarielli dei Jethro Tull e un revival serio dei concept albums) ma incolpa principalmente la diffusione dei videoregistratori e il fatto che per la prima volta chiunque su larga scala poteva farsi un proprio archivio personale di momenti televisivi di qualsiasi tipo da ricordare, in seguito facilmente caricabili su Youtube, a creare una ricostruzione del periodo ovviamente falsata ma incredibilmente dettagliata. E i 90s, per prima cosa, provarono a demolire tutto a colpi di apatia e cinismo. Non esattamente cose su cui fondi un revival: “hey, ti ricordi di quando eri depresso e ti sembrava che tutto nella vita fosse inutile e senza senso? Bei tempi! Se a volte ti senti troppo felice, riascolta i Mad Season e torna immediatamente a quando tutto era più cupo e opprimente e senza speranza!”. Ma sono osservazioni superficiali e non è di questo che voglio parlare oggi.
Insomma: ero lì che dicevo “ormai hanno ripescato tutto, tranne la guerra fredda e lo sleaze rock”.
Poi è arrivato The Peacemaker, con la sua colonna sonora commovente a base di Hanoi Rocks e i loro cugini più sottovalutati.
E poi ho messo su Interceptor, sul Netflix, e come prima cosa è comparso un cartello con la seguente scritta:
“Servono 24 minuti a un missile nucleare lanciato in Russia per colpire un bersaglio negli Stati Uniti“.
Mi sono fomentato all’istante.
Siamo già tornati a questo? All’instant-panic da guerra nucleare?
Siamo tornati ad Alba rossa e Invasion USA?
Erano veramente gli ultimi film che mi aspettavo di veder recuperati al giorno d’oggi.
Che vi devo dire: mi emoziono sempre quando un film legge lo zeitgeist del momento e lo sfrutta subito.
E oggi lo zeitgeist è tornato a essere quello del 1986, il leggendario, fantasmagorico, improbabile 1986, per cui è tutto ancora più spettacolare.
È ufficiale: ormai sono rimasti fuori dal revival soltanto i virtuosi della chitarra.
Sigla:
Che poi la premessa non è manco tutta lì!
Poi ti spiegano che per sventare la minaccia intercettando i missili si hanno soltanto 12 minuti di tempo prima che siano troppo vicini.
Per cui il film è un cortometraggio.
Cioè no, non è un cortometraggio, però capite subito che ciurlerà nel manico per un po’ prima che qualcuno spinga il fatidico bottone. Ma non vi preoccupate, il modo per passarsi il tempo lo si trova facile.
Soprattutto, come esige lo zeitgeist del 1986, l’Interceptor è una persona sola: Chuck Norris.
O meglio: non Chuck Norris in persona, quanto il concetto stesso di Chuck Norris.
Un duro con lo sguardo di ghiaccio e la fazza di pietra, le cui abilità recitative ci interessano molto lateralmente nel momento in cui è credibile in quanto a fomento, carisma, e voglia di menare le mani sul serio.
A questo punto rimangono un altro paio di premesse da aggiungere.
La prima è che la regia è di Matthew Reilly, scrittore di fama (mi giurano) internazionale, una specie di cugino povero di Ludlum/Clancy al suo esordio al cinema, che però in fase di sceneggiatura si è fatto affiancare da un veterano come Stuart Beattie (I pirati dei Caraibi, Collateral).
Inoltre, fra i produttori c’è nientemeno che Chris Hemsworth.
Cos’hanno in comune questi tre personaggi che ho appena citato?
Sono australiani. Chi meglio di un non americano – la storia ci insegna – può girare il quintessenziale action all’americana?
Inoltre, a incarnare lo spirito di Chuck Norris, a questo turno c’è un membro della Famiglia: nientemeno che la mamma di Toretto Jr, la splendida 46enne spagnola Elsa Pataky.

Famiglia.
Sono talmente tante le cose che mi solleticano di questo film che non so da dove iniziare.
Una è ovviamente la natura politica della premessa.
