
Save it for a Rainey day.
È dura quando un film ti sta antipatico.
Non importa se sia bello o brutto, se ti sta antipatico è difficile parlarne in modo misurato ed equilibrato; vorresti scrivere che ha anche fatto cose buone ma poi ti viene il dubbio che se lo fai la gente possa pensare che in fondo un po’ ti è piaciuto. E invece no, se un film è antipatico è antipatico, e vorresti smontarlo anche più di quanto si meriterebbe.
Ultrasound è un film antipaticissimo.
Diventerà un piccolo culto per una certa fetta di pubblico che non ha problemi a farsi prendere per il culo ad accettare la confusione programmatica e l’approccio decostruttivo alla narrazione che l’esordiente Rob Schroeder applica alla sua storia di gaslighting e scienza andata male – che poi non è neanche sua ma dello sceneggiatore, e autore del fumetto da cui è tratto il film, Conor Stechschulte. Verranno scomodati nomi importanti e un po’ meno importanti per gli immancabili paragoni: David Lynch, Black Mirror, Michel Gondry.

«Come scusa?»
Esatto, Gondry, Eternal Sunshine, L’arte del sogno, avete presente? Ma virato tecnothriller. Frammentato e volutamente disorientante. Probabilmente anche visionario.
Ultrasound mi sta antipaticissimo.
C’è una citazione un po’ apocrifa proprio di David Lynch che recita “Mystery is good, confusion is bad”. Non credo sia davvero di Lynch ma è utile a illustrare perché Ultrasound è un film fastidioso: non solo perché la confusione è un male, ma anche e forse soprattutto perché non c’è alcun vero mistero, solo la voglia di sperimentare con il montaggio e la scrittura, di assemblare un puzzle la cui esistenza sembra avere come unico scopo quello di distrarci dall’inconsistenza del resto. Eccovi quindi una sigla non inconsistente.
Vincent “Babyface” Kartheiser con la barba fa uno strano effetto: sembra sempre un bambino di sedici anni ma con del pelo posticcio appicciato in faccia. È in questo tripudio di uncanny valley che lo incontriamo mentre torna a casa sotto una pioggia battente da un evento che poi scopriremo essere il matrimonio del suo migliore amico, o forse no? Che film misterioso questo Ultrasound!
Fatto sta che Vincent fa un incident, che poi tanto incident non è visto che a bucare le ruote della sua auto è una spike strip! Glen, così si chiama il nostro eroe, si vede quindi costretto a chiedere aiuto agli abitanti della casa più vicina, che potrebbero o non potrebbero essere coloro che hanno piazzato gli spuntoni. Fin qui è tutto molto tradizionale, no? Glen fa la conoscenza di Art (un francamente gigantesco e comunque sprecato Bob Stephenson, che la prima cosa che dice di sé stesso è “sono depresso e prendo le medicine”, un dettaglio che poi non servirà a nulla nel resto del film) e di sua moglie Cindy (che lo odia e lo sopporta a malapena). Art invita Glen a fermarsi lì a dormire, poi penseremo alla macchina domattina con calma. La sentite la tensione?

«Mamma cosa sono teso»
Quando arriva il momento di andare a dormire, Art fa una proposta indecente a Glen: passare la notte con Cindy, la quale è sessualmente frustrata perché Art non le dedica più attenzioni di alcun genere. Riluttante più per educazione che altro, Glen infine accetta. La mattina dopo la coppia è sparita, la macchina è magicamente sistemata e Glen può tornare a casa. La mattina dopo ancora Art si presenta misteriosamente alla sua porta: «Il tuo pisello» gli dice «ha fatto quella cosa lì a mia moglie, che ora è incinta. Come facciamo con il bambino?».

