Possiamo pure dirlo senza cincischiare troppo. Perché ce ne sarebbe, volendo, da cincischiare in eccesso sulle premesse di questo film; il quale, sulla carta, dovrebbe essere il terzo capitolo di una trilogia sulla bromance e sull’ambientalismo e sul ritorno alle origini bucoliche, ma già dalla traiettoria dei titoli (Filosofi Kopi, Filosofi Kopi 2: Ben & Jody, Ben & Jody) si intuisce che in realtà è una faccenda a sé e che lo puoi benissimo guardare senza fare il mio errore e recuperare gli altri due film non di menare. Dobbiamo dirlo senza cincischiare troppo, dunque. Ebbene, gente, è successo l’inevitabile e l’entropia ha raggiunto anche quel piccolo angolo di mondo che pensavamo felice e immune alla malattia: un regista indonesiano – un guercio di nome Angga Dwimas Sasongko, noto frequentatore di festivals del cinema non esclusivamente di menare – ha scritturato Yayan Ruhian, ma proprio quel Yayan Ruhian che mena e tace anche quando deve fare le interviste, e gli ha chiesto di recitare. Recitare vi dico. Mettere in fila svariate parole con un’intenzione per formare frasi di senso compiuto. Veicolare emozioni informazioni e sensazioni tramite la voce e non via nocche, gomiti e ginocchia. Ma porcoddeno, per una volta che ho trovato una roba bella al mondo, una sicurezza insindacabile, un assioma sulla cui stabilità si regge tutto il caos circostante – Yayan Ruhian appare in un film, fa brutto in generale senza spiccicare parola e poi muore male solo dopo che il resto dei personaggi si mette d’accordo per menargli tutti insieme contemporaneamente – e poi arriva Angga Dwimas Sasongko a rovinarmi la festa. Sono arrabbiato e deluso. Ma anche incuriosito su come Ruhian – e nel primo film della serie pure Julie Estelle, la Hammer Girl di The Raid 2 e The Night Comes for Us in un ruolo non calciante – abbia accettato di partecipare a una roba del genere. In realtà già lo so eh; ma quando il film è così sottile, l’attenzione va munta il più possibile. Tipo dicendo che uno dei due protagonisti manzi hipster esperti di caffè a chilometro zero è registrato all’anagrafe indonesiana come CHICCO JERIKHO. Meraviglioso, per carità. Ma nulla toglie che SIGLA!
Ma poi perché un regista indonesiano si è fissato talmente tanto con questa storia del ritorno alla natura e della giungla amica da farne una trilogia con protagonisti due fessi? Due fessi che, peraltro, se solo non fossero musulmani passerebbero le giornate a farsi teneramente all’amore, altro che macinare chicchi di caffè organico. L’ossessione di Sasongko si capisce meglio quando si scopre che l’Indonesia ha sì ricavato tante care e belle cose da modernità, industrializzazione, capitalismo sfrenato, aumento di risorse e sviluppo di tecnologie – le solite che vincono tutti quelli delle aree urbane dal via di sviluppo in su: smartphone economici, dischi di Little Tony e monopattini a carbone; ma in cambio ha dovuto promettere la propria capitale in sacrifizio agli spiriti antichi della natura e dello tsunami. Sono anni che Giacarta sta sprofondando in mare, 17 centimetri all’anno. A Giacarta ci stanno dieci milioni di persone, solo contando l’area urbana, ed entro il 2050 un terzo della città sarà sott’acqua. Lo so che non è molto scientifico, ma se fai un terzo di dieci milioni di persone e le metti sott’acqua, sono un sacco di persone sott’acqua. Una situazione abbastanza pesa da convincere il governo a mettere in cantiere una nuova città capitale in costruzione nell’isola del Borneo, ribattezzata Nusantara, che verrà inaugurata nel 2024. Questa faccenda spiega abbastanza bene la fissa di Sasongko per i coccola-alberi che da un giorno all’altro si accorgono che la loro vita urbana è parte di un sistema insostenibile per la natura, e che bisogna assolutamente fare qualsiasi cosa in nostro potere per ribaltare la situazione; che sia Ben & Jody alla ricerca della miscela perfetta di caffè che scoprono e apprezzano il lavoro degli agricoltori non intensivi delle foreste pluviali (la trama del primo film), Ben & Jody che mollano tutto in città per girare il paese e smerciare il loro buonissimo caffè fatto come si deve rispettando la filiera e la natura (la trama del secondo film), o Ben & Jody che si immolano tra un ripensamento e l’altro per difendere i diritti dei campesinos bullizzati dalle grandi aziende e dai tagliatori di legna di frodo (la trama di questo film).