Nell’86 usciva Top Gun, i cattivi erano i Russi, e lo si diceva chiaro e tondo. Non li si mostrava in fazza, li si lasciava in un pacifico anonimato garantito dal casco integrale perché l’idea di quel film in particolare non era fare guerra ma sport, concentrarsi sulla crescita dell’eroe e sul tributo all’istituzione stessa dell’aviazione americana, non sull’avversario politico. Ma il contesto permetteva di metterci i Russi, perché tanto in quel periodo erano scontati. Lo facevano tutti. Nessuno avrebbe detto nulla. Tanto a dare una fazza ai cattivi ci pensavano già tutti gli altri, incluso Aquila d’acciaio.
Nell’88 era già tutto finito: Ivan Danko, nato stanko, è un sergente di polizia russo interpretato dall’austriaco naturalizzato americano Arnold Schwarzenegger, ed è l’eroe della storia. Specie dopo una serie di lezioni di americanismo impartitegli da James Belushi.
In mezzo succede di tutto.
Non ci sono più avversari ovvi, per cui si spazia un po’ in giro per il mondo, facendosi ispirare da occasionali fatti di cronaca, o scegliendoli più esotici e misteriosi possibile.
Poi accade una cosa grave: ci si accorge che tutti questi paesi che fino a quel momento si era sfottuto amabilmente alla fottesega, appioppando loro intenzioni malvagie, menti retrograde e quant’altro di deplorevole, in realtà avevano anche loro sale cinematografiche che fornivano incassi di tutto rispetto, a patto che la si smettesse di prenderli in giro con film in cui facevano la figura degli zotici: nasce un filone in cui di colpo i cattivi sono i marziani, troppo distanti per protestare.
Negli ultimi anni poi la coscienza per quanto riguarda argomenti di xenofobia è cresciuta, e si è iniziato a fare il contrario di quello che si era fatto sostanzialmente in tutta la storia di Hollywood fino a quel momento: se da una parte finalmente le minoranze etniche ora possono aspirare a un ruolo da protagonisti positivi senza a) dover dimostrare un carisma quattro volte superiore al necessario (Eddie Murphy, Wesley Snipes, Denzel Washington, Will Smith) e/o b) essere accompagnate da un bianco qualsiasi, dall’altra al contraro diventa obbligatorio affiancare ai villain etnici di turno uno yankee con ruolo malvagio importante, per non creare incidenti diplomatici e contemporaneamente iniziare, tanto per cambiare, a guardarsi nel proverbiale, fottutissimo specchio.
Oggi esce Top Gun: Maverick e i cattivi potrebbero essere di nuovo i Russi, ma Tom Cruise è furbo: vuole fare un film immortale, non un instant movie sulle antipatie del momento, per cui entra in gioco la famigerata scappatoia dello “Stato canaglia”.
Interceptor invece vuole stuzzicare tutta la tensione che avete accumulato negli ultimi mesi di notizie dall’estero, ma di nuovo senza schierarsi in modo univoco, per cui finisce per creare un ruolo da traditore-capo per quel fesso di Luke Bracey (chi si ricorda di lui lo fa per via del remake di Point Break, e preferirebbe dimenticarlo).

Ti voglio bene.
Un altro aspetto riguarda, altrettanto ovviamente, la protagonista.
Non mi nascondo dietro a un dito: Elsa era sempre stata la meno convincente nella grande Famiglia di Fast & Furious.
Non scarsa: lo sguardo di ghiaccio c’era tutto.
C’era forse da lavorare sul carisma: se nelle scene puramente fisiche non le si poteva dire niente, sul resto aveva un approccio roccioso alla Clint Eastwood che non si mescolava gran ché con il cuore e/o l’umorismo degli altri personaggi.
Ma Interceptor è pensato su misura per lei: il suo ruolo è il più classico degli eroi dal curriculum militare inappuntabile, punteggiato da imprese straordinarie, che però era entrato in conflitto con i piani alti e pertanto aveva passato brutte avventure ed è in cerca di riscatto.
Non è la stilosa Atomica bionda, o l’esemplare Wonder Woman, o la materna Ripley: è veramente Chuck Norris, o Stallone, o Steven Seagal.