«Eh ora sono teso sì»
A questo punto Ultrasound sbrocca.
Lo fa con quelli che probabilmente Rob Schroeder crede essere tocchi delicati e impercettibili, di quelli che colpiscono il subconscio: in un’inquadratura Cindy ha il pancione, in quella dopo no, e perché all’improvviso lei e Glen vivono insieme? Poi Glen è in sedia a rotelle in uno studio bianchissimo e seduto di fronte a lui c’è una tizia che recita un copione che corrisponde alle cose che gli aveva detto Cindy nella scena prima, e lui legge le battute in risposta. Che cosa significa? E perché c’è un senatore in odore di rielezione che cerca di convincere la sua fidanzata a non chiamarlo più? Chi è la scienziata con i capelli rossi che gioca di ruolo prima con Glen e poi con Cindy?
Ma soprattutto, chissenefrega? Anche dietro la nebbia della confusione generata a bella posta dal modo in cui Ultrasound è scritto e montato, è chiaro fin da subito che le scene di quotidianità che coinvolgono Glen e Cindy non sono la realtà ma un sogno, un’allucinazione, comunque una recita controllata da della gente in camice bianco che lavora alla scienza e fa lunghi dialoghi troncati a metà che vorrebbero suonare misteriosi e che invece suonano più o meno così:
«Ma allora tu…»
«Eh sì, perché ieri ho…»
«Non vorrai mica dirmi che giovedì…»
«Credo di sì, però non lo so, c’è…»
«Sì, quello lascia dei dubbi anche a me. Se solo potessimo…»
«Lo sai che non potessimo!»
«Possiamo»
«Scusa?»
«Si dice “lo sai che non possiamo”»
«Ma se invece potessimo?»
«TI SEI FORSE DIMENTICATA DI NEW ORLEANS?»
«Non potrei mai, ma sai bene che…»

SAI BENE COSA MANNAGGIA A TE
Questo costante e spesso brusco saltabeccare tra quella che fino a prova contraria è la realtà dei fatti (quella con la struttura bianca, la sedia a rotelle, la dottoressa) e quello che sembra essere un costrutto mentale alimentato da una qualche forma di ipnosi dovrebbe in teoria generare tensione e incertezza in chi guarda, stuzzicare il cervello e stimolarlo a ricostruire l’intero mosaico usando solo qualche tessera sbrindellata e tanta tanta immaginazione. Il problema è che saper disseminare gli indizi è un’arte, come lo è capire quando mollare un po’ la presa sull’incomprensibilità come unica cifra stilistica per lasciare spazio alla storia e farla respirare un minimo, per farci conoscere un po’ questi personaggi dei quali forse dovrebbe fregarcene qualcosa, ma per motivi che non vengono mai esplicitati.
Ultrasound gode a destabilizzare ogni certezza, a sparpagliare le sue poche briciole di senso sulla superficie più ampia possibile, gode e si frega le mani mentre tu lo guardi e cerchi di capire dove voglia andare a parare. Ho letto con curiosità alcune recensioni entusiaste di questo film: sostengono che l’idea stessa di una frequenza ultrasonica (capito? Voi pensavate che il titolo fosse un riferimento al fatto che lei è incinta, e invece c’era anche il double entendre mannaggia a Rob Schroeder) che manipola i tuoi ricordi senza che tu te ne accorga sia spaventosa e inquietante e sufficiente a fare il film.

«Maccosa»
Il problema è che Ultrasound è talmente impegnato a smontarsi da solo per far vedere quanto è brillante che si dimentica di dare lo spazio necessario a queste idee, questi spunti tra fantascienza e psicologia che vengono buttati a caso tra una sequenza onirica e l’altra e soffocano prima di arrivare a stuzzicare il cervello. Ultrasound è un film che sa che a una certa categoria di pubblico piace non capire un cazzo, e meno si capisce più roba ci sarà da leggere poi su Internet e da discutere in giro. Ed è un film convinto che “non capire un cazzo” sia un’istruzione da prendere alla lettera, non una simpatica iperbole.
Come si fa a definirlo un “thriller psicologico” quando non ci dà nessuna istruzione neanche basilare, quando si dimentica di usare gli strumenti necessari a generare tensione per focalizzarsi solo su quanto è figo se in questa scena questo personaggio cambia faccia ogni volta che cambia l’inquadratura? È un film che passa il tempo ad accarezzare le sue idee estetiche mentre tutto il resto langue in un angolo, trascurato e dimenticato e spesso bullizzato dall’ennesima flashata di neon rossi e blu che Ultrasound usa con la grazia e il senso della misura del peggior Refn.