Yayan Ruhian, in tutto questo, è un boss di tagliatori di legna di frodo che ha una passione smodata per il caffè. Sul serio. Tutta la prima parte del film è Yayan che prende a scappellotti sempre lo stesso sgherro perché gli prepara un caffè imbevibile. Succede che poi i taglialegna illegali rapiscano CHICCO JERIKHO (Ben). Egli, rispetto agli altri due film, ha rinunciato alla carriera da barista virtuoso e adesso fa il sindacalista degli agricoltori della foresta che vengono intimiditi dalle grandi corporazioni, le quali si servono degli indonesiani cattivi tipo Yayan per far passare la voglia a quelli buoni di fare le cose come si deve. Oltre a CHICCO, gli indonesiani cattivi mettono le mani anche su RIO DEWANTO (Jody), il bro di Ben che appena viene a sapere dell’amico rapito nella giungla molla il bar a Giacarta (il Filosofi Kopi degli altri due film) e si scapicolla nella foresta facendo una figura da pirla e venendo sequestrato in tempo zero. Quando Yayan scopre che Ben è molto bravo a fare il caffè, grufola di piacere e ne approfitta alla grande, creando la situazione giusta per la fuga dei nostri eroi. Non è vero! Ben & Jody riescono a scappare perché le guardie stanno guardando il badminton e si sono distratte, il caffè non c’entra una fava e io ho appena visto un uomo adulto preparare una bevanda calda al rallentatore come fosse un artificiere che sta capendo quale filo tagliare senza saltare per aria, e non è servito assolutamente a nulla né per far avanzare la trama, né per la costruzione dei personaggi e neanche per il mio sollazzo personale, dal momento che non ho un feticcio per i caffè preparati con i filtri in cotone non trattato. Ben & Jody scappano, Ben & Jody arrancano, Ben & Jody scoprono che è bello stare dalla parte dei deboli e lottare per loro, Ben & Jody mi stanno sul cazzo.
Poi c’è l’atto finale del film, la grande resa dei conti sempre tutta buia ma almeno senza alberi di mezzo. E sono venti minuti di botte vere e belle, che finalmente ti fanno capire perché mai Yayan Ruhian abbia accettato di apparire in questa cosa. Un po’ perché è il terzo capitolo di una trilogia che ha avuto abbastanza successo da finire su Netflix, e chi è Yayan per dire no a un sacco di rupie indonesiane e a un altro po’ di gloria? Ma soprattutto perché l’ultima parte di Ben & Jody è esattamente la sua tazza di tè – speravo anch’io di avere il coraggio di scrivere “è esattamente la sua tazza di caffè” ma non ce l’ho fatta, sono stato debole. Il finale ricalca l’andamento di menare di tutti i migliori film dello Yayan. Anche qui è un cattivissimo con nessuna velleità di redenzione; anche qui è nettamente il boss con più pugni nelle mani, tanto che servono quattro buoni tutti insieme per pensare anche solo di scalfirlo, figurati sconfiggerlo; anche qui il combattimento deve arrivare a punte di eroismo parossistico per estinguere la fiamma marziale di Ruhian. È sempre un bel vedere, e a Yayan non si può che volere del bene. Ma al resto del film dovrebbero dare un DASPO, e a Netflix due scappellotti sulla nuca per aver distribuito un caffè così scadente.
Abbasso Starbucks quote
«Come un caffè con il fondo bruciato, che puoi berlo solo con un etto di zucchero e comunque fa schifo»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
Ti è sfuggito il vero collegamento tra caffè e badminton.
Il primo è indispensabile per evitare che la palpebra oscuri l’occhio che guarda il secondo.
Non ci ho capito un cazzo ma non lo guarderò comunque
‘nsomma mi guardo Comedians in cars getting coffee di Seinfeld e mi diverto di più?
Recensione azzeccatissima ,due deficienti,da saltare a piè ,pari per poi fermarsi ai 20 minuti finali.
Una volta con la cumpa si andava in autobus in centro storico a prendere i ciddì nel più bel negozio di ciddì. Poi si andava in questo bar del centro storico dove il barista ti dava il caffè e ti metteva il bicchiere d’ acqua a fianco. C’ era che di noi prima beveva il bicchiere d’ acqua e poi il caffè, chi faceva il contrario. Il barista ci guardava strambo. Mica c’ era internet, ai tempi, e allora abbiamo chiesto ad Ubaldo, il nostro barista peso di quartiere, cosa fosse giusto fare. Ubaldo, con più di 40 anni di esperienza di barman di quartiere disagiato, ci disse “Versate il caffè nel bicchiere d’ acqua e poi bevete”. Così facemmo. Tutti. Il barman del bar del centro storico ci guardò con odio, ma noi gli dicemmo “Ottimo. Squisito. Grazie”. La volta dopo rilanciammo con “Un caffè con un bicchiere di acqua gasata, grazie”. A noi del quartiere disagiato piaceva molto perculare quelli ricchi del centro storico.
Ahah
tuttomoltobello
Grande
La trama del terzo film è praticamente un film di Bud Spencer & Terence Hill che non ce l’ha fatta