È un ruolo scritto in maniera talmente unisex, e talmente ricalcato sul più classico modello standard maschile anni ’80, che quando la sceneggiatura arriva alla parte del background traumatico e decide di ancorarlo a qualcosa di inequivocabilmente femminile finisce per stranire/spiazzare. Perché a quel punto stai guardando un biondo Chuck Norris che mena e ammazza e parla a slogan cazzuti ma che di colpo ti racconta di un generale che l’ha boicottato non perché non era d’accordo coi suoi metodi sbrigativi, o col suo sprezzo per le regole o cose macho-virili simili, ma perché durante una riunione gli ha messo una mano sul culo e Chuck – cioè, Elsa – l’ha denunciato per molestie, finendo per subire un violento backlash a colpi di minacce e ritorsioni e slut-shaming per via di vecchie foto (mooooolto) vagamente osé scattate ai tempi in cui faceva il portiere per una squadra di calcio. E il punto è: questo non è il messaggio centrale del film! Non è un rape & revenge e non è nemmeno l’improvvisa scusa per fare la lezioncina o il metaforone. È come nel 1986. È, letteralmente, soltanto il background intercambiabile qualsiasi che deve portarti a tifare ancora più forte per il nostro eroe solitario. Come quando Bruce Willis nei panni di Joe Hallenbeck ti racconta di quella volta che salvò la vita al Presidente ma poi menò un politico corrotto che stava molestando una, ritrovandosi con la carriera stroncata. Non ci dovrebbe essere niente di strano. Solo che non l’avete esattamente vista spesso la versione in cui il politico stava violando direttamente Bruce Willis. Momenti come quello, o come gli occasionali schizzi di girl power di Elsa tipo il monologone “don’t you ever, ever call me darlin’“, sembrano più correzioni volanti su un copione scritto per Gerard Butler o Jason Statham che altro, ma danno al film un sapore distintivo a cui non vedo l’ora di abituarmi.

Va benissimo.
Ma passiamo ai fatti concreti.
Interceptor non è Air Force One: è una robetta a costi molto contenuti.
Ha il pregio di passare all’azione molto velocemente – il primo scagnozzo seccato in maniera spettacolare è al minuto 7 – ma poi si incastra presto in un’unica location, facendo tra l’altro un uso massiccio di green screen. Piazza ogni tanto i suoi pochi soldi nei punti giusti: in certe panoramiche che fanno sembrare il film più grosso di quel che è, e nelle riprese dei missili per non perdere di tensione nelle scene che mostrano la minaccia. E, come il 1986 comanda, dura solo 99 minuti.
È scritto per stereotipi, e non gli escono tutti naturalissimi: anzi, certi dialoghi fanno innegabilmente scappar da ridere, inclusi quelli che vorrebbero essere cazzuti. E, se non si è capito, è politicamente – diciamo – “confuso”.
Ma è anche scritto con consapevolezza e conoscenza del genere, dei ritmi che deve tenere, di tutte le prove in cui un protagonista si deve esibire: le frasi a effetto, le sparatorie, le scazzottate, la leadership nei momenti critici, i giochi psicologici (d’accatto) con il cattivo, le uccisioni creative, la corsa contro il tempo, la prova semi-impossibile di atletismo puro, le splosioni. E punta chiaramente, dopotutto, a fare puro escapismo.
Non apprezzavo Elsa in Fast & Furious, ma qui ammetto che fa simpatia immediata. E non gliele vuoi perdonare due frasi uscite così così, o quel goffo momento wannabe-cool in cui si soffia il ciuffo da davanti alla fazza prima di ricominciare a scazzottare, allo stesso modo in cui perdonavamo le goffaggini recitative del vecchio Chuck e di tutti i suoi seguaci a cui eravamo comunque affezionati (Michael Dudikoff, Lorenzo Lamas, il buon Dolph, ecc… l’elenco è lunghissimo), nel momento in cui il ritmo, l’impegno e il fomento sono ai livelli giusti? Nel momento in cui Elsa non è una Charlize Theron che ostenta divismo lanciandosi in stunt appariscenti, ma soprattutto nemmeno una Brie Larson improvvisata qualsiasi? Nel momento in cui è solo una normale, grezza ma efficace, operaia dell’action?
Per cui sì, a conti fatti questo film sta forse a Trappola in alto mare come i Maneskin stanno ai Bon Jovi, ma voi ve lo aspettavate che avremmo ancora avuto tra i piedi, oggi, e per di più in testa alle classifiche di Netflix, una roba del genere?