«Oh no, ancora le luci stronze»
L’insulto finale è, poco sorprendentemente, il finale, cioè l’occasione per Ultrasound per farsi perdonare un po’ di peccati e dare un senso alla tortura subita fin lì. Ovviamente Ultrasound prende quest’occasione e la getta in un braccio di mare infestato da coccodrilli, preferendo puntare sul colpo a sorpresa, l’inquadratura a effetto, l’ultima rivelazione che ti lascerà a bocca aperta non potrai mai credere cosa ha fatto questo pazzuomo di Rob Schroeder!
Ovviamente quello che ha fatto è stato pescare a caso dal cestone delle Sorprese Finali e tirare su la più banale di tutte, talmente già vista e scontata che mi sta venendo voglia di spoilerarvela per risparmiarvi la fatica di dover guardare questo film antipaticissimo.
Allucinazione quote suggerita
«Solo per fan del montaggio acrobatico»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)«Un film che vuole farti sentire idiota»
(Sempre io)

BONUS: base meme
“…”sono depresso e prendo le medicine”, un dettaglio che poi non servirà a nulla…”
“…Cindy, la quale è sessualmente frustrata perché Art non le dedica più attenzioni…”
(Fortunatamente) non ho visto il film ma penserei che la prima frase sia la causa della seconda.
No, o meglio sì ma si risolve tutto nella stessa scena (coso è depresso, Cindy è frustrata, va a letto con l’ospite). Da lì in avanti la condizione di Art non tornerà più.
L’avro’ visto un paio di settimane fa, ma ho dovuto iniziare a leggere l’articolo per essere sicuro di averlo fatto. Neanche le foto mi dicevano tantissimo.
Per certi versi l’ho trovato meno peggio e peggiore di come lo descrive la recensione.
Meno peggio: perche’ se non si entra in competizione con gli autori e si ha un attimo di pazienza alla fine le informazioni per ricostruire il puzzle ci sono e non sono neanche troppo complicate… e io in genere sono una pippa nel farlo, eh.
Certo la scelta di andare avati con continui anti-climax e’ talmente esasperata che il film alla fine ne resta prigioniero, creando anche qualche incogruenza logica (esempio [SPOILER]: che senso ha tutto quel po’ po’ di piano per piazzare il figlio scomodo, quando se ne possono liberare tramite una banalissima adozione sottobanco, come infatti succede?).
Peggiore: tirando in ballo Refn (anche “il peggiore”… che non esiste) o Gondry, e parlando di roba tipo luci al neon tutte matte, si rischia di farlo sembrare un film piu’ interessante di quello che e’, almeno esteticamente. Non l’avessi visto e avessi letto la recensione mi sarei detto “ma vedi mai che una roba cosi a me forse – forse…”. Invece e’ proprio piatto – piatto, stiloso senza stile, tutto un malinteso nolaniano con un centesimo dei budget di Nolan, il quale almeno in genere pialla concept fighi, qui invece rovinano al massimo un personaggio con un po’ di potenziale (l’ipno-ciccio).
Tortura, hai scritto bene. Una palla al cazzo micidiale, senza ritmo, senza ricompensa finale, decisamente la visione più frustrante del 2022.
L’ho visto e son rimasto un po’ bah! Boh ! Vabbè…
Non so se è mai stato recensito ma Primer (2004) oltre ad essere un gran film ,credo necessiti di almeno due/visioni.
Se vi piace cappottarvi è il film che fa per voi.
Primer molto caruccio…mi ha fatto venir voglia di mettere le loro camicie bianche quadrate
ahah grande Stanlio
@Stanlio non hai capito nulla, è un remake https://youtu.be/IUPV5sFiGTU
Mi hai letto nel pensiero.
Sublimi e irripetibili.
ho come il presentimento che non lo guarderò
Il film non lo voglio vedere ma la recensione mi è piaciuta, foto di tensione incluse.