DVD-quote:
“Ronald Reagan, lassù, sta sorridendo”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: i più attenti di voi sapranno che Elsa Pataky è, da ormai 12 anni, la moglie di Chris Hemsworth. Motivo per cui quel pirla di Chris decide di invadere sbracciando e ritagliarsi la comparsata più random dell’anno.
me lo vedrò.
e io che pensavo che la comparsata di chris hemsworth fosse per fare un universo condiviso interceptor + extraction….
interception o extractor, si sono viste idee ben più strambe, io lo guarderei volentieri…
Io e mia moglie lo abbiamo trovato noioso e brutto in modo imbarazzante, e dopo circa 40 minuti abbiamo messo su un episodio di Golden Girls
Ma “che bella pataky” è già stato detto quante volte?
1) Ma i concept album se ne sono davvero mai andati? Il primo nome che mi viene in mente è Caparezza…
2) Che citazione il titolo. Da bambino mi colpì tantissimo quel trailer che finiva con Greggio e Calà minacciati da uno pseudo Ivan Drago esclamante “Uòkio!” e loro due in coro “..alla Perestrojka!”. Stranamente sul tubo non lo trovo, ci sono i promo di Italia 1, c’è il film intero, ma il trailer originale no. Ovviamente mica sapevo cosa fosse, ma la parola era buffa. “Occhio alla glasnost”, per dire, non avrebbe funzionato.
3) Per amore di lore fancalcista ricordiamo che dai tempi della sua comparsa nella Famiglia la poliziotta spagnola più incorruttibile di tutto il Brasile, nonché riempiposto di Michelle Rodriguez, nonché signora Odinson, è nota con l’ineccepibile soprannome di Elsa Patata.
@Gigos grazie per le domande.
1) ogni tanto ne escono, ma non è mai tornato a essere un trend come lo era nei 70s
2) ci tengo a dire che quello pseudo-Drago era nientemeno che Ralf Moller, Universal Soldier nonché Conan il barbaro nel telefilm dei tardi 90s, apparso in tante belle cose ma anche nel Gladiatore di Ridley Scott
3) giusto, ma nel film dice espressamente “non chiamarmi patata” e ho evitato…
In tema concept album & palestra della settimana: https://www.youtube.com/watch?v=EXPPSQhUVss
(A quando una retrospettiva degli sketch K&P calciabili?)
La chiedo in redazione. Anche perché io ho iniziato super-ottimista a guardarmi le stagioni intere ma mi sa che conviene anche a me farmi stilare un greatest hits.
Nell’attesa ecco qualche antipasto, altrettante lettere d’amore al cinema di menare:
Strike Force Eagle 3: The Reckoning: https://www.youtube.com/watch?v=3-jv7doUI8o
L.A. Vice: https://www.youtube.com/watch?v=_ycih6B6iqM
Alien Imposters: https://www.youtube.com/watch?v=DWO1pkHgrBM
The Specialist: https://www.youtube.com/watch?v=9qD0Bjc8cnI
Mafia Hit: https://www.youtube.com/watch?v=E63rYIQmlTI
I più attenti di noi sanno che la quote è molto simile ad una frase usata quando uscì “act of valor”
15/06/2022: esce sui 400c una recensione simil-entusiasta sul film Netflix Interceptor a firma di Nanni Cobretti
14/06/2022: mi scade l’abbonamento Netflix che avevo deciso di non rinnovare
classic timing
Solo perché hai parlato del migliore album dei Jethro Tull, nonché uno dei migliori concept album della storia hai la mia stima infinita. Birra gratis per te se ci incontreremo
Ti ringrazio, segno (“ch3o mi deve una birra”)
Per la serie siamo tornati agli anni ’80, c’è anche Micheal Mann che ha fatto una nuova serie di Miami Vice ma a Tokio.
Tokyo
Sono contento di questo film, io mi sono letto tutti i suoi libri. Sono film anni 80 messi su carta, ignoranti e fichissimi. E poi per qualche oscuro motivo gli stanno sul cazzo i francesi, in fatti nei suoi libri sono sempre i cattivi. Peccato che abbiano smesso di pubblicarlo in Italia.
mi spiace ma se la protagonista esce dal mondo f & f il film per me va dritto nel cestone degli irripescabili
Ma lei è quella di Beyond Re-animator ?
Bravo, l’unico altro film in cui l’ho vista a parte i F&F
@Chow Yun-Fart Esatto, e ha fatto la moglie zoccola d’un ricco hidalgo ciccione nella serie tv La Regina di Spade. Sì, insomma, Zorro femmina.
https://www.youtube.com/watch?v=mW5ZSenrO5I
In “Top Gun Maverick” il cattivo in realtà sa molto di Iran.
Soprattutto per il tipo di missione (il sito di arricchimento dell’uranio).
Anche il fatto che sia un paesaggio innevato non vuol dire, in Iran di zone montagnose e in cui nevica molto ce ne sono parecchie
Sa di diverse cose perché deve essere un minimo credibile/avvincente, ma l’obiettivo era rimanere i più generici possibile, non tirare frecciatine nascoste.
Boss, però in Top Gun se non erano russi, che erano? Per me è esplicito: pilotano dei Mig e hanno una stella rossa esibita ovunque, pure sul casco. Siamo lontani dall’ esplicito di Hot Shot con gli iracheni col nome di pietanze sul casco, e Saddam che si prende la bombazza nella panza (e qui va dato atto al regista di essersi schierato apertamente ,rispetto al cacasotto di Tony, ma forse solo grazie alla potenza bellica di Sguardone). Potevano essere cinesi, quelli di Top Gun? C’è da verificare se i Mig ce li avesse anche la Cina. Ora verifico: avevano i J-6 , copia del Mig 19. La cosa figa è che adesso stanno utilizzando le carenature per trasformarli in droni. Su Aliexpress al momento non ci sono, quindi aspettiamo…
Elsa Pataky potrebbe essere un Jimmy Bobo, ma non capisco come questa qui possa aver rinunciato al semianonimato, tipo tiracapezzoli di Vin Diesel, perdendo la possibilità di vincere l’ ambitissimo premio. Boh.
Sì sono per forza legati anche all’immaginario del primo film. Sono usciti diversi articoli che raccolgono indizi e provano a capire che paese possa essere, ma l’assunto è sbagliato, lo scopo era non prendere di mira nessuno in particolare per non distrarre, non ha senso “indovinare”.
Boss, ti ho tirato un pippone colossale sul primo film ma mea culpa, ho scambiato il tuo “anonimato garantito dal casco” per un “non sappiamo chi fossero”. In realtà lo dici: i russi. Ti devo una scusa: scusa.
Ah! Figurati, ho letto male e pensavo stessi parlando del secondo. Se mi dici che anche nel secondo ci sono i Mig io mi fido, non ne so veramente una sega. Se mi dici che nel secondo i cattivi usano i Boeing 747 probabilmente rimango un attimo interdetto ma mi fido lo stesso. Vai tra
Nel momento in cui sai che in Hot Shots gli americani usano aerei inglesi e gli iracheni usano aerei americani, sei già Primo Aviere ad honorem.
(nel 2 i boeing ci sono. è pieno di boeing. un po’ più piccoli, ma sono Boeing)
Appena ho visto il vecchio classico di introdurre un film a tema militare con una frase “tecnica” a schermo, ho capito che sarebbe stata una bella sorpresa serata.
L’ho visto e mi sono divertito. Nulla di innovativo o stratosferico, intendiamoci, ma tutto fatto bene, il ritmo tiene e l’azione c’è tutta. Ci sono rimasto male dopo, quando per confermare la mia buona impressione ho controllato lo score su Rotten Tomatoes (ehi, qui la recensione non c’era ancora)
Ma veramente c’è ancora chi guarda Rotten?
I piffarielli dei Jethro Tull suonano ancora oggi in maniera sontuosa e modernissima e Aqualung è un capolavoro senza tempo, in grado di alternare rock durissimo e melodie medievali nello stesso brano. Scusatemi ma non potevo non ribadirlo.
Sì vabbè escapismo e tutto, ma gliela mandiamo buona solo perché è Netflix, se avessi pagato il biglietto per sta cosa sarei bello incazzato una volta uscito dalla sala. Simpatico per carità, ma è come quando ti fai andare bene il Camogli all’autogrill perché se no non c’è un cazzo. E ci sono dei MACCOSA che sono più grossi del budget del film : ) ) )